L’italia peggiore. Ancora ‘ndrine al Nord

Operazione “Maglio” in Piemonte. Il gip: “Il consigliere comunale Giuseppe Caridi è un pericolo per la democrazia”, Newz.it

‘Ndrangheta, Caselli: “Caridi vero affiliato” Videopiemonte – 5 ore fa

‘Ndrangheta: arrestato il consigliere comunale di Alessandria Caridi, Radiogold (Comunicati Stampa) – 10 ore fa

Blitz contro la ‘ndrangheta in Piemonte, arrestato esponente Pdl‎ – TM News
‘Ndrangheta a Alessandria: arrestato un consigliere comunale del Pdl‎ – La Repubblica
‘Ndrangheta: Pd Piemonte, Pdl prenda posizione netta‎ – La Repubblica Torino.it

Sebbene fosse affiliato come semplice picciotto, il gip del Tribunale di Torino, Giuseppe Salerno, che ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare per Caridi e altre 18 persone, ha detto che Caridi, il consigliere comunale di Alessandria, iscritto al PdL, è “un vero pericolo per la democrazia”. La mafia è dentro al partito con cui sono alleati da quindici anni e di cui non possono fare a meno. Ergo, la Lega è alleata con la mafia.

Le ‘ndrine sono al Nord. Lo ha detto anche Bossi, a Pontida, con smacco per il ministro dell’Interno Maroni: la mafia è in Brianza, al Nord. Siamo pieni di mafia. Lui, Maroni, sedicente presidente del consiglio in pectore, invece si vanta dei passi in avanti nella politica di repressione. Progressi che vede solo lui.

Libero: uscire dall’Europa, istruzioni (deliranti) per l’uso

Esilarante prima pagina di Libero, questa mattina: il titolone a otto colonne, L’Europa vada all’Inferno, come una iettatura, una maledizione, un malocchio, un ‘vaffa’ non sanzionabile con le tre giornate di squalifica che invece si danno ai calciatori, regge un sottotitolo ancor più interessante, poiché segna il passaggio dalla pura imprecazione alla razionalizzazione di una scelta tecnica, la fuoriuscita dall’ordinamento europeo, tanto credibile e fattibile come è credibile e fattibile l’insieme degli atti che il governo dovrebbero compiere per dire addio agli ingrati di Bruxelles, fra cui il dimezzamento del debito pubblico. Il dimezzamento. Altro che manovre draconiane, altro che riduzione tasse. Sono pazzi questi berlusconiani?

A Rosarno i veri liberi sono i ribelli. Decadenza calabra e nuovi ghetti.

Già: il degrado. Tutta colpa del degrado. Del permissivismo. Certo. A chiudere entrambi gli occhi potremmo anche esser d’accordo. Loro, i rivoltosi, immigrati senza permesso, quindi più delinquenti di quelli che li sfruttano, secondo una logica perversa e autolesionista. Loro, gli unici capaci di (re)agire in una regione, la Calabria, sottomessa al dominio di un’organizzazione criminale. Loro, i neri, loro sono i veri cittadini liberi della Calabria. Poiché alzano la testa dagli agrumeti, dagli slums di cartapesta in cui vengono relegati senza alcuna dignità, e reagiscono con la violenza alla violenza che subiscono.
Cosa riproverare loro? Di aver provocato i disordini? Di aver ferito i passanti in auto? Di aver messo a ferro e fuoco una cittadina? Di aver raccolto agrumi a qualche euro all’ora?

    • «Qui è un macello, un macello», dicono i poliziotti da Rosarno che va a fuoco mentre a Reggio Calabria, 70 chilometri più a Sud, va in scena la parata dello Stato che fa lo Stato con centoventi agenti e sei magistrati in più contro la ‘ndrangheta.
    • Una città italiana brucia, i calabresi sparano agli immigrati e ne feriscono alcuni, gli extracomunitari mettono a ferro e fuoco il paese, danno l’assalto alle auto con donne e bambini, feriscono gli italiani
    • quando fa buio ancora proseguono saccheggi, devastazioni, incendi di auto, infissi sventrati, con nove italiani e sei stranieri feriti, la gente terrorizzata e in fuga che incita gli agenti contro gli stranieri: «Sparategli addosso!», le donne in lacrime, «una cosa mai vista anche se qui di rivolte di immigrate ne vediamo spesso».
    • cinquemila immigrati di 23 diverse nazionalità su una popolazione di 16 mila abitanti, la terza zona d’Italia per densità di stranieri dopo Napoli e Foggia
    • Arrivano per lavorare la terra, per lo più raccogliere gli agrumi della piana di Gioia Tauro. Si stabiliscono in inverno, sono stagionali, poi si sposteranno a nord, direzione Puglia e Campania, per la raccolta dei pomodori
    • vivono in condizioni disumane, accampati nelle fabbriche dismesse o mai completate (qui non mancano entrambe), buttati per terra senza nemmeno un materasso, con un bagno chimico fatiscente per duecento persone, assistiti solo da Libera, Caritas, Medici senza frontiere

Rosarno, Calabria, è la periferia del mondo. Poiché laggiù, nel baratro del sottosviluppo culturale, là è caduta, la Calabria, l’Italia. Chi impugna il fucile per intimidire l’immigrato in rivolta, è colui che smaschera il fallimento della statualità in Calabria. Lo Stato fallisce laddove non c’è né legalità, né diritto. Quel posto è la Calabria. I cittadini di Rosarno dovrebbero camminare fianco a fianco ai ribelli. Non sparargli. E persino l’agente di polizia, il carabiniere, dovrebbe pretendere che lo Stato porti legalità e diritto in Calabria. Sfruttamento della manodopera illegale non è legalità, non è diritto, ma la sua morte. ‘Ndrangheta e nuova massoneria, collateralità della classe politica, disfacimento del sistema sanitario, disfacimento del capitale sociale, truffe alla Comunità Europea, deficit di trasparenza e democrazia, ingiustizia, omicidi ancora impuniti (Fortugno), trasferimento coatto di magistrati che fanno il loro dovere (De Magistris), la sensazione che sia una malattia inguaribile, disfattismo, nessun ricambio della classe politica, sistema politico perfettamente impermeabile alle domande della società ma in osmosi con la classe delinquenziale organizzata, omertà, inquinamento, distruzione del patrimonio naturale, razzismo, sfruttamento, ghettizzazione: da dove cominciare per sanare tutto questo?
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Per Schifani Facebook è pericoloso. La politica italiana travolta dal web.

Creative Commons a Capitale Digitale, domani 17 dicembre, Roma

Anziché sforzarsi di prendere le misure con un mezzo a loro alieno, i politici italiani (salvo rari casi che si contano sulle dita di una mano, ovvero Ignazio Marino, Nicola Zingaretti, Maria Antonietta Farina Coscioni) passano il loro tempo a condannare l’uso dei social network e del web in generale, mettendo al mondo altri indimenticabili ecreti legge – o disegni di legge, vedremo – volti soprattutto a vietare. C’era una volta – e c’è tuttora -il decreto Pisanu, che vietata l’uso delle reti wi-fi pubbliche senza preventiva identificazione degli utenti (decreto che deve essere convertito entro la fine dell’anno, altrimenti decade), ideato brillantemente dai tecnici del ministero dell’Interno in funzione antiterrorismo – si era in epoca post Torri Gemelle. Poi vi furono , in ordine di tempo, l’emendamento a firma di Gianpiero D’alia all’Art. 50-bis, poi art. 60) del disegno di legge 733 (c.d. “Decreto Sicurezza”), nel quale si sancisce la “Repressione di attività di apologia o istigazione a delinquere compiuta a mezzo internet” a mezzo di oscuramento – emendamento poi abrogato; seguì l’opera della Sorella Carlucci, un disegno di legge a carattere censorio che doveva prevenire la pedofilia via internet; infine, non deve essere dimenticato il cosiddetto Ddl Intercettazioni, opera del ministro della Giustizia Alfano, con il quale si vuole introdurre una norma che equipara i blog a testate giornalistiche e introduce nel nostro Ordinamento l’obbligo di rettifica entro 48 ore a pena di una sazione pecuniaria tra i 15 ed i 25 milioni di vecchie lire per tutti i titolari di “siti informatici”. Tutto ciò si affianca a una politica velatamente sostenitrice delle istanze delle Major produttrici di contenuti (è notizia di questi giorni che i contenuti di proprietà di Mediaset non saranno più postati su Youtube: la casa di proprietà del (finto) premier ha vinto la causa civile in piedi dal 2008 contro Google, fonte http://www.techup.it/news/mediaset_no_gf_su_youtube-02986).
Per il Governo, Internet è da reprimere. Peccato che – per usare le parole illuminanti di Joi Ito, CEO di Creative Commons, domani relatore a Roma di “Capitale Digitale” – “Internet sarà qui per sempre” e “le società libere crescono, quelle controllate no”. Poche parole, ma chiare.
Intanto, Nicola Zingaretti, presidente della Provincia di Roma, fra i più in luce nella lotta contro il digital divide e l’analfabetismo informatico, debutta su Twitter: con la presenza su Twitter (http://twitter.com/provinciarm), la Provincia di Roma ed il suo presidente Nicola Zingaretti, in prima linea a sostegno della diffusione della banda larga e del WiFi libero, intendono confermare una forte attenzione alle nuove tecnologie e agli strumenti che rendono più semplice e diretta la comunicazione in tutta la rete web, dai social network ai blog agli aggregatori di news. Lo sforzo di zingaretti è senz’altro encomiabile, sebbene isolato. Finora è l’unica voce propositiva che si leva in una ridda di condanne.

    • Facebook è più pericoloso dei gruppi degli anni ’70. Il Presidente del Senato, Renato Schifani, non ha dubbi sul contenuto di alcuni messaggi che si leggono sul network americano. «Si leggono dei veri e propri inni all’istigazione alla violenza. Negli anni ’70, che pure furono pericolosi, non c’erano questi momenti aggregativi che ci sono su questi siti. Così si rischia di autoalimentare l’odio che alligna in alcune frange».
    • «Una cosa è certa – sottolinea – qualcosa va fatto perchè non si può accettare che si pubblichino istigazioni all’odio violento»
    • il ministro dell’Interno ha presentato oggi al Consiglio dei ministri l’annunciato testo del disegno di legge che prevede sanzioni contro chi crea turbative violente durante le manifestazione e diffonde contenuti violenti su Internet. Lo ha confermato il ministro Altero Matteoli, nel corso della conferenza stampa. «Il testo – ha aggiunto – è oggetto di valutazioni approfondite», e «salvo alcuni aggiustamenti» nel cdm «c’è l’accordo di tutti – ha proseguito Matteoli – nel presentare un provvedimento»
    • «bisogna conciliare, in un Paese democratico, la possibilità di manifestare senza che questa libertà venga disturbata gravemente»
    • Parte in questi giorni, a Roma, la quarta edizione di Capitale Digitale, un ciclo di incontri promossi da Telecom Italia, Fondazione Romaeuropa, Comune di Roma e la celebre testata Wired. Il convegno annuale cerca di fare il punto sugli aspetti della cultura digitale insieme a esponenti di livello internazionale provenienti da settori ed esperienze differenti
    • il protagonista sarà Joi Ito, CEO di Creative Commons, la principale organizzazione non profit dedicata all’espansione della portata delle opere di creatività offerte alla condivisione e all’utilizzo pubblici, che ha come obiettivo quello di riformulare non solo le leggi, ma il concetto stesso di copyright nell’era digitale; si parlerà quindi di temi attuali come Open Internet e Copyright.
    • Poiché proprio in questi giorni in Italia, il paese che lo ospiterà per la conferenza, si sta nuovamente parlando di assurdità strumentali come il controllo di Internet, a seguito dei fatti gravi avvenuti nei giorni scorsi, Ito si è così pronunciato in merito: “La mia opinione è che una società per crescere deve usare lo stesso sistema che si usa per curare il proprio corpo. Un corpo solido lo si costruisce quando ti esponi, quando accetti di superare dei limiti, quando ti poni in maniera aperta davanti alle sfide e le intemperie. Internet ha molte difficoltà, non è diventato forte con il controllo ma con l’apertura, l’esposizione alle “intemperie” e il superamento dei limiti. Internet non andrà via, la tecnologia dell’informazione sarà qui per sempre, e la società crescere ha bisogno di essere aperta non di essere limitata, le società libere crescono, quelle controllate no”.

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Censurare Internet, il Governo prepara il decreto.

Così i fan di Tartaglia su Facebook hanno innescato la reazione governativa che testé ha rispolverato una serie di misure che il Ministro dell’Interno teneva nel cassetto, misure inapplicabili, pena la limitazione della libertà d’espressione, ovvero della libertà di internet.
Ecco cosa studia Maroni:
– attribuzione al Gip e non al Pm del compito di avviare la procedura giudiziaria;
– sanzioni pecuniarie;
– filtri alla libera navigazione.
Ora, quali diritti viola l’attribuzione al Gip di questa competenza? Il diritto alla difesa è garantito? Le sanzioni pecuniarie saranno applicate come provvedimento amministrativo, quindi a prescindere dal giudizio di un Tribunale, oppure verrà garantito il diritto a un giusto processo? Iil decreto rispetterà il quadro normativo definito recentemente dal Parlamento Europeo attraverso il Pacchetto Telecom e il famigerato Emendamento 138? I filtri sono sostanzialmente censura. Vietano all’utente, al netizen, di frequentare liberamente il web, ovvero di scegliere i siti e i contenuti che più preferisce.
L’articolo di Michele Ainis pubblicato su La Stampa.it pone in luce alcuni aspetti significativi che meritano di essere sistematizzati qui di seguito:

  • tre fattori per parlare di libertà d’espressione che minaccia la libertà e la dignità personale

– posizione del parlante;
– il mezzo che si usa per parlare;
– dipende da cosa dico;

  • due condizioni:

– sussistenza di una specifica intenzione delittuosa;
– pericolo immediato.

Le domande da porsi a questo punto sono le seguenti: 1) la posizione dei fan all’interno dei gruppi su Facebook che inneggiano a Tartaglia, quale è? Quella di semplici individui che chiacchierano come se fossero al bar, oppure di persone che rivestono una determinata responsabilità? 2) Il mezzo scelto, ovvero Facebook, ha davvero attendibilità? Una minaccia al (finto) premier scritta su Facebbok ha lo stesso valore di una lettera minatoria o di una informativa del servizio segreto che annuncia attentati contro di lui? 3) la minaccia può davvero essere raccolta e trasformata in azione? 4) Esiste cioè l’intenzione concreta di procurare un danno? E il pericolo è imminente?
Naturalmente la risposta è implicita nella superficialità di un mezzo come Facebook. I rapporti che si formano nel social network non è detto siano rapporti di amicizia effettivamente praticati. L’amicizia su Facebook può significare semplice affinità. Magari pure di migliaia di persone che mai si sono viste in faccia, e mai si vedranno. E pure ciò che si dice può non avere il valore di una espressione seria ed essere puramente occasionale, priva di profondità e di ragionamento; in una parola, futile. Questo dovrebbero cercare di considerare, i titolari dell’esecutivo. Dovrebbero dare il giusto peso alle parole, e verificare quando esse preludono all’azione. Sul web, la parola è quasi sempre scissa dall’azione. E la condanna solo sulla base di una parola, è una condanna preventiva che ricorda i peggiori regimi politici.

    • Giovedì il Consiglio dei ministri esaminerà nuove, più rigide norme sulle manifestazioni e su internet. Lo ha annunciato il ministro degli Interni Roberto Maroni, parlando di "misure più adeguate e urgenti" per cui è ipotizzabile che il governo agisca per decreto

    • Tra i provvedimenti in esame, a quanto è dato di sapere, ci sarebbero: l’attribuzione al Gip del compito di adottare provvedimenti cautelari quando si ravvisi l’urgenza di un intervento, sanzioni pecuniarie per chi commette in rete istigazione a delinquere e apologia di reato e persino il tentativo di rendere più difficoltosa la navigazione sul web verso quei siti che istigano alla violenza o fanno apologia di reato, attraverso una serie di filtri

    • sarebbero state messe sul tavolo tutte le difficoltà di un intervento che andrebbe ad incidere, come ha ammesso lo stesso ministro, sulla libertà personale e sulla privacy dei cittadini, arrivando dunque alla conclusione che l’unica possibilità concreta è quella di cercare di rendere più difficoltosa la navigazione verso certi siti

    • dove i "filtri" già esistono (come in Cina, in Iran negli Emirati Arabi Uniti) la navigazione verso quei siti diventa impossibile. Nel caso di Facebook, ad esempio, per rendere irraggiungibile una singola pagina, si finirebbe per mettere off limits l’intero network

    • ruolo del Gip, il suo intervento sarebbe ipotizzato nei casi in cui c’è la necessità di evitare che sul web si compiano attività di istigazione a delinquere e apologia di reato. L’informativa degli investigatori che monitorano costantemente la rete non arriverebbe più ai pm ma direttamente ad un giudice che, con un provvedimento motivato, ordinerebbe agli amministratori la chiusura del blog, del sito o del gruppo

    • Lo squilibrato che ha ferito Berlusconi raccoglie 50 mila fan tra i navigatori della Rete. Significa che la Rete è a sua volta squilibrata? Significa che ha urgente bisogno di una camicia di forza, o almeno d’una museruola? Calma e gesso, per favore. E per favore smettiamola d’invocare giri di vite e di manette sull’onda dell’ultimo episodio che la cronaca ci rovescia addosso.

    • come ha scritto il giudice Holmes nella sua più celebre sentenza, vecchia ormai di un secolo – la tutela più rigorosa della libertà d’espressione non proteggerebbe un uomo che gridasse senza motivo «al fuoco» in un teatro affollato, scatenando il panico. Insomma, dipende

    • dipende dall’intreccio di tre fattori differenti

    • In primo luogo, gioca la posizione del parlante. Altro è se racconto le mie ubbie agli amici raccolti attorno al tavolo di un bar, altro è se le declamo a lezione, soffiandole all’orecchio di fanciulli in soggezione davanti alla mia cattedra

    • nei manuali di diritto si distingue tra «manifestazione» ed «esternazione» del pensiero. La prima è una libertà, riconosciuta a ogni cittadino; la seconda è un potere, vale per i cittadini investiti di pubbliche funzioni, e ovviamente copre uno spazio ben più circoscritto. Ma non c’è potere in Internet. C’è solo libertà

    • In secondo luogo, dipende dal mezzo che uso per parlare. Il medesimo aggettivo si carica d’assonanze ora più forti ora più fioche se lo leggo su un giornale che ho scelto d’acquistare, oppure se mi rimbalza dentro casa quando accendo la tv. Ma è un’edicola la Rete? No, e non ha nemmeno l’autorità dei telegiornali. È piuttosto una piazza, sia pure virtuale. Un luogo in cui si chiacchiera, senza sapere bene con chi stiamo chiacchierando

    • Le chiacchiere, poi, hanno sempre un che d’aereo, di leggero

    • sono sempre parole in libertà. Meglio: sono lo specchio dei nostri umori, dei nostri malumori. Sbaglieremmo a infrangere lo specchio

    • E in terzo luogo, certo: dipende da che cosa dico. Se metto in palio mille dollari per chi procurerà lo scalpo di Michele Ainis, probabilmente offendo la legge sulla tutela degli scalpi, e in ogni caso lui avrebbe qualcosa da obiettare. Ecco infatti la soglia tra il lecito e l’illecito: quando la parola si fa azione, quando l’idea diventa evento

    • a due condizioni, messe nero su bianco da decenni nella giurisprudenza americana: che vi sia una specifica intenzione delittuosa; che sussista un pericolo immediato

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Le parole di Fini, un altro Duomo in bocca a Berlusconi. Il cortocircuito della maggioranza. Cicchitto contro Travaglio e Maroni contro internet.

Ferri corti. Nonostante la degenza di Berlusconi in ospedale, Fini non rinuncia al suo ruolo di opposizione interna al governo e critica duramente la decisione dell’esecutivo di mantenere la fiducia sulla legge finanziaria. Le parole del Presidente della Camera producono immediatamente malumori e piccoli litigi: Roberto Cota della Lega rinuncia a parlare, Italo Bocchino ha un diverbio con Cicchitto, ovvero con il suo capogruppo.
Il tutto è stato preceduto dall’informativa del Governo sulla vicenda dell’aggressione. L’intervento dello stesso Cicchitto ha risuonato nell’aula per le durissime accuse contro quella che definisce campagna d’odio condotta dal network Repubblica-L’Espresso, il Fatto, Santoro e Di Pietro, e da terroristi mediatici come Travaglio. Questo, secondo l’analisi di Cicchitto, avrebbe "armato" la mano di un folle.
In sostanza, i falchi fedelissimi di Berlusconi tuonano in parlamento l’ira del (finto) premier. Mettere a fuoco l’assemblea, l’obiettivo. Alfano dice, in un’intervista, che le colpe del clima di violenza verbale fra maggioranza e opposizione non sono equamente divise. Loro avrebbero soltanto difeso il (finto) premier. Di fatto oggi non si sono risparmiati nell’uso della vicenda a proprio vantaggio politico. Hanno, di fatto, capitalizzato il gesto del Tartaglia. I media, giornali e tv, sono un coro pro Berlusconi. Ispirano il pietismo della gente. In poche parole, creano consenso. E trasformano un danno fisico in una bomba mediatica. Se non fosse che è capitato per mano di Uno Qualunque, si direbbe che è una regia perfetta.

FABRIZIO CICCHITTO. Signor Presidente, invio al Presidente Berlusconi il saluto e l’augurio a nome del gruppo parlamentare del Popolo della Libertà e di milioni di nostri iscritti ed elettori (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà, Lega Nord Padania e Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud).
Quello che è avvenuto – l’aggressione a Berlusconi, la contestazione organizzata e aggressiva di ben due manifestazioni a Milano, le migliaia di solidarietà a Tartaglia su Facebook – è il segno che stanno penetrando nel profondo di settori, fortunatamente assai minoritari, della nostra società i veleni prodotti dalla campagna di odio iniziata fin dal 1994 (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania).
In questa campagna di odio non è vero che siamo tutti uguali, perché essa è da sempre concentrata contro una sola persona, contro Silvio Berlusconi. Essa si è avvalsa nel corso degli anni dei materiali più diversi; ultimamente essa è ripartita dai gossip, ma poi si è concentrata su due accuse infamanti e terribili: la mafiosità e la responsabilità delle stragi del 1992-1994.
A condurre questa campagna è il network composto dal gruppo editoriale Repubblica-Espresso, da quel mattinale delle procure che è Il Fatto Quotidiano, da una trasmissione televisiva condotta da Santoro e da un terrorista mediatico di nome Travaglio (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania), da alcuni pubblici ministeri che hanno nelle mani alcuni processi tra i più delicati sul terreno del rapporto tra mafia e politica e che nel contempo vanno nei più vari talk show televisivi a demonizzare Berlusconi….

FURIO COLOMBO. Questi sono i toni bassi (Commenti dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania)!

FABRIZIO CICCHITTO. …e da un partito, l’Italia dei Valori, il cui leader Di Pietro sta in questi giorni evocando la violenza, quasi voglia tramutare lo scontro politico durissimo in atto in guerra civile fredda, e poi questa in qualcosa di più drammatico (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania).
È condotta anche, onorevole Bersani, da qualche settore giustizialista del suo partito. Come se ne esce? A nostro avviso non con esercitazioni puramente verbali, destinate a lasciare il tempo che trovano, ma andando al cuore del problema: disinnescando, cioè, con leggi funzionali all’obiettivo l’uso politico della giustizia, che è il cancro che ha distrutto la prima Repubblica e che sta corrodendo anche la seconda (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà, Lega Nord Padania e Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud).
Se si prende il toro per le corna – lo dico rispondendo in termini politici all’appello del Presidente della Repubblica – si può iniziare un cammino virtuoso, procedendo ad una grande riforma istituzionale, ad una grande riforma della giustizia, ad un’incisiva riforma dei regolamenti parlamentari e all’istituzione del federalismo fiscale.

Aggiungo per chiarezza che non possono essere messe sullo stesso piano, neanche dalle nostre autorità istituzionali, due problematiche assai diverse: quella di chi, magari con un linguaggio non diplomatico, ha invocato una riforma costituzionale, compresa quella della Corte costituzionale, recuperando le obiezioni fatte a suo tempo da Palmiro Togliatti e da Calamandrei, e quella di quei pubblici ministeri che hanno fatto trattenere il fiato al Paese e alla comunità internazionale in attesa che gli oracoli di nuovo conio, gli Spatuzza e i fratelli Graviano, pronunciassero i loro verdetti, anzi, le loro atipiche sentenze (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà, Lega Nord Padania e Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud)! Si è verificato a questo proposito, onorevole Presidente, un’ulteriore asimmetria, perché mentre quell’invocazione ad una grande riforma è stata duramente contestata, gli attacchi di tutti i tipi rivolti ad una carica dello Stato eletta dalla maggioranza del popolo non hanno avuto finora una chiara e netta risposta.

Questo è lo stato della questione, detto con senso di responsabilità, ma anche con la dovuta fermezza da parte di un gruppo che vede il suo leader in ospedale, colpito da uno squilibrato, la cui mano è stata armata da una spietata campagna di odio, il cui obiettivo è il rovesciamento di un legittimo risultato elettorale (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania).

FURIO COLOMBO. Non puoi armare la mano di uno squilibrato!

FABRIZIO CICCHITTO. I termini della questione sono chiarissimi e con chiarezza li abbiamo esposti. A questo punto, ognuno deve assumersi le sue responsabilità. Ci auguriamo che l’aggressione e il ferimento subiti da Silvio Berlusconi possano servire a qualcosa di positivo e che dal male possa venire il bene (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà, Lega Nord Padania e Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud – Congratulazioni).

Maroni annuncia la censura su Internet:


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Fra bombe atomiche inesplose e arresti a orologeria. Tranquilli, è fiction.

Lo sceneggiatore si è dato da fare: ha creato il pathos su una deposizione di un pentito in realtà solo co-protagonista di uno scenario in cui l’attore principale entrerà in scena, come si usa nei copioni di mafia, solo l’undici di dicembre – dichiarazioni dei fratelli Graviano al processo d’appello di Dell’Utri – di cui nessuno finora conosce la portata delle dichiarazioni, né le ragioni profonde che lo spingono a farle – mettere sotto scacco Mr b? avere indietro i soldi da Mr b?
Ha poi messo in mano al ministro dell’Interno due carte, il sapiente sceneggiatore, tenute nel cassetto per mesi, due boss, uno emergente, pericoloso e criminale, l’altro un boss sulla via del tramonto, ma dal nome altisonante. Sono Giovanni Nicchi, capomandamento di Pagliarelli, e Gaetano Fidanzati, uomo d’onore dai tempi di Buscetta, superlatitante, magari non più dentro alle trame e ai traffici di droga ma pur sempre un bel nome da sbattere in prima pagina. Eccolo confezionato, il colpo di scena. Il governo che "più ha fatto contro la mafia" vede il proprio (finto) premier accusato da un pentito che non è un infame, un delatore, e proprio nelle stesse ore il colpo della Polizia ne ingabbia altri due. E’ chiaro, il governo è minacciato dalla mafia, è un attacco che i malavitosi stanno conducendo da mesi, dai tempi dello scandalo D’Addario, ma certo, e ora ci provano con la complicità dei pm rossi e della Sinistra e dei poteri forti. Vedete che è necessaria la legge sul processo breve. Lui, Mr b, è sotto minaccia perché sta riducendo la mafia a un manipolo di sgherri. Lo ha detto il Tg1, stasera, che c’è la crisi delle cosche. Picciotti in declino, a quanto dicono.
Il copione è finito. Protagonisti Raoul Bova, Ricki Memphis, Michele Placido nei panni del boss. A Gennaio su questi teleschermi.

    • Quando la rappresentazione ha inizio, comincia anche l’attesa per il colpo di scena annunciato come «una bomba». Una bomba da disinnescare in ogni modo, tanto che il sen. Dell’Utri promette addirittura un proprio intervento diretto, dichiarazioni spontanee, nell’intento di rintuzzare Spatuzza e togliergli anche un pezzo di visibilità. Ma non risulterà necessaria, la contromossa di Dell’Utri. Non che Spatuzza si sia tirato indietro, questo no.

    • È accaduto, però, che quel nome – pronunciato anche con l’enfasi sottolineata del «signor Berlusconi» – si è quasi diluito nella genericità della trama raccontata dal pentito. Per questo, forse, uno dei legali della difesa ha avuto gioco facile nel declassare a «petardo» la deposizione di Spatuzza.

    • Dei suoi ricordi, però, oggi resta un solo punto fermo: il colloquio intrattenuto al Bar Doney, a Roma, con Giuseppe Graviano che sollecita l’ennesima strage, quella (fallita, per fortuna) dello stadio Olimpico «da fare a qualunque costo, così chi si deve muovere possa darsi una smossa»

    • «la smossa» doveva essere in direzione delle «necessità» di Cosa nostra. A muoversi dovevano essere «Berlusconi, quello del Canale 5 e il nostro paesano Dell’Utri»

    • Spatuzza non è stato molto aiutato, nello sforzo di offrire un racconto organico: troppe interruzioni, anche da un pubblico ministero esageratamente sensibile alla cura del particolare non sempre decisivo.

    • Uno come Spatuzza può raccontare nei particolari ogni fase della preparazione di un attentato, di un omicidio, ma può incontrare difficoltà nel riferire argomenti più complicati o spiegare credibilmente – come faceva Tommaso Buscetta – gli ingranaggi del pensare mafioso.

    • «Asparino», sembra aver voluto concedersi anche il ruolo di «portatore di altro», come quando si attarda a descrivere il suo «rapporto particolare» coi Graviano

    • anche i Graviano, per la verità, non sembrano nutrire sentimenti ostili contro Spatuzza. Certo non fino a far da riscontro alle sue rivelazioni, ma senza mai additarlo come bugiardo e infame

    • Proprio questo incomprensibile legame, più forte delle stesse leggi della mafia, continua ad offrire spunti di dubbi sulla natura del pentimento di Spatuzza. Se il pentito non è rinnegato dalla proprio «famiglia», vuol dire che può parlare tranquillamente, anche in nome del capofamiglia?

    • troverebbe conferma la suggestione che vuole i Graviano impegnati in una sorta di braccio di ferro col governo «inadempiente» rispetto alle aspettative di Cosa nostra

    • La Polizia ha arrestato a Palermo il superlatitante Giovanni Nicchi. Il capomafia è stato catturato in un appartamento in via dalla sezione Catturandi della Squadra Mobile. Il latitante, 28 anni, si trovava in una palazzina di tre piani in via Filippo Juvara 25

    • Il covo di Gianni Nicchi era a poche centinaia di metri dal palazzo di Giustizia di Palermo

    • Il giovane mafioso è considerato il pupillo del capomafia Nino Rotolo. Nato il 16 febbraio 1981 a Torino, Nicchi, era ricercato dal 2006 per associazione di tipo mafioso, estorsione ed altro

    • L’uomo é nell’elenco dei 30 latitanti di massima pericolosità

    • Nicchi é considerato uno degli elementi di spicco di cosa Nostra. È stato messo a capo del mandamento di Pagliarelli, su indicazione di Antonino Rotolo. Avrebbe avuto un background come killer di mafia e gestore del traffico di cocaina dall’America. Fuori da Palermo, si hanno notizie di suoi avvistamenti a Milano, città dove avrebbe interessi e appoggi, ma é praticamente scomparso dal maggio 2006

    • Nicchi farebbe parte dell’ala corleonese di Cosa Nostra incline ai metodi più efferati, e avrebbe subito l’ostilità di Salvatore Lo Piccolo che, dopo l’arresto di Bernardo Provenzano, era considerato tra i più influenti elementi di cosa nostra assieme a Matteo Messina Denaro e Domenico Mimmo Raccuglia

    • Un altro duro colpo a Cosa Nostra è stato messo a segno a Milano. Si tratta dell’arresto di Gaetano Fidanzati, uno dei boss mafiosi appartenenti alla lista dei 30 ricercati per mafia più pericolosi

    • Gaetano Fidanzati è uno dei capimafia storici palermitani. Per avere un’idea della sua posizione all’interno dell’organizzazione basta ricordare che nel ’70 un’auto venne fermata casualmente ad un posto di blocco. Dentro, con documenti falsi, c’erano, oltre a lui, Tommaso Buscetta, Salvatore Greco, Giuseppe Calderone, Gaetano Badalamenti e Gerlando Alberti, padrini che avevano e avrebbero fatto parlare a lungo di loro. Fidanzati è entrato a pieno titolo nel gotha dei trafficanti di droga mafiosi.

    • Fidanzati è ritenuto dagli investigatori uno dei più importanti boss del narcotraffico

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In Italia esiste la pena di morte. Sono i respingimenti.

Chi commette il reato di clandestinità, non ha fatto nulla, ma è colpevole per il solo fatto di essere, di esistere in un luogo dove la sua presenza non è possibile. La politica dei respingimenti viene applicata a questi non-individui, in quanto in-esistenti, non esseri umani ma cose, che vengono deportate in Libia e lì consegnate al sistema carcerario che provvede al loro smaltimento. L’organizzazione che se ne occupa è di tipo burocratico-industriale: numera, schematizza, procede per processi standardizzati, soltanto che l’output richiesto è una sorta di igienizzazione etnica.

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    • Un laccetto di cuoio bagnato, stretto al collo del prigioniero, incatenato e abbandonato al sole per un giorno. Il sole asciugherà gradatamente il laccetto di cuoio, portando al soffocamento.
    • Dipende dall’ora in cui si ricordano di liberarti, dipende dai tentativi folli di liberarti da solo se la sera ti raccolgono vivo per ributtarti nella cella senz’aria e senza luce, tre metri per tre, dodici o quindici persone o se buttano un altro corpo di clandestino consegnato alla Libia nella fossa comune, nel deserto intorno al centro di detenzione infinita di Cufra.
    • Un bastone dietro le gambe, all’altezza delle ginocchia. Ti forzano a tenerlo con le mani legate, restando però piegato, ma in piedi. Finché resisti. Poi cadi come capita: di faccia, di schiena, di fianco e resti abbandonato sotto il sole – vivo o morto – fino alla notte.
    • È il racconto reso di fronte alle telecamere di Rai3 da prigionieri sopravvissuti al tormento libico, quasi sempre con la corruzione o la fuga. Lo ha visto tutta l’Italia la sera del 6 settembre, nella trasmissione-denuncia “Respinti” di Riccardo Iacona.
    • I prigionieri di questa terribile storia sono i “respinti in mare” da militari italiani
    • il trattato di amicizia e integrazione militare tra Italia e Libia nel giugno del 2009. E’ il trattato in base al quale l’Italia paga la Libia per affondare i barconi dei disperati, per proibire ai pescatori italiani di aiutarli (pena l’accusa di essere mercanti di schiavi) per ordinare a Marina Militare Italiana e a Guardia di Finanza di “soccorrere” i naufraghi – bambini e donne incinte comprese – per riportarli in Libia.
    • In Libia li aspettano, per un tempo infinito e senza che alcuna autorità internazionale intervenga, le carceri di Gheddafi, la tortura, la morte. Il tutto votato dal Parlamento Italiano ed eseguito dal ministro dell’Interno Maroni.
    • Questa spaventosa serie di eventi è un investimento. Accumula, attorno all’Italia e contro ciascuno di noi, un vasto giacimento di odio. Infatti provoca disperazione, dolore, insopportabili (benché rare, tenute nascoste) immagini di esseri umani, che si aggrappano inutilmente alle mani di un soldato italiano invocando pietà, supplicando di non essere spinti a terra, in Libia.
    • Immagini di bambini e di donne incinte che – in base ad ogni legge non si possono respingere – consegnati agli sgherri di Gheddafi
    • tutto ciò avviene sotto la bandiera italiana di una nave che aveva finto il soccorso
    • nella “soluzione finale” dell’immigrazione secondo i leghisti, secondo i libici, le carceri sono contenitori stipati e bui, in un caldo infernale e quasi senza cibo, e la detenzione infinita è segnata dalla tortura, lo sventolare nell’aria fresca del Mediterraneo di un tricolore resta l’ultima immagine, la morte della speranza
    • L’odio che l’Italia sta seminando tra chi sopravvive nel mondo povero sarà immenso.

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