Colpa degli elettori se #vinciamopoi

L’errore più banale che si possa commettere è affermare che è colpa degli elettori, soprattutto se pensionati, quindi vecchi e inadatti al cambiamento, che non penserebbero al futuro dei propri nipoti. L’errore storico che ha commesso la sinistra quando doveva commentare i successi di Berlusconi. E’ sempre colpa degli altri se gli altri non capiscono.

E’ un fatto se quasi tre milioni di elettori non ti votano più. Lo era quando capitava per il Pd, lo è ora per il Movimento 5 Stelle. Forse è venuto il momento di accettare un ruolo nel sistema, per poterlo cambiare. La strategia della Montagna (dell’isolamento), messa in atto all’indomani del voto delle Politiche 2013, ha solo creato confusione e divisione ed ha reso il Movimento ininfluente sulle dinamiche politiche dietro alle riforme costituzionali. Influenzare per il bene del paese doveva essere l’unica strategia percorribile. Chissà che non lo diventi ora, materializzando il vecchio piano C. C come Civati, che l’aveva pensato per primo, molto tempo fa.

#CaroSenatorePd, una Mailbombing al 416-ter

Pare che giungano migliaia di e-mail ai senatori del Partito Democratico, da parte del Movimento 5 Stelle, in cui si chiede loro di votare gli emendamenti che lo stesso ha presentato al Senato per riportare la pena prevista per questo reato ai limiti previsti dal 416-bis c.p. (Associazione Mafiosa). A darne notizia è Lucrezia Ricchiuti, via Facebook:

Schermata del 2014-04-13 20:37:14Il motivo del contendere sono gli emendamenti, a firma Felice Casson, volti a ripristinare l’originaria pena da 7 a 12 anni come era stata votata al Senato lo scorso 28 Gennaio. Tuttavia, Casson ha ritirato gli emendamenti pur definendo il testo un “compromesso al ribasso”. Oggi è partita la propaganda dei 5 Stelle, con HT #CaroSenatorePd. Posto che la riduzione di pena incide maggiormente sui minimi della pena edittale che non sul massimo (ridotto del 20%), è necessario tornare ai testi per capire quale sia la verità. I 5 stelle hanno presentato ben 105 emendamenti su 106 e sono giunti persino a chiedere la sospensiva del dibattimento in aula nonché l’intervento del guardasigilli sostenendo che la norma pone “un problema interpretativo in ordine alla possibile sovrapposizione con il vigente comma dell’articolo 416-bis”. Di fatto, i grillini dicono che lo sconto di pena aiuta i mafiosi e i politici collusi con la mafia. Non è proprio così.

Partiamo dall’inizio.

Norma approvata dal Senato in seconda lettura:

«Art. 416-ter. — (Scambio elettorale politico-mafioso). — Chiunque accetta la promessa di procurare voti mediante le modalità di cui al terzo comma dell’articolo 416-bis in cambio dell’erogazione o della promessa di erogazione di denaro o di qualunque altra utilità ovvero in cambio della disponibilità a soddisfare gli interessi o le esigenze dell’associazione è punito con la stessa pena stabilita nel primo comma dell’articolo 416-bis.

Norma approvata dalla Camera in terza lettura:

«Art. 416-ter. – (Scambio elettorale politico-mafioso). – Chiunque accetta la promessa di procurare voti mediante le modalità di cui al terzo comma dell’articolo 416-bis in cambio dell’erogazione o della promessa di erogazione di denaro o di altra utilità è punito con la reclusione da quattro a dieci anni.

Va da sé che la cancellazione del termine disponibilità renda la norma meno dubbia da un punto di vista interpretativo, mentre la formulazione promessa di erogazione può porre in essere dei problemi circa la specificazione del momento in cui inizia il reato (il momento in cui si promette o quello in cui si eroga effettivamente la prestazione? può una promessa – che non ha quindi seguito nello scambio concreto – essere reato? Secondo Mattiello è corretto porre l’origine dell’illecito nell’accordo). La Camera aveva semplificato il testo ma non aveva del tutto espunto l’incertezza della formulazione come votata dal Senato. I 5 stelle si sono soltanto focalizzati sulle pene, mentre non spiegano che la portata innovativa della norma risiede nella assimilazione dello scambio di altra utilità al mero scambio di denaro. La riduzione di pena, inoltre, riguarda evidentemente i soggetti che accettano la promessa (nel testo originario, approvato in prima lettura, al posto di promessa si impiegava un più specifico procacciamento) di voti, mentre la fattispecie prevista dal 416-bis, terzo comma (procurare voti a sé o ad altri) prevede l’adesione all’organizzazione mafiosa (coloro che ne fanno parte).

416-bis cp. – L’associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgano della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri, ovvero al fine di impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni elettorali.

Quindi, la riforma istituirebbe due livelli di pena, a seconda che:

  1. il soggetto che accetta la promessa di voti non è affiliato all’organizzazione mafiosa > si applica il 416-ter con pena da 4 a 10 anni;
  2. il soggetto che accetta la promessa di voti è in realtà facente parte dell’organizzazione mafiosa > si applica il 416-bis con pena da 7 a 12 anni.

Il discriminante è l’affiliazione, che il solo scambio di denaro o di altra utilità in cambio di voti non può presupporre.

Una volta spiegato questo, è chiaramente auspicabile che il legislatore aumenti le pene per tale reato anche entro limiti superiori a quanto previsto dal 416-bis, per rendere assolutamente deprecabile l’accettazione dello scambio con un mafioso da parte di un uomo politico. In ogni caso, stiamo parlando di un provvedimento che è giunto alla quarta lettura al Senato e sarebbe opportuno approvarlo. L’innovazione sta tutta in due parole (altra utilità), e basterebbe poco per capirne la portata storica.

La rivoluzione piccola del #416ter

Facciamo piazza pulita di tutti i retroscenismi. Per una volta. E focalizziamoci, se possibile, sul testo della norma, pura, per come è stata votata oggi alla Camera.

Parlo del reato dello scambio politico-mafioso, previsto dall’articolo 416-ter del Codice Penale e oggetto di una riforma storicamente necessaria e storicamente inevasa dal sistema politico. Il testo è giunto alla quarta lettura, approvato oggi dalla Camera sotto gli strali dei 5s, che paventavano l’accordo Pd-Forza Italia e la collusione con la mafia; con il voto di oggi sono state cancellate quasi del tutto le modifiche operate dal Senato, che rischiavano di vanificare l’efficacia della riforma.

Quindi, dicevo, questo è il testo:

 1. L’articolo 416-ter del codice penale è sostituito dal seguente:
«Art. 416-ter. – (Scambio elettorale politico-mafioso). – Chiunque accetta consapevolmente il procacciamento di voti con le modalità previste dal terzo comma dell’articolo 416-bis in cambio dell’erogazione di denaro o di altra utilità è punito con la reclusione da quattro a dieci anni.
La stessa pena si applica a chi procaccia voti con le modalità indicate al primo comma».

A questo link, invece, il confronto fra il testo approvato in prima lettura alla Camera e le modifiche votate al Senato il 28 Gennaio 2014: http://www.camera.it/leg17/995?sezione=documenti&tipoDoc=lavori_testo_pdl&idLegislatura=17&codice=17PDL0015990&back_to=http://www.camera.it/leg17/126?tab=2-e-leg=17-e-idDocumento=204-B-e-sede=-e-tipo=

Il relatore della Commissione II Giustizia, Davide Mattiello, nel suo breve discorso di oggi, ha ricordato la portata storica della modifica apportata dalla riforma: nello scambio politico-mafioso, “abbiamo finalmente reso irrilevante il denaro”. Già, poiché nella formulazione attualmente in vigore, il reato è correlato ad una promessa (di difficile dimostrazione) nonché allo scambio di denaro:

Art. 416-ter.
Scambio elettorale politico-mafioso.

La pena stabilita dal primo comma dell’articolo 416-bis si applica anche a chi ottiene la promessa di voti prevista dal terzo comma del medesimo articolo 416-bis in cambio della erogazione di denaro.

Per tale ragione, oggi lo scambio ‘voti per appalti’ non è una fattispecie punibile secondo il 416-ter. La riforma ammette questa possibilità ed è, nel suo piccolo, una rivoluzione. Spiega Mattiello sul suo blog: “il presupposto dell’accordo tra le due parti per il procacciamento di voti [è] fondato sulla sua consapevolezza; si intende, in tal modo, sottolineare più chiaramente il carattere doloso (ovvero, ex art. 43 c.p., secondo l’intenzione)”. Non è più centrale la promessa dello scambio: il reato inizia con l’accordo. E sussiste anche non in presenza di denaro (concetto di altra utilità).

La norma, al Senato, era stata modificata e resa meno netta nella sua proposizione. Il testo riproponeva il termine della ‘promessa’, alzava nuovamente le pene edittali equiparandole a quanto previsto dal 416-bis (associazione mafiosa). Ma l’accettazione dello scambio da parte dell’uomo politico non necessariamente e non immediatamente significa appartenenza all’organizzazione criminale: è stato questo concetto ad ispirare una diversa trattazione per il reato dello scambio politico-mafioso che, pur essendo una gravissima condotta, da solo non basta a dimostrare l’affiliazione. Lo scambio è un accordo, consapevole, che produce utilità per i contraenti, utilità non necessariamente coincidente con il denaro. Franco Roberti, procuratore nazionale Antimafia, si è così espresso: “dopo le correzioni della Camera al testo del 416-ter sul voto di scambio, abbiamo una norma perfetta e veramente utile a contrastare lo scambio tra politica e mafia”.

I 5 Stelle, tramite il blog di Grillo, scrivono invece che la norma è stata ‘svuotata’: “un politico può essere a disposizione della mafia: non è reato. Renzi e Verdini hanno ammazzato il 416 ter”. Nel testo del commento non è chiaro perché questa norma sia stata svuotata, né come. Quale è la natura della contestazione? Il mancato riferimento alla promessa? Quanto successo è esattamente il contrario di ciò che è stato votato in aula. Continuano i parlamentari 5s:

Dopo una lunga e dura battaglia il governo delle larghe intese sulla mafia, previo incontro tra capi, ha deciso che lo scambio politico mafioso non deve essere punito (blog Grillo).

I due capi sono Napolitano e Berlusconi, naturalmente. Peccato che la norma sia rivolta invece a colpire lo scambio anche in assenza di denaro, quindi è estensiva rispetto a quella attualmente in vigore. Perché il reato di scambio politico-mafioso è già reato, è già punibile. Ma la formulazione non copre tutte le fattispecie di scambio, per così dire. Non so se è chiaro. E non so se è chiara la disinformazione che i 5s stanno facendo in materia.

Semmai si dovrebbe operare al fine di approvare la norma immediatamente, già domani o dopo, al Senato. Non c’è più nulla da correggere, se la norma è perfetta. Citando nuovamente i 5s: “Non ci sono giri di parole da fare. Bisogna essere duri e determinati nella lotta contro la corruzione politica e mafiosa”. Sono d’accordo. Si adoperino per far votare subito la norma nello stesso testo approvato oggi. Grazie.

L’occhio nelle Istituzioni

L'occhio nelle Istituzioni

Pensate che un vicepresidente della Camera, nella posizione che mantiene, dovrebbe non far molta fatica a svolgere quella funzione di controllo e di pressione che il Mov 5 Stelle doveva essere nelle origini (ricordate la campagna dei cittadini con l’elmetto)?
Bene, proprio Luigi di Maio si è mosso, lancia in resta, contro il paventato acquisto di ben duecentodieci nuove auto blu – mentre quel fellone di Renzi ne vende 100 su ebay! Ecco, il bando è scaduto il 27 Febbraio, la Camera non acquista nessun nuovo mezzo, la notizia – per come è stata divulgata – è falsa.
Questo genere di fallimento nella comunicazione politica crea un danno doppio: da un lato, direttamente al 5 stelle e alla credibilità di ciò che dice; dall’altro, all’informazione dei cittadini, che è così compromessa, in buona parte, poiché la smentita non ha mai la medesima forza della denuncia.
Notate che gridare perennemente allo scandalo, al motto di ‘son tutti uguali’, ci spinge irrimediabilmente verso l’abisso.

Qui il bando http://www.consip.it/on-line/Home/Gare/scheda1032.html

Ti rendi conto? E’ la Resa dei Konti!!$$$!!

Ti rendi conto? E’ la Resa dei Konti!!$$$!! SCARICA L’EBOOK sui rendiconti e le retribuzioni dei parlamentari

La retribuzione dei parlamentari – nei discorsi del quotidiano – è quella cosa che rende indegno e indecoroso fare politica. Chi ha avuto il coraggio di dimezzarsi lo stipendio? Perché non fanno tutti come i 5 stelle, che in fondo non hanno niente da perdere?

La risposta è semplice: perché tutti (o alcuni) già fanno come i 5 stelle. Soltanto che i soldi decurtati dalle indennità finiscono al Partito, in linea di massima a finanziarne l’attività e l’organizzazione a livello nazionale e territoriale. Lavorando sui numeri e sforzandosi di lasciar da parte l’armamentario dei discorsi della retorica anti-Casta, è nata l’idea per questo ebook, un documento breve nel quale si riportano i piedi a terra, alla apparente freddezza dei numeri. Così, leggetelo, almeno scoprirete:

  • che i 5 stelle e i parlamentari del Pd guadagnano e spendono le medesime cifre; che dei ventimila euro di cui si narra, il parlamentare conserva per sé circa 3000 euro;
  • che la restituzione si risolve nel devolvere i soldi raccolti ad un fondo di garanzia per le Pmi (e perché non Emergency o la Croce Rossa o la Caritas?); che localmente il 5s trattiene i soldi delle indennità per finanziare attività politica affine (quale differenza con il Pd, quindi?);
  • che c’erano parlamentari a 5 stelle che pubblicavano rendiconti a zero euro (senza accantonamenti) tutti i mesi e che sono stati mandati via;
  • che altri, come Fico, trattengono per sé, con la formula dell’accantonamento, migliaia di euro di rimborsi non spesi (e poi li spendono in un mese circa, per “l’ufficio”).

Tutto questo vi farà arrabbiare. Avevate pensato che i giusti fossero solo da una parte. E invece non è così. E’ molto più complicato di così.

[Comunque, se si volesse davvero, domani si potrebbero ridurre le indennità di 3000 euro senza far danno a nessuno)]

Showbiz e le 5 Stelle

ImmaginePrendete due signore. Magari vostre conoscenze, oppure no. Le portate in piazza Montecitorio e dite loro di interpretare il ruolo delle passanti arrabbiate con la politica. Definite l’obbiettivo e glielo spiegate. Bisogna far vedere che la piazza è contro la scissione dei 5 Stelle. Nei pressi stazionano sempre le telecamere. E’ lo show businness della politica. Il circo mediatico. Ora, le due signore devono occupare il piccolo squarcio di realtà che la telecamera intercetta. Lo devono fare possibilmente impiegando i pochi istanti per veicolare un messaggio. Il messaggio è: bravi i 5 Stelle ‘fedeli alla Linea’ del duo Comico (Grillo-Casaleggio). Cattivi gli altri: i criticoni espulsi, e Civati. Lui, l’ispiratore, il cane da riporto di Bersani. Lui deve essere colpito sul voto di fiducia al governo Renzi. Pippo che non lascia il Pd per fare un nuovo partito (ma non erano tutti morti, i partiti? come si concilia l’odio verso il partitismo con questa ansia affinché Civati ne fondi uno tutto suo? non è forse irrazionale?) e che quindi, scanzianamente, non ha le palle. Una narrazione che piace ai duri e puri, diciamo. Ne fai un video, poi lo pubblichi sul web, cominciando dalla tua infrastruttura. Così accade. La sera del 5 Marzo, i tweet più popolari in materia erano questi tre, un indicatore del flusso che ha prodotto la notizia:

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Il video – scrivono su Il Fatto Q – è diventato virale in poche ore. Civati contestato da due donne. Te ne dovevi andare, dice quella più esagitata. Rivolta saggiamente verso la telecamera, poco prima che Civati venisse intervistato dai giornalisti, al momento più opportuno, ovvero all’apice rossiniano della sua filippica, lancia la velenosa insinuazione. Tu non ha le palle. Punto, set, partita.

Il video compare dopo poche ore sul sito del giornale di Padellaro. La donna con il cappello rosso diventa la “nuova Annarella”. Fantastico, questo popolo. Così espressivo, così immediato e informato e attento. E soprattutto arrabbiato. Un ritratto perfetto.

Peccato che, chi ha ideato la messinscena (sì, questa è pura mimesis), deve essersi trovato a corto di imitatori di passanti. E allora, il giorno dopo, quando c’era invece da far percepire il favore del popolo verso i 5 Stelle fedeli, viene ripresentata la stessa signora, Annarella bis, curandosi solo di cambiarle abito. Ma è sempre lei, ed è sempre lo stesso modus operandi: interruzione di una intervista, occupazione dell’inquadratura, mandando il messaggio richiesto. Il video, questa volta, fuoriesce dalla bolla consueta dell’area 5 Stelle e contamina niente meno che il sito de Il Corriere. Un altro punto a loro favore.

Il video de Il Corriere: http://video.corriere.it/d-inca-m5s-non-sono-espulsioni-ora-lascino-posto-ad-altri/bc641904-a537-11e3-8a4e-10b18d687a95

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Annarella bis ha il cappello blu. Cattura l’inquadratura del Corriere lanciandosi in una accorata difesa del capogruppo dei 5 Stelle alla Camera, D’Incà. Questa volta si dichiara elettrice del Movimento. E sul sito del Corriere viene definita sostenitrice dei 5 Stelle. “Al sig. Campanella e ai suoi alleati, volevo dire che se ne devono andare”, “siete la vergogna”, “traditori”, dice la signora rivolta agli espulsi a 5 Stelle. Non manca una stoccata a Civati: “i gongoloni facciamoli fare a Civati, a Renzi, a Letta che c’ha le palle d’acciaio”.

Stasera, il Fatto Tv ha rettificato con un filmato che evidenzia la strana compresenza della donna, come contestatrice di Civati, e come sostenitrice di D’incà. Basta questo aspetto per rendere manifesta la superficialità con la quale accettiamo un certo tipo di informazione, e come questa informazione sia subdolamente influenzata. Rappresentare un consenso/dissenso così viscerale, non equivalente alla realtà, è un sordido trucco da quattro soldi.

#M5s | Di Battista e l’estetica dell’espulsione

Per il Movimento, scrive Di Battista, “stare fermi è la morte assoluta”. Che significa stare fermi? Stare fermi è il contrario del fare. Stai fermo se pensi, se ti soffermi a pensare, a tentare di capire. Non puoi stare fermo. Devi agire (devi fareeh!) e fidarti di chi sta sopra di te. Il Movimento è militanza nel senso estremo del termine: chi milita, in un certo senso, compie un atto di fede (lat. militare, da mìles, esercitare la milizia, fare il soldato – via etimo.it).

Il soldato Di Battista accusa i quattro dissidenti (Battista, Orellana, Bocchino, Campanella) di aver esercitato “in modo organizzato, [virgola aggiunta n.d.r] la logica del dolo, la malafede, il sabotaggio di tutte le grandissime battaglie che abbiamo portato avanti come gruppo”. I dissidenti, non fidandosi, sono in malafede. Ogni volta che c’era da lanciare una battaglia (il soldato è sempre pronto), uno dei quattro si interponeva con la propria “zavorra professionale” (virgolettato nel testo). La critica argomentata è zavorra, è sovrappeso. Il soldato è leggero, corre verso la morte per la causa, non può permettersi di avere dubbi prima di immolarsi. Il dubbio, esattamente come la discussione nella dottrina del Fare, è perdita di tempo, è pericoloso. Poiché mette a rischio il progetto, esso deve essere espulso dall’orizzonte fenomenico.

Nello stato di eccezione è la legittimità dell’opinione altrui ad essere sospesa. Non si tratta più solo di disobbedienza rispetto alla linea di partito. Non è più solo contestazione per una decisione imposta dalla maggioranza. In questo caso si previene il dissenso, eliminandolo in potenza. Dissenso è anche solo permettersi di contribuire con la propria “zavorra professionale”. “Quando perdo”, scrive Di Battista, “so che la decisione dell’assemblea è sacra in quanto frutto di un vero processo decisionale, frutto dell’intelligenza collettiva”. La decisione della maggioranza, in quest’ottica, diventa coercitiva. Non può essere manifestata, ergo non può esistere, opinione divergente. Quando la decisione è presa, la minoranza è annientata e il movimento-partito si muove come un sol uomo.

Siamo in guerra, una guerra democratica, fatta di informazione, partecipazione, amore per la politica. Ma di guerra si tratta (Pagina Fb Alessandro Di Battista).

La guerra non è mai democratica. La guerra è soppressione dell’alterità. In questo caso, è l’opinione a essere fuoco amico: “io non posso lasciare la trincea sapendo che mentre sferro un attacco (ripeto, le nostre armi sono e saranno solo informazione, impegno, studio e partecipazione alla politica) qualcuno mi sparerà, scientemente e volutamente alle spalle”. Le armi di Di Battista non possono essere usate per dissentire contro Di Battista. Ma, inevitabilmente, l’arma dell’informazione, usata contro un nemico politico, non è più tale ma è mera propaganda.

La trincea è anch’essa immobilismo. Nella trincea muori senza combattere. E chi combatte la Casta, freme di trovarsi a tu per tu con il nemico. La Casta è sempre pronta ad arruolare nuovi politicanti (“Il palazzo è una vasca di squali, trasforma cittadini in onorevoli, in statisti da 4 lire”). I 4 statisti da quattro lire vanno sacrificati in vista della missione speciale, le Elezioni Europee. E’ duro e doloroso lasciare sul campo quattro ex compagni, ma la loro dipartita è male necessario. Il sacrificio di un compagno è quindi giustificato con il prospettarsi di un traguardo politico prestigioso. La causa (elettorale) prevale sul buonsenso e il dialogo. Appunto, da ideologica (la guerra contro la Casta), la causa si fa meno nobile (prender più voti). Sembrerebbe un paradosso e forse lo è.

#Impeachment Napolitano | Fine del Movimento 5 Stelle

La doppia escalation della virulenta pratica parlamentare dell’ostruzionismo, sommata alla presentazione della Messa in Stato d’Accusa contro Giorgio Napolitano, segnano la fine del Movimento 5 Stelle come lo avevamo conosciuto. Già, perché il M5S doveva riportare la politica alla dimensione collettiva della partecipazione e pertanto rimettere al centro i problemi del vivere comune: l’ambiente, la gestione del suolo, la lotta alla criminalità organizzata, i beni pubblici, l’acqua, le fonti energetiche, e via discorrendo. Ora troviamo un gruppo di parlamentari che ogni santo giorno di questa XVII Legislatura combatte una guerra verbale e finanche fisica, una guerra di parole fuori posto, esagerate e offensive, che hanno sì l’effetto di bucare il sistema comunicativo e di farlo impazzire guadagnando una visibilità sconosciuta, ma anche quello di svilire pesantemente la propria iniziativa politica.

In questo contesto, il documento della Messa in Stato d’Accusa di Napolitano segna il discrimine fra razionalità e irrazionalità del Movimento. E’ il documento con il quale i 5 Stelle dimostrano di aver perso di vista il mondo reale e si fanno controparte di una classe politica impedita a vedere oltre la siepe delle battaglie di Palazzo. Le accuse contro Napolitano hanno il difetto di essere inconsistenti, a tratti errate, poggianti su mere considerazioni o, peggio, su ricostruzioni giornalistiche non verificabili. La lettura del documento vi lascerà esterrefatti, tante sono le inesattezze e le forzature. E sarete permeati dall’idea che esso sia stato presentato al solo fine di giustificare i prodotti della comunicazione politica, vale a dire i filmati esplicativi molto aggressivi e i post del blog, studiati con l’intenzione di narrare il sospetto, il complotto. Il documento non vale nulla (o quasi), eppure diventa una arma formidabile nella produzione del consenso verso il Movimento 5 Stelle. Napolitano è al secondo mandato presidenziale, fatto quantomeno irrituale nel nostro ordinamento. Lo abbiamo scritto anche su questo blog. Ma Napolitano ha operato in una certa fase della politica italiana, quella dei giorni delle dimissioni di Berlusconi e del rischio di commissariamento da parte di Bruxelles. Gli si potrà rimproverare tutto, da un punto di vista politico. L’operazione dei 5 Stelle tenta di trasformare un giudizio politico in giudizio tecnico-costituzionale: un rischio, tanto più che il dibattimento avverrà in Parlamento, laddove i 5 Stelle sono una minoranza auto-balcanizzatasi, isolata nel proprio circuito di autoreferenzialità.

Le accuse. Analizzo qui di seguito alcuni dei capi d’accusa sollevati contro il Presidente.

1. Espropriazione della funzione legislativa del Parlamento e abuso della decretazione d’urgenza: i 5 Stelle accusano il Presidente Napolitano di aver favorito questa deriva. Va da sé che il Capo dello Stato non ha potere di influenzare questa tendenza (il potere di rinvio è limitato): ma Napolitano si è più volte espresso con messaggi contro l’abuso della decretazione d’urgenza, come lo scorso Agosto 2012 quando, durante la discussione del decreto sulla Spending Review, scrisse al governo Monti ricordando che “il costante ricorso alla decretazione d’urgenza e alla posizione di questioni di fiducia è prassi non ammessa dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale che definisce questa evenienza come un uso improprio, da parte del Parlamento” (infooggi.it). Non è quindi razionale accusare Napolitano di una prassi adottata dal Parlamento, specie quando la medesima prassi è stata più volte denunciata da lui stesso.

3. Mancato esercizio del potere di rinvio presidenziale: per sostenere questa accusa, il perimetro dei provvedimenti analizzati è ristretto ad alcuni atti dei governi Berlusconi dichiarati poi incostituzionali, totalmente o parzialmente, dalla Corte Costituzionale. Napolitano avrebbe la colpa grave di aver promulgato leggi incostituzionali. Ma i 5 Stelle qui confondono quello che Stefano Ceccanti chiama ‘controllo preventivo e astratto’, proprio perché agisce quando la legge non è ancora applicata e quindi ancora non esiste alcune fattispecie concreta che possa mettere in luce l’incostituzionalità. Fra l’altro, il potere di rinvio non si configura come un vero e proprio controllo preventivo, dal momento che il Capo dello Stato non può sollevare la pregiudiziale in seno alla Consulta, ma può solamente rinviare il provvedimento alle Camere con un messaggio di motivazione, e per giunta respingendolo una sola volta. Tuttavia, nel corso del suo primo mandato, Napolitano ha esercitato questo potere in talune circostanze, fra le quali figura il rinvio alle Camere del Decreto Milleproroghe, nel Febbraio 2011, poiché le norme che introduceva “per la loro ampiezza e eterogeneità” si ponevano “in contrasto con la Costituzione”. Quindi Napolitano agiva contro un decreto omnibus, proprio ciò che oggi i 5 Stelle indicano come capo d’accusa contro lo stesso Presidente.

2. Riforme della Costituzione e della legge elettorale: qui si accusa il Presidente di aver “incalzato e sollecitato” il Parlamento all’approvazione della riforma dell’articolo 138. Come ben saprete, la riforma del 138 è naufragata con le Larghe-Larghe intese, ed era forse ben chiaro a tutti i parlamentari che la medesima non sarebbe mai stata approvata. Non solo, ma come abbiamo più volte scritto su questo blog, la surreale riforma del 138 prevedeva l’istituzione del Comitato dei Quaranta che a sua volta avrebbe dovuto seguire una speciale procedura per l’approvazione di altre ulteriori imprecisate riforme costituzionali, tutte egualmente sottoponibili a referendum popolari. Curioso che il potere prevaricante di Napolitano abbia prodotto questo (cioè il nulla). Secondo i 5 Stelle, il Napolitano Presidenzialista – come giustamente rileva Stefano Ceccanti – sarebbe colpevole di una riforma che non è mai stata approvata. Paradossale, non è vero?

Tralascio la questione delle intromissioni nelle indagini correlate al processo sulla Trattativa Stato-mafia, sul quale vi è una pronuncia della Consulta che ha dato ragione a Napolitano (sentenza n. 1/2013); sul potere di attribuire la grazia posso aggiungere che il Presidente, in tale decisione, può essere motivato anche da ragioni politiche:

Il Legislatore, predisponendo il testo del Codice di procedura penale del 1988 ha regolato all’art. 681 i provvedimenti relativi alla grazia, rammentando che essa “assolve una funzione correttivo-equitativa dei rigori della legge, ma ha anche, e sempre più, il ruolo di strumento di risocializzazione alla luce dei risultati del trattamento rieducativo” (cfr relazione al progetto preliminare), pur non senza dimenticare “le altre e diverse funzioni, di rilievo anche politico”, proprie dell’istituto (cfr. relazione al progetto definitivo) –  di Roberto QuintavalleCassazione Penale, Anno XLI Fasc 11 – 2001.

Di fatto, tali erano le decisioni nei casi citati, vale a dire la clemenza verso il giornalista Sallusti e quella erogata a Joseph L. Romano, colonnello USA, che ai tempi della extraordinary rendition contro Abu Omar, nel 2003, era responsabile statunitense della sicurezza della base di Aviano, dove sostò l’aereo che portò l’ex imam in Germania e da lì in Egitto. Entrambi i provvedimenti di clemenza sono motivati da ragioni di opportunità politica, specie il secondo caso, in grado – in potenza – di far esplodere una crisi diplomatica con gli USA.

In ultima analisi, è curioso che, a parte il caso citato della riforma del 138 (la rielezione non è un atto del Presidente), tutti gli altri atti contestati risalgono al precedente settennato. Va da sé che, se Napolitano non fosse stato rieletto, tali accuse non sarebbero mai state formulate né formalizzate. Aspetto già sufficiente a capire la natura artificiosa di codesta operazione.

Il testo dell’impeachment.

Tetto alle Pensioni d’oro e i confini della costituzionalità

Come promesso, ritorno sull’argomento pensioni d’oro cercando di rispondere in maniera più estesa ai commenti del precedente post (leggi qui).
La mozione Sorial, ho scritto, chiedeva al governo di introdurre una norma (il prelievo straordinario perequativo) già inserita in Legge di Stabilità ed in secondo luogo di applicare a tali trattamenti pensionistici il calcolo contributivo. Nei commenti segnalavo che la materia era già in corso di trattazione in Commissione Lavoro alla Camera e che, proprio il medesimo giorno in cui l’aula discuteva le mozioni, la Commissione adottava un testo base, nella fattispecie l’Atto Camera C. 1253, prima firmataria Giorgia Meloni. In simmetria con quanto accaduto per le mozioni, i progetti di legge in materia erano ben sei, uno per ogni partito di opposizione (M5S, LNP, Fratelli d’Italia, SEL), uno ciascuno per PD e Scelta Civica.
Il testo Meloni si avvicina molto a quanto richiesto da Sorial in aula al governo: contiene il ricalcolo delle pensioni sopra dieci volte il TM (trattamento minimo) con il metodo contributivo e il tetto massimo, posto appunto nel confine di dieci volte il TM; il gettito così ottenuto andrebbe indirizzato alle pensioni minime e agli assegni sociali.
La sorpresa è stato leggere il pdl presentato dal M5S a firma di Davide Tripiedi. Il testo Tripiedi non sembra collimare affatto con quanto richiesto da Sorial in aula, tanto più che la mozione precede la proposta (è datata 25 Settembre, il testo di legge 13 Dicembre). In essa, si intende introdurre un tetto ai trattamenti pensionistici sopra i 5000 euro per un triennio durante il quale sarebbe sospesa anche la rivalutazione. L’unico punto d’unione è la destinazione del gettito, che peraltro lo accomuna al pdl della Meloni, devoluto “a misure di perequazione dell’integrazione al trattamento minimo dell’INPS [e] dell’assegno sociale” (Atto Camera C. 1896). Nonostante la similitudine fra la proposta Meloni e la mozione Sorial, quando la Commissione acquisisce il testo base, Tripiedi non ci sta:

Davide Tripiedi (M5S) [ha] fatto presente che il suo gruppo non giudica pienamente convincente il testo della proposta di legge testé adottato come testo base, del cui contenuto si riserva di svolgere un adeguato approfondimento nei prossimi giorni, dichiara che si sarebbe aspettato una maggiore attenzione nei confronti del provvedimento presentato dal suo gruppo, a fronte dell’indiscutibile chiarezza e completezza del suo articolato (Resoconto Commissione Lavoro 08/01/2014).

Il testo base non è convincente, ma è simile a quanto il collega Sorial si apprestava a dire in aula, e alla stessa maniera della proposta Tripiedi, del comma 486 della Legge di Stabilità, nonché degli altri progetti di legge presentati in materia (tranne uno), non è in grado di soddisfare i requisiti di costituzionalità richiesti e definiti dalla Consulta in almeno tre diverse pronunce. La Corte ha chiaramente specificato che, avendo il prelievo natura tributaria, non può che essere erga omnes (applicabile cioè a tutti i cittadini – criterio dell’uguaglianza dinanzi alla legge, articolo 3 Cost.) e applicato in misura progressiva rispetto al reddito (articolo 53 Cost.). Vediamo qui di seguito alcuni aspetti dirimenti (dalla sentenza 116/2013):

  • Natura Tributaria del prelievo: “Questa Corte ha già espressamente qualificato l’intervento di perequazione in questione come avente natura tributaria”;
  • Reddito da Pensione è Retribuzione differita: “i redditi derivanti dai trattamenti pensionistici non hanno, per questa loro origine, una natura diversa e minoris generis rispetto agli altri redditi presi a riferimento, ai fini dell’osservanza dell’art. 53 Cost., il quale non consente trattamenti in pejus di determinate categorie di redditi da lavoro”;
  • Progressività della tassazione: “la Costituzione non impone affatto una tassazione fiscale uniforme, con criteri assolutamente identici e proporzionali per tutte le tipologie di imposizione tributaria; ma esige invece un indefettibile raccordo con la capacità contributiva, in un quadro di sistema informato a criteri di progressività, come svolgimento ulteriore, nello specifico campo tributario, del principio di eguaglianza, collegato al compito di rimozione degli ostacoli economico-sociali esistenti di fatto alla libertà ed eguaglianza dei cittadini-persone umane, in spirito di solidarietà politica, economica e sociale (artt. 2 e 3 della Costituzione) – (sentenza n. 341 del 2000);
  • Assimilabilità fra prelievo temporaneo e definitivo: “è necessario analogamente rilevare l’identità di ratio della norma oggi censurata rispetto sia all’analoga disposizione già dichiarata illegittima, sia al contributo di solidarietà (l’art. 2 del d.l. n. 138 del 2011) del 3 per cento sui redditi annui superiori a 300.000 euro”;
  • Irragionevolezza del diverso trattamento: “irragionevolezza ed arbitrarietà del diverso trattamento riservato alla categoria colpita, «foriero peraltro di un risultato di bilancio che avrebbe potuto essere ben diverso e più favorevole per lo Stato, laddove il legislatore avesse rispettato i principi di eguaglianza dei cittadini e di solidarietà economica, anche modulando diversamente un universale intervento impositivo”;
  • Imposizione discriminatoria: “il maggior prelievo tributario rispetto ad altre categorie risulta con più evidenza discriminatorio, venendo esso a gravare su redditi ormai consolidati nel loro ammontare, collegati a prestazioni lavorative già rese da cittadini che hanno esaurito la loro vita lavorativa, rispetto ai quali non risulta più possibile neppure ridisegnare sul piano sinallagmatico il rapporto di lavoro.

Il sito Formiche.net da diverse settimane ha avviato una battaglia informativa nei confronti delle norme assunte dal governo in Legge di Stabilità. In uno degli articoli si lamenta l’inadeguatezza delle norme proposte sia da governo, sia da opposizione, poiché nessuna di queste supererebbe il giudizio di costituzionalità della Corte in quanto “fortemente discriminatorie nei confronti di una categoria, i pensionati” (Formiche.net).

Se si vuole aumentare il gettito – ha detto uno degli interpellati – lo si deve fare in modo trasparente, tramite un’addizionale alle aliquote per i redditi elevati o tramite una rimodulazione delle aliquote medesime (Formiche.net).

L’unico progetto di legge che prevede l’inserimento dell’addizionale è l’Atto Camera C. 1842, primo firmatario Giorgio Airaudo (SEL). Nel testo si intende inserire una tassazione aggiuntiva pari all’1% per la parte eccedente i 90 mila euro e fino a 120 mila; la parte eccedente i 120 mila, viene tassata 0,5% in più ogni 30 mila euro. Il gettito ricavato andrebbe inserito in un fondo speciale per i disoccupati al fine di garantire la contribuzione figurativa nei periodi di mancato lavoro. La formula dell’addizionale avrebbe anche l’effetto di allargare la platea dei soggetti passivi, incrementandone il gettito.

In conclusione: se si vuole veramente intervenire sulle pensioni d’oro, occorre intervenire anche sulle altre forme di reddito da lavoro. Apporre dei tetti a trattamenti pensionistici significa legiferare in un campo limite rispetto ai confini della costituzionalità. Ed è più dannosa una norma incostituzionale che nessuna norma. La soluzione dell’addizionale era già sul campo, proposta da SEL, ma nella dinamica parlamentare, i 5 Stelle preferiscono fare da soli, con il risultato paradossale di presentare proposte di legge che differiscono dalle mozioni che portano in aula. Il Parlamento dovrebbe servire anche al confronto civile, alla discussione e al reciproco sostegno laddove si hanno medesime opinioni e intenti. Se i 5S avessero esaminato con più attenzione l’attività altrui, ora avrebbero la carta vincente in materia di limitazione delle pensioni d’oro. E invece tocca ricominciare tutto daccapo.

Diritto di recesso immobili Pubblica Amministrazione: perché ha ragione Palazzo Chigi

I 5 Stelle hanno chiuso il 2013 con una nuova polemica anticasta sulla norma contenuta nel Decreto Legge 151/2013 (la seconda parte del Milleproroghe), norma che intende disciplinare diversamente la possibilità di recesso dai contratti di affitto ritenuti troppo onerosi da parte della PA. Qualche commentatore era rimasto stupito per la reazione di Palazzo Chigi, tramite l’account twitter ufficiale. Era l’ultimo giorno dell’anno e i twitteratori del governo avevano così scritto:

Già nel testo del secondo tweet è contenuta la spiegazione del testo di legge che evidentemente è sfuggita ai pentastellati. Volendo approfondire, cercando di capire chi ha ragione e chi torto, ci si imbatte in questo articolo de La Stampa, che casualmente riporta la spiegazione del solo punto di vista grillino. La Stampa rende conto delle dichiarazioni del portavoce Riccardo Fraccaro, secondo il quale “chi ha scritto questo decreto scandaloso e chi l’ha promulgato ora ne [devono pagare] le conseguenze di fronte al Paese”. La critica feroce di Fraccaro si fonda su questo schema argomentativo: la norma originaria era voluta dai 5 Stelle; ora viene modificata dal governo e pertanto non può che esser stata opera dei lobbisti immobiliaristi della Casta:

Devono subito ripristinare la norma a 5 stelle che consente di tagliare miliardi di sprechi e poi ritirarsi con disonore. L’articolo 2 del provvedimento prevede che si possa rinunciare alle locazioni degli immobili entro il 30 giugno 2014 ma con un preavviso di 180 giorni. Il recesso, quindi, deve essere chiesto entro 6 mesi, ma bisogna dare un preavviso di 6 mesi per poterlo esercitare: i due termini coincidono, facendo così saltare i tempi tecnici per il recesso (La Stampa.it).

Il milleproroghe è un decreto “con il trucco”, questa è la morale finale.

Come nostra consuetudine, veniamo ai testi di legge e cerchiamo di capire la portata delle modifiche. Si tratta dell’articolo 2 del Decreto Legge 151/2013 che modifica l’articolo 2-bis del Decreto Legge 120/2013 convertito con modificazioni dalla L. 13 dicembre 2013, n. 137. Di seguito il testo dell’articolo 2-bis, comma 1, come variato dalla successiva norma:

Art. 2-bis. (Facoltà di recesso delle pubbliche amministrazioni da contratti di locazione).

1. Anche ai fini della realizzazione degli obiettivi di contenimento della spesa di cui agli articoli 2, comma 5, e 3, comma 1, le amministrazioni dello Stato, le regioni e gli enti locali, nonché gli organi costituzionali nell’ambito della propria autonomia, hanno facoltà di recedere, entro il ((30 giugno 2014)), dai contratti di locazione di immobili in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. Il termine di preavviso per l’esercizio del diritto di recesso e’ stabilito in ((180 giorni)), anche in deroga ad eventuali clausole difformi previste dal contratto.

La norma originaria, la cui paternità è rivendicata dai 5 Stelle, indicava come termine ultimo per richiedere il recesso il 31 Dicembre 2014, mentre erano trenta i giorni del termine di conclusione del contratto. Secondo i 5 Stelle, la modifica apportata dal governo rende impossibile la chiusura dei contratti poiché termine di presentazione del recesso e conclusione del contratto coinciderebbero. Non è così: entro il 30/6/14, la PA può inviare comunicazione di recesso, la quale prevede che il contratto sussista altri sei mesi prima della sua chiusura. Niente di scandaloso. Niente di truffaldino. Il portavoce dei 5 Stelle non fa distinzione fra termine di comunicazione della volontà di recesso (facoltà di recedere – 30/06/14) e sua esecuzione (esercizio del diritto – dopo 180 giorni). E’ il medesimo processo che si segue in ambito privato per la locazione di immobili come disciplinato dalla Legge 27 Luglio 1978, n. 392. Il 5 Stelle invece interpreta la norma a proprio piacimento e in maniera distorsiva, per sostenere l’argomentazione che la Casta stia difendendo il proprio bacino di clientela. Questa volta, però, Palazzo Chigi ha ragione.

Detto ciò, si aprirebbe un’importante discussione circa la capacità del suddetto portavoce dei 5 Stelle, e dei suoi sodali, di comprendere effettivamente una norma di legge. Immediatamente viene alzato il livello di allarme, immediatamente si attivano e parlano di legge truffa, mentre (pur essendo debitamente rappresentati nelle Commissioni) altri emendamenti più sibillini passano inosservati, finché non giungono in aula e sono approvati nel disinteresse generale e nello stupore di alcuni deputati. Così, a spanne, potrei dire che l’opposizione pentastella, fatta passare per durissima, è in realtà piuttosto inefficace. Non è in grado, cioè, di sollevare le questioni al momento opportuno e grida allo scandalo su norme o provvedimenti che, alla lettera, non contengono nulla di scandaloso o di truffaldino.

Di Battista, sei circondato

Mi spiace moltissimo ripetermi. Ritengo quella certa critica a Civati, mossa dagli ambienti pentastellati, non solo fine a sé stessa ma anche errata negli argomenti impiegati. Alessandro Di Battista è parlamentare dei 5 Stelle, uno dei fedelissimi alla linea del duo Grillo-Casaleggio. Ieri, in un post sul suo blog (che volutamente non cito) paragona Giuseppe Civati a Borghezio. Vi risparmio lo schema mediante il quale Di Battista giunge a formulare questa equazione. Ma mi vorrei soffermare sul passaggio del pezzo da lui scritto, poi ripreso – acriticamente – dagli amici de Il Post.

1) Civati è un mito. Fa finta di ribellarsi (solo la sera davanti al PC) ma vota, nel 98,1% dei casi come la Santanchè

Questa frase è lo specchio di una tendenza ormai ampiamente radicata nell’ambiente: prendere i risultati di analisi automatiche e impiegarli per una valutazione politica. Sbagliato. Sbagliatissimo. In primis perché le percentuali nascondono altre verità e vanno debitamente soppesate. Sono, troppo spesso, semplificatorie.

Ripeto l’esercizio di qualche settimana fa, quando andava di moda paragonare Civati a Capezzone. Innanzitutto guardiamo alle presenze in aula:

Presenze Assenze Missioni
Di Battista 1711 338 0
Santanché 275 1846 0
Civati 1506 615 0

in pratica, in circa l’88% delle volte in cui Di Battista sedeva in aula, era presente anche Civati, mentre non si può dire lo stesso della Santanchè (16% delle sedute di Di Battista). Si potrebbe già dire che il confronto con Santanchè è irrilevante. Santanchè ha votato allo stesso modo di Civati in 228 votazioni, ma se guardiamo ai voti chiave (come definiti dal medesimo sito e organizzazione dalla quale Di Battista ha ripreso i dati per il suo personalissimo confronto) questo numero scende a 2. Avete capito bene: 2. Il resto dei voti era relativo a mozioni, subemendamenti, emendamenti, eccetera. Normale prassi d’aula. Ed è altrettanto normale che, facendo parte entrambi della medesima maggioranza, giocoforza alcuni provvedimenti li devono aver votati insieme. Nei voti chiave, Civati ha invece votato ben 3 volte come Di Battista. Dobbiamo forse pensare che Di Battista sia passato al nemico?

Di Battista Santanché Civati
Decreto Salva Pubblica Amministrazione Astenuto Assente Assente
Norme in materia di Diffamazione Contrario Assente Favorevole
Abolizione del finanziamento pubblico diretto ai partiti Assente Assente Assente
Decreti Imu Contrario Assente Favorevole
Decreto Anti Femminicidio Assente Assente Assente
Decreto Cultura Astenuto Assente Assente
Fiducia al Governo Letta Contrario Favorevole Assente
Assestamento Bilancio 2013 Contrario Assente Favorevole
Delega Fiscale al Governo Astenuto Assente Favorevole
Contrasto Omofobia e Transfobia Assente Assente Voto segreto
Comitato parlamentare per le riforme costituzionali ed elettorali Contrario Assente Assente
Decreto del Fare Contrario Assente Favorevole
Dimissioni deputata Marta Leonori Voto segreto Assente Voto segreto
Decreto Lavoro Contrario Assente Favorevole
Decreto Svuota Carceri Assente Assente Favorevole
Modifica 416 ter, scambio elettorale politico mafioso Favorevole Assente Favorevole
Decreto ILVA Contrario Assente Favorevole
Delega al Governo per pene detentive non carcerarie Contrario Assente Assente
Decreto Emergenze Astenuto Assente Favorevole
Sospensione IMU e Rifinanziamento CIG Favorevole Assente Favorevole
Convenzione Internazionale contro la violenza nei confronti delle donne Favorevole Favorevole Favorevole
Pagamento debiti Pubblica Amministrazione Astenuto Favorevole Favorevole
Fiducia al Governo Letta Contrario Favorevole Assente

Questi 228 voti in cui Civati ha votato con Santanchè fanno parte di un pacchetto di 232 voti. Ma attenzione: sapete quante volte Di Battista e Civati hanno votato nella medesima maniera: 363. Trecentosessantatre voti (lo scrivo in lettere perché sia più chiaro). Va da sé che la base imponibile di voti espressi, in questo secondo caso, è maggiore (1162), ma è evidente che ciò sia così, dato che è più facile trovare in aula Civati-di Battista che Civati-Santanchè.

2) Tu latiti Pippo pavido! Alzati in piedi martedì in aula e fai un intervento contro l’ultima vergognosa prova dell’indecenza del sistema partitico. «Ma no, sei matto? Mi cacciano dal partito».

Parliamo di disciplina di partito? Ebbene, sappiate che il vostro eroe a 5 Stelle vota molto diligentemente secondo le indicazioni del partito. Questa caratteristica è valutata da openparlamento tramite i cosiddetti voti ribelli. Facciamo un confronto su questo? Facciamolo:

Voti ribelli
Di Battista 1 1781 0,06%
Civati 18 1506 1,20%

Civati ha votato diciotto volte contro i suoi stessi colleghi. Non è poco, soprattutto per uno che si è sobbarcato l’onere di non votare la fiducia al governo delle Larghe Intese in ben due occasioni. Si può dire lo stesso di Di Battista? Si può dire che sia un deputato che pensa e agisce solo sulla base delle proprie convinzioni personali? Dobbiamo credere che fosse d’accordo con il proprio gruppo parlamentare tutte e le 1780 volte in cui ha votato conformemente? A voi l’ardua sentenza. Credo che quei diciotto voti ribelli la dicano lunga sull’approccio di Civati rispetto alle decisioni intraprese dal proprio gruppo parlamentare.

Non commento la parte di critica relativa alla mancanza di interventi in aula di Civati sugli F35. Parlano in sua difesa, le centinaia di persone che lo ascoltano in molte parti del paese, alle manifestazioni collegate alla campagna congressuale. Tutti sanno, o hanno letto sulla mozione congressuale, quale è l’opinione di Civati in merito.

3) Uomini come Civati continuano purtroppo a dare speranza a chi crede ancora che un partito morto come il PD possa cambiare.

Sì, continua a dare speranza. Ma non è una speranza fine a sé stessa. E’ una speranza che invita ad agire. Ora. Occupare il Pd è l’invito che Civati ha rivolto a tutti coloro che sono mossi dallo schifo verso un sistema partitico (spiacente, è compreso in questa definizione anche il M5S) che è immobile, spinto solo dalla conservazione dello status quo (chi conserva la posizione di dominanza, chi quella di critica al potere). E’ un atto di civiltà, occupare il Pd. Farlo proprio per mandar via i signori della pioggia (delle tessere). Farlo diventare luogo della libera e informata discussione. Un progetto irrealizzabile? Di Battista vuol farvi intendere questo. Vuol farvi intendere che è tutto finito, che può solo peggiorare. Che non ci sarà mai fine alla corruzione e alla malapolitica. Vi invito a rifiutare questo nichilismo, questo intendimento secondo cui ci attende solo la distruzione. Ricostruire la sfera pubblica si può. Fare ciò cominciando dal Partito Democratico è l’impresa più straordinaria che possa capitarvi in tutta la vita. Reagite.

Cinque per cento

Quale potrebbe essere il commento politico al risultato elettorale in provincia di Trento per il movimento 5 Stelle?

Questo:

24-25 Febbraio 2013

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27 Ottobre 2013

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Voti validi totali 261.795 contro i 319.384 delle Politiche (affluenza tutto sommato in linea con quanto già avvenuto nel resto del paese a Febbraio, 65%). Una ecatombe di voti, complessiva, per tutto il centrodestra e per il partito di Grillo. Irrilevante l’effetto candidato per i 5 Stelle. Non c’è altro da dire.

Impeachment Beppe Grillo

Capita quando in un gruppo si verificano profonde rotture nel comune sentire. Capita che il vertice annulla il confronto e punta l’indice verso un conflitto esogeno. Se ne ha i mezzi, il conflitto lo produce esso stesso. Così è successo in queste ore nel Movimento 5 Stelle. Due senatori promuovono un emendamento che cancella una norma di legge frutto di un ventennio di propaganda antimigranti, una norma che trasforma una condizione provvisoria della persona, l’essere senza una casa, senza una patria, in un reato. In una paese civile, non solo una norma simile non sarebbe esistita, ma chi fosse stato in grado di abrogarla si sarebbe meritato menzioni di merito sui giornali, specie dal proprio capo di Partito.

Maurizio Buccarella e Andrea Cioffi sono due senatori leali nei confronti del vertice. Sono soprattutto competenti in materia e nella fattispecie si sono dimostrati molto abili ad ottenere il sostegno di PD, Sel e Scelta Civica, persino il sostegno del relatore che rappresenta il governo. Lo spregio della rettifica a mezzo blog è tremendo. La mannaia del capo si è calata su di loro. Inaccettabile, dicono in molti, all’uscita dalla riunione di ieri dei parlamentari. I pasdaran Di Battista, Sibilia, Di Stefano, Crimi, Morra, Lombardi fanno fatica a tener testa al dissenso. Non c’è stata nessuna deliberazione, cosa che accade quando la maggioranza ce l’hanno gli altri. Di fronte ad una spaccatura simile, il Capo dovrebbe accettare l’esito dell’aula e lasciare ogni ruolo e funzione all’interno del Movimento. Ovviamente ciò non gli passa neanche per l’anticamera del cervello.

Il blog di Grillo oggi ospita il redivivo Becchi e lancia la campagna dell’impeachment contro Napolitano, 88 enne Capo dello Stato, reo di aver inviato la missiva alle Camera sulle inaccettabili condizioni del sistema carcerario italiano, emergenza sempre aperta e irrisolta poiché da venti anni la politica si occupa d’altro. L’impeachment, se deve esserci, i 5 Stelle dovrebbero votarlo contro il proprio fondatore e leader. Una polemica, quella contro Napolitano, creata nel Movimento con il preciso scopo di incanalare nuovo odio, nuova indignazione. Di questo si nutre il blog. Non c’è niente altro. Le proposte politiche sono tacciate di essere contro la volontà popolare, soltanto perché sono iniziative che nascono nell’ambito delle istituzioni rappresentative. La democrazia diretta di Grillo vive del plebiscito perpetuo fondato su una continua sollecitazione alla polarizzazione dello scontro. Il dualismo Popolo-Casta, ovvero l’archetipo schmittiano dell’Amico-Nemico, dialettica della politica come guerra.

La Legislatura dell’Oca

Di fatto, siamo tornati ad Aprile. cinque mesi di non governo archiviati con una dimissione ad orologeria. Stessa strategia che avrebbero seguito un mese fa se il governo Letta non avesse trovato i denari per coprire la rata di Giugno dell’Imu e provvedere all’eliminazione dell’odiata tassa. Ma Letta-Saccomanni avevano solo una cartuccia da sparare. L’hanno usata subito ed hanno ottenuto il brillante risultato di prolungare la vita poco dignitosa delle Larghe Intese per qualche settimana ancora. Il secondo ricatto è stato vinto da Berlusconi. Ora i suoi sodali potranno dire che hanno lasciato l’esecutivo per l’incapacità di Letta di scongiurare l’aumento automatico dell’Iva. Parleranno di gestione fallimentare, come se loro non fossero mai stati seduti allo stesso scranno del presidente Letta.

La verifica si svolgerà in aula martedì. Ora è interessante quello che faranno i 5 Stelle. Orellana è già da giorni nell’occhio del ciclone poiché ha proposto un governo civico, con presidente del Consiglio proposto da M5S.

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https://www.facebook.com/luis.orellana.info/posts/158008361074327

I commenti sono fra i più deprecabili. Orellana viene apostrofato come traditore. Naturalmente, in serata, le dichiarazioni di Morra mettono deputati e senatori pentastellati in guardia da possibili trattative. Si attende invettiva domenicale di Beppe Grillo.

Dall’altra parte, Scelta Civica fa sapere di essere disponibile alla formazione di un nuovo governo con una maggioranza diversa da quella attuale (la presenza della formazione di Mario Monti è indispensabile per ottenere avere la fiducia al Senato); le primarie democratiche dell’8 Dicembre possono trasformarsi in consultazioni per il nuovo candidato premier e il congresso finirebbe per essere rimandato a data futura.

Insomma, siamo tornati al caos di cinque mesi or sono. E’ la Legislatura dell’Oca.

 

Senato, gli equilibri cambiano (secondo il @Corriereit)

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L’infografica degli amici del Corriere della Sera prevede una pattuglia di 28 senatori pronti a sacrificarsi per Letta. Sarà vero?