La crisi dell’Euro usata per demolire lo Stato sociale

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English: Paul Krugman at the 2010 Brooklyn Book Festival. (Photo credit: Wikipedia)

Signori, questa è la stessa strategia seguita dal Fondo Monetario Internazionale. Il FMI risponde a logiche ultraliberiste dettate dagli Stati Uniti d’America, che ne è il principale azionista. E’ così che fanno: cancellano i diritti acquisiti per aprire i mercati alle loro corporations. E’ colonialismo. O imperialismo che dir si voglia. Viene da credere seriamente al fatto che il sud Europa liberalizzato sia un toccasana per le aziende tedesche ed olandesi. Un’ottima area entro la quale produrre a minor costo e rivendere – il tutto seduti comodamente al centro del mercato unico. Che ve ne pare? Con questo non si vuol negare che i bilanci pubblici dei cosiddetti PIIGS fossero alquanto malmessi. In realtà, se volete, la crisi finanziaria del dopo Lehman ha spaventato i fautori della new economy. E la crisi dell’euro è lo strumento più utile per rivedere i propri assets finanziari e trasformarli in comode attività manufatturiere “fuori porta”.

Leggi il resto: http://www.linkiesta.it/blogs/giovine-europa-now/cittadini-non-sudditi#ixzz221D9Lv00

Ora lo dice anche Paul Krugman:

L’AGENDA DELL’AUSTERITY

“Il tempo giusto per le misure di austerità è durante un boom, non durante la depressione”. Questo dichiarava John Maynard Keynes 75 anni fa, ed aveva ragione. Anche in presenza di un problema di deficit a lungo termine (e chi non ce l’ha?), tagliare le spese quando l’economia è profondamente depressa è una strategia di auto-sconfitta, perché non fa altro che ingrandire la depressione.

Allora come mai la Gran Bretagna (e l’Italia, la Grecia, la Spagna, ecc. NDR) sta facendo esattamente quello che non dovrebbe fare? Al contrario di paesi come la Spagna, o la California, il governo britannico può indebitarsi liberamente, a tassi storicamente bassi. Allora come mai sta riducendo drasticamente gli investimenti, ed eliminando centinaia di migliaia di lavori nel settore pubblico, invece di aspettare che l’economia recuperi?

Nei giorni scorsi, ho fatto questa domanda a vari sostenitori del governo del primo ministro David Cameron. A volte in privato, a volte in TV. Tutte queste conversazioni hanno seguito la stessa parabola: sono cominciate con una metafora sbagliata, e sono terminate con la rivelazione di motivi ulteriori (alla ripresa economica NDR).

La cattiva metafora – che avrete sicuramente ascoltato molte volte – equipara i problemi di debito di un’economia nazionale, a quelli di una famiglia individuale. La storia, pressappoco è questa: Una famiglia che ha fatto troppi debiti deve stringere la cinghia, ed allo stesso modo, se la Gran Bretagna ha accumulato troppi debiti – cosa che ha fatto, anche se per la maggior parte si tratta di debito privato e non pubblico – dovrebbe fare altrettanto!

Cosa c’è di sbagliato in questo paragone?

La risposta è che un’economia non è come una famiglia indebitata. Il nostro debito è composto in maggioranza di soldi che ci dobbiamo l’un l’altro; cosa ancora più importante: il nostro reddito viene principalmente dal venderci cose a vicenda. La tua spesa è il mio introito, e la mia spesa è il tuo introito.

E allora cosa succede quando tutti, simultaneamente, diminuiscono le proprie spese nel tentativo di pagare il debito? La risposta è che il reddito di tutti cala – il mio perché tu spendi meno, il tuo perché io spendo meno.- E mentre il nostro reddito cala, il nostro problema di debito peggiora, non migliora.

Questo meccanismo non è di recente comprensione. Il grande economista americano Irving Fisher spiegò già tutto nel lontano 1933, e descrisse sommariamente quello che lui chiamava “deflazione da debito” con lo slogan:”Più i debitori pagano, più aumenta il debito”. Gli eventi recenti, e soprattutto la spirale di morte da austerity in Europa, illustrano drammaticamente la veridicità del pensiero di Fisher.

Questa storia ha una morale ben chiara: quando il settore privato sta cercando disperatamente di diminuire il debito, il settore pubblico dovrebbe fare l’opposto, spendendo proprio quando il settore privato non vuole, o non può. Per carità, una volta che l’economia avrà recuperato si dovrà sicuramente pensare al pareggio di bilancio, ma non ora. Il momento giusto per l’austerity è il boom, non la depressione.

Come ho già detto, non si tratta di una novità. Allora come mai così tanti politici insistono con misure di austerity durante la depressione? E come mai non cambiano piani, anche se l’esperienza diretta conferma le lezioni di teoria e della storia?

Beh, qui è dove le cose si fanno interessanti. Infatti, quando gli “austeri” vengono pressati sulla fallacità della loro metafora, quasi sempre ripiegano su asserzioni del tipo: “Ma è essenziale ridurre la grandezza dello Stato”.

Queste asserzioni spesso vengono accompagnate da affermazioni che la crisi stessa dimostra il bisogno di ridurre il settore pubblico. Ciò e manifestamente falso. Basta guardare la lista delle nazioni che stanno affrontando meglio la crisi. In cima alla lista troviamo nazioni con grandissimi settori pubblici, come la Svezia e l’Austria.

Invece, se guardiamo alle nazioni così ammirate dai conservatori prima della crisi, troveremo che George Osborne, ministro dello scacchiere britannico e principale architetto delle attuali politiche economiche inglesi, descriveva l’Irlanda come “un fulgido esempio del possibile”. Allo stesso modo l’istituto CATO (think tank libertario americano) tesseva le lodi del basso livello di tassazione in Islanda, sperando che le altre nazioni industriali “imparino dal successo islandese”.

Dunque, la corsa all’austerity in Gran Bretagna, in realtà non ha nulla a che vedere col debito e con il deficit; si tratta dell’uso del panico da deficit come scusa per smantellare i programmi sociali. Naturalmente, la stessa cosa sta succedendo negli Stati Uniti.

In tutta onestà occorre ammettere che i conservatori inglesi non sono gretti come le loro controparti americane. Non ragliano contro i mali del deficit nello stesso respiro con cui chiedono enormi tagli alle tasse dei ricchi (anche se il governo Cameron ha tagliato l’aliquota più alta in maniera significativa). E generalmente sembrano meno determinati della destra americana ad aiutare i ricchi ed a punire i poveri. Comunque, la direzione delle loro politiche è la stessa, e fondamentalmente mentono alla stessa maniera con i loro richiami all’austerity.

Ora, la grande domanda è se il fallimento evidente delle politiche di austerità porterà alla formulazione di un “piano B”. Forse. La mia previsione è che se anche venissero annunciati piani di rilancio, si tratterà per lo più di aria fritta. Poiché il recupero dell’economia non è mai stato l’obiettivo; la spinta all’austerity è per usare la crisi, non per risolverla. E lo è tutt’ora.

Paul Krugman

via @violapost

Qui l’articolo originale

Peccatori del debito, pentitevi! Le dimissioni di Stark e il monetarismo ortodosso tedesco

Quel che sorprende delle dimissioni del ministro tedesco Stark dal Board Executive della BCE non è tanto la sfiducia verso l’italia – quella ce l’abbiamo anche noi – quanto la mancanza della più totale consapevolezza che l’interdipendenza fra i paesi europei abbai raggiunto un tale livello da non poter esser più dipanata. I falchi del monetarismo ortodosso tedesco, i rigidi contabili della Bundesbank e dell’alleata Banca Centrale Olandese, negano il mutuo soccorso fra i paesi europei e interpretano il comportamento della BCE alla stregua di un aiuto di Stato, un favore a un concorrente nel libero mercato:

I paesi in deficit possono, nonostante la sfiducia dei creditori, introdurre più prodotti e servizi di quelli che svolgono, perché il loro disavanzo delle partite correnti è finanziato dalla Euro-sistema di pagamento da parte della Bundesbank. (Die traurige Entwicklung der Geldpolitik, FAZ(1), trad. propria).

Stark avrebbe lasciato la BCE perché “frustrato”. Frustrato dal fatto che i peccatori del debito, i maiali del Sud, vengono aiutati dalla BCE non già perché esiste una volontà politica di salvaguardare gli stati dell’Unione, bensì perché il blocco del Sud ha messo in minoranza quello del Nord, che però è più forte economicamente.

I fronti nord e sud sono uno di fronte all’altro. I rappresentanti dei paesi del nord orientati alla stabilità vogliono tenere la spesa dei peccatori del debito sotto controllo. I rappresentanti dei sudisti vogliono mettere la BCE sotto la gogna della stampa, onde mostrarne il fallimento della politica di bilancio. L’opposizione della Bundesbank, e della Banca Centrale Olandese, è spazzata via. Poiché il numero di paesi economicamente potenti si restringe mentre le fila dei peccatori del debito crescono, il Sud si aggiudica i voti – e il Nord paga (FAZ, cit., trad. propria).

Se volessimo definire questo pensiero con una frase, quella frase potrebbe essere “leghismo europeo”. Come in Italia la Lega Nord stigmatizza il Sud, fannullone e debitore, così fa la Germania con l’Italia e gli altri PIGS. E’ la reazione di chi è – momentaneamente – più ricco e vede la propria economia crescere ma non quanto vorrebbe, gravata da una zavorra, la zavorra dei più poveri, degli indebitati, e non vuole pagare per essi.

La dipartita di Stark apre la crisi politica della BCE. Il delicato equilibrio sin qui tenuto fra monetarismo alla Bundesbank e debitarismo sud-europeo era garantito dalla presidenza francese e dai segretari finanziari tedeschi. Fin dalla nascita, la BCE è stata a guida mista franco-tedesca, ma la politica monetaria applicata era una ricetta made in Bundesbank. Ora l’avvento di Draghi – un peccatore italiano! -ha scatenato il panico dei tedeschi.

Il prossimo presidente della BCE, Mario Draghi, è italiano, il Vice Presidente del Portogallo. Fermare questo ‘doppio diesis'(1) di acquistare titoli di Stato da Italia e Portogallo? Il paese più forte economicamente dell’Euro dovrebbe essere rappresentato nella BCE da due voti e la Bundesbank non può essere isolata all’interno del Consiglio (FAZ, cit., trad. propria).

La pratica del QE – quantitative easing, ovvero stampare la moneta per alleggerire, comprandolo, il debito dei ‘porci’ – comporta un “accumulo dei rischi di credito nella Banca federale che supera il raddoppio delle garanzie del nuovo controverso – per il governo tedesco – fondo di salvataggio dell’euro”.

La sfiducia verso l’Italia è quindi doppia: non solo si dubita della volontà del governo italiano di risanare effettivamente i conti e di ridurre il debito, ma si dubita anche del prossimo presidente della BCE, al di là della sua storia personale, della sua reputazione – Draghi  “ha un dottorato in economia dal Massachusetts Institute of Technology (MIT) e ha lavorato alla Banca Mondiale che alla Goldman Sachs ed è stato direttore generale del Ministero del Tesoro in Italia all’inizio degli anni Novanta” (Foreign Policy, via Il Post) – è pur sempre ‘un-italiano-alla-BCE!’, uno scorbutico ben poco diplomatico che si troverà a gestire un’unione monetaria in preda al panico e una banca piena zeppa di titoli tossici greci, italiani, portoghesi, irlandesi ecc.

I tedeschi hanno paura di perdere il controllo sulla politica monetaria dell’Istituzione BCE. A differenza delle altre istituzioni della UE, la BCE ha dei VERI poteri, ed è svincolata dalle decisioni dei paesi membri riuniti nel consiglio. Non è un organo a rappresentanza democratica, ma è oggetto di spartizioni di potere. Lasciare che gli italiani mettano i piedi nel Board Executive della BCE significa consegnargli la borsa e la vita.

 

 

(1) FAZ, Frankfurter Allegmeine Zeitung, quotidiano tedesco.

(2) Nella notazione musicale, diesis (anche detto diesi) è il simbolo che indica che la nota a cui si riferisce va alzata di un semitono, ed il suo simbolo è Sharp.svg. Esiste anche il doppio diesis (Sharp.svgSharp.svg, oppure DoubleSharp.svg) che indica un incremento di frequenza della nota pari ad un tono (wikipedia).