Il Trattato MES è antidemocratico ma non è un complotto degli Illuminati

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Spiacenti, complottisti e teorici del Golpe bancario massonico. Il Trattato che istituisce il Meccanismo Europeo di Stabilità non è frutto di chissà quale loggia oscura, bensì dei governi europei. E’ invece vero che sia antidemocratico, ma non già per le ragioni enunciate da uomini mascherati in televisione – mi riferisco alla pantomima del complottismo in salsa Mediaset, ovvero a Adam Kadmon, che durante la trasmissione Mistero annunciava il MES come un nuovo strumento della futura Dittatura Europea.

Si può invece affermare che il deficit democratico è la malattia che affligge la costruzione europea sin dalle origini e che il ruolo del Parlamento – l’unica istituzione comunitaria eletta democraticamente – è sempre stato marginale e solo dopo molti anni l’evoluzione della integrazione europea ha prodotto un diverso equilibrio dei poteri ed oggi il Parlamento può discutere e votare alcuni provvedimenti del Consiglio o della Commissione (procedura di codecisione).

Il Trattato MES è, da questo punto di vista, dieci passi indietro. Sebbene anche la Comunità Economica Europea cominciò senza organi istituzionali elettivi, oggi la situazione dell’architettura istituzionale europea è ben diversa e il MES doveva essere calato al suo interno. Invece.

Invece il MES nasce con almeno tre peccati originali. Il primo è relativo al fatto che i prestiti del MES fruiranno dello status di creditore privilegiato (privilegiati sono quei creditori che godono del diritto di prelazione e hanno diritto ad essere soddisfatti prima di altri) in modo analogo a quelli del FMI, pur accettando che lo status di creditore privilegiato del FMI prevalga su quello del MES. Di fatto, il credito di un qualsiasi altro investitore può essere rinegoziato – come accaduto con il caso Grecia – ma il debito con il MES no. Il MES ha lo stesso status del FMI. Credito in cambio di politiche liberiste o ultraliberiste. Per questa ragione il FMI è stato chiamato “il bacio della morte”: i suoi prestiti non danno beneficio alcuno, ma servono a spazzar via quel poco di stato sociale che può esistere in un paese in crisi economica. Ne parlava Debora Billi, su Crisis? What Crisis?, qui.

Gli altri due difetti gravi risiedono uno nel meccanismo di voto, l’altro nel suo fondamento costituzionale. Scrive Antonio Padoa Schioppa:

La procedura prevista ha due difetti. Il primo è di esigere l’unanimità nelle decisioni essenziali, il secondo è di prevedere il voto ponderato anziché il voto per teste. Quando si è voluto creare un organo di decisione veramente funzionale ed efficace, la Banca Centrale Europea, il Trattato di Maastricht ha previsto per tutte le decisioni il principio maggioritario e per di più con il voto per teste e non per quote: conta la qualità degli argomenti, non il peso del Paese di appartenenza di chi li sostiene (Antonio Padoa-Schioppa, Il Trattato MES: osservazioni critiche, Centro Studi sul Federalismo, Aprile 2012).

Il meccanismo di voto ponderato è di diretta derivazione dal sistema già impiegato in Consiglio: un sistema che a lungo andare porta alla paralisi dell’organismo con conseguente necessità di riforme. Storicamente, ogniqualvolta si è riformato il meccanismo decisionale del Consiglio, si sono scelte forme alquanto barocche e inefficienti (vedasi il riparto del voto ponderato come modificato dal Trattato di Nizza e seguenti, quando l’apertura dell’Unione ad est ha allargato il tavolo del consiglio a ventisette capi di stato e di governo). Oggi il Consiglio è governato dalla diarchia Francia-Germania: nulla si muove senza il loro consenso.

Il secondo difetto del Trattato ESM ha natura diversa. Giustamente il Trattato ESM prevede ruoli importanti per la Commissione europea e per la Corte di Giustizia. Dunque la logica intergovernativa che domina in questa fase dell’Unione è stata qui superata e opportunamente corretta. Senonché il Trattato omette completamente il Parlamento europeo. Ciò ci sembra ingiustificabile. In un momento storico nel quale sempre più spesso si lamenta che il cittadino non si senta rappresentato dalle istituzioni dell’Unione, tagliare fuori il solo organo che possiede una legittimazione democratica diretta al livello europeo è peggio di un peccato di omissione: è un grave errore politico (Antonio Padoa-Schioppa, cit.).

Il Parlamento quindi è completamento escluso. Ma anche il presidente del Consiglio e il presidente della Commissione sono esclusi dalle riunioni del MES. Solo “il membro della Commissione europea responsabile degli affari economici e monetari e il presidente della BCE, nonché il presidente dell’Eurogruppo (se non è il presidente o un governatore), possono partecipare alle riunioni del consiglio dei governatori in qualità di osservatori” (Trattato MES, art. 5 c. 3). Infatti i membri del MES sono eletti dai governi che decidono di far parte di esso. Neanche il board della BCE è così dominato dalla logica intergovernativa. Che è poi questo il grande male europeo: le dinamiche politiche così inquinate dagli egoismi nazionali. Non esiste una classe politica europea. Esistono però dei governanti miserrimi che rispondono soltanto alla logica di perpetuare sé stessi e il proprio potere.

La metarealtà televisiva dei suicidi economici

Il Centro d’Ascolto dell’Informazione Radiotelevisiva, per bocca di Gianni Betto, ci fa sapere che dall’analisi del periodo Gennaio 2011 – Maggio 2012 delle notizie di Telegiornali, Giornali Radio e Trasmissioni, quelle relative ai suicidi per motivi economici sono state in totale 508. Con una concentrazione molto accentuata nell’ultimo mese di aprile 2012.

Quindi, 438 notizie per 38 suicidi di natura economica. Invece, nel periodo Gennaio 2011- Marzo 2012, le notizie sono state 70. Il numero dei suicidi non è noto in quanto le statistiche ISTAT sono aggiornate soltanto fino al 2009. Ma ammettiamo che la media al giorno di suicidi cosiddetti economici fosse almeno simile a quella attuale, ovvero 0,29 (in realtà nel 2009 era di circa 0,54 dato che da solo smentirebbe l’esistenza di una emergenza suicidi in atto). In 450 giorni avremmo avuto almeno 135 suicidi. Se verifichiamo il rapporto notizia su suicidio, per il periodo Gennaio2012-Maggio 2012 è stato di 11,5 notizie/suicidio; per il periodo Gennaio 2011- Marzo 2012 è stato di 0.52 notizie/suicidio. Ovvero, oggi la densità di notizie per evento suicidio è il 2200% più alta. Un dato sconcertante.

I telegiornali di Rai, Mediaset e La7 sono passati dalle 30 notizie in 15 mesi alle 82 in un mese.
Le notizie di tali eventi nei Giornali Radio sono aumentati di 11 volte passando dalle 26 notizie del 2011 alle 294 notizie dell’ultimo mese. Nell’ultimo mese le notizie dei suicidi occupano circa l’1% del tempo di TG e Giornali Radio mentre, nel periodo precedente non riuscivano a raggiungere neanche lo 0,1% (Gianni Betto – Centro d’Ascolto dell’Informazione Radiotelevisiva).
Qualcuno ancora pensa che la videocrazia sia veramente finita?

Ma la realtà vinse sul videomessaggio

Finisce com’è cominciata, con un videomessaggio, l’età della videocrazia. Berlusconi ha sentito l’urgenza di parlare a tutti noi, inviando molto probabilmente un vhs, un nastro, al massimo un cd, alle principali testate giornalistiche televisive. Anche se si è dimesso. Con uno sgarbo istituzionale senza precedenti, ha impiegato lo scenario di Palazzo Chigi che in realtà non sarà più il suo scenario.

Ma, badate bene, è arrivato in ritardo. Ieri sera, la festa davanti al Quirinale l’ha scosso. Gli ha fatto percepire, forse per la prima volta, la distanza siderale che si è creata fra sé e la gente. Soprattutto, un evento imprevisto, che si è auto-organizzato con mezzi che non sono la televisione, ha spodestato la rappresentazione del reale operata dai media berlusconiani e ha rotto – direi squarciato, proprio con un taglio, come le tele di Lucio Fontana, come la barca di Truman che si incaglia contro la scenografia dello show – l’ideale perfezione della narrazione videocratica.

Il “nobile gesto” di Berlusconi, le dimissioni, è oggetto di fischi e insulti. Come non abbiamo potuto prevederlo? Non c’erano sondaggi sul tavolo a testimoniare questo scarto, questo cambiamento dell’opinione pubblica. E allora occorre rimediare? Organizzando una adunata di sostenitori sotto casa e inviando un videomessaggio. Già, il limite è proprio questo, il dover allestire, inscenare rappresentazioni da far passare per il tubo catodico e l’inconsistenza di qualsiasi altra strategia comunicativa che non passi per la tv generalista.

Ecco allora la possibile intuizione:il berlusconismo finisce quando finisce il monopolio dell’immagine da parte di Berlusconi medesimo. Egli non è più padrone della sua icona, quindi non è più padrone della sua storia. Come scrive Sartori:”Nella nostra società regna infatti sovrano il primato dell’immagine: il visibile prevale sull’intelligibile; la capacità di astrarre, di capire e dunque di distinguere tra vero e falso è oramai atrofizzata. Questa agghiacciante realtà ha un unico ed apparentemente insospettabile artefice: la televisione”  (Homo Videns, Barei,Laterza, 2000). Ora il primato dell’immagine è in crisi e il suo principale controllore è detronizzato. La tv è messa in crisi da Twitter, da Facebook, social network dove il controllo potrebbe essere ancora più stringente e totale, ma che per ora spezzano il predominio imagologico del sistema Mediaset sulla società.

I nuovi media hanno creato la possibilità di comunicare orizzontalmente e di creare contenuto, di partecipare e condividere con estrema facilità. C’è una politica che non si fa nelle istituzioni, né nei partiti. Questa nuova Politica è fatta nei forum e sui blog; è la discussione continua e multilivello che fluisce in rete. Questa è politica. E’ formazione di opinione pubblica che non è più controllabile con la televisione.

Non c’è più un pubblico che applaude, no. Niente più applausi. Ma twet e post e ticchettio di tastiera. Che è poi il preludio a far ticchettare le scarpe nelle piazze.

Dietro il golpe di Generali l’ombra di Montezemolo

Sono pochi i commentatori che si sono sbilanciati ad analizzare quanto accaduto ieri in Generali. Il pre-pensionamento di Geronzi, il capo-cricca, ha lasciato esterrefatti i più. A cominciare da Vittorio Feltri che, ieri sera a Otto e Mezzo su La7, era quasi interdetto e non sapeva che balbettare e ribalbettare alla domanda della Gruber. Geronzi giù da Generali equivale a dire Berlusconi giù dal Corriere della Sera. Da qualche mese si combatteva una guerra intestina all’interno del CdA, fra i consiglieri in quota Mediobanca – quindi Mediaset – e quelli orientati verso il cartello Fiat-Telecom-Tod’s-Benetton & Friends, oggi prevalente in Confindustria e malamente rappresentato dalla Marcegaglia, ovvero quel capitalismo radical chic che vuole cambiare le regole del paese a proprio piacimento ma che ha trovato in B. solo uno che si fa gli affaracci suoi. Si stava giocando una partita decisiva in Generali: se avesse prevalso Mediobanca, quindi il partito Mediaset, presto il governo avrebbe rimosso quella norma transitoria della legge Gasparri, quella che vieta ai proprietari di televisioni di possedere giornali. E via: con il controllo di Generali si può ben fare la guerra per il Corriere. Ma qualcosa è andato storto. Non si sa cosa. Mediobanca si è poi riallineata al parere prevalente nel CdA, ma non con il beneplacito di Mediaset (nella fattispecie rappresentata da Marina Berlusconi).

Nessuno o quasi ha osato dire che l’uscita di scena di Geronzi è una sconfitta per B. Si è detto che è solo una questione anagrafica: Geronzi è un anno più vecchio di Berlusconi. E’ un sintomo ma non è una previsione della imminente caduta del premier. In realtà, la caduta di Geronzi è il segno che il capitalismo italiano non è più con Berlusconi. Significa che si sono rotti gli indugi e che presto o tardi il partito Fiat si farà: presidente Montezemolo, collocazione centro-centro-destra, simbolo generico con richiamo alla Nazione. Lo diceva Massimo Cacciari: Fini, Casini e Rutelli sono leader compromessi con una stagione politica da superare. Il nuovo non può che promanare dalla élite di Confindustria. Scopo ultimo: cambiare le regole del mercato del lavoro. In primis, però, gli interessi personali:

Naturalmente ci sarà chi vedrà dietro la sfida di Della Valle un disegno più ampio che passa dalle intenzioni dell’amico e socio Luca di Montezemolo, sempre più tentato dall’avventura in politica, nel caso certamente con un profilo ostile al declinante status quo berlusconiano. Nel caso di discesa in campo, però, qualche conflitto d’interessi dovrà essere sciolto se è vero che Generali (nel cui consiglio Della Valle siede come indipendente) è tra gli azionisti di Ntv, la società per il trasporto ferroviario che si appresta a fare concorrenza nell’alta velocità alle Fs. Si spera che la scossa che arriva da Trieste non si limiti a sostituire nuovi conflitti di interesse ai vecchi (Europa).

Berlusconi va alla guerra del Corriere: Mediaset si comprerà Rcs?

C’è subbuglio. Un subbuglio che si fa fatica a comprendere, a percepire. Ma dietro le quinte si muovono ombre, ombre lunghe, ombre che affondano i piedi nella notte della Repubblica, quando il Corsera era appannaggio della P2 e nessuno sapeva, nessuno osava chiedere.

Alla fine qualcosa è affiorato a galla, prontamente evitato dai media. Della Valle alza la voce contro Geronzi. Basta personalismi, basta interessi di parte, dice il padrone di Tod’s. Il caso è scoppiato dopo il CdA dello scorso venerdì durante il quale è maturata la decisione, inizialmente proposta da Geronzi, di affidare la gestione delle partecipazioni sindacate (Telecom Italia, RCS, Mediobanca e Pirelli) al Group CEO, Giovanni Perissinotto, un manager Generali di lungo corso, con compenso quadrimilionario. Della Valle è sbottato a mezzo stampa dopo le dichiarazioni di Geronzi dello scorso sabato in cui si esprimeva criticamente contro gli atteggiamenti dello stesso Della Valle e soprattutto dopo l’intervista al Financial Times “in cui il presidente disegnava un ruolo di sistema per Generali con investimenti in banche e infrastrutture, dichiarazioni in contrasto con le strategie illustrate qualche tempo prima da Perissinotto alla comunità finanziaria” (Reuters):

Nonostante Geronzi “continui a dare alla questione una visione personalistica”, afferma Della Valle, “per quanto mi riguarda i rapporti tra me e lui non sono la questione centrale, è centrale invece il rispetto che si deve avere della governance delle Generali, del suo consiglio e dei suoi amministratori, nell’ambito delle deleghe che ognuno di loro ha, cosa che invece anche Geronzi ha disatteso clamorosamente prendendo posizione su argomenti che non gli competono” (corrispondenti.net).

Leonardo Del Vecchio, il fondatore di Luxottica, durante il medesimo CdA, ha rassegnato le proprie dimissioni da consigliere. Oggi sono emerse le ragioni. La causa non è Geronzi. Geronzi, secondo Del Vecchio, non avrebbe più potere in Generali – e quindi in Rcs.

Quindi, chi comanda davvero il colosso assicurativo? Una buona fetta di azioni sono in tasca di Mediobanca, ovvero di Marina Berlusconi. Mediobanca detiene un 13% di Generali. Scalando Generali, scalerebbe Rcs.

Soltanto la scorsa settimana in aual alla Camera si è disucsso animatamente circa la proroga del divieto di possedere assieme Televisioni e giornali contenuta nel decreto Milleproroghe. Il termine è slittato a fine Aprile. Dopodiché Berlusconi non avrà più bisogno del fratello per controllare Il Giornale e potrà puntare dritto sul Corriere. Uno scacco matto impensabile.

Chi è Giancarlo Innocenzi, il fedelissimo. Parte Seconda: da Fininvest a Forza Italia, l’idea di una interattività fra pubblico e privato.

La lunga carriera nell’entourage berlusconiano di Giancarlo Innocenzi, il membro AGCOM al centro dello scandalo pressioni di Berlusconi per far chiudere Annozero, gli ha fatto meritare l’appellativo di “Inox”, inossidabile, per la fedeltà al padrone. Inox è stato colui che ha introdotto e inventato l’informazione giornalistica in Fininvest. Siamo nel 1985 e Innocenzi è il direttore editoriale dell’intero network. All’epoca, Berlusconi anelava di poter far concorrenza alla Rai sui telegiornali. Senza diretta e senza giornalisti, affida l’incarico a Innocenzi che nell’arco di un anno fa incetta di grandi firme: Arrigo Levi, Giorgio Bocca, Indro Montanelli, Jas Gawronski. L’opera titanica di costruire le news mediaset comincia lontano per concludersi con il 1991 e la Guerra del Golfo, con Emilio Fede e la formula di “Studio Aperto”. Innocenzi già aveva preconizzato, insieme a Berlusconi, l’importanza di sottrarre il monopolio dell’informazione televisiva alla Rai:

Il problema numero uno di Berlusconi resta comunque quello relativo alla possibilità di “fare informazione” in presa diretta, vale a dire la possibilità di fare un telegiornale tutto suo da trasmettere in contemporanea sull’ intero territorio nazionale (BERLUSCONI: GRANDI FIRME IN ATTESA DEL FUTURO TG – Repubblica.it » Ricerca, 1985);

“non lo nascondo, di idee, e di progetti davvero ne abbiamo in quantità. Ma il punto è un altro: com’ è possibile fare attualità televisiva con l’ handicap, che tuttora soffriamo di non poter usare uno strumento prezioso come la diretta?”
“Vogliamo lavorare, anche nel campo giornalistico, alla pari con gli altri” conferma Innocenzi (LE INCHIESTE DI GIORGIO BOCCA UN DOSSIER LA SETTIMANA E LA SCIENZA PER – Repubblica.it » Ricerca – 1985).

I problemi tecnici e legislativi relativi alla diretta saranno presto superati. Innocenzi intanto diventa direttore generale per la Titanus e fonda il network Odeon Tv, venduto alla fine degli ottanta a Callisto Tanzi, che addirittura si mette a fare concorrenza a Berlusconi sulla trasmissione di una partita di coppa fra Real Madrid e Napoli (1987). Innocenzi resta però sempre nell’orbita Mediaset. Nel 1994, viene reclutato nel Partito Azienda e diventa responsabile del settore media di Forza Italia.

  • Qual è in sostanza il progetto di Forza Italia? I mercati nazionali non esistono più, stanno per scomparire. La televisione europea e planetaria è già una realtà. Quella della Fininvest che fa tanta paura ai più, il ‘ gigante cattivo’ in Italia, appare uno dei tanti, piccoli, modesti ‘ competitor’ sul mercato europeo e internazionale;
  • Che senso ha ‘proteggere’, porre barriere tra privato e pubblico, tetti antitrust in un sistema interno quando il satellite e il cavo ci porteranno in casa un’ offerta non ancora immaginabile;
  • l’ ipotesi di privatizzare la Rai appare assolutamente prematura. In linea di principio, questa non è un’ ipotesi da scartare. Voglio estremizzare: anche un’ impresa privata può sviluppare al meglio un ‘ servizio pubblico’ (‘ STATO E PRIVATI ALLEATI INTERATTIVI’ – Repubblica.it » Ricerca).

Innocenzi sposa in pieno la linea Confalonieri: annullare le barriere fra pubblico e privato in un’ottica globale. Annullare i tetti antitrust. Le loro parole erano già intrise della logica della fusione fredda dei due competitors nazionali, Rai e Mediaset. Il mostro che ne deriva, Raiset, fatto di interazioni e porte scorrevoli, di manager Rai “a doppia razionalità” (che decidono cioè non nell’interesse dell’azienda pubblica, bensì nell’ottica di non arrecare danno al privato), è ora sotto i nostri occhi.

Innocenzi è stato ed è un personaggio cruciale nel passaggio di Berlusconi dall’imprenditoria alla politica: ha organizzato il sistema delle news nazionali, ha applicato la politica Mediaset al partito, traslandone le direttive prima in Commissione Poste e Telecomunicazioni, poi all’AGCOM, dove ha mantenuto il filo diretto con il “capo”, costituendo il medium fra Palazzo Grazioli e i vertici Rai.

Attaccare la Rete. Le mire di Mediaset sul Web sono più di una fantasia.

from criticart.it

Criminalizzare per poi punire. Chi scarica un documento coperto da copyright è un ladro, chi scambia immagini è un ladro di immagini. C’è addirittura chi vuole procedere contro Youtube per violazione – udite udite – del diritto di immagine. Chi ha formulato la teoria è tale Vittorio Sgarbi, eminenza grigia del club Mediaset, il quale avendo il solo scopo di mantenersi in vita per un altro po’ spillando denaro a mezzo querela, ha teorizzato che la propria immagine sia di sua esclusiva proprietà e quindi egli abbia il diritti della sua utilizzazione e del suo sfruttamento economico: ebbene il suo avvocato deve aver preso fischi per fiaschi. Sgarbi va in tv, si rende protagonista di (poco) memorabili risse, pertanto presta la sua immagine (nonché la parola e l’azione) al mezzo televisivo che la rilancia in ogni casa. Sgarbi, andando in televisione, acconsente alla diffusione della propria immagine, che ora prescinde da egli medesimo ed è oggetto a sé stante, un prodotto che viene veicolato come contenuto di trasmissioni televisive e che può essere registrato su supporto magnetico e quindi conservato o distribuito altrimenti. Youtube altro non è che una piattaforma che permette di usufruire della visione di questi contenuti registrati, scambiati dai propri utenti.
E allora? Perché questo nuovo accanimento di un fedelissimo della scuderia Mediaset alla rete?

    • A dare il via alle danze è stata un’intervista di Paolo Gentiloni a Il Riformista […] ha dato un imprevisto via libera alla possibile alleanza tra Telecom Italia e Mediaset
    • Pier Silvio Berlusconi“, spiega Gentiloni, “ha parlato di far crescere Mediaset fino a farla diventare un content provider, una sorta di major italiana che fornisce contenuti televisivi. Per fare questo per Mediaset sarebbe strategico il rapporto con Telecom: è il cuore del business della telecomunicazioni”.

Le mire di Mediaset sul web sono note già da tempo. E con la presenza di Marina Berlusconi in Mediobanca, già esercita un certo grado di influenza su Telecom. Mediaset vede il web come una gallina dalle uova d’oro. Poco gli importa di diritto d’espressione. Meglio troncare subito ogni concorrenza e ogni fonte alternativa di informazione. La strategia? Qualcuno in parlamento potrebbe prendere spunto da ciò che accade in Francia, dove entro Aprile sarà operativa l’HADOPI, l’Alta Autorità per la Diffusione e la Protezione dei Diritti su Internet, una sorta di supervisore della Rete che ha lo scopo di prevenire la violazione del diritto d’autore su Internet.
Che cosa farà Mediaset? Il suo obiettivo è diventare monopolista italiano nei contenuti internet. Ma potrebbe lasciarsi scappare la fetta grossa dell’adversiting, ora dominato da Google? In Francia si pensa di tassare i proventi dell’adversiting. In Germania si bacchetta Google, “è monopolista”. Notizie apparse oggi, come per magia.

    • Tra qualche mese gli utenti francesi sorpresi a scaricare illegalmente dalla Rete contenuti protetti da copyright potrebbero avere brutte sorprese aprendo la casella della posta: i primi avvisi spediti dalla Haute Autorité pour la diffusion des oeuvres et la protection des droits sur Internet (HADOPI) saranno recapitati entro aprile, dando il via libera definitivo a una delle normative più discusse del 2009.
    • Identificando spesso in Google il capro espiatorio cui appioppare la responsabilità della crisi di editori e produttori, le autorità di Francia si muovono su diverse linee facenti parte però dello stesso fronte: da una parte il Rapporto Zelnik, ovvero la proposta di tassare i giganti dell’advertising per sostenere i vecchi media
    • dall’altra la guerra intrapresa contro gli scaricatori illegali della quale l’ufficializzazione della HADOPI non è altro che l’ultimo capitolo

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Il passatismo di Confalonieri. Mediaset via da Google smetterà di esistere.

Se non sei su Google, non esisti. Almeno nelle prime tre pagine. Altrimenti è oblio. E se Murdoch e News Corp. minacciano di uscire dalla pagine delle notizie di Google, condannandosi a essere un nano della rete, Mediaset pensa a farsi pagare i contenuti di proprietà che poi finiscono nelle carrellate di Youtube o di Google video. Essi non sanno la portata del danno che l’uscita dal più famoso motore di ricerca gli potrà portare. Non ne hanno idea. Confalonieri ha imbeccato il governo, sostenendo che esso debba farsi promotore di iniziative legislative a tutela della proprietà intellettuale. Mediaset non lascia Youtube, ma chiede di essere pagata, o di far pagare la visione dei propri contenuti, messi in rete dagli utenti della piattaforma. Ovvero chiede una legge fatta ad hoc. File sharing e streaming video mettono a nudo il loro passatismo. Devono ricorrere al divieto per proteggere le proprie posizioni dominanti. Murdoch minaccia di uscire da Google, ma per quanto potrà resistere? Mediaset punta tutto sul diritto d’autore, un diritto che oggi ha subito trasformazioni e sta moltiplicando le proprie forme, le quali attendono solo di essere normate.
E il governo? Il ministero della Gioventù, per mano del capo gabinetto Luigi Bobbio, ha preparato un documento in cui si afferma la necessità di forme alternative e estensive della proprietà intellettuale. Addirittura il ministro Meloni si è espressa dicendo che il diritto d’autore nell’era digitale non può essere difeso erigendo barriere, bensì puntare sulla qualità dei contenuti e sulla loro disponibilità in rete a prezzi accessibili. Certamente una non soluzione. Ciò non impedisce lo scambio libero fra utenti di un servizio web. Lo scambio e l’immediata fruibilità dell’informazione sono l’asse portante del web, che così si sostanzia e si rinnova. È esattamente questo aspetto che loro non comprendono e che invece dovrebbero cercare di fare proprio. Invece continuano a vivere di una concezione separata dei ruoli autore-editore-consumatore. Il web 2.0 rivoluziona i rapporti, rompe lo schema divisorio fra produttori di contenuti e semplici utilizzatori. Nel web 2.0 si è insieme produttori e consumatori, e il diritto d’autore nella sua concezione classica, ovvero la proprietà privata, si fa neutro.

    • Il ministro della Gioventù Giorgia Meloni torna sul tema Internet e conferma sostanzialmente le parole del suo capo gabinetto Luigi Bobbio, che nelle settimane scorse ha dato voce a un documento che offre un punto di vista molto interessante sul ruolo di Internet

    • una sorta di manifesto che tocca tutti i punti critici con cui è stato trattato in Italia il tema Internet dalle autorità, uno sguardo sempre e quasi solo esclusivamente volto alla pirateria

    • Ministro Meloni che proprio oggi affronta direttamente l’argomento: "Il diritto d’autore nell’era digitale non può essere tutelato erigendo barriere: Internet non si blocca alle frontiere"

    • necessità di "fornire prodotti di alta qualità e di facile accesso da parte di tutti a prezzi ragionevoli" e "valutare ed elaborare forme nuove di tutela del diritto d’autore"

    • sembrano spingere forme alternative di difesa della proprietà intellettuale: innanzitutto Creative Commons e Software Libero, ma anche riforma del funzionamento della SIAE

    • Nel documento di Bobbio si parlava già di contenuti di qualità, e si era affrontata la questione delle nuove forme televisive e della necessità, soprattutto per la Rai, di investigare i mezzi offerti da Internet su cui i professionisti della tv di stato sarebbero rimasti colpevolmente indietro

    • "Se sono stati investiti fiumi di denaro per la tecnologia-ponte (il digitale terrestre ndr) perché non ci si decide ad investire per le nuove generazioni che già – scriveva Bobbio – guardano sempre meno la TV?

    • I motori di ricerca attivi su Internet, da Youtube a Google, devono remunerare in qualche modo i contenuti che diffondono altrimenti chi produce questi contenuti non può più investire su essi. È in sintesi il monito che giunge dal presidente di Mediaset, Fedele Confalonieri

    • «Internet -spiega Confalonieri- si avvale di una parola magica che è free: se i vari Youtube e Google non riconoscono il valore della proprietà intellettuale non si può investire» sui prodotti.

    • «serve molta attenzione da parte dei regolatori, del governo, devono prendere a cuore questo problema»

    • dichiarazione rilasciata ieri sera da Luca Nicotra (Segretario dell’associazione radicale «Agorà Digitale») e Marco Cappato (Presidente, Membro del Comitato Nazionale di Radicali Italiani)

    • «In un mercato in cui è chiaro a tutti che, a dispetto della retorica messa in campo dall’industria dei contenuti, il contributo di maggior valore deriva dalla connettività, e non dal contenuto, lascia sbigottiti l’appello lanciato al Governo da Fedele Confalonieri affinchè difenda aziende come Mediaset da Google, Youtube, Yahoo e altri fantomatici approfittatori. Anzi, più di un appello sembra una minaccia, considerando che, proprio ieri, Mediaset ha ribadito quanto sia centrale nella sua strategia la causa che essa stessa ha intentato contro Youtube e in cui rivendica un danno di 500 milioni di euro per violazione del diritto d’autore. Confalonieri cerca di difendere un sistema bloccato, in cui i cittadini sono semplicemente audience, e la scelta dei contenuti da trasmettere è fatta da coloro che, come lo stesso Confalonieri, hanno in mano la TV generalista. A questo punto ci appelliamo a Google e Yahoo chiedendo loro di rimuovere per almeno un mese i contenuti online del gruppo Mediaset dai loro indici. Un’azione drastica, ma potrebbe essere davvero l’unico modo per aiutare a far comprendere a coloro che difendono modelli ormai superati quanto la Rete ha cambiato l’economia, anche quella dei contenuti, e quanta parte dei ricavi degli stessi produttori derivino dalla comunità di utenti che modifica e condivide»

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Quer pasticciaccio brutto del digitale terrestre. Chiavetta Sky, Mediaset fa ricorso.

Notizie dello switch-off del Lazio al digitale terrestre: Tg1, un trionfo. Web: una Waterloo. I dati Auditel segnano una flessione del 15.6% per la sola giornata di ieri. Secondo l’Aduc, il 18% degli utenti ha rinunciato al passaggio al DTT, guardando la Rai attraverso Sky. Le difficoltà incontrate nel Lazio non sarebbero giustificate, come avvenne per il Piemonte, dalla condizione orografica del territorio. In Lazio non ci sono valli alpine difficili da raggiungere. Sempre l’Aduc ha raccontato che i canali Rai sono difficili da trovare e sono necessarie diverse risintonizzazioni del decoder.
Quel che pare strano è che, nonostante una campagna informativa senza precedenti, si sia giunti al passaggio al DTT con questo grado di improvvisazione. Ancora non si capisce, né viene detto esplicitamente, cosa è andato storto.
Intanto continua la guerra fra Sky e Mediaset. Mediaset ha fatto un esposto all’Antitrust contro l’iniziativa di Sky di vendere una chiavetta usb da applicare ai decoder HD per integrarli con l’offerta in chiaro del digitale terrestre. Mediaset lamenta il fatto che Sky, con questa operazione, ostacola la diffusione di una tecnologia concorrente, appunto quella del digitale, diffondendo decoder che sottraggono all’utente la possibilità di accedere ai servizi interattivi e alle piattaforme a pagamento (ovvero all’offerta Mediaset). Questo è vero, ma è vero anche al contrario. Mediaset ha diffuso una tecnologia nella quale Sky non può competere per gli accordi presi nel 2003 in fatto di norme antitrust in seguito alla fusione Telepiù e Stream. Il DTT, per Sky, è vietato fino al 2011. Mediaset ha il predominio del DTT (la Rai non può proporre servizi a pagamento). Mentre è assolutamente fuori mercato sul satellitare (ci provano con Tivusat con la complicità sempre della Rai).
Insomma, lo scenario è cambiato e a Mediaset non se ne stanno a guardare. Il loro obiettivo è difendere il proprio terreno di caccia, mentre Sky si è fatta aggressiva con proposte commerciali sull’HD.

    • L’Aduc l’ha definito lo switch off «all’amatriciana». L’Auditel registra un crollo negli ascolti degli anziani

    • nell’intera giornata di ieri, spiega Walter Pancini direttore generale di Auditel, il totale dei telespettatori ha registrato nel Lazio, rispetto alla media degli ultimi sei lunedì, una flessione del 15,9%. Ancora più consistente la flessione per il target sopra i 65 anni, quello tecnologicamente meno avanzato e più in panne con la risintonizzazione dei canali dopo lo switch off di ieri (zona di Viterbo esclusa): la flessione degli ascolti nell’intera giornata è del 22% rispetto alla media dei sei lunedì precedenti, flessione che diventa del 16% in prime time

    • Gli stessi dati Auditel oggi sono arrivati in ritardo di oltre due ore «È stato un supplemento di verifica – dice Pancini

    • Aduc: swith off alla matriciana, ridurre del 30% il canone. Una riduzione del 30% sulla spesa del canone Rai del prossimo anno, come compensazione dei disagi subiti dai romani per il passaggio al digitale terrestre.

    • «Siamo la prima capitale d’Europa – afferma l’Aduc in una nota – ad avere il digitale terrestre, si sentiva e leggeva nei giorni scorsi. Peccato che Berlino, che ci risulta essere la capitale della Germania, lo abbia già dal 2003.

    • Anche stamattina, spiega l’Aduc, continuano le difficoltà per i cittadini della Capitale, il 18% ha rinunciato al passaggio al digitale, mantenendo la visione esclusivamente attraverso Sky. «I canali Rai – si legge nella nota – seguono ad essere difficili da ritrovare nella programmazione, i canali sistemati ieri faticosamente, a volte anche con l’intervento pagato dell’antennista, stamane non si trovano più, è necessaria una nuova riprogrammazione»

    • Caparella (Pd): il passaggio a insegna dell’improvvisazione. «Se ne è parlato per mesi, sono stati distribuiti migliaia di opuscoli, creati siti dedicati e diffusi annunci ma, alla fine, il tanto atteso passaggio al digitale terrestre è avvenuto all’insegna dell’improvvisazione

    • Siamo a favore dell’economia digitale, della banda larga, del wi-fi, della dotazione dei necessari supporti informatici in tutte le scuole, e di qualsiasi innovazione tecnologica possa rendere più semplice la vita, ma è necessario che tutti, senza distinzione, siano messi nelle condizioni di poter usufruire dei nuovi mezzi a disposizione

    • Mediaset ricorre all’Antitrust contro la chiavetta Sky che da dicembre consentirà agli abbonati di ricevere l’offerta gratuita del digitale terrestre.

    • «Mediaset – annuncia una nota di Cologno Monzese – ha presentato un esposto all’Autorità Antitrust

    • La distribuzione da parte di Sky di questa chiavetta, secondo Mediaset, è contraria alla normativa comunitaria e nazionale in materia di concorrenza e costituisce una violazione degli impegni assunti nel 2003 da Newscorp in occasione della concentrazione delle attività di Telepiù e Stream

    • Le norme antitrust, infatti, non consentono a un’impresa dominante di ostacolare l’ingresso sul mercato di concorrenti mediante vendite abbinate o aggregate dei propri prodotti

    • «il fine della Digital Key – che non consente l’accesso né ai servizi interattivi né ai contenuti a pagamento – è quello di frenare la diffusione sul mercato di decoder che consentano di ricevere i programmi a pagamento e i servizi interattivi di altri operatori.

    • La Digital Key è una semplice iniziativa di Sky che garantirà a milioni di famiglie la possibilità di fruire dell’offerta in chiaro sul digitale terrestre in modo facile ed efficace

    • Si tratta di uno strumento che aiuta il processo di digitalizzazione del Paese offrendo un servizio per i consumatori in un mercato in veloce sviluppo

    • sull’altro fronte delle dispute legate alle varie piattaforme televisive – quello tra Sky e la Rai – è intervenuto Corrado Calabrò

    • Il presidente dell’Autorità per le comunicazioni, a margine di un’audizione alla commissione di Vigilanza, afferma che la Rai «dovrà stare su tutte le piattaforme tecnologiche, quindi anche sul satellite», così da consentire a tutti gli utenti di vedere le trasmissioni

    • «

      se Sky in una zona è indispensabile, la Rai deve starci nel periodo transitorio», limitandosi a criptare «proprio il minimo» delle sue trasmissioni

    • Calabrò ha affermato che l’Authority accerterà se la Rai – togliendo alcuni canali da Sky – abbia o meno oscurato zone e utenti

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RAI vs SKY, ma non è una cattiva notizia.

In un articolo su L’Antefatto, si fornisce un resoconto critico sulle dichiarazioni di Mauro Masi sulla scelta RAI di abbandonare la piattaforma SKY. In sostanza, non si discute della necessità di creare una piattaforma alternativa e gratuita, quella di Tivù Sat – un’anomalia italiana quella di avere una piattaforma satellitare sola, e a pagamento, come è SKY (qui di seguito si riporta l’esempio francese, dove le offerte satellitari sono ben tre e operano su tre satelliti diversi). Le argomentazioni di Masi vertono sul fatto che RAI rifiuti l’offerta di 50 mln all’anno con la giustificazione che i contenuti RAI su SKY avrebbero giovato agli ascolti di quest’ultima. Ma circa il 13% degli ascolti RAI provengono dalla piattaforma SKY (fonte: http://www.europaquotidiano.it/gw/producer/dettaglio.aspx?id_doc=112010 ) e questi ascolti avrebbero generato circa 7 mln di euro di introiti pubblicitari per RAI stessa. Invece l’audience SKY sembra non dipendere dalla RAI:

Il dato qui sopra riportato è difficilmente comparabile: il giorno medio SKY del periodo 31/05/09-27/06/09 (dati auditel, vedi http://www.auditel.it/flash_dati_mese.htm ) è pari a 2591245 spettatori unici. Una effettiva valutazione sulla dipendenza in termini di ascolto di SKY da RAI lo si potrà fare con le prossime pubblicazioni. Resta il fatto che Masi non è riuscito a dare spiegazioni convincenti della rottura con SKY.

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    • La situazione europea
    • In Europa esistono piattaforme satellitari gratutite, così come Tivù Sat. Nel Regno Unito esiste Freesat, nato da una joint venture fra BBC e ITV
    • E’ l’later ego satellitare di Freeview l’operatore di televisione digitale terrestre gratuita, lanciato nel 2002.
    • In tutti e due i casi non sono necessari abbonamenti di sorta, basta equipaggiarsi con un ricevitore satellitare digitale.
    • Anche la Francia non è da meno, TNT Sat è il primo servizio satellitare in chiaro che trasmetta dai satelliti Astra a 19,2° Est un bouquet di canali criptati per necessità relative ai diritti di trasmissione ma ad accesso completamente gratutito, a parte il costo del ricevitore e della smart card (valevole per quattro anni).
    • Ma in Francia esiste anche Fransat, un servizio di accesso satellitare a tutti i canali free della Television Numérique Terrestre (TNT). Il servizio viene trasmesso tramite il satellite Atlantic Bird 3 e permette agli utenti transalpini di fruire del segnale digitale e della sua offerta anche nelle zone non coperta dal dtt via etere.
    • Sulla scia di Gran Bretagna e Francia, presto anche la Spagna potrebbe rivolgersi al satellite per raggiungere la totalità della popolazione. Il progetto dovrebbe prendere luce a partire dal 2010, contestualmente allo spegnimento delle trasmissioni analogiche.
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    • ‘Quella italiana, per quanto riguarda decoder e piattaforme satellitari, e’ una situazione privilegiata rispetto a quella francese, anche se puo’ sembrare paradossale dopo le polemiche di questi giorni’.
    • ‘Le due piattaforme italiane operano sulla stessa posizione orbitale – prosegue Berretta – quella Hot Bird a 13 gradi Est; le tre piattaforme francesi, CanalSat, Bis e OrangeTv sfruttano invece tre posizioni orbitali diverse. Per cui un ipotetico utente francese che volesse vedere i programmi di tutte le piattaforme non solo dovrebbe acquistare tre decoder, ma addirittura tre parabole’.
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    • Quando un telegiornale del servizio pubblico, il Tg3, compie il suo dovere, quello di informare (premiato dai telespettatori con più 5% di share di media) pronto l’intervento del premier nel lanciare l’editto (antico vizio, quello bulgaro fece fuori dalla tv Biagi, Santoro e Luttazzi)
    • Per fortuna nella tv pubblica sono arrivate le ultime nomine a tranquillizzarlo. Susanna Petruni da inviata al seguito del premier a vice direttore del Tg1.
    • La conduttrice con la farfallina, durante un vertice dell’Unione europea, dimenticò di inserire nel servizio l’immagine di Berlusconi mentre faceva le corna durante la foto di gruppo.
    • Altro ricordo, ne potremmo citare tanti: il premier intervenne all’Onu in una sala praticamente vuota, la giornalista, sicuramente per spirito nazionalista, montò un Berlusconi con la sala gremita
    • Gianluigi Paragone (nomina riparatrice data alla Lega dopo quella mancata di RaiDue), ex direttore della Padania, da tre giorni direttore di Libero in sostituzione di Vittorio Feltri, arriva in Rai come vice alla rete ammiraglia con la delega ai progetti speciali.
    • il nuovo direttore del Giornale Radio Rai Antonio Preziosi. Poteva il neo direttore partire senza la presenza del presidente del Consiglio nel suo gr di esordio? No, infatti nel Gr1 delle 8 di lunedì 10 agosto intervista sui primi quattordici mesi del governo, anche se la conferenza stampa il premier l’aveva fatta venerdì 7
    • Com’è valido ancora oggi quello che diceva Enzo Biagi: “La Rai è lo specchio del paese, qualche volta un po’ deformato”.
    • Culturalmente è l’azienda più importante, la gente si informa prevalentemente attraverso i tg
    • il 6 agosto è arrivata la relazione del direttore generale Mauro Masi, Dentro alla Rai, ben prima della sua nomina (2 aprile 2009), si sapeva che la vicenda sarebbe andata a finire così.
    • Scrive Masi: Il vertice aziendale sta operando per il rafforzamento degli asset industriali ed editoriali del gruppo. Sta lavorando per una maggior centralità della Rai nel nuovo scenario multipiattaforma e multicanale.
    • Se avessimo accettato quelle condizioni (50 milioni di euro l’anno per i canali di Raisat più RaiUno, RaiDue e RaiTre gratuiti) avremmo svenduto, anzi regalato, a Sky tutta l’offerta della Rai in aggiunta ai canali di Raisat.
    • Sarebbe stato, quello sì, un atto contrario agli interessi ed alla tutela del servizio pubblico. Sempre secondo il direttore generale questo avrebbe contribuito all’aumento dell’ascolto di Sky (dall’attuale 9% al 14% nel 2012) con relativa perdita pubblicitaria da parte dell’azienda.
    • a) in tutti i paesi europei la tv pubblica è presente sulla piattaforma satellitare gratuitamente;
      • Ma negli altri paesi europei esiste una pluralità di piattaforme satellitari, non così in Italia, almeno sino all’avvento di Tivù Sat. Esisteva, alle origini del digitale satellitare, una sorta di “competizione”, con Stream e Telepiù, e il legislatore era intervenuto per obbligare all’impiego del medesimo sistema di codifica (all’epoca l’operatore francese impiegava Seca, Irdeto era il linguaggio della piattaforma di Telecom e News Corp.). Oggi si ripresenta lo stesso problema. – post by cubicamente
    • b) i dati di ascolto dei canali generalisti vengo scorporati e non aggiunti a Sky;
    • c) chi ha l’abbonamento a Sky, lo hanno scritto e riscritto gli esperti, naviga tra centinaia di canali; sceglie il singolo programma o film prescindendo dal canale che lo trasmette. Questo fenomeno produce esattamente il contrario di quello che sostiene Masi, cioè ha effetti collaterali sui canali generalisti che stanno subendo una lenta e costante erosione dell’ascolto. Il teleutente si sta abituando a personalizzare il proprio palinsesto.
    • La Rai, con l’avvento del digitale, ha fatto una scelta precisa: essere un editore televisivo non un gestore di piattaforme a pagamento, percependo già un canone obbligato, abbandonando così la strada intrapresa alla fine degli anni Novanta quando nacque Raisat spa all’interno di una accordo di partecipazione dell’azienda nella piattaforma satellitare Telepiù (all’epoca in competizione con Stream), lasciando ad altri il mercato: Sky sul satellite; Mediaset e La7 (ora Dhalia) sul digitale terrestre; Alice Telecom e Fastweb sul cavo IP – Internet.
    • Continua Masi: La centralità del digitale terrestre come piattaforma di riferimento è il punto di partenza della nuova strategia sulla quale andranno concentrati gli sforzi editoriali e gestionali
    • se lo scopo della Rai è fare l’editore per raggiungere il maggior numero di spettatori, possibile perché la tv pubblica dovrebbe scegliere una sola piattaforma?
    • Masi ha dimenticato che Sky dal 2012 potrà operare anche nel digitale terrestre?
    • Oppure teme che Mardoch possa acquisire La7
    • la Rai è un editore televisivo (fornitore di contenuti) ma avendo ancora oggi la proprietà di RaiWay è anche un operatore di rete.
    • In tutti i paesi europei è normale che questi due ruoli siano esercitati da soggetti diversi dagli editori televisivi
    • in Francia esiste un unico operatore di rete indipendente che trasporta i segnali televisivi terrestri di tutte le televisioni
    • in Gran Bretagna i network operator sono tre, così come in Spagna dove Telecinco è trasportato da Abertis
    • In Italia invece, la più piccola televisione locale condivide con Rai e Mediaset il medesimo modello industriale, che è basato sulla proprietà e la gestione degli impianti oltre alla normale attività editoriale e commerciale
    • E’ inevitabile che la transizione al digitale terrestre consentirà, sia sul piano tecnologico che su quello legale, una “bonifica” di questa situazione.
    • la scelta di uscire da Sky, in un contesto nazionale ed internazionale finanziario e industriale estremamente critico, rischia di indebolire il servizio pubblico, tirato con forza nella guerra tra Mediaset e la tv di Murdoch
    • Conflitto che non appartiene alla Rai, proprio perché servizio pubblico.

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RAIset, la trappola del DTT. Miopia tecnologica.

    • Viale Maz­zini non ha più rinnovato il contratto che le permet­teva di fornire alla tv satel­litare le sue reti generali­ste, più altri canali «ex­tra ». Per ora è ancora pos­sibile vedere Raiuno, Rai­due e Raitre ma da qual­che giorno molti program­mi sono criptati (la partita Inter-Lazio ma anche vec­chi telefilm): un preciso segnale (anzi, una man­canza di segnale) di sgar­bo, se non di provocazio­ne.
    • L’atteggiamento della Rai è di non facile lettura, e comunque non in linea con la nozione di Servizio pubblico (SP)
      • di facile lettura, se si considera il management cooptato da Mediaset – post by cubicamente
    • Il SP, in quanto retto da un canone, dovrebbe fare in modo che i suoi servizi siano totalmente pubblici (parliamo delle reti gene­raliste), e cioè visti dal più alto numero di persone, indipendentemente dalle piattaforme di trasmissio­ne, considerate «tecnolo­gicamente neutrali».
    • In nessun altro Paese le politiche dei public service broadca­sting hanno condotto alla ritirata da una piattafor­ma distributiva. Talmente un unicum che il governo italiano ha già pronta una legge che servirà a giustifi­care il divorzio.
      • Quindi, se c’è bisogno di un intervento normativo significa che la posizione RAI vs SKY è fuori delle regole: significa che c’è spazio per un’azione legale a livello europeo, spazio per un esposto alla Commissione Europea. Significa che RAI è assoggettata a un interesse particolare. – post by cubicamente
    • Questo contrasto pren­de le mosse dalla più gran­de rivoluzione tecnologi­ca della tv: il passaggio «forzato» dall’analogico al digitale.
    • nell’enfasi che ha accompagnato il pro­cesso di digitalizzazione della tv in Italia, si è spes­so sottolineata l’inevitabi­lità, quasi la naturalità del­le scelte intraprese, che so­no, al contrario, solo deci­sioni politiche
    • Digitale si­gnifica pure satellite o ca­vo o IPTV. Rai e Mediaset hanno scelto il digitale ter­restre (DTT) anche perché erano proprietarie della re­te distributiva (optare per il satellite, che è una tec­nologia più avanzata, si­gnificava dismettere i pro­pri trasmettitori e «gioca­re » in campo avverso).
      • Il DTT è una tecnologia superata; SKY è una piattaforma superiore, che potrà eventualmente integrarsi a internet, cosa che il DTT non può fare. RAIset è chiusa in un vicolo cieco tecnologico per ragioni di "padronanza". Mediaset costringe RAI alla obsolescenza e quindi alla decadenza. – post by cubicamente
    • Il DTT rappresenterà quindi in Italia lo snodo di accesso universale, quello che po­tremmo definire «il minimo comune deno­minatore » per guardare la tv.
    • L’impressione è che la Rai non attui una politica a favore della propria audience (a coltivare la qualità della propria audience, come imporrebbe un altro dogma del SP), quanto piuttosto a favore di quello che un tempo era il suo unico competitor, Media­set.
    • l potenziamento del DTT con soldi pubblici ha favorito non solo la Rai, o la nascita del consorzio TivùSat, la nuova piattaforma che diffonderà via satellite, ma con un nuovo decoder, gli stessi pro­grammi trasmessi in digitale terrestre da Rai, Mediaset e La7, o il fatto che sia il SP a dover in qualche modo risarcire Europa 7 attraverso una cessione di sue frequenze (l’emittente di Francesco Di Stefano che nel 1999 aveva vinto la gara per una concessio­ne nazionale, ma non aveva trovato posto, già occupato da Retequattro).
      • Attenzione, qui Aldo Grasso non ricorda bene: Rete4 occupa illegalmente le frequenze giustamente vinte e assegnate a Europa7. Rete4 è tuttora una rete televisiva abusiva. Il ricorso al DTT serve a auto-condonare Rete4, oltreché a ottenere una posizione di dominanza sulla RAI. Ma questa scelta è stata fatta in un’ottica di short term, di visuale ristretta, ridotta. Il DTT non ha possibilità di sviluppo futuro. E’ una piattaforma statica. – post by cubicamente
    • conti­nua ad aleggiare il fantasma del conflitto di interessi. Inutile nascondersi che la vera battaglia sul futuro della tv in Italia è tra Berlusconi e Murdoch.
    • La Rai, invece di re­stare neutrale, sembra aver fatto la sua scelta di campo.
  • In questi ultimi tre anni, da quando Sky ha fatto del suo HD uno dei fiori all’occhiello dell’offerta, è stato proprio questo servizio il cavalli di battaglia fra le ragioni per cui preferire la pay tv di Murdoch alla più economica Mediaset Premium. L’Alta Definizione, alla quale sempre più italiani possono accedere (praticamente tutti i televisori LCD di ultima generazione hanno un ingresso HDMI), era esclusivo appannaggio di Sky Italia. Da agosto prossimo non sarà più così: anche Mediaset Premium lancia la sua offerta HD partendo, ovviamente, dallo sport con Premium Calcio HD.
    La rivoluzione, questo il paradosso, mostra tutte le limitazioni del DTT. Mediaset, con la capacità di trasmissione disponibile, potrà “permettersi” la trasmissione di uno, massimo due, canali in alta definizione per Multiplex. Quindi l’opzione HD sarà disponibile solo per le gare di “cartello”, quello cioè che si giocano al sabato e alla domenica sera senza la contemporaneità di altri match. In quel momento gli altri canali di Premium Calcio saranno spenti per permettere la trasmissione con lo standard della tv del futuro. Poca roba, ma finalmente qualcosa, in attesa che dal prossimo anno parte anche il primo canale cinema di Premium in HD.
    In poche settimane si porrà anche un problema non da poco conto per i tanti clienti Premium che aspettavano questa novità. Moltissimi, la gran parte, saranno costretti a dotarsi di un nuovo decoder o peggio ancora a doverne acquistare uno dovendo rinunciare alle potenzialità dei televisori LCD venduti fino ad oggi e che possiedono il modulo cam che consente la ricezione dei servizi pay del DTT.
    Per “proteggere” i contenuti non basterà più lo standard Common Interface, ma c’è bisogno di un upgrade al Common Interface +1. Pochissimi dei nuovi, ma già vecchi, decoder in vendita fino ad oggi supportano il CI+ quindi molti dovranno mettere nuovamente mano al portafoglio.
    Non è casuale il lancio del nuovo bollino “dorato” di DGTVi: solo gli apparecchi che saranno provvisti di questa certificazione potranno ricevere le trasmissioni HD di Mediaset Premium.
    • La piattaforma digitale più diffusa, come ampiamente prevedibile dato che va a sostituire direttamente la TV terrestre analogica, è il digitale terrestre. Il DTT è la televisione per come comunemente viene “recepita” dalla gente. Ha il pregio di garantire una certa semplicità d’installazione del decoder (o TV con ricevitore integrato) e beneficia del fatto che praticamente non c’è abitazione che non possieda un’ antenna per la ricezione dei segnali terrestri.
    • I suoi limiti sono soprattutto la copertura che, nonostante con lo switch-off ci si avvii a coprire in maniera omogenea l’Italia, resterà sempre un limite insuperabile in quelle zone orograficamente “difficili”. Oltre al limite dovuto alla limitata ristrettezza di banda disponibile (almeno fino a quando non si passerà al DVB-T2, uno standard ancora lontano dall’essere adottato a livello commerciale).
    • Problemi che invece non si pongono per il satellite, il quale ha dalla sua il vantaggio di consentire una copertura immediata e uniforme praticamente del 100% del territorio, con limiti più alti, parlando di banda disponibile per la distribuzione dei canali, rispetto al DTT.
    • Immediatamente dopo arriva l’IPTV, che, almeno in Italia, è la piattaforma più recente delle tre e che si pone come la più flessibile delle piattaforme digitali, poiché è l’unica ad offrire la possibilità del video on-demand e a consentire funzioni di piena interattività potendo contare su vero un canale di ritorno possibile grazie all’uso del protocollo IP per veicolare le trasmissioni.
    • l’IPTV soffre l’arretratezza nostrana per quanto riguarda la diffusione della banda larga e di diversi problemi di stabilità del segnale, legati, anche questi, ad un’ADSL non sempre all’altezza. Per non parlare di quello che indiscutibilmente è il limite maggiore alla sua diffusione: ovvero l’essere legata ad offerte che la prevedono esclusivamente come opzione a pagamento

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