La proposta Monti è un asso nella manica che il giocatore di poker esperto sa di dover giocare per ultimo, solo quando ha capito che sta per perdere la partita. Impiegare i fondi dell’ESFS per rastrellare titoli di Stato sui mercati secondari e riprendere l’azione di alleggerimento che la BCE operava nei giorni della Tempesta di Novembre, senza per questo imporre alcuna politica restrittiva sulla spesa ai governi “alleggeriti”, è la mossa che nessuno si aspettava ma che Monti sa bene essere già l’estrema ratio per il nostro paese.
Ieri a sorpresa anche il Financial Times, in home page, propagandava questa soluzione. Usare il MES per comprare titoli di stato. Fare con il meccanismo salva-stati quel che la FED fa normalmente (il cosiddetto quantitative easing, di seguito QE) e che alla BCE è vietato dai Trattati. E’ subito apparso chiaro che alla base ci sono differenze di lettura: Monti non vorrebbe assoggettare il governo alla Troika (BCE, Commissione, FMI) ; il Financial Times non si pone il problema, volto com’è a considerare solo la fase dell’emergenza che probabilmente si presenterà dinanzi al nostro paese prima dell’autunno; Merkel si è dichiarata prima contraria poi probabilista, ma in definitiva accetterebbe un QE da parte dell’ESFS o del MES solo ed esclusivamente in cambio di politiche finanziarie restrittive.
Il punto è questo: Draghi ha abbandonato dall’inizio dell’anno gli acquisti diretti di PIIGS Bond per fronteggiare la crisi del debito sovrano con l’arma del LTRO, longer-term refinancing operation, ovvero i prestiti agevolati alle Banche europee (durata tre anni con tasso all’1%). Le Banche hanno preso questi soldi con uno scopo ben preciso: rastrellare titoli di stato dei paesi di appartenenza. Sono avvenuti due LTRO: Il 22 dicembre 2011, 523 banche hanno partecipato all’asta LTRO, richiedendo 489,191 miliardi di euro; il 29 febbraio 2012, 800 banche hanno partecipato all’asta LTRO, richiedendo 529,53 miliardi di euro (Lavoce.Info – Articoli – Finanza – Prestiti Della Bce E Deposit Facility). Quasi mille miliardi di euro iniettati nel sistema. Risultato? Ora le banche italiane hanno una esposizione sul debito pubblico italiano pari al 170% della loro capitalizzazione (Linkiesta). E lo Stato Italiano dovrà rifinanziare da qui alla fine dell’anno circa 347 miliardi di euro del debito pubblico. Si tratta di una cifra che supera la disponibilità dell’ESFS ed è circa la metà del futuro MES (che non è ancora operativo). Nel mezzo ci sono le banche spagnole, altrettanto malmesse e in procinto di capitolare se non verranno ricapitalizzate. I denari dell’ESFS finirebbero quasi tutti nel gorgo muto delle banche spagnole. Ergo, non ci sono soldi per aiutare l’Italia. Un rebus di difficile soluzione:
Due sono i suggerimenti per Mario Draghi: un abbassamento dei tassi di mezzo punto percentuale e un nuovo Ltro. Nemmeno quest’ultima ipotesi, tuttavia, sarebbe una panacea. È come un cane che si morde la coda: le banche hanno soltanto 185 miliardi di euro di asset utilizzabili come collaterale a garanzia in caso di nuove aste agevolate messe in campo da Eurotower. Coprendo l’80% delle emissioni, da qui a un anno, si ritroverebbero però in portafoglio ben 575 miliardi di euro in obbligazioni governative contro 185 miliardi “liberi”: una sproporzione non da poco in caso di peggioramento delle condizioni macroeconomiche. http://www.linkiesta.it/banche-italiane-non-comprano-debito-italiano#ixzz1ySQxjRqI
Insomma, questa è la nuda verità e spiega il perché delle difficoltà borsistiche degli istituti di credito italiani. Il titolo Unicredit vale il 20% di quel che valeva lo scorso anno: circa 2 euro. E dire che fino ad un anno fa ci vantavamo che “il sistema bancario italiano non ha avuto la necessità di ricevere aiuti pubblici mentre altre banche e sistemi sono stati sostenuti dalla droga dei debiti” (Giulio Tremonti, 23/05/2011). Sembra preistoria.