Melfi, Italia

20 Dicembre 2012: Fiat ha appena annunciato un investimento presso lo Stabilimento Sata di Melfi da un miliardo di euro per la produzione di due mini Suv. Mario Monti, in visita all’impianto:

“Penso che sarebbe irresponsabile dissipare i tanti sacrifici che gli italiani si sono assunti”, ha detto rivolgendosi agli operai. “Tredici mesi fa l’Italia aveva febbre alta e non bastava un’ aspirina ma una medicina amara non facile da digerire ma assolutamente necessaria per estirpare la malattia”. E ancora: “Siamo solo all’inizio delle riforme strutturali”. Come dire, il lavoro del governo tecnico è appena cominciato. Infine, un messaggio che è quasi un programma: “Oggi, da Melfi, parte un’operazione che non è per i deboli di cuore, ma noi sappiamo che può emergere un’Italia forte di cuore” (La Stampa.it).

Oggi, 15 Gennaio 2013:

Fiat, a Melfi cassa integrazione per ristrutturare impianti

Sky.it

  • Adnkronos/IGN

Proprio Melfi. Che doveva essere il simbolo di una riscossa, il simbolo di una “scelta civica”.

L’Antirenzismo

Le battute carpite a Massimo D’Alema da Federico Geremicca, giornalista de La Stampa, e poi smentite dal portavoce del presidente del Copasir, rappresentano in qualche modo l’inaugurazione di una nuova disciplina nel mare magnum della politica italiana: l’antirenzismo. Una sorta di coazione a ripetere, per un esponente della vecchia guardia Ds come D’Alema, orfano del nemico per antonomasia, Silvio Berlusconi. Paradossalmente, le battute dell’ex presidente del Consiglio, arrivano lo stesso giorno in cui Renzi guadagna l’ambito palmares della scomunica di Marchionne. Un premio di cui andarne fieri mentre Vendola ricorda in un poster dei suoi che Renzi solo lo scorso Gennaio plaudiva alle opere del manager Fiat:

Appena apre bocca, il sindaco di Firenze diventa il centro della polemica. Tutti cercano di marcare la differenza da Renzi. L’antirenzismo funziona come l’antiberlusconismo: gli avversari di Renzi non cercano di specificare le proprie idee e i propri programmi politici, bensì definiscono sé stessi in senso negativo rispetto all’avversario. Basta che Renzi parli che loro tutti, in coro, spiegano che non sono come lui, che sono diversi. E come potrebbe essere altrimenti? Vendola non è come Renzi, ovvero è contro Marchionne, ma i rapporti del governatore pugliese con i titolari dell’Ilva di Taranto come si dovrebbero definire? D’Alema dice (e poi smentisce) che Renzi è arrivato in Molise con il jet, ma D’Alema non potrebbe parlare di jet, lui che ha usufruito di ben cinque voli aerei in forma di regalo da parte della Rotkopf Aviation, società low cost che pagò tangenti per ottenere appalti Enac.

Naturalmente non importa. Importa soltanto identificare in Renzi il male e definirsi rispetto a lui in senso negativo.

 

 

Vendola contestato a Mirafiori dai sindacalisti autonomi favorevoli a Marchionne. I punti negativi dell’accordo

FISMIC, si chiama. E’ un sindacato autonomo, fortissimo a Mirafiori, nato negli anni ’50 da una costola della CISL, in polemica sulla politica sindacale di allora, con “una diversa visione del modo di sviluppare la contrattazione e, quindi, di fare attività sindacale per meglio tutelare gli interessi e i diritti dei lavoratori” (FISMIC – sito ufficiale).

Mentre la CISL marciava a tappe forzate verso un modello contrattuale che aveva nel Contratto Nazionale di Lavoro il perno dell’azione sindacale, coloro che formavano il nucleo centrale di quella che sarebbe divenuta col tempo la FISMIC, affermavano che era la contrattazione in azienda il perno della contrattazione, vicino ai lavoratori e vicino al luogo dove si produce la ricchezza (FISMIC, ibidem).

FISMIC, diciamolo subito, ha firmato l’accordo-ricatto di Mirafiori. Perciò perché sorprendersi per la contestzione a Vendola? A Vendola, gli autonomi di FISMIC hanno gridato che il comunismo è morto. I manifestanti mostravano alle telecamere – naturalmente – copie di un articolo de Il Giornale in cui si accusava il governatore della Puglia di “fare come Marchionne”, e ciò la dice lunga sull’intenzione polemica e profondamente politica della loro iniziativa. La questione accordo non c’entra nulla. D’altronde, chi può credere a un articolo de Il Giornale?

E’possibile immaginare la tensione che c’è in queste ore fra i lavoratori: i capireparto sono intervenuti presso le maestranze per spiegare le ragioni del Si al referendum. FISMIC è molto forte in Fiat: insieme a Fim, Uilm e Uglm, rispettivamente le sigle dei metalmeccanici di CISL, UIL e UGL, rappresenta il 73% dei lavoratori. Mirafiori non voterà mai la sua condanna a morte. Ma certamente il successo prevedibile del sì non equivale a dire che questo tipo di relazioni sindacali, estorte con il ricatto e la complicita dei sindacati cooptati dall’azienda, siano un nuovo paradigma da estendere agli altri settori produttivi. In realtà le relazioni industriali ne escono a pezzi, come già era preventivabile anche solo osservando le dinamiche dei rinnovi contrattuali-salariali dell’ultimo decennio. L’azione di oggi di FISMIC non fa altro che confermare l’ambiguità di queste sigle sindacali. Non erano certo davanti ai cancelli per propagandare il sì, ma unicamente per contestare Vendola, il quale ha tutto il diritto di sostenere la parte che desidera e di accorrere dalla Puglia in suo sostegno. Ragion per cui è l’azione FISMIC ha tutta l’aria di essere una imboscata politica ordita da avversari di Vendola.

Detto ciò, sacrifici senza compartecipazione è una sconfitta per il sindacato, per tutto il sindacato, pure per FISMIC che negli anni ’50 già preconizzava la contrattazione di base come modello preminenete per le relazioni industriali. Oggi, 2001, FISMIC ha dimenticato i buoni propositi e si è resa corresponsabile di un accordo farsa in cui a prescindere dalla produttività dei lavoratori, si impongono obiettivi illogici e difficilmente irrealizzabili, come ad esempio la riduzione della percentuale di assenteismo dal 6% al 3.5% in tre anni. Il solo fatto di introdurre un indicatore collettivo su un comportamento individuale (essere assente dal lavoro per malattia) mette i lavoratori uno contro l’altro in una sorta di guerriglia quotidiana nella quale a essere pregiudicata sarà la qualità del lavoro nonché la qualità del prodotto. In secondo luogo, c’è la questione della rappresentanza:

Il nuovo accordo non prevede l’elezione dei delegati sindacali di fabbrica: i sindacati che firmeranno l’accordo potranno nominare dei rappresentanti aziendali. I sindacati che sciopereranno contro l’accordo potranno essere puniti con l’annullamento dei permessi sindacali. L’azienda non tratterrà le quote di iscrizione ai sindacati dalle buste paga: saranno i sindacati a raccoglierle. Tutti i lavoratori firmeranno personalmente il nuovo contratto: se poi sciopereranno contro l’accordo, potranno essere licenziati (Pagina Fb del Popolo Viola).

FISMIC ha discusso di tutto ciò con i lavoratori che rappresenta? Quale idea di rappresentanza ha FISMIC? Perché un lavoratore non può scegliere liberamente i propri rappresentanti in libere elezioni interne? Qaule incremento retributivo è stato raggiunto con questo accordo? I 32 euro mensili? E’ questo un prezzo congruo alla vendita dei diritti di rappresentanza? FISMIC, anziché sventolare fotocopie all’arrivo di Vendola, provi a fornire le risposte a queste domande, se ci riesce.

Renzi sta con Marchionne. L’abisso si apre fra i rottamatori

Mirafiori scava solchi profondissimi. Marchionne ha obbligato alla scelta di campo: o amico, o nemico. Una dicotomia che è archetipo della lotta; della guerra. Riflettendo il paradigma sulla politica italiana, ci saranno aree politiche filo-Marchionne e una pletora di nemici. E’ un dato di fatto, qualcosa che interessa tutti, che coinvolge tutti. E che divide.

I rottamatori del PD potevano astenersi da ciò? Potevano forse adottare una linea unica, certamente oggetto di discussione e deliberazione, certamente frutto di sofferenze e di dibattito, ma comunque unica? Evidentemente no. Poiché Matteo Renzi, apparso stasera al TgLa7, ha avuto il buoncuore di dirci quanto pensa circa il referendum-ricatto di Mirafiori. Ebbene, Renzi ha scelto la sua parte, ed è la parte di Marchionne – “dalla parte di chi sta investendo nelle aziende quando le aziende chiudono. Dalla parte di chi prova a mettere quattrini per agganciare anche Mirafiori alla locomotiva America” (Libero-News). Cosa aspettarsi da un sindaco che va a cena ad Arcore? Attenti perché la linea dei rottamatori era ben lungi dall’essere questa. Anzi, Civati nei giorni scorsi ha formulato una risposta sul caso Mirafiori che era molto prossima alla posizione articolata dal duo Bersani-Fassina, riaffermata da D’Alema a Otto e Mezzo poc’anzi – né con Fiat né con la Fiom ma per una legge della rappresentanza sindacale democratica. Una posizione, a parere di chi scrive, di buonsenso, che trova nel fondo di stamane di Massimo Giannini su Repubblica – “è una “festa”, se una grande azienda di automobili italiana decide di chiudere un impianto che esiste da un secolo, e che rappresenta un pezzo di storia non solo industriale, ma anche sociale di questo Paese?” – la giusta sintesi. Certo, il sindacato può stringere accordi sofferti, accordi al ribasso, accordi che lasciano sul campo diritti sostanziali dei lavoratori, ma lo fanno a ragion veduta, se non si può fare altrimenti, se lo stato della imprenditoria italiana diventa questo, al limite del banditismo, verrebbe da dire. Mirafiori va salvata. E si può accettare – momentaneamente, molto momentaneamente – una restrizione della sfera dei diritti. Ma non si può accettare il ricatto. Non lo può accettare in primis la politica. La politica dovrebbe ora farsi scudo verso i lavoratori. Una sfera politica sana avrebbe impedito a Marchionne di saltare sul predellino di Detroit a dettar la sua legge erga omnes ai lavoratori italiani. Una politica sana avrebbe preconizzato Marchionne e lo avrebbe evitato. In questo ha fallito, la politica, e in questo i rottamatori, in quanto portatori della buona politica, dovrebbero riuscire a fornire il proprio contributo di innovazione al partito. Viceversa, andare dinanzi ai microfoni discettando a sproposito di investimenti e aziende, come ha fatto Renzi, non è buona cosa.

Renzi, in verità, pare essere l’ombra di quello visto alla Leopolda. Forse ha capito di avere potenziale elettorale a destra. Forse la cena di Arcore è servita per raccogliere una eredità, chi può dirlo. Tutte ipotesi, e poco fondate. Quel che è certo è la divisione fra Renzi e Civati. Renzi ha criticato Civati circa l’idea della contro-direzione di domani, Civati ha minimizzato:

Mica ho fatto tutto questo — ha detto Renzi — per impelagarmi in una battaglia di correnti. I ‘rottamatori’, poi, sono persone libere, e fanno tante iniziative: io al momento mi occupo di Firenze al 101 per cento». La settimana scorsa il sindaco aveva già avvertito il suo compagno d’avventura: occhio, state facendo una corrente. E lui di correnti non ne fa (Corriere.it).

Il sospetto è allora che Renzi abbia impiegato la Leopolda per capitalizzare consenso. Renzi osserva che Prossima Italia non è una corrente. Fare una contro-direzione che fa della trasparenza e della pubblicità della discussione il punto di forza, è correntismo? Da quando riunirsi e discutere in pubblico è pari al chiudersi in stanze chiuse di direttivi segreti? Che differenza c’è fra l’andare in ordine sparso classico del PD e l’andare in ordine sparso di Renzi? Renzi ha detto la sua sul caso Fiat. La sua dichiarazione non trova alcuna corrispondenza nei lavori portati avanti sinora dal gruppo di Prossima Italia, lavori che ne costituiscono la linea politica. Renzi è fuori da questa linea. Di fatto, fuori dai rottamatori.

Non hanno pane? Date loro i SUV. Parola di Marchionne

Asfaltato per sempre il contratto collettivo nazionale, messo a pregiudizio il diritto alla rappresentanza, instaurato il nuovo regime aziendale delle turnazioni e delle pause pranzo facoltative a fine turno; insomma, restaurato il modello operaistico di inizio novecento, dove l’operaio non è persona bensì mero fattore produttivo da applicare esclusivamente secondo criteri quantitativi di efficiacia e efficienza, ovvero l’antica menzogna del lavoro come merce, Marchionne svetta come una mannaia su tutti i lavoratori italiani.

Certo, tutti a indicare il dito: Marchionne il grande innovatore, il grande devastatore, il grande rivoluzionario. Nulla sarà come prima. L’Italia è a crescita zero, indispensabile non firmare, scrivono su Europa. Giusto firmare per salvare i posti di lavoro, questa la logica di Piero Fassino, un uomo al posto sbagliato nel momento sbagliato. Fassina, responsabile economia e lavoro del PD, braccio destro di Bersani, diverge dalla linea dei filomarchionne piddini per elaborare la tesi della “salvaguardia del lavoro ma non a scapito del diritto”: un colpo al cerchio e uno alla botte.

Marchionne, quel filubustiere: anche in Serbia lo stanno cercando e non certo per fargli dei complimenti. Gli operai della Zastava, fabbrica storica di automobili della ex Jugoslavia, comprata nel 2008 dalla Fiat al 67%, dovevano essere – secondo gli accordi – tutti riassunti. Balle: Marchionne stringe accordi per poi rimangiarseli. I lavoratori sono stati sottoposti a dei “test di qualificazione” e molti di essi non li hanno superati e per tale ragione non verranno riassunti (Finanza e Mercati, 28/12/2010, p. 8). Il governo serbo che dice? Tace, ovvio. Perché il governo serbo aveva regalato a Fiat, affinché essa spostasse la produzione della monovolume L0, scippata a Mirafiori, là, negli ex capannoni della Zastava, ben 250 milioni di euro. Gli altri 400 milioni provenivano dalla Banca Europea per gli Investimenti. La rimanenza è della Fiat. Capite? Fiat fa impresa con i soldi degli altri. Dei governi e delle banche. Un vecchio vizio che Marchionne – sì, il grande innovatore – non ha minimamente intaccato.

Pomigliano e Mirafiori non sono una casualità. Fanno parte di un progetto che Fiat teneva già in pugno nel momento dell’acquisto di Chrysler. Ebbene, Fiat anche allora ha incassato soldi da un governo, quello di Obama, a patto che Fiat riconvertisse alcune delle produzioni di Chrysler in automobili a basso impatto ambientale. Marchionne ha sciorinato dinanzi al presidente americano la vasta gamma di conoscenze di Fiat in fatto di basse emissioni inquinanti. Quali non è dato a sapersi. Forse il punto forte di tale dissertazione è stata la tecnologia motoristica al metano, che notoriamente non è una invenzione Fiat, bensì è vecchia di trent’anni. In ogni caso, che fa Marchionne? Sposta la produzione della monovolume Fiat – L0 – in Serbia, incassa i soldi del governo e della EIB mentre a Mirafiori fa produrre i Suv della Chrysler, che in America non può più fare, sennò Obama gli richiede indietro i soldi. Che strategia innovativa! Pratica la cinesizzazione delle relazioni industriali italiane al fine di produrre Suv con il marchio Chrysler da rivendere nelgi USA in barba agli accordi con Obama.

Detto questo, non serve grande acume per osservare che l’investimento nei SUV è una gran fregatura: i SUV non hanno alcun futuro sul mercato. Sono macchine costose e altamente inquinanti. Come non è ovvio dire che la contingentazione dell’orario di lavoro, le pause a fine turno, ovvero la riduzione degli spazi di recupero e di rigenerazione del lavoratore durante le fasi lavorative, vadano a diretto discapito della sicurezza qualitativa del prodotto, nonché della sicurezza del lavoratore medesimo. Si dice che l’accordo sia quanto di più necessario per far stare Fiat al passo con i tempi della globalizzazione. Sarà, ma è altrettanto vero che questo modello ha già fallito (caso della Toyota e del ritiro dal mercato di migliaia di vetture difettose). Per dirla in altre parole, Fiat Auto è senza futuro. Trasferisce i propri lavoratori in Newco che puzzano dalla testa (perché delle Newco? perché Fiat non si può chiamare Fiat e basta e invece ha mille sigle che appartengono alle mille società che Fiat fa e disfa di volta in volta a seconda di quanto salario e di quanti diritti privare i lavoratori?). Investe nei Suv. Sovraimpiega i propri lavoratori mettendo a pregiudizio la qualità dei suoi prodotti. Non ha un servizio clienti alla pari delle multinazionali estere. Soprattutto, le sue vendite sono in picchiata e non saranno le Newco di Pomigliano e Mirafiori a rilanciarle. Che dire: Fiat è un malato terminale, e non lo sa.

La Serbia verso l’UE, Fiat e Marchionne si fregano le mani

Marchionne chiede più flessibilità agli operai italiani? Dice, pesantemente, che non un euro del profitto di Fiat del 2009 proviene dall’Italia – ah! e gli incentivi? certo sono andati alla Fiat solo per la propria quota di mercato italiano; pensate, solo per il 30% – ma non dice una parola sulla Zastava. Oggi, dall’America, giunge un grido di allarme. Non già per gli operai italiani che si vedrebbero sottrarre quote impportanti di lavoro, ma perché gli americani vedono profilarsi all’orizzonte uno spettro automobilistico che per anni li ha tormentati: la Yugo.

Yugo era un progetto di auto che Fiat vendette alla Zastava, storica azienda della Yugoslavia di Tito. Fu la prima autovettura costruita al di là della cortina di ferro ad essere esportata in America. In Italia doveva sostituire la 127, ma Ghidella le preferì la Uno (che intuito). Ebbene, la Yugo in USa se la ricordano bene: è divenuta negli anni sinonimo di scarsa o nulla affidabilità.

Ora che Fiat si è appropriata di Chrysler, sta cercando di vendere, di piazzare auto italiane in ogni modo sul mercato statunitense. Il sito DriveOn ci ricorda che Fiat sta investendo milioni di euro, con lo sponsor del governo italiano e di quello serbo, proprio nell’ex stabilimento Zastava in Serbia.

Fiat in Serbia ha avuto un grosso sconto: dal governo serbo 50 mln di capitale più 150 mln in incentivi; dalle autorità locali serbe, l’esenzione dai dazi e dalle tasse locali per dieci anni; dal comune di Kragujevac, i terreni su cui sorgeranno i nuovi stabilimenti, gratis. Pensate che il governo italiano sia stato all’oscuro di tutto questo? (Yes, political, 26/07/2010).

Il governo italiano sapeva tutto ed ha incoraggiato Fiat ad investire in Serbia. L’alternativa investimento Zastava/investimento in Italia è falsa perché gli accordi sono già stati presi e Fiat è quasi pronta a produrre una monovolume in Serbia, la L0. Lo scorso 11 Ottobre, Bloomberg BusinnessWeek spiega come la Fiat abbia già presentato a funzionari del governo serbo i modelli che saranno prodotti nel sito di Kragujevac a partire dal 2012, quando sarà completata la ristrutturazione:

Un modello a cinque posti progettato per l’UE e un veicolo a sette posti che sarà venduto in UE e negli Stati Uniti saranno costruiti presso lo stabilimento Fiat a Kragujevac circa nel secondo trimestre del 2012, ha detto Mladjan Dinkic, Vice Primo Ministro della Serbia e il responsabile dell’economia  in un comunicato inviato via e-mail ieri dopo che i funzionari hanno visitato la sede della Fiat a Torino, Italia. Il progetto aumenterà di 1.433 unità i posti di lavoro di una forza lavoro esistente presso l’impianto pari 1000, e la capacità produttiva sarà pari a 200.000 vetture all’anno, con espansione a 300.000 veicoli possibilmente, ha detto il ministero. Le esportazioni dei modelli nel 2012 ammonteranno a circa 500 milioni di euro (697 milioni dollari) e l’aumento a 1,3 miliardi di euro è previsto  nel 2013, ha detto. Ciò equivarrebbe a circa il 20 per cento delle vendite all’estero della Serbia nel 2009 (Bloomberg).

Naturalmente per Fiat l’esportare i veicoli prodotti dalla Serbia all’UE rappresenta un costo. E nonostante le intemperanze dei tifosi della nazionale che sono venuti in Italia, a Genova, con intenti bellicosi non più di dieci giorni fa, è ripartito a spron battuto il processo di avvicinamento della Serbia all’Unione Europea. Non si può abbattere il costo del lavoro in Italia? Non si può nemmeno abbattere la pressione fiscale, considerato il rapporto debito/pil, il più alto d’Europa? Chi se ne importa: si investe in un paese dell’Est, là dove i diritti degli operai sono stati depennati in nome della libertà ritrovata dopo gli anni del comunismo, si ridipinge la facciata dei palazzi della politica per metterne in mostra il profondo spirito democratico che li anima (ricordate come fu deposto Milosevic? non una goccia di sangue fu sparsa ed era certamente una rivoluzione genuina e spontanea quella dei giovani serbi; ma Mladic, il macellaio dei bosniaci, è ancora a piede libero): ecco abbattuto l’ultimo diaframma che divide la Fiat Zastava dalla libera circolazione dei suoi veicoli. La Serbia in UE conviene. A Marchionne e agli Agnelli (o quel che ne resta). E il governo Berlusconi?

Il governo italiano ha caldeggiato e sposato sin dall’inizio la nuova fase dell’avventura di Fiat in Serbia. E’ nell’interesse strategico italiano (?) far riavvicinare la Serbia all’Europa. Qualcuno ha intelligentemente osservato il silenzio del ministro degli Esteri Frattini sulla sentenza di piena legittimità della dichiarazione di indipendenza del Kosovo del 2008 pronunciata nei giorni scorsi dal Tribunale Internazionale di Giustizia de L’Aia. Frattini si è esibito in seguito in un capolavoro di cerchiobottismo: sentenza giusta, ma rimanga caso isolato. Oggi ha affermato che bisogna accelerare il processo di adesione della Serbia alla Unione Europea. Ma perché il governo Berlusconi è diventato filo-serbo? Quali sono i reali interessi del nostro paese in Serbia? Ai posteri l’ardua sentenza (Yes, political, 26/07/2010).

A quanto pare, il nostro ministro degli Esteri ha fatto proprio un bel lavoro. La svolta nei negoziati con Bruxelles è avvenuta proprio oggi:

Sul Lavoro il vuoto della politica e dell’imprenditoria

Dire che le relazioni industriali in Italia devono essere riformate è cosa ovvia: il sistema attuale della contrattazione collettiva partorito dall’Accordo del 23 Luglio 1993 è farraginoso e non produce quei miglioramenti retributivi che i lavoratori si aspettano, mentre costa ore di lavoro di sciopero e la contrattazione sulle norme è arrivata anche a mettere in discussione principi basilari come l’indennità di malattia. Dall’altro lato, c’è il problema della rappresentanza, che è sempre meno rappresentativa degli effettivi voleri dei lavoratori e non procede quasi mai dalla discussione deliberativa delle assemblee di fabbrica che al contrario sono delle mere riunioni in cui si comunicano le decisioni prese da altri e altrove.

Sulla base di queste ragioni non si può affermare che Marchionne sia un innovatore: ha solo portato alla luce del dibattito il difetto del mondo del lavoro dipendente, vincolato a schemi inefficienti e inefficaci. Marchionne, semmai, ha invaso una terra di nessuno, un vuoto che è innanzitutto politico. Ciò gli è consentito dall’arretramento della Politica alla sfera del privato (lotta di egemonia fra personalismi e pertanto di interessi particolari, fatto testimoniato dalla personalizzazione dei partiti politici – partito di Berlusconi, partito di Di Pietro, di Fini, di Casini, e così via). Un vuoto che nemmeno il Sindacato è stato in grado di percepire e di prevenire, assorto com’è dalla comodità delle posizioni consolidata all’interno di organigrammi gerarchici in cui – anche lì – la discussione è messa alla porta.

Di tutto questo non si è parlato e non si parla. Marchionne punta a deregolamentare il lavoro: la sfida della globalizzazione non la si vuol combattere sul piano della Ricerca e Sviluppo, bensì passando per la riduzione della sfera del diritto del lavoro. Come ci ricorda Oscar Giannino, su Il Messaggero,

L’intera storia della globalizzazione, dalla prima rivoluzione industriale manchesteriana, è fatta di Paesi che si affermano e restano per lungo tempo leader anche nell’espansione dei mercati ad aree a più basso costo del lavoro. Purché naturalmente quei Paesi avanzati non dimentichino che devono preservare due condizioni. La prima è che devono avere una struttura produttiva flessibile, in grado di rispondere rapidamente alla mutata domanda internazionale. La seconda è che devono restare titolari di tecnologie di prodotto e processo, gestionali, commerciali e distributive, capaci di preservare m la leadership nella parte più elevata del valore aggiunto, quella che i Paesi emergenti metteranno più tempo a raggiungere (Oscar Giannino, Il Messaggero, 27/08/2010).

Bè, viene da chiedersi se l’Italia ha davvero conservato la titolarità delle “tecnologie di prodotto e di processo”.  Non è forse vero, piuttosto, che Fiat, come buona parte dell’imprenditoria italiana, è sopravvissuta grazie al sussidio statale (incentivi auto) e grazie all’abuso di contratti di lavoro a tempo determinato (interinali e altre tipologie atipiche)? La verità è che l’imprenditoria italiana non “fa”, non crea più nulla: anch’essa, come le relazioni industriali, è ferma al paradigma degli anni sessanta dell’imprenditore padre di famiglia, alla prima industrializzazione. Anziché convertire le produzioni (vedi caso Omsa), gli imprenditori preferiscono delocalizzare. Oppure pretendono che i lavoratori rinuncino ai loro diritti, accordandosi con quella spirale di compromessi verso il basso che la competizione globale impone: una tesi falsa, secondo Giannino, “abilmente insufflata da quel pezzo di sindacato e di sinistra che continua a guardare alla storia attraverso lo specchietto retrovisore”. Naturalmente Giannino punta il dito al solo sindacato, e ignora del tutto le colpe di una imprenditoria che ha guardato al mero guadagno di oggi, sacrificando la competitività del futuro. Giannino condanna Fiom e assolve Confindustria, ma è Confindustria ad aver spalleggiato per anni la politica del privato berlusconiano, scommettendo su una riduzione delle tasse che non vi è mai stata e mai vi sarà. Sono loro i primi colpevoli di questa stagnazione della cultura industriale.

Quando parla della necessità di abbandonare i vecchi schemi, compreso quello della contrapposizione fra capitale e lavoro nei termini di cento anni fa, l’amministratore delegato della Fiat segnala insomma un ritardo delle culture politiche a cui siamo tutti, destra e sinistra, abbarbicati, perché le nostre categorie sono interessanti per gli studiosi di storia ma non servono per fare politica oggi. Ma i cittadini, i lavoratori, vivono nell’oggi (Nicola Rossi, Europa, 27/08/2010).

I rimedi? Una legge sulla rappresentanza, che pure già esiste ma è parcheggiata in un angolo delle Commissioni Lavoro. E la novità è che Bersani ha aperto alla riforma:

«Un nuovo patto sociale lo vogliamo tutti» […] Il segretario del Pd indica anche una possibile via: «Un rafforzamento dei meccanismi di democrazia e partecipazione diretta dei lavoratori nelle aziende» […]  (P. Bersani, CorSera, 27/08/2010).

Qualcuno per favore però dica che ‘partecipazione’ deve andare di pari passo ad adeguata retribuzione.

Fiat in Serbia? Era tutto scritto. Firmato: il ministro degli Esteri Frattini

Scandaloso Marchionne: gli operai di Pomigliano si dividono sull’accordo “cappio al collo” e lui che fa? Minaccia di portare le nuove produzioni della monovolume L0 in Serbia. Mirafiori si arrangi. Colpa del sindacato, fa sapere. Subito il governo corre al capezzale dell’AD Fiat ed è un profluvio di preghierine: riapriamo la trattativa, dice Epifani, trattiamo su tutto, ma proprio tutto. Per darvi un’idea, questi i titoli di oggi:

CORRIERE DELLA SERA – FIAT, I PALETTI DI BONANNI “IL CONTRATTO NON SI TOCCA”

REPUBBLICA – BOSSI: UN DANNO SE FIAT SE NE VA, TRATTIAMO

MESSAGGERO – I VINCOLI NEGLI USA SPINGONO MARCHIONNE A FARE PRESTO

STAMPA – IL GOVERNO INSISTE “FIAT GARANTISCA IL LAVORO IN ITALIA”

STAMPA – “FIAT, IL GOVERNO INTERVENGA COME HANNO FATTO GLI USA”

MATTINO – Int. a ICHINO PIETRO – ICHINO: “SBAGLIATO ACCUSARE MARCHIONNE E’ IL SISTEMA ITALIA CHE NON ATTRAE PIU’ “

MATTINO – Int. a BONANNI RAFFAELE – BONANNI: “SI’ ALLA NEWCO A POMIGLIANO MA SUI NUOVI CONTRATTI NON TRATTEREMO”

UNITA’ – Int. a DURANTE FAUSTO – “LA NEWCO E’ INUTILE FIAT ABBANDONI LA STRATEGIA DEL PRENDERE O LASCIARE”

MESSAGGERO – Int. a CAMUSSO SUSANNA – CAMUSSO: “TOCCA AL LINGOTTO FARE UN PASSO”

In serata, il ministro Sacconi ha dichiarato alla stampa che l’accordo Fiat-Mirafiori è possibile. Già, ma accordo su di che? A Mirafiori si era per caso messo in discussione il futuro dello stabilimento? Forse che questo allarmismo generalizzato in casa Fiat sia uno stratagemma per spingere il governo all’angolo? Finché c’erano gli incentivi alla rottamazione nessun problema. Si potevano aprire anche cento Pomigliano. Finiti i soldi, finito l’idilio. Se il governo non paga, allora paghino i lavoratori, questa la morale. Ma c’è dell’altro. Poiché Marchionne fa della comunicazione un uso formidabile e ciò mostra come egli sia in grado di sparigliare il campo avverso con solo un paio di annunci fasulli. Sì perché la Fiat in Serbia ci ha messo piede da tempo. Dal 2006 incassa le royalties sulla produzione della Punto Zastava 10, il clone della Punto Fiat, assemblata negli stabilimenti Zastava, la gloriosa azienda di stato di produzione di automobili yugoslava, poi solo serba. Ebbene, l’accordo che venne raggiunto nel 2005 con il governo serbo comportò lo spostamento di una liena di assemblaggio da Termini Imerese a Kragujevac. Il clone della Punto veniva comunque realizzato con semilavorati prodotti in Italia. Poi la svolta del 2008. Gli stabilimenti Zastava devono riprendere a pieno regime le produzioni. Ciò è parte fondante del nuovo corso politico della Serbia democratica del presidente filoeuropeo Boris Tadić. L’accordo con Fiat farebbe parte di una serie di più ampie collaborazioni con i nuovi partner europei volti a far emergere il paese dalla crisi conseguente alla guerra del Kosovo. Tanto più che lo scorso 30 novembre 2009 l’Unione Europea ha sbloccato l’Accordo di Associazione e Stabilizzazione facendo entrare la Serbia nella lista bianca Schengen. Ma Fiat e il governo italiano hanno fatto da “apri-pista”:

è stato firmato a Belgrado l’accordo tra Fiat e Zastava per uno dei più importanti investimenti stranieri in Serbia con la creazione di una società mista italo-serba (70% Fiat e 30% Stato serbo) per la realizzazione di un polo automobilistico a Kragujevac […] Con un investimento complessivo di circa 700 milioni di euro, l’accordo sottoscritto dall’amministratore delegato del gruppo Fiat, Sergio Marchionne, e dal vicepremier e ministro dell’Economia servo Mladjan Dinkic, formalizza gli impegni assunti con il Memorandum d’intesa del 30 aprile […] (Fiat e Zastava accordo fatto Da qui nascerà la Topolino – Motori – Repubblica.it  – 2008).

L’investimento di 700 mln equivale a quello promesso a Pomigliano da Marchionne per riportare la produzione della Fiat Panda in Italia. Le similitudini non finiscono qui: Fiat costituisce una “newco”, new corporation, una società ex novo che incopora Zastava, fatto che implica la liquidazione della vecchia società, con la messa in mobilità di tutti i suoi lavoratori e la loro successiva riassunzione nella nuova creatura, azzerando anzianità e mansioni. E’ ciò che si vorrebbe fare a Pomigliano (Bonanni oggi lo ha “caldamente consigliato” a Marchionne, come si evince dal titolo de Il Mattino, facendo intendere che la newco è il male minore). Ma non è vero che Fiat ha deciso oggi di portare la nuova monovolume L0 in Serbia. Marchionne mente, poiché nel 2008 aveva firmato un accordo che prevedeva proprio questo:

In parallelo, verranno predisposte le linee di produzione per la futura “city-car” e per la nuova auto di “fascia B” (lo stesso segmento della Punto) che l’azienda italiana si propone di immettere sul mercato mondiale, rispettivamente a partire dal 2010 e dal 2011, con un obiettivo finale di 300mila unità all’anno entro il 2011, una soglia che farebbe dell’Europa dell’Est il terzo polo produttivo della casa torinese, dopo Italia e Brasile (La Repubblica.it, cit.).

Fiat in Serbia ha avuto un grosso sconto: dal governo serbo 50 mln di capitale più 150 mln in incentivi; dalle autorità locali serbe, l’esenzione dai dazi e dalle tasse locali per dieci anni; dal comune di Kragujevac, i terreni su cui sorgeranno i nuovi stabilimenti, gratis. Pensate che il governo italiano sia stato all’oscuro di tutto questo?

Alla cerimonia di firma erano presenti il ministro degli Esteri, Franco Frattini, il presidente serbo e il premier Mirko Cvetkovic (ibidem).

Il governo italiano ha caldeggiato e sposato sin dall’inizio la nuova fase dell’avventura di Fiat in Serbia. E’ nell’interesse strategico italiano (?) far riavvicinare la Serbia all’Europa. Qualcuno ha intelligentemente osservato il silenzio del ministro degli Esteri Frattini sulla sentenza di piena legittimità della dichiarazione di indipendenza del Kosovo del 2008 pronunciata nei giorni scorsi dal Tribunale Internazionale di Giustizia de L’Aia. Frattini si è esibito in seguito in un capolavoro di cerchiobottismo: sentenza giusta, ma rimanga caso isolato. Oggi ha affermato che bisogna accelerare il processo di adesione della Serbia alla Unione Europea. Ma perché il governo Berlusconi è diventato filo-serbo? Quali sono i reali interessi del nostro paese in Serbia? Ai posteri l’ardua sentenza.

Sitografia:

Accordo Fiat-Pomigliano, pareri opposti

La vicenda dell’accordo sindacato-Fiat per l’investimento produttivo nello stabilimento di Pomigliano lascia interdetti. Da una parte le ovvie ragioni di una azienda che si accinge, dopo anni di smantellamento, di delocalizzazioni e di denari pubblici, a dirottare 700 mln di euro su uno stabilimento italiano. Fatto più unico che raro. Dall’altra, la posizione di un sindacato che si è messo di traverso, la Fiom, ultimo baluardo contro la politica dell’eccezione e della deroga.
Chi si chiede se le richieste della Fiat siano fuori dell’ordinario. Le risposte che i giuslavoristi delle varie tradizioni ci possono fornire sono contrastanti.
Fiat chiede:

  1. annullamento degli accordi precedentemente presi;
  2. introduzione orario lavorativo con turnazione a ciclo continuo;
  3. incremento delle ore di straordinario dalle 40 previste dal CCNL a 120, in deroga allo stesso CCNL;
  4. introduzione della franchigia dei tre giorni non pagati in caso di astensione dal lavoro per malattia con tasso di assenteismo anomalo, con verifica della condizione affidata a un comitato interno paritetico sindacati-azienda;
  5. clausola di responsabilità, tale per cui ogni attività sindacale – collettiva o individuale – volta a rendere inesegibili le condizioni contrattuali stabilite con questo accordo determinano la immediata risoluzione dell’accordo medesimo.

Secondo Pietro Ichino l’accordo non presenta affatto profili di llegittimità:

  • la franchigia dei tre giorni era prevista dai contratti fino al 1972; quindi fu rimossa, per poi ritornare per alcune tipologia contrattuali (contratti di inserimento e/o formazione) e comunque è comune ormai – purtroppo, aggiungo io – l’introduzione di forme di incentivo per la riduzione delle assenze per malattia sotto forma di “premi di presenza”;
  • nessuna norma legislativa impedisce una deroga al CCNL in tal senso;
  • la clausola di responsabilità è di fatto un patto di tregua sindacale, “che è oggi considerato pacificamente valido e vincolante per il sindacato che lo stipula” (Pietro Ichino); qui però ichino si fa più confuso: “se la proclamazione dello sciopero è illegittima per violazione di un patto di tregua validamente sottoscritto dal sindacato proclamante, debba considerarsi illegittima anche l’adesione del lavoratore a quello sciopero: mi sembra pertanto che anche quest’ultima parte della disposizione proposta debba considerarsi pienamente valida”. Ma una tregua sindacale quanto può durare? Il rinnovo del contratto per la parte salariale avviene con cadenza biennale: è possibile e giusto privare i lavoratori dell’arma dello sciopero anche in questa fase?

Ichino, nella sua dissertazione, cita anche i pareri di Mariucci e Romagnoli sulla clausola di responsabilità:

  • secondo i due, la clausola vincolerebbe soltanto il sindacato stipulante ma non i singoli lavoratori, ovvero la clausola di tregua dovrebbe appartenere alla cosiddetta ‘parte obbligatoria’ del contratto collettivo, “cioè a quella che disciplina i rapporti tra le parti collettive firmatarie del contratto stesso, e non alla cosiddetta ‘parte normativa’, che disciplina i rapporti individuali di lavoro (onde i singoli lavoratori – anche se iscritti al sindacato che ha stipulato la clausola di tregua – sarebbero sempre liberi di aderire a qualsiasi sciopero) – (Pietro Ichino).
  • Ichino contrasta con questa ipotesi, priva del necessario “fondamento testuale nella legge oggi vigente nel nostro Paese” (ibidem).

Diversa la posizione di Tito Boeri, secondo cui l’accordo si occupa di due questioni che normalmente non dovrebbero competere alla contrattazione aziendale:

  • clausola di responsabilità: “il problema non si porrebbe se avessimo una legge sulle rappresentanze che vincola i lavoratori al rispetto degli impegni presi dai loro rappresentanti, liberamente eletti, che rispondono regolarmente del loro operato di fronte ai lavoratori […] se questi rappresentanti non riescono a trovare un accordo tra di loro, saranno i lavoratori a scegliere con gli strumenti della democrazia diretta, mediante un referendum che vincoli poi tutti al rispetto delle volontà della maggioranza”; ergo, è necessario l’intervento del legislatore approvando il ddl Nerozzi in tema di rappresentanza;
  • assenteismo: esiste un problema morale e di infiltrazione criminale, camorristica, che azienda e sindacato dovrebbero insieme combattere;
  • denaro pubblico: eh già, per la ristrutturazione di Pomigliano, Fiat farà ricorso alla Cig (cassa integrazione) per i prossimi due anni; ergo, Pomigliano la pagheremo tutti.

La mia opinione? Il giro di vite di Fiat su Pomigliano è tardivo, perciò colpevole. Perché tollerare per anni l’assenteismo galoppante? Perché non sanare le eventuali infiltrazioni camorristiche denunciate da Tito Boeri? Riportare della produzione in patria è sicuramente un merito. Ma derogare su un diritto costituzionale non è possibile. E’ possibile introdurre strumenti per premiare il merito, ma non è giusto rendere le condizioni lavorative un inferno. Se Fiat non riesce a aver rispetto per i lavoratori di Pomigliano, almeno abbia rispetto per il Lavoro: garantisca i diritti e al contempo faccia rispettare la sua scelta di investire in un paese allo sbando. Poiché alla Politica ora non è possibile chiedere niente.

Il testo completo dell’accordo al link che segue:

  • 8.) Assenteismo
    • Per contrastare forme anomale di assenteismo che si verifichino in occasione di particolari eventi non riconducibili a forme epidemiologiche, quali in via esemplificativa ma non esaustiva, astensioni collettive dal lavoro, manifestazioni esterne, messa in libertà per cause di forza maggiore o per mancanza di forniture, nel caso in cui la percentuale di assenteismo sia significativamente superiore alla media, viene individuata quale modalità efficace la non copertura retributiva a carico dell’azienda dei periodi di malattia correlati al periodo dell’evento. A tale proposito l’Azienda è disponibile a costituire una commissione paritetica, formata da un componente della RSU per ciascuna delle organizzazioni sindacali interessate e da responsabili aziendali, per esaminare i casi di particolare criticità a cui non applicare quanto sopra previsto.
    • Considerato l’elevato livello di assenteismo che si è in passato verificato nello stabilimento in concomitanza con le tornate elettorali politiche, amministrative e referendum, tale da compromettere la normale effettuazione dell’attività produttiva, lo stabilimento potrà essere chiuso per il tempo necessario e la copertura retributiva sarà effettuata con il ricorso a istituti retributivi collettivi (PAR residui e/o ferie) e l’eventuale recupero della produzione sarà effettuato senza oneri aggiuntivi a carico dell’azienda e secondo le modalità definite.
      Il riconoscimento dei riposi/pagamenti, di cui alla normativa vigente in materia elettorale, sarà effettuato, in tale fattispecie, esclusivamente nei confronti dei presidenti, dei segretari e degli scrutatori di seggio regolarmente nominati e dietro presentazione di regolare certificazione. Saranno altresì individuate, a livello di stabilimento, le modalità per un’equilibrata gestione dei permessi retribuiti di legge e/o contratto nell’arco della settimana lavorativa.
    13) Clausola di responsabilità
    • Tutti i punti di questo documento costituiscono un insieme integrato, sicché tutte le sue clausole sono correlate ed inscindibili tra loro, con la conseguenza che il mancato rispetto degli impegni eventualmente assunti dalle Organizzazioni Sindacali e/o dalla RSU ovvero comportamenti idonei a rendere inesigibili le condizioni concordate per la realizzazione del Piano e i conseguenti diritti o l’esercizio dei poteri riconosciuti all’Azienda dal presente accordo, posti in essere dalle Organizzazioni Sindacali e/o dalla RSU, anche a livello di singoli componenti, libera l’Azienda dagli obblighi derivanti dalla eventuale intesa nonché da quelli derivanti dal CCNL Metalmeccanici in materia di:
    • -contributi sindacali
    • -permessi sindacali retribuiti di 24 ore al trimestre per i componenti degli organi direttivi nazionali e provinciali delle Organizzazioni Sindacali ed esonera l’Azienda dal riconoscimento e conseguente applicazione delle condizioni di miglior favore rispetto al CCNL Metalmeccanici contenute negli accordi aziendali in materia di permessi sindacali aggiuntivi oltre le ore previste dalla legge 300/70 per i componenti della RSU -riconoscimento della figura di esperto sindacale e relativi permessi sindacali.
    • Inoltre comportamenti, individuali e/o collettivi, dei lavoratori idonei a violare, in tutto o in parte e in misura significativa, le presenti clausole ovvero a rendere inesigibili i diritti o l’esercizio dei poteri riconosciuti da esso all’Azienda, facendo venir meno l’interesse aziendale alla permanenza dello scambio contrattuale ed inficiando lo spirito che lo anima, producono per l’Azienda gli stessi effetti liberatori di quanto indicato alla precedente parte del presente punto.

Altri link di interesse:

Fiom, l’ultimo baluardo

Possiamo discutere all’infinito sulle condizioni lavorative degli operai di Pomigliano d’Arco, che sinora sono stati dispensati dal ciclo continuo e hanno goduto di un regime particolarmente poco severo in termini di malattia e pausa pranzo. Condizioni privilegiate che ora la Fiat vuole togliere. L’accordo che Marchionne intende far approvare ai lavoratori contiene regole che in altre parti del paese sono la quotidianità. Tutto ciò, viene spiegato, è dovuto a esigenze di competitività. Altrimenti si delocalizza, in Serbia o in Polonia.

Ma la serie di deroghe al contratto nazionale pare alquanto strana. Il contratto nazionale prevede già la turnazione e le quaranta ore di straordinario come richieste da Fiat. Perché derogare? Che necessità altra nasconde questa norma? Soprattutto Fiat chiede di derogare a un diritto non già del lavoratore ma dell’individuo: il diritto di sciopero. La motivazione? C’è chi ne abusa. Si deve garantire il giusto livello di produttività. In che modo? Cancellando un diritto costituzionale. E’ legittimo un accordo del genere? Può un ministro del Welfare avallare una intesa palesemente in contrasto con la legge fondamentale del nostro paese? Non si pone esso stesso, il Ministro, sul medesimo piano di illegalità?

Ecco, allora Fiom fa bene a opporsi. Fiom è ora l’ultimo baluardo della legalità in questo paese. Adesso che persino Fiat vuole sfociare nell’eversione, ora che il governo non ha più maschere e si è palesato come il governo della menzogna e dell’illegalismo diffuso, Fiom ha il diritto-dovere di opporsi. Non già per difendere il privilegio, né l’abuso del diritto, ma per salvaguardare la cornice della legalità contro chi vuole il Far-West del predominio del potere costituito. Se Tremonti parla di ‘Economia Sociale di Mercato’, parla a vanvera. In questo paese il conflitto sociale è anestetizzato. Il sindacato è per due terzi cooptato dal governo. Di che si preoccupano? I rialzi salariali sono stati costantemente sotto il tasso inflattivo per quindici anni. In questi giorni è un fiorire di notizie che parlano di crescita delle buste paga (?). Si è marginalizzato con manodopera precaria e a bassa qualificazione. Il dualismo del mercato del lavoro è ben lungi dall’essere risolto. La crisi viene pagata dai precari. La disoccupazione giovanile è pari al 30%. Perché l’ennesimo attacco al diritto?

R.: qualcuno ipotizza che sia soltanto un pretesto. Nei piani Fiat, Pomigliano è già chiusa, delocalizzata in Polonia. Serviva una testa da servire al tavolo del governo e Fiom, l’ultimo baluardo, è caduta nel cesto.