Un articolo di Jurgen Habermas per Le Monde è comparso stamane su La Repubblica. Il sociologo tedesco parla della situazione attuale e della crisi del processo di integrazione europea, dei “difetti” che gravano sulla casa comune eureopea, dell’unione monetaria e di quella politica, incomplete e precarie, ancor oggi in oscillazione fra dinamiche confederali, infragovernative, e dinamiche federali. L’Unione, scrive Habermas, dovrebbe garantire – come recita l’art. 106, c. 2 della Costituzione Federale Tedesca – l'”omogeneità delle condizioni di vita“: egli preconizza una Unione Europea che persegue non già la stabilità di astratti indicatori macroeconomici, ma il benessere sociale.
Invece la costruzione europea difetta ancor prima che della giusta struttura costituzionale – che non potrebbe che essere federale – della volontà politica. L’élite politica europea è vittima della paura del demos, della paura dell’opinione pubblica. E’ in buona sostanza una élite populista, incapace di anteporre i “buoni argomenti” ai sondaggi d’opinione. L’Europa è un tema scomodo e impopolare e l’élite politica tiene soprattutto a perpetuare sé stessa.
“Perché questa paralisi? E’ una prospettiva prigioniera del XIX secolo, che impone la risposta nota del demos: un popolo europeo non esiste e dunque un’unione politica degna di questo nome sarebbe costruita sulla sabbia” (Il futuro dell’Unione fra crisi e populismo, J. Habermas, La Repubblica, 10/11/11, p. 38).
Insomma, i guasti dell’Unione sono noti da tempo. Nemmeno i media provano a sopperire all’assenza di partecipazione dei cittadini all’Unione Europea con una maggior informazione ed è un errore grave poiché soltanto con una maggior consapevolezza dei cittadini europei circa la ‘profonda influenza che le decisioni UE’ hanno sulla loro vita, si potrebbe far crescere l’esigenza di maggior trasparenza e democrazia delle istituzioni. Invece, sebbene il Trattato di Lisbona abbia configurato una struttura federalista dell’Unione, a prevalere è ancora la dinamica intergovernativa del Consiglio Europeo, laddove si inscena una sorta di concilio dei governi nazionali intenti a strappare decisioni favorevoli al proprio interesse (che, ripeto, è quello di rimanere in carica più a lungo).
La Crisi del debito sovrano ha messo in evidenza che le decisioni del Consiglio pesano “in modo squilibrato” sui bilanci nazionali. Di fatto, un organismo sopranazionale, non democratico, agisce e preme sui parlamenti nazionali, legittimati dalla volontà popolare espressa dalle elezioni.
Ne consegue che il deficit democratico del Consiglio andrebbe superato con una riforma dei Trattati, si diceva un tempo, facendo cioè passare la materia finanziaria dal Secondo Pilastro della UE (‘intergovernativo’) al Primo Pilastro, ovvero integrandolo nella politica comune condotta dalla Commissione e discussa e deliberata da Parlamento e Consiglio Europeo, con la partecipazione in fase consultoria dei Parlamenti Nazionali. Una riduzione di sovranità che è già in atto e che sta pericolosamente confluendo in una dinamica antidemocratica. Ma il processo di integrazione, dicevo, è fermo. A prevalere e ad essere soverchiante, è l’oscena diarchia dei pre-summit (così anche Prodi) di Merkozy, del Giano Bifronte Merkel-Sarkozy. L’asse franco-tedesco, anima dell’integrazione europea fin dagli anni Sessanta, la vecchia Europa di W. Bush, è oggi il principale ostacolo all’Unione Europea.
Invece, Merkozy pensano di giungere alla modificazione dell’area euro, pretendendo di selezionarne i paesi membri ed espropriando noi cittadini europei della nostra moneta, fondamentalmente con due proposte:
- CDU e Merkel: riforma dei trattati per permettere l’uscita dall’Euro ai paesi che lo chiedono – ipotesi di un’area Euro di tipo flessibile;
- Sarkozy: area Euro a due velocità, un euro del nord in cui procedere a ulteriori inegrazioni (finanziarie e fiscali); un euro del sud, indefinitamente lasciato ai paesi del mediterraneo e a tutti quei paesi che non sono in grado di entrare nel nocciolo duro, naturalmente blindato con una revisione in senso rafforzativo del patto di stabilità.
E’ solo il tramonto di questi leader politici che potrebbe cambiare le cose. Il problema europeo è un problema di volontà politica. Se persistono visioni del mondo in cui si possono fare club prestigiosi e ristretti e tesi all’esclusione di chi ‘sta a sud’, allora non potrà che persistere la crisi.