Abbandonato dai suoi ministri, specie da Gove e da Hammond, rispettivamente al Dicastero dell’Istruzione e della Difesa, i quali hanno dichiarato giorni fa di esser pronti a votare a favore dell’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, David Cameron trova un inaspettato sostegno da parte di Barack Obama. Il Presidente americano ha affermato, durante la conferenza stampa a margine della visita di Cameron a Washington, che il Regno Unito compirebbe un grave errore a indire il referendum per l’uscita dall’Unione ancor prima di rinegoziare la propria partecipazione.
Cameron ha definito un piano di negoziazioni con Bruxelles, un piano che dovrebbe essere messo in opera dopo le elezioni, e una consultazione referendaria entro il 2017, sempre se Cameron dovesse ancora governare. Ma è chiaro che la batosta subita dai Tories alle recenti amministrative e il contemporaneo successo degli antieuropeisti di Nigel Farage, hanno accelerato il suo declino in seno al partito conservatore. Si prevede che il premier non verrà ricandidato. Al suo posto potrebbero avere qualche possibilità il sindaco di Londra Boris Johnson e il medesimo Michael Gove. Entrambi potrebbero cavalcare l’onda anti Europa adottando il linguaggio neo nazionalista di Farage.
Cameron ha detto: “C’è una buona ragione per cui domani non ci sarà un referendum – sarebbe dare al pubblico britannico, credo, una scelta del tutto sbagliata tra lo status quo e l’abbandono dell’UE, che non credo sia accettabile. Voglio vedere cambiare l’Unione europea, voglio vedere quale rapporto può avere la Gran Bretagna con il cambiamento e il miglioramento nell’Unione europea”.
Cameron ha anche affermato che il futuro a lungo termine del Regno Unito è all’interno dell’Unione Europea. Obama ha espresso le sue preoccupazioni circa gli eventuali negoziati per un nuovo accordo commerciale fra UE ed USA da prepararsi al prossimo G8. Obama ha interesse che il Regno Unito rimanga all’interno dell’Unione al fine di influenzarne la politica commerciale. Gli USA hanno necessità di ottenere accordi commerciali vantaggiosi con l’UE. Senza l’influenza di Londra, Washington ha strada sbarrata.
Va da sé che la mossa di Gove ha innescato una corsa a chi la spara più grossa sulle ‘colpe’ di Bruxelles. Il popolare sindaco di Londra, Johnson, ha utilizzato il suo spazio sul Daily Telegraph per ricordare agli elettori dei Tories, ma anche e soprattutto a quelli dell’Ukip (il partito di Nigel Farage) che “tutti i nostri mali non nascono a Bruxelles”. Scrive a lettere capitali, Johnson: una abitudine demagogica, fanno notare sul Guardian:
MOST OF OUR PROBLEMS ARE NOT CAUSED BY “BWUSSELS” BUT BY CHRONIC BRITISH SHORT-TERMISM, INADEQUATE MANAGEMENT, SLOTH, LOW SKILLS, A CULTURE OF EASY GRATIFICATION AND UNDER-INVESTMENT IN HUMAN AND PHYSICAL CAPITAL AND INFRASTRUCTURE.
Insomma, un attacco frontale a Gove che il ministro ora dovrà controbattere e che potrebbe non esser così gradito agli inglesi medesimi. Suo malgrado, BoJo – questo il suo soprannome – rischia di vedersi affibbiata l’etichetta del leader del blocco pro-europeo nella guerra fratricida dei Tories.