Lo Stato garante delle perdite delle Banche: gran festa a Piazza Affari

Eravamo sull’orlo del credit crunch, di una stetta creditizia che avrebbe acuito la crisi di liquidità, bloccato l’accesso al credito da parte delle imprese e affossato il paese in una spirale recessiva senza fine. Poi è arrivato Corrado Passera e in soli diciassette giorni di governo si inventa una norma, piccola piccola, ma sufficiente a rinviare l’Armageddon. Per carità, deisioni incontrovertibili, necessarie, urgenti, ineludibili, praticamente obbligatorie. Così da oggi lo Stato si è fatto garante delle perdite delle banche. In Borsa stanno ancora brindando a champagne.

La manovra Monti raccoglierà una cifra netta di circa 20 miliardi euro e guarda caso verrà istituito un fondo di garanzia per i prestiti che le banche concederanno alle imprese di circa 20 miliardi: quindi, senza fare troppi complicati conteggi, l’intero ammontare del cosiddetto decreto salva Italia verrà destinato alle banche (we-news).

Ora sulle cifre indicate nell’articolo citato non metterei la mano sul fuoco. Però quello che salta agli occhi è che le banche hanno avuto un trattamento – per così dire – preferenziale. Nessun governo populista, sia in stile Merkel che in stile Sarkozy, si sarebbe mai potuto permettere una norma del genere in un clima di ostilità verso il mondo della finanza come quello attuale. Di fatto il governo si è mostrato realista più del Re: ha accantonato qualsiasi valutazione di tipo etico sul mondo bancario ed ha di fatto rivalidato l’impianto sistemico finanziario al punto tale da considerare essenziale mettere lo Stato alle spalle delle banche italiane nonostante sia lo Stato sull’orlo della bancarotta.

Non parlerei di conflitto di interesse. Ci sarebbe conflitto laddove uno o più ministri avessero dei tornaconti in conseguenza di questa decisione. Invece no, credo proprio che Monti e soci credano ancora di trovare la soluzione alla crisi con la vecchia ricetta del mondo capitalista, quel mondo oggi sul punto di crollare, quello stupido mondo basato sulla finzione di terra, moneta e lavoro come merce. Delle tre, la moneta è quella che si regge solo sulla fiducia e la fiducia oggi nel mondo è persa. Dare garanzia alle banche significa fidarsi di esse. Lo ha fatto anche Obama, ed ora paga in moneta elettorale tutto lo scotto di quella non-decisione di non punire Wall Street quando era ora.

Da oggi online i redditi dei parlamentari spagnoli. Mentre in Italia Paniz teme di finire sul lastrico

Accade in Spagna. Dove il capo del governo, Zapatero, riceva la cospicua somma di euro 142.467 annui, di cui 67.427  come capo dell’esecutivo e 75.040 come deputato. Gli indignados spagnoli del gruppo 15M assediano le piazze e invocano una politica onesta e orientata alla difesa dei diritti della nuova generazione. E attaccano a ripetizione i privilegi e le retribuzioni dei parlamentari.

Peccato, essi non sanno che il primo ministro italiano ha guadagnato nel 2009 la bellezza di  23.057.981 euro – certamente più grazie alle sue attività editoriali e affini che al reddito miserevole da parlamentare. Sempre citando un vecchio articolo di Repubblica, “Gianfranco Fini nel 2009 ha dichiarato 142.243 euro di  imponibile, contro i 105.633 euro dell’anno precedente. Per il presidente del Senato, Renato Schifani, 190.643 euro con un aumento di circa 31 mila euro […] tra i leader di partito, dopo Berlusconi c’è Antonio Di Pietro con 193.211 euro. Tuttavia, rispetto alla dichiarazione del 2008, l’ex pm ne ha persi circa 25 mila (ne denunciava 218.080). Al terzo posto Umberto Bossi con 156.405 euro: un “guadagno” di circa 22 mila euro nel confronto con i 134.450 dichiarati un anno prima. Segue a ruota il leader del Pd Pier Luigi Bersani con 150.450 contro i 163.551 della denuncia del 2008. Il reddito più basso è quello del leader dell’Udc Pier Ferdinando Casini, in “ribasso” da 142.130  a 123.005″ (La Repubblica.it).

Questi redditi sono troppo datati, direste voi. La vostra personalissima percezione è confermata da una dichiarazione di questa sera di Maurizio Paniz, deputato ed avvocato in pectore del premier, l’uomo che crede alla nipote di Mubarak (e a Babbo Natale):

“E’ ingiusto il trattamento economico nei confronti dei parlamentari. Dalla mia attività di parlamentare, con gli ultimi tagli che sono stati disposti, se va bene riesco a prendere 300 euro al mese”. Ad affermarlo è il parlamentare del Pdl Maurizio Paniz alla Zanzara su Radio 24 (Giornalettismo.com).

Leggete attentamente le parole di Paniz: “I conti sono matematici: prendo 4500 euro di indennità che, ridotte al 40% perché ho un’altra attività, arrivano a 2.700 euro – spiega Paniz -. Questi vanno ridotti del 20% dell’emolumento originario come contributo di solidarietà, cioe’ 900 euro, e arriviamo a 1900 dai quali vanno tolte le imposte e arriviamo a circa alla metà. Togliamo infine il contributo per tutti i parlamentari del Pdl di 800 euro e come vede io ci perdo a fare il parlamentare. E’ un semplice conto matematico. Se i giornalisti controllassero e si informassero meglio non si sarebbe sollevato un polverone inutile” (ibidem).

Paniz è semplicemente e candidamente osceno. Egli non vi ha detto, poiché suppone che voi lo sappiate già o suppone piuttosto che voialtri siete del tutto rimbambiti, che “il taglio delle retribuzioni o delle indennità di carica dei componenti degli organi costituzionali (il 10% per la parte eccedente i 90 mila euro, il 20% su quella che supera i 150 mila), non si applicherà più da domani e per sempre, ma solo per quest’anno, il prossimo, e il 2013, fatti salvi «la presidenza della Repubblica e la Corte costituzionale» che però pagheranno il contributo di solidarietà previsto per la pubblica amministrazione (Corriere.it).

Sappiate che alla diaria di 4.500 euro, come riferito da Paniz, si sommano l’indennità, pari a 5.486 euro non più sottoposta al taglio del 50% e altri rimborsi per altri 3.000 euro circa. Che dite, diamo asilo politico a Zapatero?

Unione municipale, come funziona: dal federalismo comunale al dispotismo municipale

E’ la discussa riforma a mezzo decreto di Tremonti. Abolisce i consigli comunali per quei centri abitati sotto i mille abitanti e crea delle unioni municipali, sorta di miniparlamenti per aggregati di comuni.

3. L’unione municipale è costituita dai comuni contermini con popolazione pari o inferiore a 1.000 abitanti al fine dell’esercizio in forma asso ciata di tutte le funzioni amministrative e dei servizi pubblici di spettanza comunale. La complessiva popolazione residente nel territorio dell’unione municipale è pari almeno a 5 .000 abitanti, salvo diverso limite demografico individuato con delibera della Giunta regionale (tratto dal Decreto del 12/08/11).

I comuni sotto i mille abitanti non smetteranno di eleggere i propri sindaci, che però saranno organi monocratici, senza giunta, senza consiglio. Il risparmio per le casse pubbliche, si intuisce, dovrebbe generarsi dalla suddetta abolizione degli organi elettivi. Ne consegue, meno soldi pubblici, meno democrazia.

E’ già grave che si stabilisca per decreto che i piccoli comuni non debbano esistere, negando pertanto il principio federalista della sussidiarietà nonché quello democratico della autodeterminazione della rappresentanza politica. Togliere alle piccole comunità il diritto di autogestirsi in nome del risparmio pubblico è una eresia. Che idea di democrazia ha il legislatore che produce una simile porcata?

Non fraintendetemi: il principio del contenimento della spesa pubblica, nonché quello della riduzione del debito, sono sacrosanti. E’ la prassi della buona amministrazione pubblica, quella di avere i bilanci a posto. Ma eliminare per decreto delle istituzioni democratiche sulla base dell’idea che sono inutili, è sbagliato. Tanto più se si sostituiscono organismi democratici con le citate unioni municipali. Esse non sono nient’altro che dei parlamentini dei sindaci dei comuni associati. Fare ciò nel paese del campanilismo è un errore gravissimo.

Naturalmente queste assemblee dovranno formare una giunta e avere un presidente di giunta che sussume in sé  i poteri del sindaco. Il presidente di giunta è eletto dall’assemblea: nel decreto non è specificato se si debba raggiungere un qualche quorum. In ogni caso, ci sarà una maggioranza di sindaci che voteranno per quel presidente, e una minoranza che non lo farà. Il presidente di giunta forma quindi la sua giunta mediante la quale governerà il territorio municipale. Egli sarà certamente portato a selezionare i suoi “ministri” fra coloro che l’hanno votato. I suoi assessori sono i sindaci solo di una parte dei piccoli comuni che formano l’unione municipale: è altrettanto naturale che essi facciano gli interessi dei loro comuni, a discapito degli altri, che hanno sindaci in minoranza e non potranno partecipare all’organizzazione delle attività del territorio municipale.

C’è un rischio molto grande in questa riforma – una riforma molto superficiale e controproducente nelle innovazioni che porta con sé. Il rischio di avere territori comunali con sindaci che non possono spendere un soldo per riparare una strada o salvaguardare i cani randagi piuttosto che spalare la neve d’inverno. Non già perché i soldi non ci sono, bensì perché la maggioranza li ha dirottati a suo piacimento verso i comuni di appartenenza.

Questo governo ha speso migliaia di parole per il federalismo comunale, ha invece partorito il dispotismo municipale.

Manovra, ecco il testo

Il testo del nuovo decreto in materia finanziaria come firmato da Napolitano:

La nuova manovra da 45,5 miliardi di euro

Addio, provincia, addio

L’elenco delle province prossime alla cancellazione, salvataggi in extremis permettendo:

Ascoli Piceno: 214.068 (Pdl)
Asti: 221.687 (Pdl)
Belluno: 213.474 (Lega)
Benevento: 287.874 (Pd)
Biella: 185.768 (Lega)
Caltanissetta: 271.729 (Mpa)
Campobasso: 231.086 (Pdl)
Carbonia-Iglesias: 129.840 (Pd)
Crotone: 174.605 (Pdl)
Enna:172.485 (Pdl)
Fermo:177.914 (Sel)
Gorizia:142.407 (Pd)
Grosseto:228.157 (Pd)
Imperia:222.648 (Pdl)
Isernia:88.694 (Pdl)
La Spezia:223.516 (Pd)
Lodi:227.655 (Lega)
Massa Carrara: 203.901 (Pd)
Matera:203.726 (Pd)
Medio Campidano:102.409 (Pd)
Nuoro:160.677 (Pd)
Ogliastra:57.965 (Pd)
Olbia Tempio: 157.859 (Pdl)
Oristano: 166.244 (Pdl)
Pistoia: 293.061 (Pd)
Prato: 249.775 (Pd)
Rieti: 160.467 (Pd)
Rovigo: 247.884 (Pd)
Savona: 287.906 (Pdl)
Siena: 272.638 (Pd)
Sondrio: 183.169 (Lega)
Terni: 234.665 (Pd)
Trieste: 236.556 (Pd)
Verbano-Cusio-Ossola: 163.247 (Pdl)
Vercelli: 179.562 (Pdl)
Vibo Valentia: 166.560 (Pd).

(via Blitz).

O la borsa o Tremonti

Governo al bivio: o la borsa o Tremonti. La decisione sarà presa inevitabilmente perché l’inevitabile è qui da noi, alla porta, sotto forma di debito pubblico, spread, commissariamento da parte della Bce. I creditori vogliono i loro soldi indietro. E noi non li abbiamo.

Il consiglio dei ministri sta digerendo olio di ricino, stasera. L’ha portato Tremonti. E’ la sua manovra, la mazzata finale. Molti dovranno dire addio ai privilegi. Molti dovranno dire ai propri referenti che non se ne fa più nulla. Molti dovranno scontentare persone che non accettano di essere scontentate, persone che potrebbero prendersela a male se non ci sono più i soldi degli appalti. Persone che reagiscono, ma in un secondo momento, con calma, intercettandoti di notte, mentre ritorni a casa.

I ministri sono stati messi di fronte a questa dura alternativa: o la borsa o Tremonti. E se qualcuno (Galan, Brunetta, Prestigiacomo) può avere inizialmente pestato i piedi, Berlusconi li avrà guardati, con quello sguardo tetro che s’è disegnato addosso da settimane – dal referendum perso? – e li avrà chiamati a sé, in separata sede per dire loro che non c’è scelta alcuna. Stavolta, avrà sussurrato loro, o si vota la manovra o sarà la fine.

Taglio di un terzo delle province. Taglio dei comuni sotto i mille abitanti. Altri tagli a Regioni e enti locali (sopravvissuti). Eurotassa. Innalzamento dell’età pensionabile. Riforma dell’articolo 18 (ancora…). Qualche taglio ai costi della politica.  Aumento tassazione Irpef per i redditi sopra i 55mila euro. Tfr ritardato di due anni per i dipendenti statali. Feste nazionali (non religiose) praticamente abolite. Aumento della tassazione sulle rendite finanziarie (Bot e Btp esclusi).

Alla fine anche i ministri più riottosi hanno votato a favore. Tremonti resiste, per ora.

IN DIRETTA:

Venti miliardi nel 2012, venticinque nel 2013. Sommati agli ottantasette di Luglio fanno 132 miliardi di euro entro il 2014. La manovra più dura della storia della Repubblica. Ridare i soldi ai tedeschi, l’imperativo categorico di Berlusconi. 54.000 poltrone depennate dalla faccia della politica italiana. Riduzione trasferimenti governi locali (forse compensati dalla Robin Hood Tax, dice Tremonti). Salvati i settori già clpiti in passato – sanità, culture. No ai tagli all’edilizia scolastica e a quella carceraria.

Rendite: allineate al 20%. Tassazione dei depositi bancari scende al 20% (dal 27%). Aumentano accise e tabacchi. Evasione fiscale: tracciabilità contante a 3.500 euro. rimodulazione studi settore. Prelievo di solidarietà. 5/6 miliardi di euro dai tagli ai ministeri. Voci di entrata e uscita sottostimate, dice Tremonti. L’indebitamento dovrebbe scendere all’1.4% nel 2012. Nel 2013 pareggio di bilancio.

Modernizzazione e sviluppo: misure a sostegno dell’occupazione, trasferimento dei livelli contrattuali a livello territoriale e aziendale; liberalizzazioni e privatizzazioni. Privatizzazione dei servizi pubblici locali tramite incentivi. Festività laiche accorpate sul modello europeo.

Pensioni, il mistero del ‘refuso’ continua

L’emendamento che aggancia anche i 40 anni di contributi all’adeguamento all’aspettativa di vita dal 2016 era un refuso? Secondo Sacconi sì. Secondo me no. Tanto più che l’emendamento non è stato ‘corretto’ ma ripresentato: si chiama emendamento 12.1000 (testo 2). Certamente in commissione il relatore avrà modo di spiegare quanto successo e eventualmente di propendere per accantonare il testo 1. Ma tant’è, esso è ancora lì, e le differenze rispetto al secondo testo non si limitano al solo refuso. Vediamo

Proposta di modifica n. 12.1000 (testo 1) al DDL n. 222812-bis. In attuazione dell’articolo 22-ter, comma 2, del decreto-legge  1  luglio  2009,  n.  78, convertito con modificazioni con legge  3 agosto  2009, n. 102, concernente l’adeguamento dei requisiti di accesso al sistema pensionistico agli incrementi della speranza di vita e tenuto anche conto delle esigenze di coordinamento degli istituti pensionistici e delle relative procedure di adeguamento dei parametri connessi agli andamenti demografici, a decorrere dal 1° gennaio 2016 i requisiti di età e i valori di somma di età anagrafica e di anzianità contributiva di cui alla Tabella B allegata alla legge 23 agosto 2004, n. 243, e successive modificazioni e integrazioni, i requisiti anagrafici di 65 anni e di 60 anni per il conseguimento della pensione di vecchiaia, il requisito anagrafico di cui all’articolo 22-ter, comma 1, del decreto-legge 1° luglio 2009, n.78 convertito con modificazioni con legge 3 agosto 2009, n.102, e successive modificazioni e integrazioni, il requisito anagrafico di 65 anni di cui all’articolo 1, comma 20 e all’articolo 3, comma 6, della legge 8 agosto 1995, n. 335, e successive modificazioni e integrazioni, e il requisito contributivo di 40 anni ai fini del conseguimento del diritto all’accesso al pensionamento indipendentemente dall’età anagrafica sono aggiornati a cadenza triennale

12-ter. A partire dall’anno 2014 l’Istat rende annualmente disponibile entro il 30 giugno dell’anno medesimo il dato relativo alla variazione nel triennio precedente della speranza di vita all’età  corrispondente a 65 anni in riferimento alla media della popolazione residente in Italia. A decorrere dalla data di cui al comma 12-bis e con i decreti a cadenza triennale di cui allo stesso comma 12-bis:

a)  i requisiti di età e il requisito di anzianità contributiva ai fini del conseguimento del diritto all’accesso al pensionamento indipendentemente dall’età anagrafica indicati al comma 12-bis sono aggiornati incrementando i requisiti in vigore in misura pari all’incremento della predetta speranza di vita accertato dall’Istat in relazione al triennio di riferimento. In sede di prima applicazione tale aggiornamento non può in ogni caso superare i 3 mesi e lo stesso aggiornamento non viene effettuato nel caso di diminuzione della predetta speranza di vita. In caso di frazione di mese, l’aggiornamento viene effettuato con arrotondamento al decimale più prossimo. Il risultato in mesi si determina moltiplicando la parte decimale dell’incremento della speranza di vita per dodici, con arrotondamento all’unità;

b) i valori di somma di età anagrafica e di anzianità contributiva indicati al comma 12-bis sono conseguentemente incrementati in misura pari al valore dell’aggiornamento rapportato ad anno dei requisiti di età. In caso di frazione di unità, l’aggiornamento viene effettuato con arrotondamento al primo decimale;

Restano fermi i requisiti di anzianità contributiva minima previsti dalla normativa vigente in via congiunta ai requisiti anagrafici, nonché la disciplina del diritto alla decorrenza del trattamento pensionistico rispetto alla data di maturazione dei requisiti secondo quanto previsto dalla normativa vigente, come modificata ai sensi dei commi 1 e 2 del presente articolo

Proposta di modifica n. 12.1000 (testo 2) al DDL n. 222812-bis. In attuazione dell’articolo 22-ter, comma 2, del decreto-legge  1  luglio  2009,  n.  78, convertito con modificazioni con legge  3 agosto  2009, n. 102, concernente l’adeguamento dei requisiti di accesso al sistema pensionistico agli incrementi della speranza di vita e tenuto anche conto delle esigenze di coordinamento degli istituti pensionistici e delle relative procedure di adeguamento dei parametri connessi agli andamenti demografici, a decorrere dal 1° gennaio 2015 i requisiti di età e i valori di somma di età anagrafica e di anzianità contributiva di cui alla Tabella B allegata alla legge 23 agosto 2004, n. 243, e successive modificazioni e integrazioni, i requisiti anagrafici di 65 anni e di 60 anni per il conseguimento della pensione di vecchiaia, il requisito anagrafico di cui all’articolo 22-ter, comma 1, del decreto-legge 1° luglio 2009, n.78 convertito con modificazioni con legge 3 agosto 2009, n.102, e successive modificazioni e integrazioni, il requisito anagrafico di 65 anni di cui all’articolo 1, comma 20 e all’articolo 3, comma 6, della legge 8 agosto 1995, n. 335, e successive modificazioni e integrazioni devono essere aggiornati a cadenza triennale

12-ter. A partire dall’anno 2013 l’Istat rende annualmente disponibile entro il 30 giugno dell’anno medesimo il dato relativo alla variazione nel triennio precedente della speranza di vita all’età  corrispondente a 65 anni in riferimento alla media della popolazione residente in Italia. A decorrere dalla data di cui al comma 12-bis e con i decreti a cadenza triennale di cui allo stesso comma 12-bis:

a)  i requisiti di età indicati al comma 12-bis sono aggiornati incrementando i requisiti in vigore in misura pari all’incremento della predetta speranza di vita accertato dall’Istat in relazione al triennio di riferimento. In sede di prima applicazione tale aggiornamento non può in ogni caso superare i 3 mesi e lo stesso aggiornamento non viene effettuato nel caso di diminuzione della predetta speranza di vita. In caso di frazione di mese, l’aggiornamento viene effettuato con arrotondamento al decimale più prossimo. Il risultato in mesi si determina moltiplicando la parte decimale dell’incremento della speranza di vita per dodici, con arrotondamento all’unità;

b) i valori di somma di età anagrafica e di anzianità contributiva indicati al comma 12-bis sono conseguentemente incrementati in misura pari al valore dell’aggiornamento rapportato ad anno dei requisiti di età. In caso di frazione di unità, l’aggiornamento viene effettuato con arrotondamento al primo decimale;

Restano fermi i requisiti di anzianità contributiva minima previsti dalla normativa vigente in via congiunta ai requisiti anagrafici, nonché la disciplina del diritto alla decorrenza del trattamento pensionistico rispetto alla data di maturazione dei requisiti secondo quanto previsto dalla normativa vigente, come modificata ai sensi dei commi 1 e 2 del presente articolo.

In sostanza viene espunto il capoverso che parla del ‘requisito contributivo’ di 40 anni per accedere al pensionamento indipendentemente dall’età anagrafica, ma resta il comma 12-ter/b dove si spiega che la somma di età anagrafica e contributiva sarà oggetto dell’incremento sulla base del dato ISTAT sulle speranze di vita, come stabilito dall’art. 22-ter della legge 102/2009, conversione del precedente decreto anticrisi. Le norme che si vogliono introdurre dovrebbero servire alla mera attuazione del metodo introdotto con la legge del 2009. Ma, nel passaggio dal testo errato a quello corretto, è stata modificata anche la data di decorrenza: non più 1° Gennaio 2016 ma il 1° Gennaio 2015. Perché questa accelerazione? E’ proprio vero che l’età contributiva di 35 anni rimane inalterata? Se si incrementano le somme di età anagrafica e contributiva, di fatto si aumenta anche quest’ultima, agganciandola a un automatismo che elimina del tutto la possibilità di contrattazione con le parti sindacali. Una specie di scala mobile applicata all’età pensionabile.

La tabella B di cui alla legge 247/2007 verrebbe ad aggiornarsi con un parametro aggiuntivo, appunto: l’aspettativa di vita.

TABELLA B

REQUISITO CONTRIBUTIVO MINIMO: 35 ANNI
PERIODO Lavoratori dipendenti Lavoratori autonomi
DAL AL Somma di età anagrafica e anzianità contributiva Età anagrafica minima per la maturazione del requisito Somma di età anagrafica e anzianità contributiva Età anagrafica minima per la maturazione del requisito
01/07/2009 31/12/2010 95 + Aspettativa Vita 59 96 60
01/01/2011 31/12/2012 96 + Aspettativa Vita 60 97 61
01/01/2013 97 + Aspettativa Vita 61 98 62

E se un giorno dovessimo organizzare un concorso a premi? Guardate il video (tranquilli, è satira):

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Sitografia: