Un metodo Boffo per Giulio Tremonti

I fatti risalgono ad inizio Giugno e sono riportati nel verbale dell’interrogatorio di Tremonti eseguito dal pm Woodcock nell’ambito dell’inchiesta sulla P4:

La Stampa ha potuto prendere visione del verbale dell’interrogatorio, durante il quale i magistrati hanno fatto ascoltare a Tremonti la registrazione di una telefonata avvenuta il 7 giugno scorso tra il presidente del Consiglio e il capo di stato maggiore della Guardia di Finanza, generale Michele Adinolfi. Con Berlusconi, spiega Tremonti ai magistrati, «ebbi una discussione (…), seguito di precedenti discorsi sulla politica in generale, sulla manovra di pareggio economica da fare, eccetera», nella quale «io e il presidente del Consiglio manifestammo posizioni diverse sulla politica di bilancio» (La Stampa.it)

Successe allora che B. e Tremonti ebbero un diverbio acceso derivante dalle critiche dello stesso B. sulla sua “attività di ministro”. Nei giorni successivi, Giulio temette di esser sottoposto al metodo Boffo, tanto più che su “alcuni settori” della stampa si poteva registrare una certa tendenza a chiederne le dimissioni. Fu allora che Tremonti espresse la sua “refrattarietà ad essere oggetto di campagne stampa tipo macchina del fango. Tremonti avrebbe espresso il suo disappunto anche in relazione a quella che lui chiama “conflittualità” fra i vertici della Guardia di Finanza. Chiaro il riferimento al generale Adinolfi.

Di fatto Tremonti è diventato negli ultimi mesi, man mano che il malcontento sull’azione di governo è diventato palese con i voti alle amministrative e ai referendum, il capro espiatorio dell’insuccesso politico di B. Anche la Lega Nord ha partecipato all’applicazione del metodo Boffo su Tremonti. Diversamente che in passato, il metodo Boffo si è esplicato in questo caso quasi sotterraneamente, senza casi specifici. Stamane, sulla scia della intervista – poi derubricata a chiacchierata – di Berlusconi a La Repubblica, in cui B. critica pesantemente l’ex amico Giulio, le prime pagine dei giornali di “alcuni settori” della stampa mettevano letteralmente e figurativamente Giulio in croce. Per tutta la giornata si sono inseguite le voci su possibili dimissioni di Tremonti. L’esito è stato il tonfo in Borsa (-4%) e il picco sullo spread fra Bot e Bund tedeschi e questo significa aumento degli interessi pagati sul debito e vanificazione degli sforzi e degli impegni presi in Finanziaria. Un disastro tecnico e tattico.

Ma Berlusconi viene oggi dipinto come un signore stanco e malato, solo, incapace di sorridere, privo dello slancio degli anni che furono, in preda forse a amnesie, che chiacchiera a briglia sciolta – in presenza del suo portavoce Bonaiuti – con un cronista di La Repubblica senza immaginare la portata devastante sui mercati delle sue parole. Insomma, un pericolo pubblico.

E buon Metodo Boffo per tutti! Dalla prima pagina de Il Giornale ai berlusconiani

Metodo Boffo per tutti. La prima pagina de Il Giornale di stamattina è qualcosa di incredibile. Solo un catenaccio, molto piccolo sulla Libia. Il resto è bastone. A volontà. In primis per umberto Eco, reo di aver affermato che anche Hitler è stato eletto dal popolo, perciò una democrazia non è tale solo in virtù del voto popolare. Apriti o cielo: Eco “userebbe” la marocchina come un’arma. Che fantasia.

Il veleno peggiore è riservato per Saviano, altro protagonista del Palasharp:

“Luigi Saviano è imputato, insieme ad altri medici e professionisti, con l’accusa di truffa, ricettazione, corruzione e concussione ai danni dell’Asl” di Napoli […]  “L’imbarazzo del paladino della legalità”.“Nelle contestazioni mosse a Luigi Saviano, nero su bianco si parla del ‘suo ruolo in seno all’organizzazione, in particolare quello di assicurare ai gestori di tali centri un ingiusto profitto derivante da una serie cospicua di ricette riportanti prescrizioni fittizie di analisi cliniche’. (…) I fatti risalgono al periodo 2000-2004, ma il 19 maggio prossimo il tribunale di Santa Maria Capua Vetere dovrà decidere se accorpare al procedimento riguardante il papà dello scrittore un secondo filone, nel quale vengono contestati gli stessi reati che sarebbero stati commessi fino al 2006 e che vede alla sbarra gli stessi imputati”[…] “La parola passa ora al tribunale, anche se il processo sembra destinato a finire in prescrizione. Giuridica, non medica”.

La vicenda è vecchia, ma così è il Metodo Boffo: si rimesta nel cestino dell’immondizia alla ricerca di qualche notizia datata cheserve allo scopo di sporcare la figura di chi critica il Padrone. Il solito copione che questa volta è incentrato su un’inchiesta del 2004, mentre nel titolo non c’è alcuna evidenza di questo. Il fatto è noto e ne potete trovare traccia negli archivi del Corriere del Mezzogiorno. Nemmeno un cenno, poi, al fatto che “i rapporti fra lo scrittore e sue padre si sono interrotti ben prima che l’uomo fosse inquisito (e imputato)” (Corriere.it, cit.).

Rapporti che hanno portato lo scrittore a vivere da solo a Napoli, nei Quartieri Spagnoli a ridosso di via Chiaia, laurearsi tra mille difficoltà, anche economiche, diventare uno dei migliori allievi del professor Alfonso Barbagallo, a cominciare a scrivere per il «Bollettino sulla camorra» e le illegalità del Corriere del Mezzogiorno a partire dal gennaio 2005. Roberto aveva rotto con il padre, non lo tratta bene nel suo libro «Gomorra» (basta leggerlo per capire il distacco tra i due) e con lui non ha avuto rapporti da quando c’è stata la frattura. Chi, approfittando del fatto che il 19 maggio ci sarà l’udienza per decidere se «fondere» il procedimento che riguarda fatti del 2000-2004 a quelli che sono stati commessi in seguito, oggi riporta la notizia non scopre niente di nuovo (ibidem).

Poi in questa torbida prima pagina c’è pure spazio per la Boccassini, rea di aver voluto arrestare Garibaldi, ma non l’eroe dei due mondi, sia chiaro, bensì la nipote. Un titolo furbino che fa riferimento ad una vicenda precedente addirittura a Mani Pulite, processo Duomo Connection:

La pronipote dell’Eroe dei due mondi: “Quand’ero nel Psi venne la Digos a casa mia dicendomi che ero implicata in un giro di tangenti e traffico d’armi. Rimasi sotto il torchio della pm fino all’alba: voleva che facessi il nome dell’ex sindaco Pillitteri. Le accuse? Svanite…” (Il Giornale.it).

Di che cosa è accusata ora la Boccassini? Di aver fatto il suo mestiere? Se ci fate caso ce n’è anche per i magistrati del caso Scazzi e per quelli del tabaccaio giustiziere. Insomma, un capolavoro di ignoranza.


Il dossier sulla Boccassini prelevato al Csm da un leghista

Quanti servitori per due quattrini. I leghisti non sono da meno. Ricordate l’attacco perpetrato giusto ieri da Il Giornale al magistrato Ilda Boccassini? Sallusti aveva sbattuto in prima pagina a caratteri cubitali una storia vecchia di trent’anni: “amori segreti”, scrivevano ieri, “verità nascoste”, lasciando immaginare al distratto e annoiato lettore di centrodestra chissà quali scandali nel passato della Boccassini.

Trattasi di un procedimento disciplinare che il magistrato subì per esser stata sorpresa in atteggiamenti amorosi con un giornalista di Lotta Continua. La Boccassini all’epoca aveva trent’anni. Era innamorata di un giornalista “rosso”. Era maggiorenne ed erano gli anni di piombo. Il procuratore capo, tale Mario Gresti, fece rapporto al procuratore generale che a sua volta trasmise gli atti al CSM. La Boccasini fu difesa da Armando Spataro, oggi procuratore della Repubblica aggiunto presso il tribunale di Milano nonché coordinatore del Gruppo specializzato nel settore dell’antiterrorismo, e fu assolta. Non era venuta meno al vincolo di segretezza. Certo, Sallusti e soci vi hanno raccontano solo un pezzo della verità, solo quella che gli conveniva. Soprattutto non vi hanno raccontato come sono venuti in possesso del “dossier Boccassini”.

Dovete sapere che i procedimenti disciplinari, all’epoca dei fatti, nel 1982, erano secretati. Non sono atti a disposizione di tutti. Qualcuno deve aver consegnato a Sallusti questo carteggio scottante. Chi?

Di servi ne è pieno il Parlamento. e pure il CSM. La talpa dei berluscones è un leghista, tale Matteo Brigandì, messinese ma operante in Piemonte (un leghista siciliano, che anomalia…), membro laico del CSM. Fra il 18 e il 20 Gennaio scorsi, Brigandì si sarebbe rivolto alla sezione disciplinare del CSM ed lì ha scovato quel vecchio fatterello che riguarda Ilda la rossa. Ora al CSM vogliono punirlo in maniera esemplare. Ma a lui cosa può interessare: può assurgere finalmente alla corte dei berluscones di ferro, ai martiri di Arcore. Largo, passa Brigandì.

La talpa del Biscione: la spia del giudice Mesiano era un finanziere

La pupa D’Addario e i pupari. Complotto in 3 mosse

Ma Grillo vuole rilanciare il Pd o il suo 740?

Leggete Panorama? No? Allora vi siete persi, come il sottoscritto, l’opera omnia di Giacomo Amadori, giornalista d’assalto del settimanale di casa Mondadori/Biscione. Dovete sapere che le informazioni su cui si basano i suoi articoli, tutti affilati come gli spuntoni di un forcone, derivano da furti di dati operati da un sottufficiale della Guardia di Finanza di Pavia, “arrestato nell’ambito di un’inchiesta della procura di Milano sull’accesso abusivo a sistemi informatici dati in uso al Corpo” (Notizie riservate a giornalisti, arrestato sottufficiale Gdf | Prima Pagina | Reuters).

Non è chiaro se fra i due sia intercorso del denaro, ovvero se Amadori pagasse le “prestazioni” del finanziere. Ma tant’è, lo sporco lavoro del giornalista può contemplare anche questo, sbirciare nel 730 di un giornalista (Travaglio), di un comico (Grillo), di un giudice (Mesiano), di una escort (D’Addario). Che cosa hanno in comune questi nomi? La scomodità per l’inquilino di Palazzo Grazioli e per la sua corte. D’altronde, ciò che fa Amadori è giornalismo d’assalto, ciò che fanno i giudici – nei confronti per esempio di Bertolaso, o Verdini, trattasi chiaramente di “fango”.

Ma Amadori è al centro anche dello scandalo Marcegaglia-Arpisella-Porro. Panorama, con il numero della scorsa settimana, ha rinforzato la tesi de Il Giornale sul caso Porro-Arpisella, e del dossieraggio presunto imbastito dalla redazione di Via Negri contro la presidente di Confidustria, pubblicando una telefonata intercorsa fra lo stesso Arpisella e Amadori. In quella conversazione, Arpisella avrebbe minacciato Amadori di mettere Confindustria contro il Governo qualora Panorama avesse pubblicato articoli sconvenienti sulla famiglia Marcegaglia. La registrazione è all’origine della rimozione di Arpisella dal ruolo di portavoce della Sciura di Confindustria. Arpisella era spaventato dall’intenzione di amadori di fare riferimento esplicito al ruolo di un consorzio rifiuti, Cogeam, di cui Marcegaglia è parte:

Arpisella: «Lascia fuori il nome (di Marcegaglia, ndr) dal (termine incomprensibile, ndr), ti prego per cortesia (…). Ti spiego alcune cose che non vanno dette nemmeno per telefono: guarda che si incazzano anche in alto i tuoi, su questa cosa (…), perché se incominciamo a rompere i coglioni noi al governo, cioè capisci, come Confindustria… Perché tirare in ballo questa roba qua? Ma che cazzo ti frega, nella completezza del pezzo, fare riferimento a Marcegaglia? Parla di Cogeam (il Consorzio stabile di gestioni ambientali, di cui fanno parte società di Marcegaglia, ndr), che te frega… Hai capito il senso? (…) Anche perché dobbiamo fare la copertina… facciamo (termine incomprensibile, ndr) in copertina e poi mi vieni in c… tu con quel pezzo?» (Panorama.it).

Ora viene spontaneo pensare e ipotizzare, anche solo per fare della scolastica dietrologia, che Amadori fosse in possesso di altre ulteriori informazioni che avrebbero potuto nuocere a Marcegaglia. Informazioni che si possono avere solo con fonti ben posizionate. E Amadori evidentemente le aveva.

Perquisizione al Giornale in cerca del superpezzo giudiziario sulla Marcegaglia

Perquisizione a Il Giornale? Indagati Sallusti e Porro? Bè, lo avevano anticipato dalle loro colonne, no? Che c’erano due procure, una a nord e una a sud, che tenevano sotto controllo i telefoni della redazione. E infatti l’indagine dei pm di Napoli, Vincenzo Piscitelli e Henry John Woodcock, sarebbe scattata in seguito a intercettazioni disposte nell’ambito di un’altra inchiesta di cui non si sa ancora nulla (***aggiornamento ore 18: secondo Il Fatto, il telefono posto sotto intercettazione era quello del portavoce della Marcegaglia, non quello de Il Giornale, né di sallusti o di Porro. Porro viene intercettato perché è lui che chiama Arpisella).

Secondo l’ANSA, Nicola Porro, vicedirettore de Il Giornale, avrebbe inviato un sms lo scorso 16 Settembre a tale Rinaldo Arpisella, addetto stampa della Marcegaglia: “ciao, Rinaldo, domani super pezzo giudiziario sugli affari della family Marcegaglia”. Arpisella, ricevuto l’sms, ha chiamato Porro, con il quale ha evidentemente una conoscenza personale, e Porro ha per così dire rincarato la dose affermando “adesso ci divertiamo per venti giorni romperemo il cazzo alla Marcecaglia come pochi al mondo!”. E orgogliosamente ha avvertito Arpisella di aver “spostato i segugi da Montecarlo a Mantova”.

Perché Marcegaglia? Pochi giorni prima, dalle pagine del Corriere della Sera, Emma ebbe a criticare il governo sostenendo l’inutilità degli scontri personali, chiaro riferimento alla vicenda Montecarlo/Fini che imperversava in quei giorni sulle prime pagine di Libero e Il Giornale. Porro avrebbe chiesto esplicitamente che la Marcegaglia correggesse quelle affermazioni, altrimenti avrebbero pubblicato il dossier giudiziario sulla sua famiglia. I pm hanno ipotizzato il reato di concorso in violenza privata.

Strumento chiave dell’indagine, ancora una volta, le intercettazioni. I magistrati possono perseguire un reato di cui trovano informazione in intercettazioni disposte per un’altra inchiesta. E’ quel che si voleva vietare con il ddl intercettazioni. Feltri, intervistato oggi, parla di “questo fatto della Marcegaglia”, “una sciocchezza”, a suo avviso (Virgilio Notizie). Di fatto, però, un vicedirettore di giornale minaccia la pubblicazione di un articolo scandalistico per far redimere la presidente di Confindustria. Chi attacca B. “muore”. E’ così che funziona? L’indagine di Woodcock smaschera gli esecutori del “metodo Boffo”? C’è chi ha da ridire sul metodo perseguito: la perquisizione appare un mezzo sproporzionato rispetto alla notizia di reato. Giulietti (Articolo 21): “non ci sono mai piaciute le perquisizioni nelle sedi dei giornali e per questo non ci e’ piaciuta neppure quella ordinata nella sede del Giornale […] s e davvero si vogliono mettere le mani sulla fabbrica dei veleni le perquizioni andrebbero disposte altrove anche a costo di disturbare logge e servizi deviati” (Libero-news.it).

Ora, forse lo zelo del magistrato può essere oggetto di critica. Forse la perquisizione è esagerata. Ma dopo il bastonamento a mezzo stampa di Boffo prima, e di Fini poi, l’ipotesi secondo cui al Giornale erano pronti per “trattare” Marcegaglia (e anche Montezemolo?)  è inquietante. Una domanda su tutte: Il Giornale è un mezzo per sputtanare chi è contro B. (ovvero il suo proprietario)? A questo punto si è ridotto il giornalismo? A mera servitù, persino poco elegante.

Fini-Tulliani, Dagospia scivola sul tarocco

Conoscete la storia di Montecarlo e di Rue Princess Charlotte 14. Il famigerato appartamento monegasco di An, venduto alle società off-shore e poi tornato nelle disponibilità del cognato di Fini, tal galantuomo che risponde al nome di Giancarlo Tulliani. La vicenda è lo specchio del beccamortismo dei giornali italiani, nonché di attempati frequentatori del web, come può esserlo Dagospia. Ma anche dell’importanza del netizen journalism e della capacità del web di sottoporre l’informazione alla pronta verifica da parte di ognuno di noi. Il corotcircuito mediatico si innesca tanto facilmente quanto si disinnesca facilmente. Poi capita che telegiornali disattenti come quello di La7 (non me ne voglia Mentana) riciclino la panzana di Dagospia vendendola per verità assodata, quando invece è frutto del tarocco. E’ il sito di Giornalettismo.com a smascherare i lestofanti:

  • questo il teorema di Dagospia: 1- L’AFFAIRE FINI/TULLIANI POTEVA DEFLAGRARE IL 27 NOVEMBRE 2009 MA NESSUNO HA VOLUTO ACCENDERE LA MICCIA. ERA TUTTO SCRITTO SU UN BLOG, RAI E MONTECARLO E “COGNATINO” COMPRESI. COSA È SUCCESSO, ALLORA? FORSE PER “LIBERO” I TEMPI NON ERANO ANCORA BERLUSCONIAMENTE MATURI PER SFASCIARE L’EX FASCISTA FINI? – (TRA GLI ‘ADDETTI AI LIVORI’ SI SUSSURRA INFATTI CHE DIETRO IL BLOG ‘MATILDE DI CANOSSA’ SI CELI L’IDENTITÀ DELLLO ‘PISTAROLO’ FRANCO BECHIS, VICE DIRETTORE DI “LIBERO”) – 2- LA COATTISSIMA ROTTURA TRA L’EDITORE DI “LIBERO” GIAMPAOLO ANGELUCCI, CHE HA ALLE SUE DIPENDENZE IL FRATELLO DI FINI, E GIAN-MENEFREGO VA RACCONTATA PERCHé RACCHIUDE LA MEJO BATTUTA DELL’ANNO. FURIOSO, PER UN ARTICOLAZZO SU ELISABETTA, IL PRESIDENTE DEI LOS TULLIANIS TELEFONA AD ANGELUCCI. L’ARROGANTISSIMA SCENATACCIA DI FINI SI CHIUDE COSì: “IO, CON “LIBERO”, MI PULISCO IL CULO!”. “E IO DOMANI LO FARÒ DI CARTA VETRATA!”, È LA REPLICA FULMINANTE DELL’EDITORE DI “LIBERO” (Dagospia).
  • la controdeduzione di Alessandro D’amato (Gregorj) su Giornalettismo.com: è già piuttosto strano che le frasi presenti nell’articolo non si ritrovino su Google nemmeno con una ricerca mirata, ovvero tra virgolette […] viene voglia di andare a controllare la cache del motore di ricerca. Ovvero quella pagina che Google genera automaticamente ogni volta che passa a visitare una pagina per indicizzarla nel motore, e che rimane in memoria permettendo così di scoprire se nel tempo trascorso sono state effettuate delle modifiche […] la cache del blog Matilde di Canossa è stata generata il 27 luglio 2010, l’articolo del Giornale che parlava della casa a Montecarlo è del 27 (in accenno) e del 28 luglio. Ebbene, in quella data il post del blog di Matilde di Canossa si presentava molto più striminzito […] Tutta la seconda parte, che fornisce l’indirizzo di Rue Princesse Charlotte e informa che la casa era di Alleanza Nazionale, non è presente. In esso si dice solo che Tulliani ha preso la residenza fiscale a Montecarlo, senza fare accenno alla casa che era di AN […] è evidente che la modifica è stata effettuata in una fase successiva rispetto a quella in cui è passato per la penultima volta il crawler di Google (Dagospia tarocca un blog per attaccare Fini e la Tulliani).

Confrontate voi stessi:

Blog La Cattiva Strada – MatildeCanossa – attribuito a Franco Bechis, oggi:

Questo invece il post come compare nella cache di Google del 27 Luglio:

Pensate, cambia persino il titolo. E nel testo “originale” nessun riferimento a Rue Princess Charlotte 14. Certo, Dagospia e soci non hanno tenuto nella debita considerazione le sentinelle del web.

Sitografia:

  • Tutta la seconda parte, che fornisce l’indirizzo di Rue Princesse Charlotte e informa che la casa era di Alleanza Nazionale, non è presente. In esso si dice solo che Tulliani ha preso la residenza fiscale a Montecarlo, senza fare accenno alla casa che era di AN