Un mio articolo per il blog “Giovine Europa” degli amici federalisti Ernesto Gallo e Giovanni Biava:
http://www.linkiesta.it/blogs/giovine-europa-now/cittadini-non-sudditi
Buona lettura.
Un mio articolo per il blog “Giovine Europa” degli amici federalisti Ernesto Gallo e Giovanni Biava:
http://www.linkiesta.it/blogs/giovine-europa-now/cittadini-non-sudditi
Buona lettura.
La proposta Monti è un asso nella manica che il giocatore di poker esperto sa di dover giocare per ultimo, solo quando ha capito che sta per perdere la partita. Impiegare i fondi dell’ESFS per rastrellare titoli di Stato sui mercati secondari e riprendere l’azione di alleggerimento che la BCE operava nei giorni della Tempesta di Novembre, senza per questo imporre alcuna politica restrittiva sulla spesa ai governi “alleggeriti”, è la mossa che nessuno si aspettava ma che Monti sa bene essere già l’estrema ratio per il nostro paese.
Ieri a sorpresa anche il Financial Times, in home page, propagandava questa soluzione. Usare il MES per comprare titoli di stato. Fare con il meccanismo salva-stati quel che la FED fa normalmente (il cosiddetto quantitative easing, di seguito QE) e che alla BCE è vietato dai Trattati. E’ subito apparso chiaro che alla base ci sono differenze di lettura: Monti non vorrebbe assoggettare il governo alla Troika (BCE, Commissione, FMI) ; il Financial Times non si pone il problema, volto com’è a considerare solo la fase dell’emergenza che probabilmente si presenterà dinanzi al nostro paese prima dell’autunno; Merkel si è dichiarata prima contraria poi probabilista, ma in definitiva accetterebbe un QE da parte dell’ESFS o del MES solo ed esclusivamente in cambio di politiche finanziarie restrittive.
Il punto è questo: Draghi ha abbandonato dall’inizio dell’anno gli acquisti diretti di PIIGS Bond per fronteggiare la crisi del debito sovrano con l’arma del LTRO, longer-term refinancing operation, ovvero i prestiti agevolati alle Banche europee (durata tre anni con tasso all’1%). Le Banche hanno preso questi soldi con uno scopo ben preciso: rastrellare titoli di stato dei paesi di appartenenza. Sono avvenuti due LTRO: Il 22 dicembre 2011, 523 banche hanno partecipato all’asta LTRO, richiedendo 489,191 miliardi di euro; il 29 febbraio 2012, 800 banche hanno partecipato all’asta LTRO, richiedendo 529,53 miliardi di euro (Lavoce.Info – Articoli – Finanza – Prestiti Della Bce E Deposit Facility). Quasi mille miliardi di euro iniettati nel sistema. Risultato? Ora le banche italiane hanno una esposizione sul debito pubblico italiano pari al 170% della loro capitalizzazione (Linkiesta). E lo Stato Italiano dovrà rifinanziare da qui alla fine dell’anno circa 347 miliardi di euro del debito pubblico. Si tratta di una cifra che supera la disponibilità dell’ESFS ed è circa la metà del futuro MES (che non è ancora operativo). Nel mezzo ci sono le banche spagnole, altrettanto malmesse e in procinto di capitolare se non verranno ricapitalizzate. I denari dell’ESFS finirebbero quasi tutti nel gorgo muto delle banche spagnole. Ergo, non ci sono soldi per aiutare l’Italia. Un rebus di difficile soluzione:
Due sono i suggerimenti per Mario Draghi: un abbassamento dei tassi di mezzo punto percentuale e un nuovo Ltro. Nemmeno quest’ultima ipotesi, tuttavia, sarebbe una panacea. È come un cane che si morde la coda: le banche hanno soltanto 185 miliardi di euro di asset utilizzabili come collaterale a garanzia in caso di nuove aste agevolate messe in campo da Eurotower. Coprendo l’80% delle emissioni, da qui a un anno, si ritroverebbero però in portafoglio ben 575 miliardi di euro in obbligazioni governative contro 185 miliardi “liberi”: una sproporzione non da poco in caso di peggioramento delle condizioni macroeconomiche. http://www.linkiesta.it/banche-italiane-non-comprano-debito-italiano#ixzz1ySQxjRqI
Insomma, questa è la nuda verità e spiega il perché delle difficoltà borsistiche degli istituti di credito italiani. Il titolo Unicredit vale il 20% di quel che valeva lo scorso anno: circa 2 euro. E dire che fino ad un anno fa ci vantavamo che “il sistema bancario italiano non ha avuto la necessità di ricevere aiuti pubblici mentre altre banche e sistemi sono stati sostenuti dalla droga dei debiti” (Giulio Tremonti, 23/05/2011). Sembra preistoria.
Da qualche giorno si sono affermate voci circa un piano segreto di Merkel-Sarkozy sull’euro a due velocità. Un piano B, una estrema ratio per non far crollare la moneta unica. Il nuovo Trattato dovrebbe prevedere una integreazione della politica fiscale ed economica, con potere di veto del Consiglio sulle politiche finanziarie nazionali preventivamente alle deliberazioni dei Parlamenti Nazionali. Ebbene, le voci sono talmente attendibili che si sta prefigurando un nuovo pre-vertice a tre – Merkel, Sarkozy e Monti – già martedì prima del Consiglio e dell’Ecofin, appuntamenti decsivi per noi, Mario Monti dovrà infatti presentare in anteprima il pacchetto di misure finanziarie urgenti, previsto per il CdM del 5 Dicembre.
Il Nuovo Trattato si prefigura come uno scarto in avanti nel processo di integrazione ma un passo indietro in termini di democrazia. Di fatto le novità che emergono in queste ore sono tre:
Sembrerebbe che al Nuovo Patto di Stabilità non ci siano alternative. Il piano Barroso per istituire gli stability bonds, visto in sé, non è che un palliativo. Gli eurobonds non servono senza una politica comune in materia fiscale e finanziaria, questa è l’opinione della Merkel.
Di fatto stiamo svendendo la nostra sovranità a istituizioni sopranazionali che già nel corso della loro lenta costruzione e evoluzione hanno palesato pesanti deficit di democrazia, tanto più che l’organo effettivamento eletto dell’Unione Europea, il Parlamento, è praticamente esautorato, marginalizzato alla sola pratica codecisionale del vecchio primo pilastro della Comunità, messo sotto il giogo del Consiglio, quel consesso litigioso di capi di governo e di stato che dall’allargamento a 27 Stati non decide più nulla ed è eterodiretto dal mostro a due teste Merkozy.
Tutti d’accordo che l’euro e l’Europa vadano salvati ma accordo zero su come debbano essere salvati. Scrivono su Le Monde che la distanza d’opinione fra Merkel e Sarkozy sia abissale e che l’incontro di oggi abbia sancito l’isolamento del presidente francese, spiazzato dalle dichiarazioni di Mario Monti, a sorpresa orientato sulla lughezza d’onda di Berlino.
Riporto e traduco un articolo di Le Monde che riassume le diverse posizioni dei leader europei.
Tratto da Le Monde, 25/11/2011, traduzione propria
Angela Merkel ha fatto della riforma dei trattati europei la conditio sine qua non per il nuovo sforzo di solidarietà. Per lei, questa revisione “limitata” è quella di scrivere nella pietra i principi della disciplina di bilancio tanto cara alla Germania.
Per integrare ulteriormente il governo economico della zona euro, la Cancelliera domanda nuovi trasferimenti di sovranità di bilancio. Essa propone, tra l’altro, di rendere possibile il deferimento alla Corte di giustizia europea contro gli Stati non in grado di soddisfare il patto di stabilità. Prima del Consiglio europeo del 9 dicembre, che può essere preceduto da un picco [negativo] nella zona euro, la signora Merkel sta cercando di convincere i suoi partner, piuttosto divisi sull’utilità e le modalità di tale revisione. Il processo è lungo e complicato, potrebbe anche fallire in fase di ratifica, se si ricorda la triste esperienza della Costituzione respinta da Francia e Olanda nel 2005. La Francia, riluttante in un primo momento, vuole allargare il dibattito a favore della convergenza economica e fiscale. Essa propone la fine dell’unanimità in materia fiscale.
Per Nicolas Sarkozy, come molti leader della zona euro, la Banca centrale europea (BCE) dovrebbe essere trasformata in un prestatore di ultima istanza dell’unione monetaria. Sarebbe un modo per allineare la sua azione con quella di altre banche centrali come la Federal Reserve e la Banca d’Inghilterra, molto attive nel sostenere i loro stati. Visti da Parigi, ma anche da Londra e Washington, la BCE è oggi l’unica in grado di calmare la crisi, così come il fondo di salvataggio costituito da un anno potrebbe essere rafforzato nel tempo. La Germania si oppone a questa visione e obbietta che i Trattati europei vietano alla banca centrale di ‘far camminare la macchina da stampa‘ per tirare fuori dai guai gli stati. Ansioso di difendere la sua indipendenza, Mario Draghi , il presidente della BCE dopo la partenza di Jean-Claude Trichet il 1 ° novembre, ha avvertito che gli interventi in corso della Banca dal Maggio 2010 che hanno comprato il debito dei paesi in difficoltà, sarebbero stati temporanei. La questione divide il consiglio di amministrazione dell’istituto in cui una grande minoranza, guidato da Jens Weidman, presidente della Bundesbank, si oppone a eventuali cambiamenti nel ruolo della BCE.
José Manuel Barroso , presidente della Commissione europea, ha proposto Mercoledì 23 novembre di passare ad una più o meno completa condivisione dei debiti europei. L’introduzione delle obbligazioni in euro hanno il vantaggio di facilitare il finanziamento dei paesi a basso costo in difficoltà. A Bruxelles, questa opzione è considerata possibile solo se messa in atto un vero e proprio sistema integrato di sorveglianza di bilancio. Senza attendere, la Commissione ha inoltre proposto Mercoledì che gli Stati e il Parlamento europeo si dotino di nuovi poteri di controllo dei progetti di bilancio dei paesi in disavanzo eccessivo, anche prima della approvazione dei bilanci da parte dei parlamenti nazionali.
“Senza una più forte governance economica, sarà difficile se non impossibile, mantenere una moneta comune“, ha avvertito Barroso. L’obiettivo è quello di placare Germania, Finlandia e Paesi Bassi. Per questi paesi, gli Eurobonds sono suscettibili di favorire il lassismo dei meno virtuosi. Angela Merkel, che ha respinto sin dall’inizio della crisi l’istituzione di un tale meccanismo, ha descritto Mercoledì come “estremamente inappropriate” le proposte della Commissione.
David Cameron, il primo ministro britannico, teme la creazione di una Europa a due velocità, guidata da una unione monetaria più integrata. Le sue preoccupazioni sono condivise dalla maggior parte degli Stati dell’Europa centrale, Polonia in testa, la cui adesione all’euro è ritardata a causa della crisi del debito. Ansioso di non essere emarginati, ma tenendo i piedi più che mai lontani da l’euro, il Regno Unito ha affermato il diritto di rivedere alcune decisioni dell’unione monetaria, in particolare nel regolamento finanziario. David Cameron ha avvertito che in caso di aggiunta di nuova revisione dei trattati, il partito più conservatore ed euroscettico è sicuro che chieda il rimpatrio dei poteri trasferiti da Londra a Bruxelles. Questa posizione è un anatema per i suoi partner, a cominciare da Nicolas Sarkozy. “Sarebbe stato meglio tacere“, ha fatto sapere il presidente francese in un recente Consiglio europeo, circa i consigli del sig Cameron. Se la riforma del trattato dei 27 sembrerebbe essere impossibile, a causa degli inglesi, i francesi sono i soli a considerare la possibilità di un trattato tra i soli paesi della zona euro. Una sorta di zoccolo duro, a condizione che l’euro superi la crisi.
[scritto da Philippe Ricard (Bruxelles, Ufficio europeo) per Le Monde, tradotto in italiano da cubicamente]
Non c’era alcun intento ironico, ripetono da Parigi e da Berlino. Non si voleva dileggiare il presidente del Consiglio italiano. Eppure tutti abbiamo avuto la medesima sensazione – a parte il TG1. Tanto che B. ha pubblicato sul sito del governo questo comunicato:
“L’Italia ha già fatto e si appresta a completare quel che è nell’interesse nazionale ed europeo, e che corrisponde al suo senso di giustizia e di equità sociale. Onoriamo il nostro debito pubblico puntualmente, abbiamo un avanzo primario più virtuoso di quello dei nostri partner, faremo il pareggio di bilancio nel 2013 e nessuno ha alcunché da temere dalla terza economia europea, e da questo straordinario paese fondatore che tiene cara la cooperazione sovranazionale almeno quanto la sua orgogliosa indipendenza.
Quanto alle turbolenze da debito sovrano e da crisi del sistema bancario, in particolare franco-tedesco, abbiamo posizioni ferme, che porteremo al prossimo vertice dell’Unione. L’euro è l’unica moneta che non abbia alle spalle, come il dollaro o la sterlina o lo yen, un prestatore di ultima istanza disposto a difendere strutturalmente la sua credibilità di fronte all’aggressività dei mercati finanziari. Questa situazione va corretta una volta per tutte, pena una crisi che sarebbe crisi comune di tutte le economie europee.
Stiamo facendo qualche timido passo avanti per un governo dell’area euro, ma resta ancora molto da fare. La Germania di Angela Merkel è consapevole di questo, e il suo lavoro si avvarrà della nostra leale collaborazione. Nessuno nell’Unione può autonominarsi commissario e parlare a nome di governi eletti e di popoli europei. Nessuno è in grado di dare lezioni ai partner. D’altra parte l’insieme della classe dirigente italiana, se vuol essere considerata tale, invece che un coro di demagoghi, dovrebbe unirsi nello sforzo dello sviluppo e delle necessarie riforme strutturali sulle quali il governo ha preso e sta per prendere nuove decisioni di grande importanza.
L’Italia del lavoro e dell’impresa sa come stanno le cose, vuole un deciso impulso alla libertà e alla concorrenza, e non partecipa a giochi di potere, interni ed europei.
Sarebbe un bene se l’Italia dei partiti e delle fazioni si scrollasse di dosso le vecchie abitudini negative, e per una volta si mettesse a ragionare in sintonia con il paese reale abbandonando il pessimismo e il catastrofismo.
Da qui possono partire il risanamento e la ripresa”.
Attenzione perché questo comunicato è un capolavoro di contorsionismo. E’ esattamente diviso a metà: il primo colpo lo sferra in sede europea, ma il nome di chi lo riceve non c’è. B. ha disseminato questo capoverso di indizi: parla di crisi del debito franco-tedesca, di un commissario che non può ergersi a giudice degli altri governi. Il nome occulto è naturalmente quello di Sarkozy. Dicendo questo, B. commette un errore, ovvero afferma che in Europa non ci sia alcuna istituzione che possa giudicare i governi. Dice questo perché la sola dimensione europea che conosce è quella intergovernativa, quella del Consiglio, il vecchio secondo pilastro del Trattato di Maastricht. In realtà le istituzioni comunitarie, la Commissione e la corte di Giustizia, possono eccome giudicare l’operato dei governi – cioè le loro leggi – tramite il giudizio di legittimità della Corte e i pareri e le raccomandazioni della Commissione, mentre il Parlamento è il soggetto istituzionale che può “parlare a nome dei popoli europei”. Si può quindi concordare sul fatto che la sua sia una visione ben poco europeista. Eppure, sfacciatamente e senza vergogna, al capoverso precedente, B. vagheggia di un governo dell’euro, un vero e proprio governo economico dell’Europa, qualcosa che in cinquant’anni di integrazione non è mai stato raggiunto. Passa dal massimo grado dell’integrazione al minimo nello spazio di sette righe.
Poi c’è la seconda stoccata, sferrata questa in pieno campo nazionale: prima strizza l’occhio all’Italia “del lavoro e dell’impresa”, quindi bacchetta l’Italia “dei partiti e delle fazioni“. In una riga, ha svelato la sua nuova strategia politica, che è una riedizione della vecchia, vecchissima litania in uso nel 1994, la società contro la partitocrazia. E lui dove si colloca in questa eterna irrisolvibile dicotomia? Ma ovviamente nel campo dei buoni, dalla parte della bistrattata e tartassata società. Dimentica che dal 1994 sono trascorsi ben 17 anni. Dimentica di essere tuttora capo del governo. Dimentica di avere cinque legislature alle spalle ed è ora di prender coscienza del (suo proprio) fallimento.
Il rapporto deficit/pil dell’Irlanda, un tempo tigre europea con tassi di crescita a due cifre, emblema del neo-liberismo, del laissez-faire, raggiungerà a fine anno la quota del 30%. E’ il risultato dell’esposizione dello Stato nel salvataggio del sistema bancario irlandese. L’onda lunga del fallimento Lehmann-Brothers.
Non è un caso se il mercato finanziario si comporti come un cecchino all’ultimo piano di un palazzo: prende di mira i più deboli. Quelli che non sono stati in grado di fornire risposte concrete in fatto di riduzione dell’indebitamento. L’Europa tutta è tremolante come una massa gelatinosa. Non uno dei nostri governanti che si sia speso per il bene collettivo dell’Unione Europea. Né Sarkozy, né Merkel; né tantomeno Berlusconi. Il piano di salvataggio dei soci dell’Euro dal rischio default è una barzelletta a cui nessuno più crede. La Grecia è sotto tutela della riluttante Germania, che ha messo faccia e quattrini sul suo debito extralarge. I governanti greci rischiano l’insurrezione armata di popolo. Eppure sono stati messi dinanzi alla eventualità di altri ulteriori massacranti tagli alla spesa pubblica. A cos’altro dovranno rinunciare i cittadini greci? Alla sanità? alla pensione? Forse se le sono già giocate entrambe. Quando non resterà più nulla, dovranno forse rinunciare alla costosa democrazia?
Merkel non può cedere dinanzi agli elettori. In Germania l’orientamento dell’opinione pubblica è fortemente contrario a spendere un solo quattrino per gli altri paesi europei. Dei PIGS non vogliono sentir parlare.D’altro canto, il governo irlandese non vuole cedere fette di sovranità nazionale in materia finanziaria all’Europa: è ancora una storia di Leviatani che pretendono per sé tutti i diritti sul piano nazionale, e tutte le libertà sul piano delle relazioni internazionali. La storia ha insegnato che la sovranità assoluta, senza limiti, porta alla divisione e al conflitto. L’Unione Europea nacque proprio per impedire il riproporsi di un stile di relazioni internazionali basate sul confronto di potenze. E ora che la sempre più stretta interelazione economico-finanziaria ha reso imprescindibile l’esistenza di una coordinazione delle politiche dei paesi dell’Euro, la sovranità nazionale si trova sempre lì, nel mezzo, come un sasso su cui inciampare. L’Irlanda ha costruito il suo boom economico con politiche fiscali da paradiso caraibico suscitando le velleitarie polemiche dei partner europei. Adesso si trova dinanzi alla prospettiva di rinunciare al modello neo-liberista per introdurre una forte tassazione che presumibilmente indurrà il capitale estero alla fuga. O default, o delocalizzazione: non vi à altra scelta.
“Quando a maggio”, scrive Federico Fubini su Il Corriere della Sera (17.11.2010, p. 16), “ha votato la propria parte dei fondi per la Grecia, oltre 15 miliardi in tre anni, in aula sedevano diciassette deputati. Negli stessi giorni il Bundestag a Berlino ha deliberato sulla sua quota del prestito, e sotto la cupola di cristallo non uno si era dato malato o preso altrove. E’ stato uno dei dibattiti più seguiti dell’anno. Se L’Europa è una realtà scontata in Italia, in Germania è uno di quei fantasmi capaci di far perdere le elezioni anche al più solido dei leader”. L’Italia ha il secondo debito d’Europa. L’irresponsabilità di una crisi di governo al buio ha indotto Napolitano a scendere a pié pari sul campo politico e stabilire una road map ben chiara a tutti, la quale forse prevede anche una ulteriore “fase di responsabilità nazionale” dopo il 14 dicembre, giorno designato per la Caduta di Re Silvio. Se ne parla come al bar: un governo tecnico? No! elezioni subito. E’ un ballo sin troppo noto, quello del Transatlantico. Elezioni sì, elezioni no. Mentre la politica si trastulla con dubbi amletici, la casa comune europea va in fiamme.