Berlusconi, il Mostro della Repubblica. Attacco a Magistratura e Consulta dal palco del congresso PPE.

Ribalta la realtà dei fatti e ne approfitta per sferrare un duro attacco ai magistrati e alla Consulta. Lui, il Mostro della Repubblica, un nuovo Sovrano Assoluto che si sostituisce al Popolo e pretende di essere sopra la legge. La regressione democratica italiana, la sua involuzione verso una foma pre-moderna, si è definitivamente palesata al pubblico europeo in tutta la sua pericolosità. Davanti al congresso del PPE, il Partito Popolare Europeo, partito costituito da liberali, conservatori, ma nonostante tutto democratici, Mr b si è esibito in una parabolica demolizione della libertà democratica del nostro paese annunciando di voler metter mano alla Costituzione e di stravolgerla. L’esternazione di oggi mostra la sua fondamentale ignoranza in fatto di principi democratici e rischia di preparare una deriva gravissima verso una riforma costituzionale che spiani la strada alle leggi salva-premier (finto).

Quelle che seguono sono le dichiarazioni di Angelino Alfano, Ministro della Giustizia, rilasciate stasera alla registrazione della odierna puntata di ‘Porta a Porta. Alfano, pur di dar sostegno ideologico alla nuova campagna di demolizione dello stato di diritto e della legalità, estrapola dai lavori parlamentari della Costituente del 1947 un passo in cui Togliatti espresse dubbi circa la formula impiegata per istituire la Corte Costituzionale, strumentalizzandola a proprio favore:

“La Corte Costituzionale e’ pacificamente collocata tra gli organi di garanzia del Paese. Non e’ pacifica la sua serena nascita e la sua composizione attuale”. Lo ha detto il ministro della Giustizia Angelino Alfano, commentando le parole del premier Berlusocni, e citando un documento firmato da Palmiro Togliatti nel ‘47, in cui si parlava della “bizzarria” della Corte e ricordando come la bicamerale nel ‘97 ipotizzo’ di aumentare i membri della Consulta da 15 a 20, con i nuovi cinque eletti dalle Regioni.

Mentre Bonaiuti, il fedele portavoce del premier (finto) ci ricorda la sua “cultura” in fatto di Diritto Pubblico:

«C’è da chiedersi – rileva il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Paolo Bonaiuti – perchè quando viene attaccata un’istituzione votata dalla maggioranza degli italiani come il Presidente del Consiglio, nessuno esca in sua difesa». “L’idea che la Corte Costituzionale sia meritevole di una modifica del suo funzionamento e di un intervento riformatore – ha aggiunto Alfano – pende dal 1947″.

Qualcuno ricordi al Signor Portavoce che la presidenza del Consiglio NON è votata dalla maggioranza degli italiani. Semmai il Presidente del Consiglio è NOMINATO dal Presidente della Repubblica, articolo 92, titolo III della Costituzione.

Sandro Bondi, coordinatore nazionale del Pdl, afferma: «La sovranità del popolo, da cui traggono la propria legittimità tutte le altre istituzioni dello Stato, da oltre un decennio subisce un violento condizionamento a opera di poteri variamente interessati a esercitare un magistero politico e a guidare il Paese». qualcuno ricordi al benemerito ministro della Cultura – che in quanto a cultura istituzionale ha mostrato un vero e profondissimo deficit – che:

La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione (art. 1, comma II, titolo I della Costituzione).

Che cosa ci insegna questo comma, alunno Bondi? Che la Sovranità è del Popolo e che la Sovranità non è Assoluta. Ovvero il Popolo Sovrano non è Sovrano Assoluto. Lo ripeto?

Per questa ragione esiste un organo come la Corte Costituzionale (e la Magistratura).

Conviene studiarla, la Costituzione, prima di pensare a modificarla. Ecco una carellata dell’odierno BESTIARIO.

    • «In relazione alle espressioni pronunciate dal Presidente del Consiglio in una importante sede politica internazionale di violento attacco contro fondamentali istituzioni di garanzia volute dalla Costituzione italiana, il Presidente della Repubblica esprime profondo rammarico e preoccupazione. Il Capo dello Stato continua a ritenere che, specie per poter affrontare delicati problemi di carattere istituzionale, l’Italia abbia bisogno di quello spirito di leale collaborazione e di quell’impegno di condivisione che pochi giorni fa il Senato ha concordemente auspicato»
    • «Permettetemi di parlare un secondo del mio Paese». Silvio Berlusconi coglie l’occasione del suo intervento davanti alla platea del congresso del Ppe a Bonn per ripercorrere i temi prediletti: i giudici che si sono sostituiti al Parlamento, la sinistra allo sbando, la maggioranza coesa e il premier «super forte e con le palle»
    • un nuovo duro attacco alla magistratura, alla Consulta e al presidente della Repubblica
    • l’annuncio di voler mettere mano alla Carta costituzionale. Parole che hanno scatenato la reazione non solo dell’opposizione, ma anche del presidente della Camera Fini («Berlusconi chiarisca il suo pensiero») e del presidente Napolitano
    • «la sovranità sta passando al partito dei giudici. Il Parlamento fa le leggi, ma se queste non piacciono al partito dei giudici questo si rivolge alla Corte Costituzionale e la Corte abroga la legge – spiega il premier -. Stiamo lavorando per cambiare questa situazione anche attraverso una riforma della Costituzione». La Consulta, attacca, «da organo di garanzia si è trasformata in organo politico. Abrogando il Lodo Alfano he praticamente ha detto ai pubblici accusatori: riprendete la caccia all’uomo nei confronti del primo ministro». E una delle cause di questo, dice, è che «abbiamo avuto purtroppo tre presidenti della Repubblica consecutivi tutti di sinistra».

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Proc. n°11531/09-2, procura antimafia di Firenze. La fibrillazione continua.

La giornata si è aperta con un articolo di Libero, che titola "Silvio indagato per mafia a Firenze". Poi un articolo di Giuseppe d’Avanzo su La Repubblica che si conclude con domande inquietanti: che cosa c’è di più inconfessabile che esser stato colluso con il potere mafioso? Perché Berlusconi non si rassegna a prendere in esame il caso di dimettersi e difendersi da queste accuse in Tribunale? Perché invece si ardimenta a escogitare soluzioni legislative ai limiti della sovversione costituzionale per garantirsi l’immunità? In questo modo rischia di trascinare il paese definitivamente nel fango. Rischia di sospendere la democrazia e lo stato di diritto per sottrarsi al giogo mafioso e alla verità.
La Procura di Firenze ha poi smentito di aver iscritto nel registro degli indagati il (finto) premier e Marcello Dell’Utri. Libero già prevedeva la risposta: secondo l’autore dell’articolo, si tratterebbe di una iscrizione virtuale, ovvero fatta impiegando nomi fittizi in sostituzione di quelli reali. Lo scopo è quello di non far divulgare la notizia anzitempo. Il fasciolo n° 11531/09-2 fu aperto nel 1998, contenente indagati senza nome ma con pseudonimo, che allora erano Autoreuno e Autoredue. Il fascicolo fu poi archiviato. L’ipotesi di reato a carico degli indagati era "concorso in strage", un reato gravissimo.
D’Avanzo sostiene sia molto difficile giungere a una effettiva formulazione di capi d’accusa con relativo carico probatorio. Non bastano le dichiarazioni, seppur coerenti e congiunte dei pentiti. Ad esse devono essere affiancati riscontri concreti, validi, dimostrabili della collateralità di Berlusconi e Dell’Utri ai fratelli Graviano.  Senza di questo, prepariamoci all’affondo finale del potere politico contro la magistratura.

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    • Il numero è quello del procedimento penale 11531/09-2 della procura antimafia di Firenze. La data è il 4 dicembre 2009

    • Nell’aula bunker di Torino la Corte d’Appello di Palermo in trasferta ascolterà il boss pentito Gaspare Spatuzza, prima linea operativa di Cosa Nostra fino all’arresto nel 1997, reggente del mandamento di Brancaccio tra il 1995 e il 1997, killer di don Puglisi, autore delle stragi che Cosa Nostra ha voluto firmare in continente nel 1993, da Roma a Milano passando per Firenze

    • Per evidenti motivi di sicurezza è stato deciso che Spatuzza è preferibile muoverlo su Torino anzichè su Palermo. Il pg Antonino Gatto, pubblica accusa nel processo d’Appello in cui Dell’Utri è accusato di concorso esterno in associazione mafiosa (9 anni la condanna in I°), il 23 novembre ha chiesto e ottenuto di riaprire il dibattimento – già arrivato alle arringhe – per poter interrogare Spatuzza.

    • E ascoltare dalla sua voce quello che il boss da quattordici mesi sta raccontando al procuratore Antimafia Piero Grasso, al procuratore di Firenze Pino Quattrocchi e ai sostituti Nicolosi e Crini. Centinaia di pagine di verbale che stanno riscrivendo la storia delle stragi (deve essere in parte rifatto il processo per via D’Amelio) e degli intrecci tra Cosa Nostra e politica

    • Tra luglio e ottobre Giuseppe e Filippo Graviano, messi a confronto con Spatuzza, non lo hanno confermato. Ma hanno accettato il confronto. Nel codice di Cosa Nostra vale moltissimo. Le conferme alle dichiarazioni di Spatuzza sono arrivate da altri pentiti doc come Romeo e Grigoli. Ora l’attesa è massima per quello che U tignusù dirà nell’aula bunker di Torino

    • quello che toglie il sonno è quel fascicolo n°11531/09-2 della procura fiorentina che prevede un registro degli indagati. Fu aperto anche nel 1998. Erano iscritti “ Autore Uno” e “Autore Due”. L’ipotesi era concorso in strage.

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    • Il premier Berlusconi e Marcello Dell’Utri non sono indagati nell’inchiesta riaperta a Firenze sulle stragi di mafia del ’93. Lo ha detto il procuratore capo di Firenze Giuseppe Quattrocchi rispondendo ai giornalisti che gli chiedevano un commento al titolo del quotidiano ‘Libero’. ”Non ci sono iscrizioni di questo tipo” ha risposto Quattrocchi.

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    • Nell’inchiesta per mafia, il senatore Marcello Dell’Utri e il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi sono indagati dalla procura di Firenze. L’accelerazione è avvenuta a metà ottobre. Esattamente tra il 13 e il 22 quando i magistrati modificano il fascicolo che contiene gli atti dell’inchiesta.

    • Il procedimento passa da un’indagine contro ignoti a un procedimento con degli indagati. Un salto testimoniato dall’incalzare dei fatti.

    • Il 13 ottobre arriva in procura una corposa relazione della Dia di Roma che indica  riscontri fotografici a dei dettagli ricordati dal pentito Gaspare Spatuzza che per gli inquirenti dovrebbero suggellare l’incontro con Giuseppe Graviano al bar Doney a Roma nel gennaio 1994

    • Le risultanze investigative spingono i magistrati a iscrivere nel registro degli indagati i due nomi. Sicuramente oggi i pubblici ministeri smentiranno la notizia. Potranno farlo in qualche modo perché per proteggere la scelta investigativa si è seguito un accorgimento tecnico previsto dal Codice in casi di particolari rilevanza e delicatezza: l’iscrizione virtuale. Una sorta di iscrizione top secret, che non compare nel registro ufficiale. Un espediente già utilizzato in indagini di mafia dai colleghi siciliani. L’effetto però è evidente. Giovedì 22 il pentito Giovanni Ciaramitaro si affianca a Spatuzza e punta l’indice contro il premier: «Berlusconi e altri politici», accusa, «stavano dietro le stragi». E nel verbale compare il nuovo numero del fascicolo n 11531/09 mod. 21; prima erano due diversi faldoni contro ignoti.

    • Anche Palermo (n.9145/08) e Caltanisetta (n.1595/08) hanno aperto i classici procedimenti a modello 21 contro noti. E chi sono i nomi dei nuovi indagati in questi procedimenti se si considera che tutti i pentiti stanno indicando agli inquirenti unicamente i nomi di Berlusconi e Dell’Utri?

    • anche in questo caso i pubblici ministeri sono ricorsi a iscrizioni criptate o virtuali per impedire la divulgazione della notizia. Il ricorso a lettere dell’alfabeto greco era già stato l’escamotage utilizzato qualche anno fa quando già si era indagato sui due politici per poi giungere a un’archiviazione del procedimento

    • Un atto dovuto imposto dal Codice se si considera che sono ormai sedici mesi che i nomi di Dell’Utri e Berlusconi piovono dalle labbra di collaboratori di giustizia come Gaspare Spatuzza

    • Ma di fronte alla tempesta agitata dai collaboratori le procure non potevano più procedere in un mare di omissis, sempre e comunque contro ignoti.

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    • Berlusconi non deve temere il suo coinvolgimento – come mandante – nelle stragi non esclusivamente mafiose del 1993. Può mettere fin da ora nel conto che sarà indagato, se già non lo è a Firenze. Molti saranno gli strepiti quando la notizia diventerà ufficiale, ma va ricordato che l’iscrizione al registro degli indagati mette in chiaro la situazione, tutela i diritti della difesa, garantisce all’indagato tempi certi dell’istruttoria (limitati nel tempo).

    • Quando l’incolpazione diventerà pubblica, l’immagine internazionale del premier ne subirà un danno, è vero, ma il Cavaliere ha dimostrato di saper reggere anche alle pressioni più moleste.

    • quel che deve intimorire e intimorisce oggi il premier non è la personale credibilità presso le cancellerie dell’Occidente, ma fin dove si può spingere e si spingerà l’aggressione della famiglia mafiosa di Brancaccio, determinata a regolare i conti con l’uomo – l’imprenditore, il politico – da cui si è sentita "venduta" e tradita, dopo "le trattative" del 1993 (nascita di Forza Italia), gli impegni del 1994 (primo governo Berlusconi), le attese del 2001 (il Cavaliere torna a Palazzo Chigi dopo la sconfitta del ’96), le più recenti parole del premier: "Voglio passare alla storia come il presidente del consiglio che ha distrutto la mafia" (agosto 2009)

    • le "seconde file" della cosca – manovali del delitto e della strage al tritolo – hanno finora tirato dentro il Cavaliere e Marcello Dell’Utri come ispiratori della campagna di bombe

    • Non bastano i ricordi di mafiosi che "disertano". Non sono sufficienti le parole che si sono detti tra loro

    • Non possono essere definitive le prudenti parole di dissociazione di Filippo Graviano o il trasversale messaggio di Giuseppe che promette ai magistrati "una mano d’aiuto per trovare la verità"

    • Occorrono, come li definisce la Cassazione, "riscontri intrinseci ed estrinseci", corrispondenze delle parole con fatti accertabili.

    • Il denaro, i piccioli, in queste storie di mafia, sono sempre curiosamente trascurati anche se i mafiosi, al di là della retorica dell’onore e della famiglia, altro non hanno in testa

    • Cosa Nostra minaccia in un regolamento di conti il presidente del consiglio. Ne conosce qualche segreto. Ha con lui delle cointeressenze antiche e inconfessabili. Le agita per condizionarne le scelte, ottenerne utili legislativi, regole carcerarie più favorevoli, minore pressione poliziesca e soprattutto la disponibilità di ricchezze che (lascia intuire) le sono state trafugate

    • L’uomo che parla ossessivamente di se stesso, compulsivamente delle sue imprese, tace e dimentica di dirci l’essenziale. Quando i giudici lo interrogano a Palazzo Chigi (è il 26 novembre 2002, guida il governo), "si avvale della facoltà di non rispondere". Glielo consente la legge (è stato indagato in quell’inchiesta), ma quale legge non scritta lo obbliga a tollerare sulle spalle quell’ombra così sgradevole e anche dolorosa, un’ombra che ipoteca irrimediabilmente la sua rispettabilità nel mondo – nel mondo perché noi, in Italia, siamo più distratti? Qual è il rospo che deve sputare? Che c’è di peggio di essere accusato di aver tenuto il filo – o, peggio, di essere stato finanziariamente sostenuto – da un potere criminale che in Sicilia ha fatto più morti che la guerra civile nell’Irlanda del Nord? Che c’è di peggio dell’accusa di essere un paramafioso, il riciclatore di denaro che puzza di paura e di morte? Un’evasione fiscale? Un trucco di bilancio?

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Il No-B-Day verrà dopo lo Spatuzza Day. Giorni di crisi a Palazzo Chigi.

Si è tenuta oggi la Conferenza Stampa di presentazione della manifestazione No Berlusconi Day, Contro le Leggi ad personam, organizzata da blogger e internauti via Facebook:

L’APPELLO del Gruppo No-B-DAY

A noi non interessa cosa accade se si dimette Berlusconi e riteniamo che il finto “Fair Play” di alcuni settori dell’opposizione, costituisca un atto di omissione di soccorso alla nostra democrazia del quale risponderanno, eventualmente, davanti agli elettori. Quello che sappiamo è che Berlusconi costituisce una gravissima anomalia nel quadro delle democrazie occidentali – come ribadito in questi giorni dalla stampa estera che definisce la nostra “una dittatura”- e che lì non dovrebbe starci, anzi lì non sarebbe nemmeno dovuto arrivarci: cosa che peraltro sa benissimo anche lui e infatti forza leggi e Costituzione come nel caso dell’ex Lodo Alfano e si appresta a compiere una ulteriore stretta autoritaria come dimostrano i suoi ultimi proclami di Benevento. Non possiamo più rimanere inerti di fronte alle iniziative di un uomo che tiene il Paese in ostaggio da oltre 15 anni e la cui concezione proprietaria dello Stato lo rende ostile verso ogni forma di libera espressione come testimoniano gli attacchi selvaggi alla stampa libera, alla satira, alla Rete degli ultimi mesi. Non possiamo più rimanere inerti di fronte alla spregiudicatezza di un uomo su cui gravano le pesanti ombre di un recente passato legato alla ferocia mafiosa, dei suoi rapporti con mafiosi del calibro di Vittorio Mangano o di condannati per concorso esterno in associazione mafiosa come Marcello Dell’Utri. Deve dimettersi e difendersi, come ogni cittadino, davanti ai Tribunali della Repubblica per le accuse che gli vengono rivolte.

Per aderire alla manifestazione, comunicare o proporre iniziative locali e nazionali di sostegno o contattare il comitato potete scrivere all’indirizzo e-mail: noberlusconiday@hotmail.it

(Il 5 dicembre in piazza forse ci sarà un clima speciale, diverso. Un clima di rinnovata tensione. Qualcosa che non si respira più da tempo, all’incirca da trent’anni. Qualcosa che potrebbe ricordare Piazza della Loggia, a Brescia nel 1974. Forse il 5 Dicembre- che viene dopo il 4 – sarà un giorno di forte crisi delle istituzioni di questo paese. Cosa succederà se verrà svelata la trama criminosa che si cela dietro le stragi del 1993? Cosa succederà se verranno scoperti e smascherati i mandanti occulti delle stragi? E se lo Stato ne verrà brutalmente scosso, potranno valere le parole di oggi del Presidente Napolitano, secondo il quale “niente può abbattere un governo quando sostenuto da una maggioranza”? Con un’accusa di collusione con la mafia, si può continuare a essere Presidente del Consiglio?).

I cosiddetti perdenti sono per la resa dei conti. La mafia pronta a rompere il patto?

La strana frase, "I cosiddetti perdenti sono per la resa dei conti", è contenuta nella lettera di minacce di morte fatta pervenire ieri al Presidente dei Senato, Renato Schifani. Negli articoli pubblicati sui giornali, si attribuisce la provenienza della missiva minatoria a ambienti mafiosi.
Intanto stasera continua lo stillicidio di notizie di dichiarazioni di politici del PdL sulla questione giustizia, fatte sempre senza intervenire direttamente sulla questione che preoccupa più di tutto, ovvero la deposizione del pentito Gaspare Spatuzza al processo d’appello a Dell’Utri, durante il quale rinnoverà le dichiarazioni rese più volte nel corso delle indagini sui cosiddetti "mandanti occulti" delle stragi del 1992-93. Infatti La Russa ha annunciato che il gruppo parlamentare del PdL ha deciso di ripresentare il lodo Alfano – incostituzionale – per via costituzionale, tenendo in debito conto i rilievi della Consulta, mentre l’ufficio di presidenza del PdL ha emesso un comunicato nel quale si sostiene che la magistratura ha influenzato anche il corso di questa legislatura e che in gioco vi è la democrazia.
Poi quella frase, i cosiddetti perdenti sono per la resa dei conti.
Un messaggio, forse. Un messaggio in codice. Cosa può significare? La mafia dei perdenti era quella capeggiata da Stefano Bontade, ucciso dai corleonesi nel 1981. I Corleonesi, loro sono la mafia vincente. almeno storicamente parlando. Poi, lo stragismo e la caduta di Riina ad opera di un machiavellico Provenzano. Ma i Corleonesi sono ancora là, comandano in Sicilia e altrove. Se i perdenti sono per la resa dei conti, vuol dire che si affaccia una nuova guerra di mafia come quella che avvenne fra il 1977 e il 1986? Forse che il prossimo 4 dicembre sia il giorno in cui si aprirà un nuovo strappo fra mafia e la parte di stato colluso?
Si vocifera che a parlare al processo Dell’Utri verrà chiamato anche il pentito Pietro Romeo. Romeo, come Spatuzza, è un mafioso di secondo piano, però è informato tanto quanto Spatuzza e, nel corso degli anni, ha collaborato facendo arrestare latitanti e facendo ritrovare il tritolo usato per le stragi del 1993. Tritolo che fece 10 morti – cinque a Firenze, fra cui due bambine, cinque a Milano – e una quarantina di feriti. E’ bene ricordarlo quando si parla di queste inchieste. E soprattutto quando se ne parla in certi termini, quasi negazionisti. Teoremi a lungo ripetuti dal finto-premier, il quale anche oggi ha usato parole gravissime, dicendo che si rischia la guerra civile a causa di questa magistratura. Chi scrive di stragi deve rispettare i morti, e la magistratura che nel corso degli anni ha condotto queste indagini impossibili. Marina Bartoccelli, su Il Riformista, prosegue la sua carrellata su quegli anni di sangue, La Bartoccelli si chiede:

In 14 anni le affermazioni di Romeo sono state verificate? Se sì, bisogna allora sapere in che direzione si è proceduto: o Romeo diceva la verità e bisognava tirarne le conseguenze e bloccare Berlusconi. Se invece dalle varie verifiche risultava che le sue erano bugie, bisognava come minimo bloccare lui. Invece dopo 14 anni ridice le stesse cose e si riapre il circuito anti-Berlusconi. Ma la colpa di chi è?

La Bartoccelli forse non sa, ma non esistono solo le dichiarazioni di Romeo, o di Spatuzza. A parlare dei presunti legami fra trattativa stato-mafia e formazione di Forza Italia sono stati nel corso di quindici anni i seguenti mafiosi o pentiti-mafiosi: Antonino Giuffrè, Salvatore Cancemi, Angelo Siino, Giovanni Brusca, Calogero Pulci, Tullio Cannella, Giovanni Ciaramitaro. Non un pentito, ma otto, più il non-pentito Brusca. Pare poco?

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    • Il nome del presidente del Consiglio è citato 15 volte, Forza Italia 14 volte, 12 quello del senatore Marcello Dell’ Utri, 6 la Fininvest. A farli il capomafia pentito Antonino Giuffrè nelle 86 pagine di verbali in cui, rispondendo alle domande del procuratore della Repubblica Pietro Grasso e dei suoi sostituti, parla dei presunti rapporti tra Cosa nostra e i capi di Forza Italia

    • Rapporti, quelli tra Cosa nostra e Forza Italia, che secondo Giuffrè iniziano a fine ’93, quando si cominciò a parlare della nascita di un nuovo partito, quello poi effettivamente fondato da Berlusconi. Rapporti che si sarebbero materializzati nel settembre-ottobre del 1993 e di cui in Cosa nostra si era già parlato ancora prima, «fin dal giugno 1993 o, addirittura ancora prima»

    • Giuffrè è l’ ottavo pentito di Cosa nostra che parla dell’ interesse della mafia e dei rapporti con i vertici prima della Fininvest e poi di Forza Italia

    • Prima di Giuffrè, altri pentiti (Salvatore Cancemi, Angelo Siino, Giovanni Brusca, Pietro Romeo, Calogero Pulci, Tullio Cannella, Giovanni Ciaramitaro) avevano parlato di "relazioni pericolose" tra Cosa nostra e Forza Italia

    • Dichiarazioni che portarono all’ iscrizione nel registro degli indagati delle Procure di Firenze, Caltanissetta e Palermo di Berlusconi e Dell’ Utri. La posizione di Berlusconi è stata archiviata. Dell’ Utri è invece diventato imputato a Palermo.

    • prima ancora della nascita di Forza Italia, racconta Giuffrè, Riina e Provenzano attraverso minacce ed attentati ai supermercati Standa ed Upim tentavano di fare venire a patti i loro proprietari. Insomma Cosa nostra puntava in alto, a personaggi di grande spessore

    • «Quello che interessava – ha dichiarato Giuffrè – non era soltanto il pagamento di tangenti o l’ imposizione di forniture, bensì l’ instaurarsi di un rapporto diretto con Berlusconi ed Agnelli, che se non sbaglio erano proprietari di queste strutture»

    • sarebbe stato con Berlusconi e con il suo partito che Cosa nostra riuscì a raggiungere l’ obiettivo di avere un "referente politico" che potesse portare avanti le strategie "politiche" di Cosa nostra: revisione dei processi, abolizione della legge sui pentiti e del 41 bis e altro ancora. Ma per far questo bisognava smetterla con le stragi. Per questo non fu "approvato" l’ attentato che Bagarella aveva messo in atto per fare una strage di carabinieri allo stadio Olimpico di Roma nell’ ottobre del ’93.

    • Quella strage, afferma Giuffrè, avrebbe potuto compromettere i nuovi rapporti con Forza Italia e se quell’ attentato non fosse fallito Bagarella avrebbe rischiato di essere ammazzato. Quell’ attentato doveva essere la "vendetta" di Bagarella contro i carabinieri che avevano arrestato suo cognato Totò Riina.

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    • Cento chili di esplosivo nascosti in una buca, a ridosso di un uliveto, in aperta campagna. Tritolo sepolto sotto un metro di terra da più di un anno. Messo da parte per qualsiasi evenienza. Lo stesso tipo è stato utilizzato per le stragi del ‘ 93

    • E’ stato Pietro Romeo, pentito, 29 anni, Gruppo di Fuoco di Leoluca Bagarella, a raccontare tutto agli investigatori

    • La buca, larga due metri, è circondata dalle canne, seminascosta dalla vegetazione, rovi e alberi secolari. I funzionari dello "Sco", il Servizio Centrale Operativo della polizia diretto da Rino Monaco, quelli della Squadra Mobile di Palermo, setacciano il terreno per tutta la notte di martedì. Scoprono le due scatole di plastica, ben sotterrate, alle 7 di ieri. Gli artificieri della questura di Roma portano i pacchi in laboratorio per esami e perizie. La sostanza è quella delle stragi. Sono gli avanzi di via Fauro, via dei Georgofili, via Palestro.

    • via Fauro, Parioli, 14 maggio ‘ 93: decine di persone ferite, crollo e lesione degli edifici. Poi via dei Georgofili, Firenze, cinque morti tra cui due bambine, danneggiate le sale degli Uffizi, distrutte celebri opere d’ arte. Due mesi dopo, il 27 luglio, è la volta di piazza San Giovanni a Roma, di San Giorgio al Velabro, 22 ricoverati, danni enormi al patrimonio artistico

    • Di notte, via Palestro a Milano, muoiono cinque persone, dieci feriti

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    • "Anche il corso dell’attuale legislatura e’ stato turbato dall’azione di una parte tanto esigua quanto dannosa della magistratura, dimentica del proprio ruolo di imparzialita’", si apre cosi’ il documento finale dell’ufficio di presidenza del Pdl. E’ "una questione che e’ giunta ormai a intaccare la natura stessa della democrazia, che si fonda su un corretto e giusto equilibrio fra i diversi poteri e ordini dello Stato", si legge nel documento. "Questo equilibrio", prosegue il testo, "e’ completamente saltato".

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    • "Abbiamo deciso di riproporre, per via di legge costituzionale, il lodo Alfano, pur tenerdo in debito conto i rilievi giunti dalla Corte costituzionale". Lo annuncia ai giornalisti, al termine dell’ufficio di presidente del Pdl, il ministro della Difesa e coordinatore del partito Ignazio La Russa. Il lodo Alfano bis rientra in un piu’ ampio progetto di riforma costituzionale della giustizia, cui il vertice del partito ha dato oggi il via libera.

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    • Una lettera anonima, contenente minacce di morte nei confronti del Presidente del Senato Renato Schifani e dei suoi familiari – minacce apparentemente riconducibili, in base al testo, ad ambienti mafiosi – è stata recapitata per posta due giorni fa alla Presidenza di Palazzo Madama.

    • Schifani ha subito presentato denuncia alle forze dell’ordine. La lettera ha la data «Reggio Emilia, 21 novembre 2009» ed il timbro postale «Bologna cmp» con la stessa data.

    • Nella lettera, ricca di particolari sulle abitudini e sui movimenti del Presidente del Senato, si sostiene che Schifani sarebbe «nell’occhio dei picciotti»; si afferma che durante «un incontro a Reggio Emilia» ci sarebbe stata una non meglio precisata «telefonata», e si lancia un avvertimento al Presidente del Senato: «Stia attento perchè è in pericolo la sua vita e quella dei suoi familiari»

    • «I cosiddetti perdenti sono per la resa dei conti»

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    • «Il partito decide su tutto a maggioranza, chi non si adegua è fuori»

    • "È in atto un tentativo di far cadere il governo"

    • Una parte della magistratura ha preso una deriva eversiva

    • Il premier ha parlato, riferiscono alcuni presenti, di una guerra civile in atto da parte di frange della magistratura

    • "C’è una persecuzione giudiziaria nei miei confronti, che porta il paese sull’orlo della. guerra civile"

    • Le decisioni sulle riforme, sulla giustizia, sulla immigrazione, si prendono a maggioranza nell’ufficio di presidenza del Pdl e chi non le rispetta si pone fuori, ha ribadito Berlusconi

    • "Ogni giorni vanno in onda sulla Rai, la televisione pubblica, processi contro il governo e la maggioranza, che devono finire"

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Crisi fra Fini e Berlusconi. Ma di mezzo c’è Spatuzza Gaspare, pentito.

Il DDL del processo breve è una boiata. Fini lo sa e freme. Oggi ha affermato che il ricorso alle urne non solo segnerebbe il fallimento della legislatura e di questa ampissima maggioranza, ma anche del PdL, ovvero del progetto politico che ne costituisce l’asse portante. Berlusconi lo attacca attraverso i giornali, con mezze dichiarazioni fatte a microfoni spenti ma a taccuini aperti. La realtà è che Mr b – ma d’ora in avanti lo chiameremo AutoreDue, e leggendo il seguito di questo post capirete perché – ha paura della sua ombra. Non crede più nelle capacità di Ghedini di trarlo fuori dai pasticci giudiziari, che fra breve potranno anche aggravarsi. Questo teme. L’accusa infamante. L’accusa che non può nascondere con la solita propaganda delle toghe rosse. Per la quale non ci sono scusanti pronte da fornire ai propri alleati, Fini in primis, ma anche a Bossi. Verrà il giorno in cui dalle inchieste di Palermo, Caltanissetta e Firenze emergerà una verità. Forse questa verità avrà le parole del pentito Gaspare Spatuzza. Spatuzza ha già raccontato molto ai magistrati di Firenze. Presto verrà sentito a Palermo, nell’ambito del processo Dell’Utri. I verbali dell’inchiesta di Firenza, archiviata nel 2008 e ora riaperta, sono stati inviati a palermo solo lo scorso 11 novembre. Verbali pieni di omissis. In cui si profilano due mandanti occulti alla stagione stragista della mafia, celati dietro i nomi di AutoreUno e AutoreDue, distinti dal livello di penetrazione nella organizzazione criminale, o forse dall’importanza politica che essi rivestivano all’epoca dei fatti. In sostanza, seconda la procura di Firenze, questi due autori occulti, non partecipi direttamente all’azione terroristica, erano in realtà il terminale politico di Cosa Nostra, il braccio che si sarebbe adoperato per sostenere le istanze dei mafiosi in fatto di regime carcerario e legislazione annessa.

    • Le parole di Fini vengono dopo un crescendo di voci che vogliono il presidente della camera e Berlusconi in totale rotta di collisione. Anche oggi i quotidiani riportano il malumore del premier nei confronti di Fini, accusato di tramare contro il processo breve cui Berlusconi tiene molto per eludere i processi che lo riguardano
    • Nei giorni scorsi c’era stato un incontro, in realtà burrascoso, conclusosi con una treguia armata. Rotta però da Berlusconi che ha imposto alla maggioranza un ddl che non sembra in linea con i desiderata di Fini e che allarma non solo i giudici e l’opposizione ma anche il Quirinale.
    • Il premier, dicono alcuni dei suoi, sembra orientato a dare ragione persino a Feltri, che gli consiglia di mandare tutto all’aria, per andare alle elezioni anticipate. La realtà è che il premier è all’angolo e sta scendendo nei sondaggi.
    • C’è una data a cui palazzo Chigi guarda con apprensione: quando la Corte d’Appello di Palermo sentirà il superpentito Gaspare Spatuzza nel processo al senatore Marcello Dell’Utri già condannato a 9 anni per concorso esterno in associazione mafiosa
    • E c’è anche una procura a cui sempre palazzo Chigi guarda con attenzione: quella di Firenze che ha riaperto l’inchiesta sui mandanti occulti e sul livello politico delle stragi di Cosa Nostra nel continente
    • Un’inchiesta «riaperta» esattamente dal punto dove era stata archiviata il 16 novembre 1998 quando il gip Giuseppe Soresina scrisse che «è altamente plausibile che i soggetti protetti nel registro mod.21 con le denominazioni Autore 1 e Autore 2 abbiano concorso moralmente all’azione stragista del soggetto Cosa Nostra» ma che «non erano stati reperiti elementi validi per il dibattimento».
    • adesso sembra aver completato quel quadro probatorio grazie, e non solo, alle dichiarazioni del pentito Gaspare Spatuzza
    • Il problema riguarda un ipotetico coinvolgimento del Presidente del Consiglio, insieme con Marcello Dell’Utri nelle inchieste su Cosa Nostra e sulle sue connessioni politiche. Un problema, per cui si capisce meglio anche certa fretta nel Pdl per ripristinare l’immunità parlamentare.
    • La storia dell’inchiesta sui mandanti a volto coperto andrebbe raccontata dall’inizio, a cominciare dal pm, Gabriele Chelazzi (morto nel 2003) che con Vigna, allora procuratore, e Nicolosi cercò di dare ordine a una serie di «input investigativi» diventati ben presto «plausibile ipotesi investigativa»
    • Spatuzza sedeva alla destra del padre, inteso come i fratelli Graviano a cui Riina e Provenzano avevano ordinato la strategia del terrore tra il ‘92 e il ‘93.
    • Un ruolo che lo pone per forza di cose a conoscenza di tutti i segreti di Cosa Nostra
    • un suo verbale raccolto dai pm fiorentini (titolari del collaboratore di giustizia) che dice chiaramente chi sono i referenti politici con cui la mafia avrebbe trattato e come
    • si leggono i nomi di «Silvio Berlusconi, quello di Canale 5 e Marcello Dell’Utri». A Spatuzza ne parla Giuseppe Graviano, all’indomani della strage di Firenze (maggio 1993)
    • di nuovo a metà gennaio 1994, seduti al bar Doney di via Veneto: «Abbiamo il paese in mano» disse Graviano a Spatuzza, grazie all’interessamento «di persone di fiducia, Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri»
    • Questo e molto altro («è un’indagine piena di riscontri») ha detto Spatuzza che si è pentito meno di un anno fa
    • si legge nella richiesta di archiviazione del 1998, «Pietro Romeo che aveva quasi indicato il livello del concorso morale»
    • E poi Ciaramitano, Pennino, Cancemi, per un totale di 23 collaboratori. Le cui dichiarazioni, tutte insieme, già nel 1998 dicevano: 1)«Cosa Nostra nell’intraprendere la campagna di strage ha agito di concerto con soggetti esterni»; 2)«Tra il soggetto politico-imprenditoriale di cui AutoreUno e AutoreDue, indicati come concorrenti del reato, e Cosa Nostra il rapporto è effettivamente sussistente e non episodicamente limitato»; 3)«La natura del rapporto era compatibile con l’accordo criminale». Quello che allora non fu del tutto possibile dimostrare è che «il soggetto politico imprenditoriale aveva sostenuto le aspettative di ordine politico (meno pressione giudiziaria sulla mafia, ndr) per il perseguimento delle quali la campagna di strage è stata deliberata e realizzata»

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Saviano, Berlusconi ritira quella legge. Il Processo Breve distrugge il diritto.

Yes, political! sottoscrive l’appello di Roberto Saviano.

PRESIDENTE, RITIRI QUELLA NORMA DEL PRIVILEGIO

SIGNOR Presidente del Consiglio, io non rappresento altro che me stesso, la mia parola, il mio mestiere di scrittore. Sono un cittadino. Le chiedo: ritiri la legge sul “processo breve” e lo faccia in nome della salvaguardia del diritto. Il rischio è che il diritto in Italia possa distruggersi, diventando uno strumento solo per i potenti, a partire da lei.Con il “processo breve” saranno prescritti di fatto reati gravissimi e in particolare quelli dei colletti bianchi. Il sogno di una giustizia veloce è condiviso da tutti. Ma l'unico modo per accorciare i tempi è¨ mettere i giudici, i consulenti, i tribunali nelle condizioni di velocizzare tutto. Non fermare i processi e cancellare cosè anche la speranza di chi da anni attende giustizia.Ritiri la legge sul processo breve. Non è una questione di destra o sinistra. Non è una questione politica. Non è una questione ideologica. E’ una questione di diritto. Non permetta che questa legge definisca una volta per sempre privilegio il diritto in Italia, non permetta che i processi diventino una macchina vuota dove si afferma il potere mentre chi non ha altro che il diritto per difendersi non avrà più speranze di giustizia.

ROBERTO SAVIANO

FIRMA L’APPELLO DI ROBERTO SAVIANO, Appelli Repubblica – La Repubblica.it.


Di impunità, questo si dovrebbe parlare. Impunità per loro, morte in carcere per chi ruba le monete del parchimetro. Morte in carcere per chi si è fumato uno spinello, è tossicodipendente, o lo è stato e l’aspetto è ancora quello. Per chi è esile, denutrito, con problemi personali, per chi non ha nome né denaro: per loro c’è la cella di sicurezza, le botte degli agenti, le manganellate sulla schiena, che nei documenti ufficiali diventano “banali” cadute dalle scale.

Per tutti gli altri, il processo non si farà. Per i corruttori, gli utilizzatori finali, i bancarottieri, i grandi evasori fiscali con i conti all’estero, per chi commette appropriazione indebita, per chi è colluso con la mafia, per coloro che sono la mafia: per tutti questi si farà il processo breve, così breve che nessuno ne avrà notizia. Questa la riforma del diritto in Italia: due pesi, due misure. Da Stato di diritto a Stato del Privilegio. Da Uguaglianza a Sottomissione. Da Cittadini a Sudditi. Perché ostinarsi a chiamarla democrazia?

Schizzi di fango: la macchina del tritacarne politico. Con il caso Marrazzo il potere si fa violenza.

Un’altra interpretazione del caso Marrazzo, questa, che riprende le intuizioni di Santoro a Annozero e capovolge le suggestive analisi de L’Unità di stamane, riprese da Yes,political! pur non senza qualche dubbio. Oppure, viceversa, le due narrazioni sono collegate. Solo riferite a tempi diversi.
In ogni caso, Repubblica si rifà al modello classico della purga mediatica, quella per così dire alla Watergate. Travaglio ne ha già fatto un altro post molto significativo che specifica meglio le date e prova ardite – ma neppure tanto – sovrapposizioni fra il caso Marrazzo e l’avvicendamento dei direttori al Giornale e a Libero (Feltri in cambio di Belpietro).
La trama vede gli interessi contrapposti, gli editori in conflitto d’interesse, la Tosinvest di Angelucci, editrice di Libero (le giornaliste che entrano in contatto con Cafasso sono guarda caso di Libero), Mondadori e Mediaset, ovviamente, sulle quali agisce incontrastato Alfonso Signorini. Il Deus Ex Machina della stampa scandalistica in Mediaset. Si dice che sia lui a governare tutta l’editoria di Mr b. Lui il fornitore di dossier al veleno. E Angelucci è pure il magnate della sanità privata nel Lazio. Guarda caso Marrazzo era il commissario straordinario alla sanità, nel Lazio. Tolto lui, tolto l’impedimento?
Quel che pare evidente è l’assenza di qualsiasi remora: il video arriva a Milano e viene fatto oggetto di trattativa. L’unico loro dubbio è dove, non se pubblicarlo. I carabinieri gli hanno sottratto il colpo in canna e ora forse riusciranno a ricostruire tutta la vicenda. Fatto è che Marrazzo era scomodo per molti. E molti sapevano delle sue debolezze. E’ bastato poco per metterlo spalle al muro e tirargli già i pantaloni.
Questa macchina del tritacarne politico ha molto a che fare con le purghe staliniste: espone al pubblico ludibrio, mette alla sbarra della moralità con capi d’accusa inventati o estorti con la forza. Loro usano il processo mediatico come l’olio di ricino. Usano la purga per ripulire dagli oppositori, o per ammorbidirli e tenerli sotto scacco.

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    • Le cose stanno così. Quei carabinieri che aggrediscono Piero Marrazzo in un appartamento privato, in compagnia di un viado, non sono canaglie a caccia di un bottino.

    • Non stanno preparando un’estorsione contro il governatore. Stanno raccogliendo il "materiale" per un ricatto che sarà utilizzato da altri, in altro modo, in un’altra città, con un altro obiettivo da quello del denaro

    • Sono canaglie che forse bisognerà cominciare a definire rat-fuckers, come si chiamavano tra loro, orgogliosi, gli operativi dell’affare Watergate

    • Schiacciano con violenza Marrazzo contro un muro. Lo obbligano a calarsi i pantaloni. Lo fotografano. Trasferiscono il video a Milano.

    • E’ Milano, con la sua industria editoriale, la scena del delitto

    • è solo lì che quelle immagini possono trovare la mano che le pubblica

    • Che cosa succede? Qualcosa che – niente di più, niente di meno – si può leggere nei manuali di un "assassino politico"

    • Il political hitman deve uccidere ma non lasciare la sua impronta. Così si deve "provocare una fuga di notizie verso i media rimanendo al di fuori della mischia mentre l’avversario viene tempestato da rispettabili giornalisti"

    • Accade nel nostro caso. Le immagini vengono proposte a Oggi. La direzione (Andrea Monti, Umberto Brindani) le rifiuta. Bisogna venire allo scoperto, allora. Accettare il rischio di compromettersi. È questo il momento in cui la scena s’illumina e appaiono al proscenio i protagonisti, le comparse, il mattatore

    • Nel primo atto, il protagonista assoluto è Alfonso Signorini. Che soltanto una irresponsabile ingenuità potrebbe far definire semplicemente "il direttore di Chi". A leggere le testimonianze di un carabiniere canaglia, di un fotografo, della titolare della Photo Masi che ha l’incarico di commercializzare il video del ricatto, Signorini è il padrone del gioco. Riceve in Mediaset e tratta in Mondadori. Dispone per l’intera gamma dei periodici del gruppo editoriale. Lo dice con chiarezza, nei giorni successivi, informando costantemente Silvio Berlusconi.

    • E’ esplicito uno dei carabinieri canaglia, Antonio Tamburrino: "A me fu detto che Signorini ne avrebbe dovuto parlare con Silvio Berlusconi".

    • E’ un fatto che Signorini è il playmaker in quella compagnia e nell’affaire. Consiglia, indica, sollecita.

    • Combina non soltanto le scelte dei direttori dei media berlusconiani, sovraordinato a Vittorio Feltri, capataz del giornale di famiglia, ma anche delle testate del gruppo Angelucci (Libero, il Riformista).

    • Organizza un incontro di Photo Masi con il direttore di Libero, Maurizio Belpietro, il 12 ottobre

    • Due giorni dopo, Signorini combina un breafing tra Carmen Masi e Angelucci. Dice la Masi: "Angelucci visiona il filmato, si dimostra interessato, promette una risposta entro le ore 19 della stessa sera. Ho informato Signorini. Verso le 17, mi ha contattato telefonicamente. Mi ha detto di fermare tutto perché Panorama era molto interessato al tutto e dovevano decidere chi doveva pubblicare il tutto".

    • Mente dunque Signorini quando, con voce rotta di falso sdegno, protesta (è storia di qualche giorno fa) che "lui e soltanto lui ha deciso di non pubblicare le immagini di Marrazzo"

    • Sua è la guida della "macchina"

    • Chi ne decide direzione, percorso e velocità non è Signorini. E’, come appare chiaro nel secondo atto di questa vicenda, Silvio Berlusconi, il mattatore

    • Sa del video, lo vede, lo valuta. Misura le convenienze per due settimane (5/19 ottobre)

    • Il 19 ottobre, l’imprevisto. Lo informano che i carabinieri sono a caccia di un "video del presidente". Berlusconi comprende che non può starsene con quelle immagini sul tavolo: il "presidente" non è lui, ma quel disgraziato di Marrazzo

    • Lo chiama, gli dice che deve comprarselo in fretta, il video. Signorini lo aiuterà, ma – se è vero quel che riferisce lo staff del governatore a Esterino Montino (oggi governatore vicario) – aggiunge: "Rivolgiti a Giampaolo Angelucci, ti libererà dai guai"

    • Con quella mossa, sa di poter avere in futuro la piena disponibilità del destino di Marrazzo.

    • consegna il governatore, commissario straordinario alla sanità, al maggiore imprenditore regionale della sanità privata

    • Sempre ci sono anche gli affari, propri e degli amici, nelle manovre del capo del governo

    • Non è il solo contatto del premier con Marrazzo. Il 21 ottobre, il Cavaliere comunica al governatore che è tutto finito, i carabinieri sono ormai in azione, hanno arrestato i furfanti e stanno perquisendo la redazione di Chi

    • Esterino Montino, che è lì accanto a lui, vede Marrazzo sbiancare come per un malore

    • Le immagini, estorte con la violenza in un appartamento privato, vengono consegnate a un alto funzionario (Signorini) di un sistema editoriale (Mondadori, Mediaset e indirettamente Tosinvest di Angelucci) governato direttamente da un proprietario che è anche presidente del consiglio

    • L’affaire Marrazzo non è una storia di sesso e il sesso non è il focus della storia. L’affaire ci espone, nei suoi ingranaggi, una "macchina del fango" di cui già avevamo avvertito la pericolosità.

    • E’ la "macchina del fango", il cuore di questa storia. Il sesso l’alimenta. Le abitudini private di un ceto politico, amministrativo, professionale, imprenditoriale sono o possono diventare il propellente di un dispositivo di dominio capace di modificare equilibri, risolvere conflitti, guadagnarsi un silenzio servile, azzittire e punire chi non si conforma

    • L’affaire Marrazzo svela, come meglio non si potrebbe, le pratiche e le tecniche di un potere che, per volontà e per metodo, abusa di se stesso mostrandosi come pura violenza.

    • Berlusconi in luglio riordina le idee e lancia la "campagna di autunno". Cambia squadra. Vittorio Feltri al Giornale. Belpietro a Libero. Signorini su tutti.

    • Gli avversari, veri o presunti, sono colpiti come birilli. Accade al giudice Mesiano, spiato e calunniato dalle telecamere di Canale5. Accade al direttore dell’Avvenire, Dino Boffo, colpevole di aver dato voce all’imbarazzo delle parrocchie per la vita disonorevole del premier. Accade al presidente della Camera, Gianfranco Fini, minacciato di "uno scandalo a luci rosse" perché responsabile di un civile dissenso politico. Accade a Veronica Lario, moglie ribelle dipinta come un’adultera. È accaduto ora a Marrazzo, ma quanti ora temono che possa accadere anche a loro?

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Marrazzo si è dimesso, Rutelli se ne va, e Mills mai in galera.

L’atto di killeraggio politico che ha colpito Piero Marrazzo ha avuto il suo primo effetto, le sue dimissioni. Signorini, il direttore del MinCulpop berlusconiano, ha avuto il video di Marrazzo fra le mani e ha prontamente avvisato il finto-premier. E Mr b non ha esitato a consigliare a Marrazzo il suo acquisto. Mr b è in grado di vendere qualsiasi cosa.
Marrazzo, si dice, si è rinchiuso in un istituto religioso. Alla ricerca di se stesso. Ora, dice, nello stato in cui è non può essere utile ai cittadini del Lazio. Forse non lo è stato neanche prima.
Intanto è già tempo di "doparie": Rutelli prepara i bagagli, ma neppure oggi ha dato il grande annuncio. Non è ancora ora di far nascere la Kadima italiana (Kadima è il partito di Nethanyau in Israele, partito che fu fondato da Ariel Sharon, famoso per aver rotto il bipolarismo israeliano fra il partito laburista e il Likud, il partito conservatore). Ebbene, Rutelli ha ansia di passare alla storia come colui che ha eliminato ogni ombra e sospetto di bipolarismo in Italia. Come Kadima, anche la Cosa di Rutelli e Casini, forse Fini e Montezemolo, stringerà accordi un po’ a destra e un po’ a sinistra. Si chiamerà il partito della Convenienza, poiché essa sarà il suo vero principo ispiratore.
Con il suo addio, forse il PD si libererà anche della pletora cleriacale dei cosiddetti "teodem": di fatto si potrà dichiarare conclusa l’esperienza della sintesi fra il socialismo riformatore e la correntona di sinistra della vecchia e arci defunta DC. A sinistra-sinistra si affrettino, poiché sul carrozzone a tre posti che Bersani ci preparerà in vista delle politiche del 2012 (se la Lega e Tremonti non fanno lo sgambetto a Mr b) c’è un posto libero fatto apposta per loro.
Mills. Condannato in appello per corruzione. Difficilmente la Cassazione ribalterà il risultato. Il corruttore? Latita, ma verrà presto prescritto.

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    • Dopo 4 ore di camera di consiglio, la seconda sezione della Corte d’appello ha confermato la condanna a quattro anni e sei mesi nei confronti dell’avvocato inglese David Mills per corruzione in atti giudiziari.

    • Confermato anche il risarcimento alla presidenza del Consiglio, costituitasi parte civile, pari a 250 mila euro.

    • Secondo la sentenza di primo grado, il legale avrebbe ricevuto 600mila dollari da Silvio Berlusconi per essere un testimone reticente in due processi nei quali era imputato il presidente del Consiglio, quello su "All Iberian" e quello sulle tangenti ad uomini della Guardia di finanza.

    • il procedimento a carico di Berlusconi ricomincerà, anche se davanti a un altro collegio rispetto a quello che aveva inflitto a Mills la condanna in primo grado. Questo collegio, infatti, è incompatibile e di conseguenza si dovrà tenere una apposita udienza nella quale i giudici presieduti da Gandus "si spoglieranno" del processo che sarà assegnato ad altri giudici. Difficile che si arrivi a un verdetto definitivo entro aprile 2011, quando anche per il premier scatterà la prescrizione.

    • Mentre i legali di Mills annunciano il ricorso in Cassazione, comincia la corsa contro il tempo per evitare la prescrizione. Per l’avvocato inglese questa scatta nell’aprile del 2010 perchè nel 2000 ebbe la disponibilità dei 600mila dollari ritenuti prezzo della corruzione. Secondo la Corte d’appello, che anche in questo ha accolto le tesi dell’accusa, non decorre da prima che deponesse nei due processi ‘incriminati’, nel ’97 e nel ’98, cosa questa che renderebbe il reato "abbondantemente prescritto".

    • I giudici, proprio per permettere una sentenza definitiva il prima possibile, entro 15 giorni renderanno note le ragioni del verdetto e da quel momento gli avvocati di Mills avranno 30 giorni per presentare ricorso. Anche nel caso di una condanna in via definitiva, grazie all’indulto, Mills non andrà in carcere.

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    • Non dice in modo diretto "me ne vado". Ma di fatto per Francesco Rutelli oggi è il giorno dello strappo dal Pd. Prima sussurrato, poi reso sempre più esplicito.

    • Manca l’ufficializzazione, ma probabilmente non c’è bisogno. Da Milano, durante la presentazione del suo libro, le parole l’ex leader della Margherita che pronuncia non lasciano margini di dubbio: "Occorre iniziare un percorso diverso, con persone diverse. Davanti a noi c’è un altro tragitto". E, si capisce, un altro partito.

    • Per il presidente del Copasir si apre la strada di un raccordo con Casini, Pezzotta e forse con quell’aggregato centrista che sogna Luca Cordero di Montezemolo. Un nuovo partito che non può essere il Pd che, con l’elezione di Bersani, "ripropone strade del passato".

    • Rutelli (che in in 30 anni è passato per quattro partiti, Radicali, Verdi, Margherita e Pd)

    • "Il centrodestra è diventato destra e il centrosinistra con il Pd, alleato con l’Idv, ripercorre strade del passato. C’è poi la Lega al nord ed è prossima la nascita di un partito del Sud, un cambiamento dello scenario politico italiano di fronte al quale un centrosinistra non avrebbe parole da spendere e finirebbe in minoranza"

    • l’interrogativo è questo. Capire quanti si accoderanno alla scelta rutelliana. Quantificare quanti si getteranno nella creazione del "Grande Centro" o "Kadima italiano"

    • Quante truppe hanno Rutelli e i suoi? E’ questa, forse, la vera questione su cui il Pd, alle prese con una campagna elettorale difficile, dovrà interrogarsi

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    • Piero Marrazzo si è dimesso. "Basta, voglio chiudere, non avere più alcun contatto con la mia vita politica", avrebbe detto ai collaboratori annunciando la decisione di lasciare l’incarico di Governatore dopo lo scandalo del video

    • "Le mie condizioni personali di sofferenza estrema non rendono più utile per i cittadini del Lazio la mia permanenza alla guida della Regione. Comunico con la presente le mie dimissioni definitive e irrevocabili"

    • I tempi per il voto. Dalle dimissioni al voto passeranno 135 giorni, 90 per i decreti di indizione dei comizi elettorali e 45 per indire i comizi. Si potrebbe andare alle urne a metà marzo ma non è escluso che le elezioni si tengano il 28-29 marzo in coincidenza con l’Election Day fissato dal governo.

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La prima notte di Mr b da comune mortale.

E’ una notte strana. La notte a Roma. Palazzo Grazioli blindato. L’unità di crisi raccolta intorno a lui. Il leader solo, senza più i poteri, chiuso nelle stanze, al riparo dagli insulti dei semplici passanti (sei denunciati fuori da Palazzo Venezia, stasera).
E’ una strana notte, questa. La notte della fine del regno assoluto.

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    • Misure di sicurezza straordinarie e grande mobilitazione delle forze dell’ordine attorno a Palazzo Grazioli, residenza romana del premier. La strada è transennata alle auto e circondata da poliziotti in tenuta antisommossa e persino le ambulanze e le auto di servizio sono costrette a deviare e cambiare direzione

    • A Palazzo Grazioli, intanto, è riunita una "unità di crisi" del centrodestra: sono presenti La Russa, Matteoli, Ghedini, Gasparri, Quagliariello e Rossella

    • calca di giornalisti italiani e stranieri (la tv tedesca e francese, le principali agenzia di stampa internazionali), tutti assieme hanno da stamani atteso la sentenza sul lodo Alfano davanti alla Consulta

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    • Tre persone che avevano urlato frasi offensive all’indirizzo di Silvio Berlusconi, poco prima che il premier entrasse alla mostra in corso a Palazzo Venezia a Roma, sono state denunciate.

    • Secondo quanto si è appreso le tre persone mentre il premier si accingeva ad entrare a Palazzo Venezia, hanno urlato: «In galera, in galera, la legge è uguale per tutti»

    • Le forze dell’ordine hanno in un primo momento bloccato una delle tre persone e successivamente le altre due. I tre sono stati poi accompagnati nel vicino commissariato di polizia dove sono stati denunciati

    • All’uscita della mostra, stessa scena: altri tre contestatori e altre denunce. I tre hanno urlato al premier: «In galera, in galera». Anche in questo caso i tre sono stati quindi accompagnati negli uffici del commissariato e denunciati.

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    • No al clima da stadio. La presidente della commissione Giustizia della Camera, Giulia Bongiorno, non entra nel merito della decisione della Corte Costituzionale di bocciare il lodo Alfano.

    • Ma a chi le chiede un commento sul pronunciamento della Consulta il legale del presidente della Camera Fini risponde: «Sarebbe auspicabile evitare di accogliere la decisione in un clima da stadio. Occorre prendere atto dell’esito con il rispetto che merita la Corte Costituzionale»

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    • La notizia della bocciatura del ’lodo Alfano’ apre quasi tutti i grandi siti web internazionali. Grande evidenza sul sito del britannico The Times, che ha seguito con attenzione le vicende del governo italiano negli ultimi mesi: «La massima corte italiana toglie l’immunità a Berlusconi. Il premier italiano lotta per la sua carriera»

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    • Berlusconi: "Giudici di sinistra". La bocciatura a tutto campo, da parte della Corte costituzionale, colpisce un provvedimento fortemente voluto da Silvio Berlusconi. Che, prima, lascia commentare l’esito della vicenda al sottosegretario Paolo Bonaiuti: "Una sentenza politica, ma il presidente, il governo e la maggioranza continueranno a governare come, in tutte le occasioni dall’aprile del 2008, hanno richiesto gli italiani con il loro voto". Poi, uscendo da Palazzo Grazioli, non si tiene: "Vado avanti. La Consulta è politicizzata. E’ di sinistra". E aggiunge: "Dobbiamo governare per cinque anni con o senza il Lodo. Non ci ho mai creduto perché una Corte Costituzionale con 11 giudici di sinistra era impossibile che approvasse tutto questo". Insieme, una filippica contro i giornali e i giornalisti di sinistra, i programmi di approfondimento di sinistra, il capo dello Stato "che sapete da che parte sta". Per concludere così: "A me queste cose mi caricano. Andiamo avanti. Viva Berlusconi". Più tardi, quando gli riferiscono le parole di imparzialità che arrivano da Quirinale ("Il capo dello Stato sta dalla parte della Costituzione con assoluta imparzialità"), il Cavaliere perde quasi le staffe: "Non mi interessa quello che dice Napolitano. Mi sento preso in giro".

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Il Lodo Alfano è INCOSTITUZIONALE

La Consulta ha deciso: il Lodo alfano non è coerente con i principi della nostra Carta Costituzionale. Lo scudo di Berlusconi è illegittimo. Mr b tornerà a essere uno come tanti, e a pagare per i reati commessi.

Le motivazioni: viola l’art. 138 della Costituzione, l’obbligo di fare ricorso a una legge costituzionale ed è illegittimo anche in relazione all’art. 3, vale a dire il principio di uguaglianza.

La decisione è stata presa a maggioranza. Nove giudici favorevoli all’accoglimento della pregiudiziale di costituzionalità, sei contrari.

Questo il testo del comunicato della Corte:

“La Corte costituzionale, giudicando sulle questioni di legittimità costituzionale poste con le ordinanze n. 397/08 e n. 398/08 del Tribunale di Milano e n. 9/09 del GIP del Tribunale di Roma ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della legge 23 luglio 2008, n. 124 per violazione degli articoli 3 e 138 della Costituzione. Ha altresì dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale della stessa disposizione proposte dal GIP del Tribunale di Roma”.

Le reazioni. Paolo Bonaiuti parla già di “sentenza politica”. Bossi: “Berlusconi non si arrenderà, non vuole elezioni anticipate”; e poi, con tono minaccioso: “se si ferma il federalismo, facciamo la guerra” (un messaggio a chi, fra la maggioranza, vuole ricorrere alle urne?). Fabrizio Cicchitto: ”E’ incontestabile che la Corte Costituzionale ha rovesciato la sua precedente impostazione. L’unica spiegazione di questo cosi’ profondo cambiamento della sua dottrina sulla materia regolata dal lodo Alfano deriva da un processo di politicizzazione della Corte che si schiera sulla linea dell’attacco al presidente Berlusconi”.

Gasparri, “La Consulta non e’ piu’ un organo di garanzia”; “Una giornata buia per i valori della legalita’ e che segna il tramonto di una istituzione che ha obbedito a logiche di appartenenza politica e non a valutazioni di costituzionalità” (Gasparri, l’uomo con le bombe a mano in bocca).

Antonio Di Pietro, commentando la sentenza della Corte Costituzionale sul Lodo Alfano, ha detto: “Allora” (al momento della approvazione del Lodo) “rimanemmo stupiti – aggiunge Di Pietro – che il capo dello Stato, non solo firmò il Lodo, ma dichiarò che lo faceva non per dovere, ma perché lo riteneva del tutto costituzionale”. “Spero che da oggi, alla luce della decisione della Consulta – conclude – il presidente del Consiglio la smetta di fare leggi a proprio uso e consumo, si dimetta dall’incarico e vada a fare quello che da 15 anni si ostina a non voler fare: l’imputato”.

Rocco Buttiglione: “Ognuno è libero di condividere o meno i pronunciamenti della Corte Costituzionale sul Lodo Alfano, ma tutti – sottolinea – sono tenuti a rispettarli. Questo non vuol dire che Berlusconi debba dimettersi: chi ha la maggioranza ha il diritto-dovere di governare. Per lo stesso motivo nessuno pensi di convocare elezioni anticipate contro la Corte Costituzionale”.

Questo il testo dell’unico articolo della legge cosiddetta “Lodo Alfano”, dichiarato incostituzionale per violazione degli artt. 3 e 138 della Costituzione:

ART. 1.

1. Salvi i casi previsti dagli articoli 90 e 96 della Costituzione, i processi penali nei confronti dei soggetti che rivestono la qualità di Presidente della Repubblica, di Presidente del Senato della Repubblica, di

Presidente della Camera dei deputati e di Presidente del Consiglio dei ministri sono sospesi dalla data di assunzione e fino alla cessazione della carica o della funzione.

La sospensione si applica anche ai processi penali per fatti antecedenti l’assunzione della carica o della funzione.

2. L’imputato o il suo difensore munito di procura speciale può rinunciare in ogni momento alla sospensione.

3. La sospensione non impedisce al giudice, ove ne ricorrano i presupposti, di provvedere, ai sensi degli articoli 392 e 467 del codice di procedura penale, per l’assunzione delle prove non rinviabili.

4. Si applicano le disposizioni dell’articolo 159 del codice penale.

5. La sospensione opera per l’intera durata della carica o della funzione e non è reiterabile, salvo il caso di nuova nomina nel corso della stessa legislatura.

6. Nel caso di sospensione, non si applica la disposizione dell’articolo 75, comma 3, del codice di procedura penale.

Quando la parte civile trasferisce l’azione in sede civile, i termini per comparire, di cui all’articolo 163-bis del codice di procedura civile, sono ridotti alla metà, e il giudice fissa l’ordine di trattazione delle

cause dando precedenza al processo relativo all’azione trasferita.

7. Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano anche ai processi penali in corso, in ogni fase, stato o grado, alla data di entrata in vigore della presente legge.

8. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

Lodo Alfano, interpretazioni a parte.

Il cliam sui giornali e sul web è di quelli confusi. L’Unità abbozza una teoria strana, secondo cui la rinuncia di Fini al Lodo Alfano è una implicita conferma del fatto che la legge non verrà cassata dalla Consulta.
Non me ne capacito. Tanto più che, come è spiegato da Travaglio sul suo blog, Fini ha rinunciato al Lodo già da tempo ma si è venuto a sapere solo in questi giorni grazie al gionale di Padellaro e soci, che ha scritto un articolo sulla vicenda. La querela Woodcock-Fini giaceva in un cassetto della procura romana auto-sospesasi in virtù del Lodo, nonostante la rinuncia del Fini stesso. Quindi non si comprende come questo fatto possa incidere nella decisione della Corte, al quale dovrebbe decidere solo sulla base della legittimità costituzionale.
Trovo invece corrette e centrali le osservazioni di Travaglio, secondo cui:
1. la giustificazione data dall’Avvocatura dello Stato che la bocciatura del Lodo provocherebbe una empasse istituzionale dovuta alle eventuali dimissioni del presidente del Consiglio è infondata poiché già nel 2004 la bocciatura del precedente Lodo non ha impedito a Mr b di essere allo stesso tempo premier e imputato;
2. la bocciatura del Lodo interessa anche il Quirinale che ha supinamente firmato sostenendo la tesi secondo cui non serve una legge costituzionale per derogare dall’art. 3 della Costituzione;
3. il Lodo serve solo a Mr b essendo lui il solo a avere processi in corso – ormai chiusasi la vicenda querela di Fini – e si tratta di procedimenti per corruzione di giudici o altri reati di entità superiore alla mera querela per diffamazione.
Tre aspetti che smontano la ricostruzione dell’Avvocatura e che dovrebbero mettere i giudici della Corte sulla strada della interpretazione letterale della costituzionalità del provvedimento, lasciando le eventuali ripercussioni politiche al sistema politico stesso.

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    • circolano, sui giornali, varie indiscrezioni sugli orientamenti che starebbero dividendo la Corte Costituzionale
    • c’è chi dice che ci sono cinque giudici pro, cinque giudici contro e cinque incerti, insomma fanno il Toto – Lodo in Parlamento in queste ore
    • Abbiamo già parlato della vergogna dell’avvocatura dello Stato, che è andata a sostenere non la legittimità costituzionale del Lodo, ma la necessità politica del Lodo in quanto, se il Lodo non fosse confermato e saltasse, Berlusconi tornerebbe imputato e conseguentemente dovrebbe dimettersi, crollerebbe il governo, sarebbe un cataclisma
    • alla Corte dovrebbero discutere la costituzionalità o meno del Lodo, gli effetti sono poi affare della politica, degli elettori, del Parlamento, del governo, del capo dello Stato
    • Lì devono stabilire se il Lodo è o meno costituzionale, se la legge è uguale per tutti, oppure per tutti tranne quattro
    • l’altro giorno Rutelli ha dichiarato che, se il Lodo dovesse decadere, allora ci sarebbe spazio per un governo istituzionale
    • è anche un grande regalo a Berlusconi, perché è proprio quello che sta cercando di fare Berlusconi, spaventare la Corte dicendo “ se voi bocciate il Lodo vi assumete la responsabilità di un crollo del governo e di un cataclisma politico in un clima di incertezza”
    • l’opposizione è quella roba lì, non è in grado di produrre una maggioranza alternativa e conseguentemente spaventare la Corte è l’unica strategia possibile da parte di chi ha fatto questo Lodo e sa benissimo di aver violato la Costituzione
    • stiamo parlando di roba seria, stiamo parlando di corruzione di un testimone per taroccare dei processi, stiamo parlando di corruzione di giudici
    • il processo Sme è finito come sapete – stiamo parlando di falsi in bilancio, frodi fiscali, appropriazioni indebite, tentata istigazione alla corruzione di Senatori
    • l’azione penale, la attiva il Pubblico Ministero con la sua richiesta di rinvio a giudizio e, in quel momento, l’indagato diventa imputato, conseguentemente è buona norma che, in quella fase, chi svolge cariche pubbliche o funzioni pubbliche, si faccia da parte
    • la Costituzione prevede un surplus di doveri, per chi svolge incarichi pubblici (articolo 54
    • chi ricopre cariche pubbliche non è un cittadino comune e deve anche esercitarle con disciplina e onore
    • incompatibile con una richiesta di invio a giudizio o con un rinvio a giudizio per reati gravi
    • Non dimentichiamo che nel 92 Scalfaro, ben altro Presidente della Repubblica, quando si parlava di un avviso di garanzia a Craxi, che però non l’aveva ancora ricevuto, nel maggio del 92 Scalfaro non diede l’incarico a Craxi, nonostante che i partiti della maggioranza, appena confermata dalle elezioni dell’aprile 92, gli avessero confermato una sia pur risicata maggioranza al partito
    • E’ già tutto avvenuto, Berlusconi è già diventato Presidente del Consiglio da imputato, è imputato praticamente da 15 anni e quindi non si capisce quale sarebbe la novità se tornasse a essere imputato dopo l’eventuale bocciatura della legge Alfano
    • il Lodo Maccanico /Schifani, lo scudo durò sei mesi: dall’estate del 2003 al gennaio del 2004, la Corte glielo bocciò, lo ritrascinò in Tribunale e lui continuò a fare il Presidente del Consiglio e l’imputato
    • abbiamo anche il precedente specifico; Berlusconi, se torna imputato, non si dimette
    • a avere interesse che la Corte Costituzionale confermi il Lodo, non sono soltanto Berlusconi e la sua ristretta cerchia, ma è anche il Quirinale
    • molti giuristi, addirittura 100 costituzionalisti, compresi quattro o cinque ex Presidenti della Corte Costituzionale, avevano detto, in un famoso appello, che il Lodo era incostituzionale in forma palese, ictu oculi, al primo sguardo, incompatibile con l’articolo 3 della Costituzione e quindi c’erano tutti gli elementi affinché il capo dello Stato lo respingesse al mittente con un messaggio motivato alle Camere, come prevede la Costituzione
    • Il capo dello Stato non volle respingerlo, non respinge mai nulla, ha firmato tutto in questo anno e mezzo
    • tanto è inutile respingere le leggi costituzionali, perché tanto Berlusconi le ripresenta uguali.
    • C’è un potere della Costituzione che consente, anzi impone al capo dello Stato, nel caso in cui la legge sia manifestamente incostituzionale, di rimandarla indietro, ma lui ci fa sapere che non le rimanda indietro perché tanto gliele ripresenterebbero uguali
    • almeno farebbe sapere che lui non c’entra, almeno farebbe sapere che lui ha provato a difendere la legalità e la Costituzione
    • quel Lodo non è fatto per le quattro alte cariche dello Stato, ma per una, la più bassa
    • Perché le altre tre non hanno processi, o meglio ne aveva uno Fini: ne aveva uno perché? Perché il Pubblico Ministero di Potenza, che adesso è in trasferimento a Napoli, Harry John Woodcock , l’aveva querelato per delle dichiarazioni sgangherate che Fini aveva fatto a Porta a Porta
    • Woodcock aveva messo sotto inchiesta la moglie di Fini, il segretario di Fini e il factotum di Fini: ricorderete lo scandalo del portavoce Sottile, che usava l’auto blu per scarrozzare le soubrette alla Farnesina e poi è stato condannato per peculato in primo grado
    • la storia del segretario di Fini, Proietti, che era stato beccato al telefono mentre parlava di cliniche, di quote di cliniche etc. con la moglie di Fini, l’inchiesta poi passò a Roma, non se ne è mai più saputo niente
    • l’inchiesta che aveva fatto infuriare Fini, il quale però, a mente fredda, doveva aver capito che l’inchiesta era buona, perché infatti ha mandato via il suo portavoce Sottile e poi si è separato da sua moglie, diciamo implicitamente ammettendo che forse Woodcock non aveva tutti i torti
    • i magistrati di Roma avevano congelato – diciamo – in un cassetto, in freezer – i freezer della Procura di Roma sono sempre stati molto capienti! – il processo per diffamazione a Fini, che era stato, nel frattempo, rinviato a giudizio per aver diffamato Woodcock
    • Fini aveva detto che non si sarebbe avvalso del Lodo Alfano, che è rinunciabile, e non gli fanno il processo lo stesso?
    • abbiamo contattato l’Avvocatessa Giulia Bongiorno, che assiste Fini in questo frangente e le abbiamo chiesto “confermate di voler essere processati?” e lei ha detto “ certo!” e hanno chiesto proprio alla Procura di Roma di sbloccare questo maledetto processo
    • si è saputo ufficialmente che Fini chiedeva di essere processato, ossia di essere spogliato dello scudo spaziale del Lodo, Woodcock ha fatto un bel gesto e ha detto “ va bene, mi dichiaro soddisfatto, finalmente abbiamo un esponente delle istituzioni che compie un gesto istituzionale
    • Mettiamoci una pietra sopra, ritiro la querela a Fini”, dato che la dichiarazione è procedibile soltanto a querela della parte lesa, se la parte lesa ritira la querela il processo evapora
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    • Una sentenza che è lo spartiacque della legislatura. Ununico tavolo da cui dipendono tante partite: la durata del governo, la tenuta del Pdl, la nascita di nuove formazioni politiche al centro, un’eventuale diaspora nel Pd. Così la Consulta si ritrova ad essere, suo malgrado, non solo garante e giudice delle leggi ma anche arbitro degli equilibri politici.
    • Giudicare il Lodo – lo scudo giudiziario che blocca i processi, ma non le indagini, per le quattro più alte cariche dello Stato – solo interrogando i codici o anche il contesto in cui gli stessi codici vanno applicati.
    • c’è una sostanziale parità, che la Corte è spaccata e che la differenza la faranno due, al massimo tre giudici tra cui il presidente Francesco Amirante (il cui voto, in caso di parità, vale doppio) ancora incerti sul da farsi.
    • È preferibile, anche, non dilungarsi troppo sulle cene tra giudici e premier e ministri (a maggio a casa Manzella); sul figlio del giudice promosso ai vertici di un importante ente pubblico; sulla lunga stretta di mano tra il premier e il presidente Amirante durante i funerali dei sei parà uccisi a Kabul.
    • Restiamo ai fatti
    • la rinuncia del presidente della Camera Gianfranco Fini al Lodo
    • la memoria difensiva dell’Avvocatura di Stato
    • le ragioni che nel luglio 2008 hanno fatto dire al presidente della Repubblica sì al Lodo Alfano
    • Il presidente Napolitano osservò allora, in due diversi comunicati, che la Corte già con la sentenza n.24 del 2004 (quella che bocciò l’analogo Lodo Schifani) «sancì che la norma di sospensione dei processi per le alte cariche dello stato non dovesse essere adottata con legge costituzionale»
    • Napoletano, firmando il Lodo Alfano, ricordò anche che la Corte, sempre nel 2004, «giudicò un interesse apprezzabile la tutela del bene costituito dalla assicurazione del sereno svolgimento delle rilevanti funzioni che ineriscono a quelle cariche »
    • poter gove

      rnare serenamente è un interesse primario e un processo può anche aspettare

    • lo stesso principio spiegato nelle ventuno pagine della memoria difensiva dell’Avvocatura di Stato che, in caso di stop al Lodo, prevede danni seri all’esercizio delle funzioni provocati dalle dimissioni del premier
    • Alla Corte, quindi, è stato prospettato una sorta di ricatto politico
    • già in passato, nel 2004, la Consulta si era espressa dicendo che nonserviva una legge costituzionale
    • è di grande “aiuto” la scelta di Fini di rinunciare allo scudo: in qualche modo è la prova che il Lodo non è incostituzionale. Si tratta di un messaggio forte per la Corte. Che può far spostare i più indecisi verso il sì e la conferma

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Prima che il paradiso fiscale divenga un purgatorio. Il condono sulla fiducia.

Lo scudo fiscale non è compatibile con la politica decisa a Luglio al Consiglio EcoFin. Questo deve essere detto, poiché nessuno oggi ricorda che a Luglio il ministro Tremonti si vantava in aula a Bruxelles con i colleghi di aver avuto delle grandi idee e di lavorare a stretto contatto con GB, Francia e Germania, in linea con quanto stava facendo Obama in USA, e questo per combattere la crisi finanziaria, la peggiore crisi dal 1929.
Ma ecco che a Ottobre il governo debba fare cassa e Tremonti allunga il gomito a Mr b e gli mette sotto al naso questa bozza di condono, ma da chiamarsi “scudo” che così si confondono le idee. Un modo per accontentare il capo, che così fa rientrare qualche gruzzoletto, e per mettere fieno in cascina, in barba alla legge sul falso in bilancio, già depenalizzato dagli stessi che ora governano. Con lo scudo, s’introduce anche un altro aspetto dirompente, che lede il principio dello stato di diritto, questo lo si fa attraverso il “cavallo di troia” dell’anonimato. Vale a dire, queste persone, colpevoli di evasione fiscale, non sono neanche identificate, non sono neanche sottoposto a mezzo procedimento, che dico, a una notifica, niente. Sono di fatto amnistiate. Sono anonimi che fanno transitare al confine valigette di soldi delle quali non si sa la provenienza e che lo Stato preleva in minima percentuale, un tributino per il servizio prestato.
In realtà si è dato un pugno nello stomaco ai criteri OCSE. Si è sputato sul piatto dove a Luglio si è mangiato. E si è bypassato ancora una volta il Parlamento, poiché su questo Ddl verrà posta la questione di fiducia. Non interessa la discussione, interessa non perdere tempo, prima che i partner europei impongano delle regole comuni, prima che il consesso del G20 decida per una regolamentazione degli scambi finanziari, prima che il paradiso divenga un mezzo purgatorio.

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    • E’ partito con una rissa ieri al consiglio Ecofin quello che il ministro Tremonti ha definito «l’ assedio ai paradisi fiscali» e all’ evasione fiscale che vi si consuma.
    • «In molti paradisi – ha detto il ministro dell’ Economia – ci sono più società di panama che abitanti. Noi stiamo lavorando, come Regno Unito, Francia e Germania, su alcune ipotesi, in parte simili a quanto leggo sul piano Obama».
    • Tre le direttrici dell’ iniziativa italiana contro l’ evasione: 1) «inversione dell’ onere della prova (se il capitale è depositato in un paradiso si presume che sia originato da evasione salvo prova contraria); 2) sanzioni aggravate se il capitale evaso viene depositato in un paradiso fiscale; 3) più attenzione sui redditi nei paradisi».
    • La pubblicazione della lista Ocse, fortemente voluta da Franciae Germania, era stata decisa al vertice del G20 a Londra
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    • Il governo pone alla Camera la questione di fiducia sul decreto legge correttivo al pacchetto di misure anti-crisi e che contiene le norme sullo scudo fiscale.
    • Quella che il governo Berlusconi ha chiesto alla Camera sul decreto correttivo delle misure anticrisi, che contiene le norme sullo scudo fiscale, è la 25/a fiducia nei 17 mesi di questa legislatura.
    • La conferenza dei capigruppo di Montecitorio, convocata per domani mattina alle 10, stabilirà il calendario preciso delle ultime fasi del passaggio del testo. La fiducia sarà votata presumibilmente domani sera, mentre giovedì è atteso il via libera definitivo al decreto sulla sanatoria per il rientro dei capitali dall’estero, che diventerà legge.
    • Le opposizioni, che hanno approfittato di tutti gli spazi consentiti dal regolamento di Montecitorio per prendere la parola, attaccano Esecutivo e maggioranza convinti che lo scudo
      fiscale sia «uno schiaffo agli onesti», come dice il segretario del Pd Dario Franceschini, e addirittura «favorisca la criminalità», come sostiene l’Italia dei Valori.
    • Il fronte del no però intanto si allarga e oggi anche Famiglia cristiana si schiera apertamente contro lo scudo fiscale («l’ennesima beffa per la gente onesta») e definisce Tremonti «un furbetto del governino».
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    • [NRC Handelsblad]

    • Gli evasori fiscali italiani possono rilassarsi e prendere fiato. Il Senato approva oggi una legge che rende possibile riciclare il denaro sporco depositato all’estero a condizioni molto convenienti. Chi dichiara entro il 15 dicembre i propri fondi neri giacenti nei paradisi fiscali dovrà pagare solo il 5 per cento di tasse, contro il circa 40 per cento prelevato dalle entrate degli italiani onesti.
    • Chi fa la dichiarazione può contare sull’anonimato. Anche coloro che hanno ottenuto guadagni non dichiarati attraverso il falso in bilancio non saranno perseguiti.
    • “Questo è riciclaggio di Stato”, ha detto il leader del partito Italia dei Valori, Antonio di Pietro. “Una vergogna”, sostiene Dario Franceschini, capo dell’opposizione di sinistra, il Partito Democratico. Gli Italiani onesti sono secondo lui svantaggiati dal provvedimento.
    • Tremonti prevede che circa 100 miliardi di euro in nero verranno dichiarati. Spera di incassare 5 miliardi di euro per le casse dello Stato. Secondo Tremonti il provvedimento rispetta le condizioni che l’OCSE pone alle legislazioni per il rientro dei capitali dall’estero.
    • Nessun altro Paese sta considerando un approccio così timido come quello italiano. In Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti gli evasori fiscali devono comunque pagare le tasse. Solo una parte della multa può essere condonata. Chi ha ottenuto il denaro da pratiche illegali o criminali rimane perseguibile.
    • Sei anni fa il governo Berlusconi di allora aveva già concesso agli evasori italiani una legge indulgente per il riciclaggio del denaro. Ai tempi l’operazione aveva fruttato 2 miliardi di euro al Tesoro ed era stato detto che si trattava dell’ultimo condono generale.

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Join the dots. Unisci i puntini. Batliner e gli gnomi del Vaticano.

Banca Rasini e gli Azzaretto, i forti legami con il Vaticano, con Andreotti. Banca Rasini e Mr b, il riciclaggio, sullo sfondo del crac del Banco Ambrosiano, l’omicidio di Calvi, la P2 e Licio Gelli, Michele Sindona, l’ombra del grande guru dell’off-shore, l’avvocato tedesco Herbert Batliner, un gran fiume di denaro e il silenzio, un gran silenzio, tutto intorno.
Ma chi è questo strano signore, Herbert Batliner, altrimenti detto "lo gnomo del Vaticano"?
Sul wikipedia tedesco, la nota su Batliner è scarna: di tutta la sua esistenza, il regalo dell’organo a canne del valore di 730mila euro a Papa Ratzinger occupa ben 7 di 18 righe, il resto sono poche informazioni sulle sue attività finanziarie, un riferimento ai suoi principali clienti, fra cui Agnelli, l’accusa di evasione fiscale per 250 milioni di euro e il patteggiamento con la giustizia, che oggi è gravemente malato. Eppure per le sue società finanziarie si sospetta siano passati i flussi del riciclaggio di denaro sporco proveniente dalla Sicilia.
Di seguito gli estratti dagli articoli di Claudia Fusani su l’Unità: l’autrice è impegnata da diversi giorni in una ricostruzione della "Silvio Story", in cui centrale è il ruolo della Banca Rasini, la banca disegnata intorno. La Fusani cita il libro di Ferruccio Pinotti e Uto Gumpel, "L’unto del Signore" (qui una recensione: http://unoenessuno.blogspot.com/2009/06/lunto-del-signore-ferruccio-pinotti-e.html).

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    • Piazza Mercanti, cinquanta metri da piazza Duomo, ieri e oggi il cuore della Milano degli affari. Bisogna tenere a mente questo indirizzo perché qui al piano terra, interni eleganti e un po’ barocchi, sono custoditi l’alfa e l’omega della fortuna e della carriera di Silvio Berlusconi.
    • un piccolo ma raffinato istituto di credito, la Banca Rasini, la preferita dall’alta borghesia meneghina
    • Luigi Berlusconi ci arriva come impiegato negli anni trenta, ne diventa direttore nel 1957, la lascia nel 1973 per seguire gli affari del figlio.
    • Il conte Carlo Rasini è, come abbiamo già visto, il primo socio in affari del venticinquenne Silvio, mette a disposizione il capitale per l’acquisto del terreno in via Alciati, offre garanzie per il prestito per la costruzione dei palazzi, fidejussioni e malleverie ancora più consistenti per la realizzazione dei mille appartamenti a Brugherio.
    • Certo è che il “nulla” da cui emerge Berlusconi ha dietro di sé la sostanza e i capitali di una banca. E allora il nodo da sciogliere è: cosa fa veramente la banca Rasini? E perchè si mette a disposizione, sulla fiducia, per operazioni immobiliari traballanti anche se poi azzeccatissime?
    • nel 1983 l’istituto resta coinvolto (il profilo penale riguarda solo il direttore generale Antonio Vecchione, il successore di Luigi Berlusconi) in un’inchiesta di riciclaggio di capitali mafiosi; tra il 1991 e il 1992 la Rasini viene acquisita e assorbita dalla Popolare di Lodi per poi scomparire del tutto.
    • Negli anni cinquanta una prima svolta: entra nella Rasini – la banca è una sas, società in accomandita semplice – la famiglia Azzaretto, siciliani di Misilmeri, con forti legami in Vaticano, con i Cavalieri di Malta e del Santo Sepolcro.
    • Nel 1973 la banca si trasforma in società per azioni e cresce il ruolo dei soci isolani
    • Nello stesso anno Luigi Berlusconi decide di pensionarsi per dare una mano al figlio già lanciato verso i piani alti dell’imprenditoria
    • Nel 1974 anche Carlo Rasini abbandona la banca, «il mondo finanziario era cambiato, estraneo a quello del conte»
    • La maggioranza del pacchetto azionario della banca passa nelle mani di Dario Azzaretto con il 29,3 per cento delle azioni. Un pacchetto consistente pari al 32,7 per cento viene gestito da tre società del Liechtenstein, la Wootz Anstalt di Eschen, la Brittener Anstalt di Mauren e la Manlands Financiere SA di Schann, tutte rappresentate da Herbert Batliner
    • Uomo d’affari e discusso mecenate, Batliner
    • Batliner non solo avrebbe “prestato” la sua consulenza a narcotrafficanti latino-americani ma anche che nel 2007 è stato riconosciuto colpevole di una maxi evasione fiscale in Germania dalla procura di Bochum
    • Batliner ha riconosciuto le sue colpe, ha accettato di pagare una sanzione di 2 milioni ed è oggi in pari con la giustizia
    • Nel 2006, nonostante non potesse mettere piede in Germania, Batliner ha avuto un permesso speciale per incontrare papa Ratzinger a Ratisbona. E donargli un organo a canne del valore di 730mila euro.
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    • torniamo in piazza Mercanti e seguiamo le sorti della microbanca Rasini
    • La Milano del boom economico poi della crisi e del terrorismo prima della Milano da bere è una città amministrata ininterrottamente dai primi anni sessanta da sindaci di area socialista, da Bucalossi fino a Pillitteri. Fino a Mani Pulite.
    • tra il 1961 e il 1972 sono inviati al soggiorno obbligato in Lombardia 372 mafiosi che costruiscono una fitta rete d’affari criminale
    • compaiono nell’informativa della Criminalpol (rapporto 0500/C.A.S del 13 aprile 1981), duecento pagine sulle indagini sulla mafia a Milano e in Lombardia e i suoi collegamenti con le famiglie siciliane e con quelle americane di Cosa Nostra
    • la notte del 14 febbraio 1983 vengono arrestati vari imprenditori perchè legati a Cosa Nostra
    • si scopre che lo sportello-gioiello di piazza Mercanti serviva come lavanderia di denaro sporco
    • In manette finiscono Giuseppe Bono, Antonio Virgilio, Salvatore Enea e Luigi Monti, tramite i quali erano diventati clienti della Banca Rasini i clan mafiosi della famiglia Fidanzati, Bono e Gaeta.
    • Virgilio e Monti hanno legami, documentati da intercettazioni telefoniche, con Vittorio Mangano
    • sul conto corrente di Antonio Virgilio transitano tra il 28 febbraio del 1980 e il 31 maggio del 1982 operazioni per quasi cinquanta miliardi; la Rasini ha scontato a Virgilio oltre un miliardo di lire (360 milioni da una gioielleria di piazza di Spagna)
    • Salvatore Enea, un altro della mafia dei colletti bianchi ha fatto versamenti per 828 milioni di euro
    • la famiglia Berlusconi non ha più alcun tipo di contatto o legame operativo con la banca a partire dal 1973 quando Luigi si dimette e il conte Rasini cede il comando agli Azzaretto
    • In rispetto alla cronaca va anche aggiunto che un incendio distrugge tutti i documenti bancari relativi al periodo antecedente al 1973 (così risulta dalle dichiarazioni dei responsabili della banca nell’ambito del processo Dell’Utri)
    • l’unico, a parte Berlusconi, ancora lucido e vivente che conosce i segreti della Banca è Batliner
    • il libro inchiesta di Pinotti e Gumpel ricostruisce il dietro le quinte delle tre fiduciarie del Liechtenstein e arriva ad ipotizzare che «tre protagonisti della finanza vaticana (Sindona, Calvi e Marcinkus)avrebbero una partecipazione coperta nella Rasini».
    • Tra l’83 e l ’84 il controllo dell’istituto passa alla famiglia di Nino Rovelli, “re della petrolchimica” sarda, protagonista dello scandalo Imi-Sir.
    • uno dei protagonisti di quell’affaire, l’avvocato Cesare Previti (nello staff legale di Berlusconi già dai primi anni settanta), riuscì a corrompere i giudici per far avere ai Rovelli un risarcimento di mille miliardi di lire
    • Perché Rovelli, mai stato banchiere, si prende la Rasini? Chi gli chiede questo favore? Ancora una volta Pinotti e Gumpel, che a loro volta riprendono un’intervista alla baronessa Cordopatri cliente della Rasini, arrivano ad alcune conclusioni: dietro la Rasini c’è Giulio Andreotti, già dai tempi degli Azzaretto
    • una bancarotta della Rasini non avrebbe giovato a nessuno. Avrebbe richiamato gli ispettori della Banca d’Italia e creato uno scandalo. Andava impedito un altro caso Sindona
    • Si spiega così il colpo dei Rovelli: salvare una banca amica del Vaticano
    • Nel 1992 la Popolare di Lodi assorbe la Rasini. E il 5 settembre 2003 anche le tre società del Liechtenstein vengono cancellate. Evapora così, prima nel fuoco poi nel nulla, la memoria della banca dei segreti

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Join the dots. Unisci i puntini. Dell’Utri e lo stalliere. Una storia, una banca.

Il processo Dell’Utri si sta consumando alla Corte d’Appello di Palermo, dove procede celermente alle battute finali. Anche il Giudice ha fretta: lo aspetta una bella promozione al Tribunale di Caltanissetta. Ovviamente il processo non farà luce sulle relazioni fra il caso Mangano, i rapporti Dell’Utri, Cinà e Bontade; nemmeno fra questi e il ruolo di Banca Rasini e dei Berlusconi, padre e figlio. Un intreccio troppo oscuro, che in realtà condurrebbe sino alle società off-shore di Mr b, al capitale di dubbia provenienza con il quale aprì tutta la sua attività imprenditoriale nell’editoria e nell’edilizia, e che invece viene disvelato solo in parte, solo in relazione ai rapporti intercorsi con il Mangano, quando invece c’è stata "tutta una banca intorno" a far da collante fra questi biechi personaggi.

  • L’arrivo di Mangano a Villa San Martino era avvenuto in un clima pesante per gli imprenditori milanesi. Lo stesso Silvio Berlusconi, oltre ai progetti di rapimento del padre Luigi e alle minacce di sequestro del figlio Pier Silvio, aveva subito anche un attentato: una bomba contro la sede delle sue società, l’ex villa Borletti di via Rovani a Milano. I pericoli però spariscono con l’arrivo di Mangano.
    • Francesco Di Carlo, capo della potente famiglia di Altofonte, poi espulso da Cosa Nostra con l’accusa di aver imbrogliato gli amici fingendo il sequestro di una partita di droga, riparato a Londra, mafioso pentito, racconta di aver conosciuto Dell’Utri perché “Cinà me lo presentò in un bar di via Libertà a Palermo, a metà degli anni 70. Qualche mese dopo rividi Dell’Utri a Milano. In un ufficio di via Larga di proprietà di alcuni nostri amici incontrai Cinà, Mimmo Teresi e Stefano Bontade. Quel giorno erano particolarmente eleganti. Io domandai il perché e loro mi risposero che dovevano andare da un grosso industriale milanese amico di Cinà e Dell’Utri, e mi proposero di seguirli”. Secondo il racconto di Di Carlo, i quattro si recano nella sede dell’Edilnord dove incontrano Berlusconi e Dell’Utri.
    • Parla Bontade: “Dottore, lei da questo momento può smettere di preoccuparsi. Garantisco io…Perché piuttosto non pensa ad investire nella nostra bellissima isola? Da noi c’è tanto da costruire”. E Berlusconi: “Vorrei, vorrei, …Ma sa, già qui al nord ci sono tanti siciliani che
      non mi lasciano tranquillo…”. Bontade: “La capisco, ma adesso è tutto diverso. Lei ha già al
      suo fianco Dell’Utri, io le manderò qualcuno che le eviterà qualsiasi problema con quei siciliani”.
      Berlusconi: “Non so come sdebitarmi, resto a sua disposizione per qualsiasi cosa”.
    • E fu dopo questo incontro che arrivò Vittorio Mangano. Questo secondo il racconto del pentito
      Di Carlo
    • Il fatto è che Mangano non avrebbe fatto solo lo stalliere, come pure l’amministratore, ma anche il furbetto nel suo soggiorno a villa San Martino, organizzando estorsioni, anche ai danni di Berlusconi, e progettando addirittura sequestri ai danni degli ospiti del suo nuovo padrone. Così racconta un altro pentito, Salvatore Cocuzza, successore di Mangano alla guida del clan di Porta Nuova, e suo compagno di cella dal 1983 al 1990.
    • Sempre secondo Cocuzza, Berlusconi si rivolse a Cinà per trattare direttamente con
      Bontade e Teresi e “raggiunse con loro un accordo per il versamento di una tangente di 50
      milioni l’anno. La stessa cifra che veniva prima versata a Mangano”. E così Mangano venne
      liquidato dalla ditta Berlusconi. I motivi dell’allontanamento di Mangano vanno a quadrare con le stesse dichiarazioni di Berlusconi e Dell’Utri, che lo motivarono con i tentativi di sequestro. Anzi, ci fu persino una bombetta, un “rozzo ordigno, poca roba”, vicino al cancello della sua villa, e in una telefonata con Dell’Utri, il cui telefono era sotto controllo dell’antimafia, Berlusconi aveva attribuito “l’avvertimento” allo stesso Mangano, ridendoci sguaiatamente sopra con l’amico Marcello, dicendo che “un altro avrebbe mandato una raccomandata, lui una bomba…è perché non sa scrivere”.
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    • "Vittorio Mangano fu assunto nella tenuta di Arcore di Silvio Berlusconi per coltivare interessi diversi da quelli per i quali fu ufficialmente chiamato da Palermo fino in Brianza".
    • lla requisitoria del processo di secondo grado in cui il senatore Marcello dell’Utri (Pdl) è imputato di concorso esterno in associazione mafiosa
    • Il parlamentare è stato condannato in primo grado a nove anni di carcere
    • Vittorio Mangano, morto alcuni anni fa, condannato nell’ambito di un processo di mafia. L’uomo per alcuni anni aveva svolto il ruolo di stalliere ad Arcore
    • Una scelta, secondo il magistrato, non legata a interessi agricoli, ma alla necessità, che all’epoca avevano tanti imprenditori, tra i quali lo stesso Berlusconi, di "proteggersi" dal pericolo di sequestri
    • Era stato lo stesso Dell’Utri a farlo assumere
    • "Ma davvero – si chiede il Pg – non fu possibile trovare in Brianza persone capaci di sovrintendere alla tenuta di Arcore? Davvero dall’estremo nord ci si dovette spostare a Palermo per trovare una persona che non conosceva la zona e le coltivazioni brianzole?"
    • non solo Mangano di cavalli e di coltivazioni non sapeva nulla: ma se guardiamo i suoi numerosissimi precedenti penali, gli interessi che coltivava erano di tutt’altra natura rispetto a quelli agricoli
    • "Nelle dichiarazioni spontanee rese il 29 novembre del 2004 – dice il Pg – fu Dell’Utri a dire che in realtà Mangano si interessava di cani e non di cavalli. Non si vede quale sarebbe stato dunque il suo contributo alla cura di animali che Berlusconi voleva allevare nella tenuta appena acquistata"
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    • “Nei processi non patteggiate mai, non parlate mai e fate passare più tempo possibile: magari intanto muore il pm, o il giudice, o un testimone…”. Così dieci anni fa Marcello Dell’Utri erudiva i colleghi imputati e i discepoli in un circolo delle Marche
    • Tirare in lungo, a dispetto dei programmi e proclami del Pdl per una giustizia più rapida, gli è convenuto parecchio. Il processo di Milano che lo vedeva imputato per estorsione insieme al boss Vincenzo Virga s’è chiuso dopo due condanne, un annullamento in Cassazione e una nuova sentenza d’appello che ha riformulato l’accusa in “minaccia grave”, ormai caduta in prescrizione.
    • L’appello a Palermo per concorso esterno in mafia ha appena imboccato una fulminea dirittura d’arrivo, con l’incredibile rifiuto della Corte di ammettere le nuove prove emerse dal fronte Ciancimino (compresa le lettere che Provenzano avrebbe scritto a Berlusconi per fargliele recapitare da Dell’Utri): il presidente Guido Dell’Acqua ha una gran fretta di raggiungere il Tribunale di Caltanissetta, dov’è stato promosso.
    • a furia di “far passare più tempo possibile”, rischia addirittura di evaporare in zona Cesarini l’appello del “Dell’Utri-bis”, in corso a Palermo per un presunto complotto di falsi pentiti che l’onorevole imputato avrebbe imbeccato per calunniare i veri pentiti che accusano lui
    • In primo grado Dell’Utri era stato generosamente assolto. In appello però s’è imbattuto in un presidente inflessibile: Salvatore Scaduti, giudice conservatore di Magistratura Indipendente, celebre per aver ribaltato in appello le assoluzioni di Andreotti (prescrizione per il reato commesso fino al 1980) e Contrada (condanna a 9 anni). Sentenze inossidabili, poi confermate in Cassazione. Ora anche Dell’Utri rischia grosso. Ma, proprio in extremis, Scaduti è stato nominato consulente della commissione Antimafia. Se il Csm desse l’ok alla sua nomina, collocandolo subito fuori ruolo, il processo ripartirebbe da zero e riposerebbe in pace grazie alla solita prescrizione.
    • c’è un dettaglio: a proporre Scaduti all’Antimafia è stato il Pdl. Cioè il partito di Dell’Utri e di alcuni suoi avvocati.
    • Scaduti, per la sua carriera, merita questa e altre promozioni. Ma, per un’esigenza di giustizia e per risparmiargli inutili malignità, il Csm dovrebbe autorizzarla a condizione che, prima, il giudice concluda il suo lavoro.
    • si consacrerebbe una singolare versione dell’antico “promoveatur ut amoveatur”: l’imputato fa promuovere il suo giudice per far saltare il suo processo.

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Diffidare di Paolo Guzzanti. Il Fantasy complottismo.

Naturalmente Paolo Guzzanti che stamane farneticava di un complotto filo USA contro Mr b, ora smetisce tutto. Vi invito a leggere (http://www.paologuzzanti.it/). Ha dell’incredibile. Che sia dissociato? La persona che scrive al mattino non è la stessa che scrive la sera.

Tutto ciò ovviamente non cambia una virgola sullo scenario che si prospetta da qui a Ottobre: lodo Alfano, inchieste sui mandanti occulti delle stragi mafiose, grande centro con Fini e Casini, primarie PD, governo di Mr b in crisi.

Ma una giusta obiezione che ho ricevuto e che prontamente pubblico dice:

Prenderei le dichiarazioni del sen. Paolo Guzzanti con circospezione, è solito trarre conclusioni ‘spericolate’; sul suo blog dichiara: “Aggiornamento: non esiste alcun “complotto” americano, ma chiare manifestazioni politiche, visibili, oneste e naturalmente in grado di produrre conseguenze alla luce del sole. Vedo che una ventata di paranoia antiamericana si è abbattuta sul blog. Guardiamo solo i fatti. E allora, fatto: ieri, venerdì 11 settembre, il nuovo ambasciatore americano si è recato a rendere visita e omaggio al Presidente della Camera Fini. Non era incappucciato. Era sulle news.”

Guzzanti è un buon pesce che abbocca facilmente all’amo della disinformazione. La questione è: chi manipola la mente di Guzzanti?

Questa sua affermazione, il complotto, rafforza la fumigazione che cerca di sostenera Berlusconi: c’è un attentato eversivo contro di me lo ha detto per primo contro il giornale Repubblica, lo dice contro i magistrati e i giornalisti della stampa internazionale. Bossi pretende che dietro tutto questo ci sia la Mafia (Bossi conosce bene i rapporti intimi di Mr B. con Cosa Nostra). Guzzanti ci vede gli americani e la CIA (a Guzzanti è sempre piaciuto le spy-story). Ciascuno ci mette i suoi fantasmi – o riferenze mentali-, ma poco importa tutto questo serve l’Egocratico: tutti contro di me, invidiosi e gelosi di me l’Egocratico crocifisso dai ‘poteri forti’, una vittima: questo lui vuole, portare verso di sé il plauso del popolo dei suoi adoratores (mi viene in mente il boicotto dell’Italia da parte della Società delle Nazioni (proto-ONU) dopo che l’Italia avesse invaso (con bombardamenti al gas nervino) l’Etiopia, in verità embargo del tutto formale, ma che Mussolini seppe sfruttare con gran brio).

ODG..