Chi è Edward Snowden, la fonte del leak sui big data

Edward Snowden è la fonte che ha permesso al Guardian gli scoop sui sistemi di classificazione del traffico internet messi in atto dalla National Security Agency (NSA), lo scandalo che ha imbarazzato Obama. Ventinove anni, assistente tecnico per la Cia e attualmente dipendente di un contractor, Booz Allen Hamilton. Snowden ha lavorato presso la NSA negli ultimi quattro anni come un dipendente di vari appaltatori esterni, tra cui Booz Allen e Dell.

E’ lo stesso Snowden a scegliere di rivelare la propria identità: “Non ho fatto nulla di male e non ho bisogno di nascondermi”, ha detto ai cronisti del Guardian. “Mi faranno del male”, ha scritto in una nota che ha accompagnato la prima parte del materiale segreto, “ma sarò soddisfatto se questo potere esecutivo irresistibile, questa federazione segreta che governa il mondo che invece io amo, venga anche solo per un istante rivelata”.

Showden operava presso la sede di NSA alle Hawaii. Non più di due settimane fa ha preparato l’ultimo pacchetto di rivelazioni, poi ha preso due settimane di permesso, mentendo alla sua ragazza. Si è quindi trasferito ad Hong Kong, dove risiede tuttora. Vive barricato in un hotel lussuoso, non esce mai dalla stanza, ha timore di essere spiato, sa bene che lo andranno a prendere. I mezzi del NSA sono troppo potenti. Hanno già ‘visitato’ la sua casa due volte, interrogato la sua ragazza. Sanno chi è. Lo hanno sempre saputo. Nel giro di alcuni giorni gli USA potrebbero già pretenderne l’estradizione, oppure verrà braccato dalla Cia. E’ un uomo solo. Un nuovo Bradley Manning. Un dissidente digitale.

E’ cresciuto a Elizabeth City, Carolina del Nord. La sua famiglia si trasferì in seguito nel Maryland, vicino al quartier generale della NSA a Fort Meade.

Per sua stessa ammissione, non era uno studente eccelso. Al fine di ottenere i crediti necessari per ottenere un diploma di scuola superiore, ha frequentato un college a Maryland, studiando informatica, ma non ha mai completato i corsi.

Nel 2003 si arruolò nell’esercito degli Stati Uniti e iniziò un programma di formazione per entrare nelle Forze Speciali. Invocando gli stessi principi che ora cita per giustificare le sue rivelazioni, ha detto: “Ho voluto combattere nella guerra in Iraq perché mi sentivo come se avessi un obbligo in quanto essere umano per aiutare le persone a liberarsi dall’oppressione umana”.

Ha raccontato come le sue convinzioni circa lo scopo della guerra sono stati rapidamente smarrite. “La maggior parte delle persone che ci ha formato sembrava piuttosto volta a pomparci nell’uccidere gli arabi, qualcosa che non aiuta nessuno”, ha detto. Dopo che si è rotto entrambe le gambe in un incidente in allenamento, è stato dimesso (Guardian.co.uk).

 

Leggi il resto: http://www.guardian.co.uk/world/2013/jun/09/edward-snowden-nsa-whistleblower-surveillance

 

Obama raccoglie meno dollari di Romney anche a Luglio

Confronto Obama’s fundraising 2008 vs. 2012

(via Danny Yadron, Wall Street Journal)
Lo sforzo per farsi rieleggere da parte del presidente Barack Obama continua a costare più di quello che il presidente ha raccolto il mese scorso in quanto il denaro finito in cassa è crollata rispetto alla ben più generosa raccolta dei donatori del repubblicano Mitt Romney.

La campagna di Obama e del Comitato Nazionale Democratico ha concluso Luglio con 126.900.000 $ depositati in banca, uno svantaggio notevole per un presidente in carica rispetto a Mr. Romney che invece incassa 185,9 milioni dollari, incluso il denaro fornito dal GOP nazionale (Partito Repubblicano).

Questi numeri potrebbero rivelarsi ostili ad Obama anche perché il signor Romney non può spendere granché del suo denaro almeno fino a che non cucirà ufficialmente la nomina del suo partito durante la Convenzione Nazionale Repubblicana la prossima settimana. Dovrebbe ridurre drasticamente la sua spesa. Infatti, la legge elettorale federale proibisce ai candidati di spendere i soldi raccolti per le elezioni politiche fino a quando non sono ufficialmente candidati dal partito.

Obama ha dovuto affrontare una simile restrizione legale, ma non è stato gravato da una costosa campagna per le primarie come il suo avversario.

Nonostante le preoccupazioni di alcuni democratici che l’impegno per la rielezione sia eccessivamente costoso – nel corso degli ultimi tre mesi, ha speso il 120% di quello che ha raccolto – la campagna di Obama sembra attenersi ad una sorta di bilancio intrinseco.

Ha speso in costi operativi, nel mese di Luglio, circa 58,5 milioni dollari, più o meno quello che ha speso (57700000 $) il mese precedente. Per il secondo mese consecutivo, è sceso un po’ sotto i  40 milioni di dollari l’acquisto di spazi in tv e di spot radio. E anche se la spesa per i sondaggi di opinione pubblica è scesa drasticamente, l’acquisto di annunci sul web è aumentato del 49%, attestandosi a 8,8 milioni dollari.

Vendola nella tela del ragno

Di certo è che la giornata politica di oggi è fra le prime dieci in assoluto per il vuoto di contenuti che ha saputo offrire. Stamane Repubblica.it e altri (La Stampa, Corriere.it e via discorrendo) hanno titolato in homepage della Svolta di Vendola. Vendola apre all’UDC in una alleanza a tre con il Partito Democratico. Vendola scarica di Pietro. Eccetera.

Le smentite non si sono fatte attendere: non è vero, nessuna svolta. Nessuna apertura. Colpa dei giornali che titolano a caso. Un vecchio refrain. La smentita. Poi seguita dalla dichiarazione che ammorbidisce e precisa: non vogliamo subire veti, ergo non poniamo veti. Commentare queste scenette è veramente avvilente, ma non c’è scelta. La politica che abbiamo vissuto per diciassette anni è stata fatta così. Nessuna attenzione per il reale. Nessuna idea da mettere al servizio del reale. Nessun candidato reale. Solo pantomime. Drammi personali. Piccoli sotterfugi. Incontri al vertice che hanno il solo scopo di suddividere fette di cariche onorifiche del governo prossimo venturo.

Il paradosso è che questa Santa Alleanza ci è stata propinata sin dalle primarie del 2009, quelle che hanno eletto Bersani segretario, un progetto che viene perseguito scientemente, senza remore, senza considerare il reale, quel reale che sfugge anche alla cognizione di chi nel palazzo romano non siede da molti anni, come i vendoliani di Sel. Vendola non sa quali siano le trame. E se le conosce, allora le condivide pienamente. Pensano al compromesso storico rimirandosi in uno specchio distorto, Bersani e Casini. Sanno che è impossibile affrontare il dopo-le-urne con un profilo politico internazionale così debole. Bersani presidente del Consiglio è unfit to lead esattamente come quell’altro. L’architrave del prossimo governo lo metterà per prima Washington. Le elezioni italiane a Novembre sono tecnicamente impossibili. Prima gli USA. Prima Obama (Romney si sta autodistruggendo a ritmo di gaffes internazionali). Poi l’Italia. L’arco dell’Alleanza verrà edificato sulla sponda UDC per permettere la continuità del ‘progetto Monti’. Monti proseguirà il ruolo di tecnico assumendo la guida del MEF con il governo Bersani, alla maniera di Ciampi nel 1996 (primo governo Prodi). E’ tutto chiaro, fin da ora. Solo così riusciremo a finanziare il nostro debito. Altrimenti il governo Bersani sarà il governo del dissesto e della fine dell’Euro.

L’apocalisse giapponese spingerà gli USA alla guerra in Libia?

Per qualche ragione, due mari lontanissimi, il Mediterraneo e l’Oceano Pacifico, diventano stranamente “comunicanti” e non già perché si possa navigare da uno all’altro senza passare per terra, bensì perché la storia e la geologia hanno deciso così. E tutto per colpa della necessità degli uomini di avere energia a buon prezzo per le proprie attività e per le proprie abitazioni. Sì, diciamolo, per colpa del petrolio.

Da un lato, il Giappone con la sua inimmaginabile apocalisse, la distruzione di intere città e di industrie, in primis quella energetica che sta portando al melt down due o tre reattori della centrale di Fukushima. Domani è annunciato il razionamento dell’energia elettrica: per Tokyo sarà il black out. Parliamo di una città di 13 milioni di abitanti. In tutta l’area metropolitana vivono circa 35 milioni di persone. Ergo, il governo giapponese dovrà rivedere la propria politica energetica con misure emergenziali, la prima delle quali sarà incrementare la produzione di elettricità attraverso quella parte di infrastruttura che impiega combustibile non nucleare, ovvero gas e petrolio. Ma mentre per il gas è difficile incrementare la produzione in tempi brevi – sono necessari nuovi gasdotti, nuovi rigassificatori – per il petrolio il problema non sussiste: faranno arrivare qualche petroliera in più. L’energia elettrica di provenienza nucleare in Giappone è circa il 30% di quella prodotta. Considerando che gli impianti coinvolti dal sisma-tsunami sono circa sette, in funzione ne restano almeno undici delle diciotto attualmente funzionanti. Ne consegue – e questo è certo un calcolo spannometrico poiché non conosco la potenzialità degli impianti né il numero di reattori spenti – circa il 10-15% di energia in meno.

Alla riapertura dei mercati sapremo se il rally del prezzo del petrolio di questi giorni si tramuterà in una tendenza chiara al rialzo. L’incremento di fabbisogno di oro nero del Giappone produrrà una scossa sui listini dei mercati. E di riflesso avremo uno shock petrolifero in piena regola. Il sistema produttivo è in grado di reagire alla nuova domanda? I paesi OPEC incrementeranno le attività estrattive? Gli USA metteranno mano alle famigerate riserve?

Qui entra in campo il ‘problema Libia’. L’Europa se n’è lavata le mani, con Italia e Germania su una linea prudente mentre Sarkozy spingeva già per la guerra totale (o Total) al dittatore libico. Gli Stati Uniti sono divisi fra amministrazione Obama desiderosa di cacciare il brutale Gheddafi e gerarchie militari tiepide sull’ipotesi di aprire un terzo gravoso conflitto. In mezzo gli interessi petroliferi degli inglesi – Bp e le sue dannate trivelle – già a far da grancassa agli insorti, speranzosi di trovare il nuovo link per inserirsi nel paese, mentre russi e cinesi, pronti a sostituire i ‘traditori italiani’ con le loro imprese e i loro soldi, restano freddini essendo in buoni rapporti con il Raiss. Questo scenario di blocco potrebbe essere risolto in un batter d’ali se domani i mercati dovessero aprire con il barile sopra i 105 dollari:


A fine Febbraio, infatti, all’apice della crisi libica, quando sembrava che Gheddafi dovesse abbandonare il paese da un momento all’altro, il greggio è volato sopra i 100 dollari. In un solo giorno era aumentato di dodici dollari. E allora la catastrofe giapponese potrebbe far rivedere i piani degli americani: il greggio dell’Arabia Saudita potrebbe non essere sufficiente. Le truppe mercenarie di Gheddafi stanno marciando su Bengasi senza trovare resistenza. Sta a vedere che ora andrà bene anche una No Fly Zone, fatta anche male.

Afghanistan, la guerra per la pace di Obama.

Altri soldati per l’Afghanistan. Trentamila americani. Obama ne darà l’annuncio domani. Toccherà il minimo nell’indice di gradimento, si presume. Ma questo è il meno peggio. Obama non riesce a uscire dal pantano afgano. Il paradosso è che non riesce a fare la pace. Lui, il nobel per la pace. Il problema è che gli USA si giocano il prestigio internazionale e la leadership della Nato. Uno smacco uscire da Kabul ammettendo la sconfitta. Sarebbe troppo in una stagione che vede il dollaro in crisi, insidiato dallo Yuan Renminbi, la moneta cinese, candidata a sostituirsi ad esso nelle transazioni internazionali. Un paese, gli USA, con la povertà in crescita – un bambino su quattro mangia con i buoni pasto, 36 milioni le persone al di sotto della soglia di sussistenza, ovvero chi ha un reddito del 130% inferiore della soglia di povertà che assegna il diritto agli SNAP, Supplemental Nutrition Assistance Program, una somma pari a 500-580 dollari la settimana. In Missouri, in 21 contee, la metà dei bambini usa gli SNAP per sopravvivere (fonte La Stampa).
Cosa succederà quando non ci sarà altra scelta che ammettere la sconfitta in Afghanistan e più di 120mila soldati torneranno in patria da perdenti, loro, l’esercito più tecnologico del mondo? E cosa diranno i media quando apparirà chiaro anche al medio cittadino americano che a Kabul non si è esportata la democrazia, bensì solo corruzione e malaffare? Che diranno quando apprenderanno che Al Qaeda non esiste più da anni e invece la guerra è proseguita senza senso per nove anni inutilmente, solo per scongiurare la figuraccia?

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    • Gli americani manderanno altri 30mila soldati in Afghanistan. Agli alleati europei ne sono stati richiesti 5.000.

    • queste cifre, che vanno sommate agli 80mila uomini attualmente in Afghanistan, dicono che c’è qualcosa che non quadra

    • Che ci sia bisogno di un esercito di 120-130 mila soldati, armati con i mezzi più sofisticati, per battere quello che dovrebbe essere un manipolo di terroristi non è credibile. E infatti in Afghanistan noi non stiamo facendo la guerra alla mitica Al Quaeda (che secondo il pm Armando Spataro, che da anni si occupa di terrorismo internazionale, non esiste più come organizzazione), stiamo facendo la guerra agli afgani.

    • Nè vi stiamo portando la democrazia, obiettivo cui ormai abbiamo rinunciato da tempo, perché la struttura sociale di quel Paese organizzato in clan tribali secondo divisioni etniche, non permette l’esistenza di una democrazia come la si intende in Occidente.

    • gli Stati Uniti, dopo aver commesso l’errore di entrare in quel Paese, non possono uscirne senza aver almeno dato, l’impressione di aver ottenuto qualche risultato, pena "perdere la faccia", i loro alleati non possono perdere il prestigio che riverbera su di loro dell’essere impegnati col Paese più potente del mondo

    • E così per ragioni di "faccia" e di "prestigio" continuiamo ad ammazzare

    • Gente che vive a 5000 chilometri di distanza, che non ci ha fatto nulla di male e che mai che ne farebbe se non pretendessimo di stargli sulla testa

    • se la Nato perde in Afghanistan si sfalda

    • quello che è peggio per gli americani sarebbe sicuramente un grave danno, non è detto che non sia invece un vantaggio per europei

    • La Nato è stata, ed è infatti, lo strumento con cui gli americani tengono da più di mezzo secolo l’Europa in uno stato di sudditanza, militare, politica, economica e alla fine, anche culturale. Forse è venuta l’ora, per l’Europa, di liberarsi dell’ingombrante "amico americano"

    • cerchiamo di vederla anche, per una volta, con quelli afgani. L’occupazione occidentale è stata molto più devastante di quella sovietica. Perché i russi si limitarono ad occupare quel Paese ma non pretesero di cambiarne le strutture sociali, istituzionali, di "conquistare i cuori e le menti" degli afgani.

    • abbiamo preteso di portarvi la "civiltà". La nostra. Distruggendo quella altrui

    • la sola cosa che siamo riusciti a esportare in Afghanistan è il nostro marciume morale

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    • Chissà se al comitato per il Nobel di Oslo sono almeno un po’ imbarazzati per la decisione del loro laureato di quest’anno, Barack Obama, di inviare altri 30/34 mila soldati in Afghanistan, in una tipica escalation in stile Vietnam. Per di più con il più ridicolo dei pretesti: “Finire il lavoro con Al Qaeda”.

    • Al Quaeda non significa nulla dal punto di vista militare sullo scenario Afghano-Pakistano, e la retorica degli obiettivi presidenziali non ha la minima pezza d’appoggio nell’opinione degli analisti.

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    • Alla fine Obama ha deciso: al fronte altri 34mila soldati Usa per contenere l’avanzata dei talebani, contro i quali Washington sta segretamente assoldando anche milizie tribali pashtun

    • Dopo aver convocato, lunedì sera alla Casa Bianca, l’ennesimo consiglio di guerra, il premio Nobel per la pace Barack Obama ha deciso di inviare in Afghanistan altri 34mila soldati statunitensi

    • L’annuncio verrà dato pubblicamente martedì primo dicembre.

    • Ignorando le posizioni del suo vice Joe Biden e della maggioranza del Partito Democratico – convinti che un’escalation militare in Afghanistan non giovi alla sicurezza nazionale e alla lotta al terrorismo – il presidente Obama ha quindi accolto quasi in pieno la richiesta del generale Stanley McCrystal

    • Più truppe anche dagli alleati europei. La decisione di Obama, che porta a centomila il numero dei soldati Usa impegnati sul fronte afgano, obbliga anche gli alleati europei, impegnati con 36mila uomini, a fare di più.
      Il 3 dicembre i ministri degli Esteri della Nato si incontreranno a Bruxelles per decidere quanti altri soldati mandare in guerra.

    • Rinforzi oggi per andarsene domani. L’invio di massicci rinforzi che Obama sta per annunciare è solo apparentemente in contrasto con la nuova strategia di ‘exit strategy’ decisa dalla Casa Bianca e dalla Nato. Una strategia che prevede la progressiva ‘afganizzazione’ del conflitto, lasciando alle forze afgane il compito di fronteggiare i talebani

    • Milizie pashtun al soldo degli Usa. La strategia Usa procede su un doppio binario: invio di rinforzi e parallela preparazione delle forze afgane. Forze regolari – esercito e polizia che si intende potenziare dagli attuali 180 uomini a 400 mila – ma sopratutto milizie irregolari private

    • Questo ‘secondo binario’ è tenuto segreto, vista la sua palese contraddizione con i passati programmi di disarmo delle milizie dei signori della guerra – programmi costati miliardi di dollari alla comunità internazionale – e considerato il suo inevitabile effetto: quello di lasciare in eredità all’Afghanistan, dopo anni di occupazione militare, una guerra civile foraggiata dall’Occidente. Di questo programma segreto, fortemente voluto dal generale McCrystal, sono trapelate solo poche informazioni sulla stampa.

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Copenaghen, il clima, e la scienza con il “ritocco”.

Il 7 Dicembre a Copenhagen si discuterà di clima e di global warming. Un vertice preceduto da un fallimento, il mancato accordo di Obama con la Cina. Rimangono fra l’altro due sole altre sessioni negoziali prima che il testo sia discusso dalla Conferenza delle Nazioni Unite, e la bozza di documento è ben lungi dall’essere esaustiva. Ma parlare di cambiamento climatico equivale a parlare di energia, di sviluppo, di sicurezza ambientale. Il Global Warming è strettamente correlato con il modello di sviluppo attualmente dominante, e discutere di emissioni di gas serra senza prevedere un nuovo paradigma sistemico è limitante. Ambiente vuol dire energia, salute, progresso, risorse; in definitiva, la civiltà umana.

All’interno del gruppo negoziale manca una leadership. Obama è in difficoltà a proporsi come tale, gli USA producono un terzo delle emissioni carboniche mondiali e anche all’interno del paese non esiste una convinzione radicata sull’influenza umana nei processi di riscladamento atmosferico.

Il New York Times, ieri, ha pubblicato la notizia di un furto di email da un server della British University. Le email contenevano discussioni intercorse fra scienziati climatologi, nelle quali gli stessi, oltre a dileggiare gli scettici del global warming, si preoccupavano di come taroccare dati scientifici non concordi con le loro teorie. Il NYT ha riferito il caso di una ricerca che incrociava l’accrescimento degli anelli degli alberi con l’incremento della temperatura. Ebbene, la correlazione si interrompe a partire dal 1960, fatto che ha posto i climatologi di fronte alla evidenza di una non affidabilità della struttura anello-temperatura e al suo abbandono per modelli più coerenti. Questa scelta è stata oggetto di critica: perché discutere dell’affidabilità di un metodo se il suo risultato è avverso a un teorema? E’ scientifico questo approccio? Il dubbio è legittimo ed è stato sollevato da molti frequentatori di siti di orientamento negazionista sul global warming. Allo stesso tempo, il furto di email e la loro conseguente pubblicazione a pochi giorni dal vertice di Copenhagen, mostra non pochi lati oscuri. E’ forse un tentativo di inquinare il dibattito a favore della corrente di chi sostiene di non fare nulla per frenare il riscaldamento terrestre, che ogni riduzione ai gas serra sarà un freno dato all’economia e allo sviluppo. Paesi come Cina, Russia, India e Iran rappresenteranno il fronte dei paesi anti-riduzionisti, e la possibilità di un accordo concreto si fa molto remota. Qualcuno sta gettando in pasto all’opinione pubblica argomenti devianti volti a negare la necessità di un cambio di paradigma sistemico.

Allo scopo di raggiungere un accordo che contribuisca realmente a salvare il pianeta da un devastante cambiamento climatico, i Paesi devono:

  • Concordare su un regime climatico forte e vincolante a partire dal 2012, sancendo nuovi impegni e migliorando il Protocollo di Kyoto, e firmando un nuovo Protocollo di Copenhagen;
  • Assicurare che le emissioni di carbonio raggiungano un picco entro il 2017 per poi diminuire rapidamente subito dopo, allo scopo di tagliare le emissioni globali di almeno l’80% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2050;
  • Concordare sulla decarbonizzazione delle economie dei Paesi sviluppati entro il 2050 e la riduzione delle emissioni di almeno il 40% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2020;
    Agevolare la transizione verso un’economia a basso consumo di carbonio nei Paesi in via di sviluppo, fornendo 160 miliardi di dollari all’anno per la mitigazione e l’adattamento e permettendo l’accesso alle tecnologie pulite;
  • Sostenere un’azione immediata contro il cambiamento climatico nei Paesi in via di sviluppo;
  • Sostenere l’obiettivo di deforestazione zero entro il 2020.
  • Centinaia di messaggi privati di posta elettronica e documenti, piratati da un server informatico della British University, stanno causando scalpore tra gli scettici del riscaldamento globale, che dicono così di dimostrare che gli scienziati del clima cospirano per enfatizzare il ruolo dell’influenza umana sul cambiamento climatico.
    I messaggi e-mail, attribuiti a eminenti ricercatori sul clima americani e britannici, includono le discussioni sui dati scientifici e se questi devono essere divulgati o no, scambi di idee sul modo migliore per combattere gli argomenti degli scettici, e commenti casuali – in alcuni casi irrisori – su persone specifiche, note per le loro opinioni scettiche. Bozze di articoli scientifici e un collage di foto che ritrae gli scettici del clima su un lastrone di ghiaccio, fra l’altro, sono stati trovati tra i dati piratati, alcuni dei quali risalgono a 13 anni fa.
    In una e-mail di scambio, uno scienziato scrive di statistica utilizzando un “trucco” in un grafico che illustra una tendenza recente del riscaldamento. In un altro, uno scienziato si riferisce agli scettici del clima come “idioti”.
    Alcuni scettici Venerdì hanno affermato che la corrispondenza ha rivelato uno sforzo di trattenere le informazioni scientifiche. “Questa non è una” pistola fumante”, si tratta di un fungo atomico,” ha affermato Patrick J. Michaels, un climatologo che ha a lungo smentito punto per punto le prove della teoria del riscaldamento causato dall’uomo, ed è criticato nei documenti.
    Parte della corrispondenza ritrae gli scienziati come sotto assedio dal gruppo gli scettici e preoccupati che ogni commento deviante o ogni dato problematico potrebbero essere rivolti contro di loro.
    Le prove che evidenziano un crescente contributo umano al riscaldamento globale sono così ampiamente accettate che il materiale pirata è improbabile che eroda completamente l’argomento. Tuttavia, i documenti senza dubbio sollevaranno questioni circa la qualità della ricerca su alcune questioni specifiche e le azioni di alcuni scienziati.
    In diversi scambi di e-mail, Kevin Trenberth, climatologo presso il Centro Nazionale per le Ricerche Atmosferiche e altri scienziati discutono dei divari nella comprensione delle recenti variazioni di temperatura. I siti web degli scettici hanno rilevato una riga in particolare: “Il fatto è che non si può spiegare la mancanza di riscaldamento in questo momento ed è una parodia che non possiamo sostenere,” il Dott. Trenberth ha scritto.
    […]
    Funzionari presso l’Università di East Anglia ha confermato in un comunicato il Venerdì che i file erano stati rubati da un server universitario e che la polizia si era decisa ad investigare sulla violazione. Essi hanno aggiunto, tuttavia, che non hanno potuto confermare che tutto il materiale che circola su Internet sia autentico.
    Ma molti scienziati e altri, contattati da The New York Times  hanno confermato che sono stati gli autori o i destinatari di specifici messaggi di posta elettronica inclusi nel file. Le rivelazioni sono destinate a infiammare il dibattito pubblico, così come centinaia di diplomatici che si preparano a negoziare un accordo internazionale sul clima in occasione delle riunioni a Copenaghen il prossimo mese, e almeno uno scienziato ha ipotizzato che la tempistica non è stata casuale.
    Dr. Trenberth Venerdì ha detto che era sconvolto della divulgazione dei suoi messaggi di posta elettronica. Ma ha aggiunto che secondo lui le rivelazioni potrebbero ritorcersi contro gli scettici del clima. Ha detto che pensava che i messaggi hanno dimostrato “l’integrità degli scienziati.” Tuttavia, alcuni dei commenti potrebbero prestarsi ad essere interpretati diversamente.
    Nel 1999 uno scambio di e-mail su tabelle che mostrano i modelli del clima nel corso degli ultimi due millenni, Phil Jones, un ricercatore del clima da lungo tempo alla East Anglia Climate Research Unit, ha detto di aver utilizzato un “trucco” ripreso da un altro scienziato, Michael Mann, per “nascondere” il calo della temperatura.
    Il Dr. Mann, un professore alla Pennsylvania State University, ha confermato in un’intervista che il messaggio di posta elettronica era reale. Ha detto che la scelta delle parole del suo collega era povera, ma ha osservato che gli scienziati spesso usano la parola “trucco” per fare riferimento a un buon modo per risolvere un problema, “e non qualcosa di segreto.”
    In questione ci sono alcune serie di dati, impiegati in due studi. Una serie di dati ha mostrato effetti a lungo termine della temperatura su anelli degli alberi, l’altra, le letture del termometro per gli ultimi 100 anni.
    Durante il secolo scorso, gli anelli degli alberi e i termometri indicano un aumento costante della temperatura fino al 1960, quando alcuni anelli degli alberi, per ragioni sconosciute, non sono più in crescita, mentre il termometro continuerà a farlo fino ad oggi.
    Il Dr. Mann ha spiegato che l’affidabilità della struttura-dati ad anello è messa in discussione, in modo che da non essere più utilizzate per tracciare le fluttuazioni di temperatura. Ma egli disse che la decadenza delll’uso degli anelli degli alberi non è mai stato qualcosa fatto di nascosto, ed era stato ricompreso nella letteratura scientifica da più di un decennio. “Sembra un fatto incriminante, ma quando si guarda a cosa stai parlando, non c’è nulla”, ha detto il dottor Mann.

    Inoltre, altre misurazioni indipendenti, ma indiretta delle fluttuazioni della temperatura negli studi sostanzialmente d’accordo con i dati di termometro mostra la temperatura in aumento.

    […]

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