Il più grande bluff dopo Berlusconi

Annunciano il più grande cambiamento della politica italiana di sempre. Da una parte Alfano, dall’altra Casini. Le loro manovre sono volte a fornire alla politica nuova linfa vitale. Così dicono. Così vogliono farci credere. Sappiate che questi signori stanno preparando il più grande bluff della politica degli ultimi venti anni. S’intende: il più grande bluff dopo Berlusconi.

Il nascente Partito della Nazione è una vecchia storia di cui si vocifera agli angoli delle strade nei pressi di Montecitorio da almeno due anni, da quando Fini disse “cosa fai? mi cacci?” e quello lo cacciò davvero. La tecnica degli assemblaggi di partito o pezzi di partito l’ha inaugurata infelicemente il Partito Democratico e solo ora, solo dopo la scoperta del tesoro del tesoriere Lusi e della persistenza dei vecchi partiti (Margherita e DS) s’è scoperto che è una pratica diabolica e decisamente “appetibile”. Per i tripli rimborsi elettorali, sia chiaro.

Oggi è stata la volta di Angelino Alfano. Ha detto che dopo le Amministrative il suo partito e Berlusconi annunceranno la più importante novità della politica. Considerato che la prassi di fare dei restyling in vista delle elezioni è quanto di più inutile si sia mai visto in questi anni, Alfano dovrà fare grossi sforzi per impressionare gli elettori. E se avete fiutato l’aria di fregatura, avete pienamente ragione: non ci sarà alcuna novità, solo che Berlusconi cambierà controfigura e al posto di Alfano assumerà Luca Cordero di Montezemolo. Il presidente della Ferrari, e di decine di altre aziende (se volete, è la quintessenza del conflitto di interesse, perciò il miglior surrogato berlusconiano). Sarà l’uomo di Fiat per un governo di centro-destra. Una grande novità, se ci pensate. Non abbiamo mai avuto governi di centro-destra, no?

Il nuovo PdL non potrà governare da solo. Non esiste più il blocco verdognolo del Nord, il leghismo è allo sbando e Maroni non basterà da solo a conservare il bacino elettorale critico per poter essere partito dirimente in un quadro bipolare. Ecco allora la strategia: Casini e Fini convergeranno nella costituente del Partito della Nazione, et voilà, la coalizione è fatta. Come nei peggiori copia e incolla.

Quello a cui stiamo assistendo non è il crollo della politica ma dell’antipolitica che ci ha governato sinora, laddove antipolitica è tutto ciò che è contro l’interesse generale: è l’interesse privato, privatistico, di gruppi di interesse chiusi verso il basso, gruppi dirigenziali e caste burocratiche nelle quali è assente del tutto una qualsiasi circolazione delle élie. La sfera pubblica è stata occupata da usurpatori, da tiranni. Questo momento di decomposizione dei loro legami di protezione è una catarsi durante la quale la Politica può risorgere come argomento della coesione quotidiana fra i cittadini. E’ una piccola finestra che il tumultuoso succedersi degli eventi sta per rendere possibile.

L’altro giorno è stato il giorno di Ligresti, finanziere bancarottiere tanto in alto nell’era di B. e ora precipitato nel burrone. La scorsa settimana è stata la volta di Vendola. Quindi dei leghisti, di Belsito, della Rosy Mauro, di Umberto Bossi. Domani tocca a Formigoni. E quindi a chi altro? E’ finito questo mondo, e se ne andranno tutti, uno alla volta. Erano undici piccoli indiani, ne resterà uno solo. Noi.

“Dieci poveri politichetti / Se ne andarono a mangiar: / uno fece indigestione, solo nove ne restar. / Nove poveri politichetti / fino a notte alta vegliar: / uno cadde addormentato, / otto soli ne restar. / Otto poveri politichetti / Se ne vanno a passeggiar: / uno, ahimè, è rimasto indietro, solo sette ne restar. / Sette poveri politichetti / legna andarono a spaccar: / un di lor s’infranse a mezzo, /e sei soli ne restar. / I sei poveri politichetti / giocan con un alvear: / da una vespa uno fu punto, / solo cinque ne restar. / Cinque poveri politichetti / un giudizio han da sbrigar: / un lo ferma il tribunale / quattro soli ne restar. / Quattro poveri politichetti / salpan verso l’alto mar: / uno se lo prende un granchio, / e tre soli ne restar. / I tre poveri politichetti / allo zoo vollero andar: / uno l’orso ne abbrancò, / e due soli ne restar. / I due poveri politichetti / stanno al sole per un po’: / un si fuse come cera / e uno solo ne restò. / Solo, il povero politichetto / in un bosco se ne andò: / ad un pino s’impiccò, / e nessuno ne restò.” (parodia della “filastrocca del camino” in Dieci Piccoli Indiani,  Agatha Christie).

Dietro il golpe di Generali l’ombra di Montezemolo

Sono pochi i commentatori che si sono sbilanciati ad analizzare quanto accaduto ieri in Generali. Il pre-pensionamento di Geronzi, il capo-cricca, ha lasciato esterrefatti i più. A cominciare da Vittorio Feltri che, ieri sera a Otto e Mezzo su La7, era quasi interdetto e non sapeva che balbettare e ribalbettare alla domanda della Gruber. Geronzi giù da Generali equivale a dire Berlusconi giù dal Corriere della Sera. Da qualche mese si combatteva una guerra intestina all’interno del CdA, fra i consiglieri in quota Mediobanca – quindi Mediaset – e quelli orientati verso il cartello Fiat-Telecom-Tod’s-Benetton & Friends, oggi prevalente in Confindustria e malamente rappresentato dalla Marcegaglia, ovvero quel capitalismo radical chic che vuole cambiare le regole del paese a proprio piacimento ma che ha trovato in B. solo uno che si fa gli affaracci suoi. Si stava giocando una partita decisiva in Generali: se avesse prevalso Mediobanca, quindi il partito Mediaset, presto il governo avrebbe rimosso quella norma transitoria della legge Gasparri, quella che vieta ai proprietari di televisioni di possedere giornali. E via: con il controllo di Generali si può ben fare la guerra per il Corriere. Ma qualcosa è andato storto. Non si sa cosa. Mediobanca si è poi riallineata al parere prevalente nel CdA, ma non con il beneplacito di Mediaset (nella fattispecie rappresentata da Marina Berlusconi).

Nessuno o quasi ha osato dire che l’uscita di scena di Geronzi è una sconfitta per B. Si è detto che è solo una questione anagrafica: Geronzi è un anno più vecchio di Berlusconi. E’ un sintomo ma non è una previsione della imminente caduta del premier. In realtà, la caduta di Geronzi è il segno che il capitalismo italiano non è più con Berlusconi. Significa che si sono rotti gli indugi e che presto o tardi il partito Fiat si farà: presidente Montezemolo, collocazione centro-centro-destra, simbolo generico con richiamo alla Nazione. Lo diceva Massimo Cacciari: Fini, Casini e Rutelli sono leader compromessi con una stagione politica da superare. Il nuovo non può che promanare dalla élite di Confindustria. Scopo ultimo: cambiare le regole del mercato del lavoro. In primis, però, gli interessi personali:

Naturalmente ci sarà chi vedrà dietro la sfida di Della Valle un disegno più ampio che passa dalle intenzioni dell’amico e socio Luca di Montezemolo, sempre più tentato dall’avventura in politica, nel caso certamente con un profilo ostile al declinante status quo berlusconiano. Nel caso di discesa in campo, però, qualche conflitto d’interessi dovrà essere sciolto se è vero che Generali (nel cui consiglio Della Valle siede come indipendente) è tra gli azionisti di Ntv, la società per il trasporto ferroviario che si appresta a fare concorrenza nell’alta velocità alle Fs. Si spera che la scossa che arriva da Trieste non si limiti a sostituire nuovi conflitti di interesse ai vecchi (Europa).

Montezemolo, morto un B se ne fa un altro

Basta con i superuomini. Certo. Basta con i personalismi, con il partito-azienda, il partito personale, il conflitto d’interesse. Basta con il privato malato d’ipertrofismo che occupa la sfera pubblica. Come afferma Luca Cordero di Montezemolo, “il periodo dell’one man show è finito”. Wow, che frase perfetta. “Serve” – attenti – “uno spirito di squadra”. Perché no, uno spirito da Fabbrica Italia. E’ ora di riconsegnare il paese in mano Fiat. E Luca Luca si prepara alla discesa in campo. Diceva dei personalismi?

Veniamo da 15 anni di non scelte, il Paese va ricostruito sotto tanti aspetti […] si sta chiudendo, e male, un ciclo storico, quello della Seconda Repubblica. Ma non per questo dobbiamo autoflagellarci pensando a questi 15 anni di non scelte che hanno portato a un obiettivo arretramento del Paese […] In politica non si può pensare ad una sola persona – ha aggiunto Montezemolo – perché oggi la squadra è fondamentale e nel rinnovamento della politica bisogna pensare a tante persone. E fondamentale – ha concluso – nelle aziende, nella società e anche nella politica (ansa.it).

Montezemolo ha affermato di aver aperto oggi una fase nuova, per sé e per la sua fondazione, Italia Futura (no, a noi il futuro non interessa; a noi interessa il presente, qui ed ora!). Solo qualche giorno fa affermava che non sarebbe sceso in campo politico. Questi suoi tentennamenti ricordano un po’ il Berlusconi del 1993, quando il progetto Forza Ialia era già una realtà, mentre sui giornali comparivano sue dichiarazioni tendenti a smentire nella maniera più assoluta qualsiasi sua intenzione di fare un partito. Ecco allora spiegato: Montezemolo ha già un partito. Si chiama Fiat e anni fa governava senza aver necessità di fondare partiti veri e propri. Ci pensava Agnelli. Senza che nessuno lo vedesse.

Che dire: morto un B se ne fa un altro.

Join the dots. Unisci i puntini. Scacco matto a Mr b: rivelare la verità sulle stragi.

C’è un’alleanza che giunge fino a oltreoceano. Stavolta sono proprio tutti contro Mr b. Lo rivela il grande teorico di puttanopoli, Paolo Guzzanti, il fedele seguace di Forza Italia, poi messo in disparte e ribellatosi.
Lo scenario che viene descritto è quello di un Mr b scomodo agli USA per la vicenda South Stream e per l’alleanza stretta con Gheddafi. Pertanto l’Ambasciata USA in Italia sarebbe al centro di una regia che vede insieme Repubblica, i giornali stranieri in quota Murdoch, El Pais per la componente mediatica; Fini, Casini, Montezemolo per la costituzione della "cosa bianca" (in cui Rutelli porterebbe i suoi, all’indomani del Congresso PD); le concomitanze della pronuncia della Consulta sul Lodo Alfano e il progredire delle indagini congiunte sui mandanti occulti dello stragismo mafioso del 1992-1993.
Tutto questo si sovrappone al Congresso PD, che designerà il nuovo segretario del partito. Comunque vadano le primarie, si annuncia la scissione dei rutelliani e dei teodem, per i quali si starebbe confezionando il nuovo contenitore. Il quadro politico muterebbe in maniera vertiginosa e in aperto contrasto con l’esito delle urne delle politiche 2008. Berlusconi resterebbe isolato a destra insieme alla Lega, la quale proprio oggi torna a teorizzare la "Padania libera". Non ci sarebbe più una maggioranza e il suo ex leader sarebbe contemporaneamente sotto accusa per il processo Mills, per le indagini su Mediatrade e i diritti tv, per la presunta collusione con lo stragismo mafioso. Uno scacco matto.
Gaspare Spatuzza, il pentito di mafia, l’assassino di Don Puglisi, ha fatto rivelazioni importantissime confermando i teoremi accusatori di altri pentiti – vedi Giuffré. Uno scenario – quello dei contatti Mafia-Forza Italia – già indagato nel passato da Piero Grasso, ma rimasto nei cassetti per anni nonostante le coincidenze presenti in molte dichiarazioni di pentiti. Ora forse i tempi sono maturi.

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    • L’ordine è arrivato dagli Stati Uniti: Berlusconi va eliminato. Motivo: i contratti energetici che legano non solo l’Italia alla Russia, ma tutta quella parte di Europa che Berlusconi è deciso a portarsi con sé.
    • ambasciatore Spogli
    • “Non siamo certo noi americani che vogliamo vendere energia all’Italia, ma vogliamo un’Italia che non dipenda dalla Russia come una colonia e non vogliamo che la Russia incassi una somma di denaro di dimensioni mostruose, che poi Mosca converte direttamente in armamenti militari”
    • un fatto nuovo di enorme gravità si è aggiunto: l’Italia ha silurato il gasdotto Nabucco (che eliminava la fornitura russa passando per Georgia e Turchia) facendo trionfare South Stream
    • Contemporaneamente Berlusconi organizzava la triangolazione Roma-Tripoli-Mosca associando Gheddafi nell’affare. E’ opinione diffusa Oltreoceano (per esempio all’Istituto Aspen, Colorado) e anche di fonti georgiane che Berlusconi abbia interessi non soltanto di Stato.
    • L’operazione è stata preparata con cura attraverso una campagna mediatica di lavoro al corpo di Berlusconi basato sulle vicende sessuali, sulle inchieste di mafia e sulla formazione, nell’area moderata, di una alternativa politica a tre punte: Luca Cordero di Montezemolo, Perferdinando Casini e Gianfranco Fini, ciascuno a suo modo e con le sue vie, ma in una sintonia trasparente.
    • Il partito di Montezemolo, non ancora ufficiale, aprirà la sua convention sotto forma di manifestazione culturale il 7 Ottobre, lo stesso giorno in cui la Consulta dovrebbe decidere sul lodo Alfano.
    • Che cosa farà la Consulta è il nodo da sciogliere perché il risultato è incerto
    • Berlusconi tutto questo lo sa perfettamente, sostiene che dietro Fini ci sarebbe Paolo Mieli e altri intellettuali laici, e fa sapere che lui a dimettersi non ci pensa per niente e che, se mai lo costringessero, negherebbe con il PDL qualsiasi maggioranza a qualsiasi altro governo – Fini, si suppone – costringendo Napolitano a constatare la mancanza di una maggioranza e a convocare elezioni anticipate da accorpare a quelle regionali stabilite con enorme anticipo a marzo.
    • ci troveremmo di fronte a una crisi virtuale e poi formale subito dopo la prima metà d’ottobre, già affollata per il congresso del PD. Lo scioglimento anticipato delle Camere dovrebbe precedere di 60 giorni la data delle elezioni e quindi il decreto dovrebbe arrivare subito dopo Natale.
    • Questa sarebbe, secondo lo scenario peggiore, l’ultima chance di Berlusconi pronto a sfidare i nemici sul piano elettorale, forte del massimo momento di popolarità nei sondaggi, malgrado gli scandali.
    • davvero Berlusconi avrebbe il potere di controllare tutti i deputati e senatori del PDL affinché neghino la fiducia ad un suo successore? E come si regolerebbe il Pd?
    • E’ infatti molto probabile che, in caso di vittoria ormai scontata di Bersani, i cattolici del Pd se ne andranno. Scissione a sinistra, dunque, e scissione anche a destra. Grande rivoluzione parlamentare e politica.
    • Con Berlusconi deciso a resistere, sfidare, e se proprio deve morire, portarsi dietro tutti quanti.
      Ma i suoi deputati sanno che se lui li mandasse a casa, poi sarebbero tutti sostituiti dalla nuova leva di giovanissimi già selezionati. Sarebbero allora i tacchini di Natale: davvero i tacchini di Natale accompagnerebbero il disegno natalizio? Appare improbabile.
    • chi tiene le fila del gioco che punta al ricambio tutto questo lo sa e si è fatto i conti. Anche Berlusconi si fa i conti. Lo scontro è ravvicinato e mortale. Se Berlusconi riuscisse ad evitare la bocciatura del Lodo Alfano, alla fine uscirebbe rafforzato.
    • La grande manovra è cominciata, le artiglierie già battono il campo. La guerra arriverà, se arriverà, entro un mese.
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    • Il nome del presidente del Consiglio è citato 15 volte, Forza Italia 14 volte, 12 quello del senatore Marcello Dell’ Utri, 6 la Fininvest. A farli il capomafia pentito Antonino Giuffrè nelle 86 pagine di verbali in cui, rispondendo alle domande del procuratore della Repubblica Pietro Grasso e dei suoi sostituti, parla dei presunti rapporti tra Cosa nostra e i capi di Forza Italia
    • Rapporti, quelli tra Cosa nostra e Forza Italia, che secondo Giuffrè iniziano a fine ’93, quando si cominciò a parlare della nascita di un nuovo partito, quello poi effettivamente fondato da Berlusconi. Rapporti che si sarebbero materializzati nel settembre-ottobre del 1993 e di cui in Cosa nostra si era già parlato ancora prima, «fin dal giugno 1993 o, addirittura ancora prima»
    • Giuffrè è l’ ottavo pentito di Cosa nostra che parla dell’ interesse della mafia e dei rapporti con i vertici prima della Fininvest e poi di Forza Italia
    • Prima di Giuffrè, altri pentiti (Salvatore Cancemi, Angelo Siino, Giovanni Brusca, Pietro Romeo, Calogero Pulci, Tullio Cannella, Giovanni Ciaramitaro) avevano parlato di "relazioni pericolose" tra Cosa nostra e Forza Italia
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    • Gaspare Spatuzza, boss del quartiere palermitano di Brancaccio soprannominato "U’ tignusu" per le sue calvizie, ha cominciato dalla fine. Ha cominciato dal fallito attentato all’Olimpico, da quel massacro che nei piani di Cosa Nostra corleonese sarebbe dovuto avvenire una domenica pomeriggio allo stadio "per ammazzare almeno 100 carabinieri" del servizio d’ordine
    • quella volta qualcosa non funzionò nei circuiti elettrici del telecomando che avrebbe dovuto far saltare in aria un’auto – una Lancia Thema – con dentro 120 chili di esplosivo. Non ci fu strage. Ma rivela oggi il pentito Gaspare Spatuzza ai magistrati di Firenze: "Giuseppe Graviano mi disse che per quell’attentato avevamo la copertura politica del nostro compaesano"
    • Le indagini riaperte sui massacri di diciassette anni fa sono disseminate di indizi che stanno portando gli investigatori a riesaminare uno scenario già esplorato in passato, ipotesi che girano intorno agli ambienti imprenditoriali milanesi frequentati dai fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, boss di Palermo più volte citati – in inchieste e anche in sentenze – come vicini al senatore Marcello Dell’Utri.
    • Rapinatore e poi sicario – è uno dei killer di don Pino Puglisi, il parroco ucciso a Palermo nel settembre 1993 – capo del mandamento di Brancaccio, legatissimo ai Graviano, Gaspare Spatuzza dopo avere fornito una diversa ricostruzione della strage di via D’Amelio (autoaccusandosi e smentendo il pentito Vincenzo Scarantino che a sua volta si era autoaccusato dello stesso massacro), è stato ascoltato sulle bombe di Firenze e Roma e Milano, dieci morti e centosei feriti
    • fallito attentato all’Olimpico, quello che – se fosse avvenuto – sarebbe stato uno degli ultimi atti della strategia mafiosa nell’attacco contro lo Stato
    • La "comprensione" del fallito attentato dell’Olimpico potrebbe, a questo punto, diventare la chiave per entrare in tutti i misteri delle stragi
    • fatto risalire il progetto dell’attentato nel periodo ottobre-novembre 1993, poi il pentito Salvatore Grigoli aveva indicato una data precisa (domenica 31 ottobre, la partita era Lazio-Udinese), poi ancora un altro pentito – Antonio Scarano – aveva spostato di qualche mese il giorno della strage: 6 febbraio 1994, ventiduesima giornata di campionato, all’Olimpico l’incontro Roma-Milan
    • Gaspare Spatuzza racconta adesso alcuni restroscena cominciando con quella frase sulla "copertura politica"
    • "L’attentato dell’Olimpico doveva essere un messaggio mandato in alto loco… Sarà stato uno dei soliti colpi di testa di Leoluca Bagarella contro i carabinieri, magari perché gli avevano arrestato il cognato Totò Riina, o perché mirava ad altri discorsi, ad eventuali contatti che poi ci sono stati fra i carabinieri e parti di Cosa Nostra"
    • Antonino Giuffrè, più che della seconda ipotesi era convinto della prima. E spiegava ancora che – in quel periodo – dentro Cosa Nostra era già stato impartito l’ordine "di appoggiare la nuova formazione politica che era Forza Italia", che Cosa Nostra non avrebbe mai più continuato con le stragi, che "se ci fosse stato l’attentato dello stadio Olimpico a Bagarella gli avrebbero senza dubbio staccato la testa: sarebbe morto"
    • Le indagini di Firenze si incrociano con quelle della procura di Caltanissetta su Capaci e su via D’Amelio, con quelle di Palermo sulla famosa "trattativa" fra i Corleonesi e apparati dello Stato e infine quelle di Milano sugli investimenti in Lombardia dei fratelli Graviano
    • fra qualche mese affiorerà probabilmente qualcosa di più concreto

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