Diritto di recesso immobili Pubblica Amministrazione: perché ha ragione Palazzo Chigi

I 5 Stelle hanno chiuso il 2013 con una nuova polemica anticasta sulla norma contenuta nel Decreto Legge 151/2013 (la seconda parte del Milleproroghe), norma che intende disciplinare diversamente la possibilità di recesso dai contratti di affitto ritenuti troppo onerosi da parte della PA. Qualche commentatore era rimasto stupito per la reazione di Palazzo Chigi, tramite l’account twitter ufficiale. Era l’ultimo giorno dell’anno e i twitteratori del governo avevano così scritto:

Già nel testo del secondo tweet è contenuta la spiegazione del testo di legge che evidentemente è sfuggita ai pentastellati. Volendo approfondire, cercando di capire chi ha ragione e chi torto, ci si imbatte in questo articolo de La Stampa, che casualmente riporta la spiegazione del solo punto di vista grillino. La Stampa rende conto delle dichiarazioni del portavoce Riccardo Fraccaro, secondo il quale “chi ha scritto questo decreto scandaloso e chi l’ha promulgato ora ne [devono pagare] le conseguenze di fronte al Paese”. La critica feroce di Fraccaro si fonda su questo schema argomentativo: la norma originaria era voluta dai 5 Stelle; ora viene modificata dal governo e pertanto non può che esser stata opera dei lobbisti immobiliaristi della Casta:

Devono subito ripristinare la norma a 5 stelle che consente di tagliare miliardi di sprechi e poi ritirarsi con disonore. L’articolo 2 del provvedimento prevede che si possa rinunciare alle locazioni degli immobili entro il 30 giugno 2014 ma con un preavviso di 180 giorni. Il recesso, quindi, deve essere chiesto entro 6 mesi, ma bisogna dare un preavviso di 6 mesi per poterlo esercitare: i due termini coincidono, facendo così saltare i tempi tecnici per il recesso (La Stampa.it).

Il milleproroghe è un decreto “con il trucco”, questa è la morale finale.

Come nostra consuetudine, veniamo ai testi di legge e cerchiamo di capire la portata delle modifiche. Si tratta dell’articolo 2 del Decreto Legge 151/2013 che modifica l’articolo 2-bis del Decreto Legge 120/2013 convertito con modificazioni dalla L. 13 dicembre 2013, n. 137. Di seguito il testo dell’articolo 2-bis, comma 1, come variato dalla successiva norma:

Art. 2-bis. (Facoltà di recesso delle pubbliche amministrazioni da contratti di locazione).

1. Anche ai fini della realizzazione degli obiettivi di contenimento della spesa di cui agli articoli 2, comma 5, e 3, comma 1, le amministrazioni dello Stato, le regioni e gli enti locali, nonché gli organi costituzionali nell’ambito della propria autonomia, hanno facoltà di recedere, entro il ((30 giugno 2014)), dai contratti di locazione di immobili in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. Il termine di preavviso per l’esercizio del diritto di recesso e’ stabilito in ((180 giorni)), anche in deroga ad eventuali clausole difformi previste dal contratto.

La norma originaria, la cui paternità è rivendicata dai 5 Stelle, indicava come termine ultimo per richiedere il recesso il 31 Dicembre 2014, mentre erano trenta i giorni del termine di conclusione del contratto. Secondo i 5 Stelle, la modifica apportata dal governo rende impossibile la chiusura dei contratti poiché termine di presentazione del recesso e conclusione del contratto coinciderebbero. Non è così: entro il 30/6/14, la PA può inviare comunicazione di recesso, la quale prevede che il contratto sussista altri sei mesi prima della sua chiusura. Niente di scandaloso. Niente di truffaldino. Il portavoce dei 5 Stelle non fa distinzione fra termine di comunicazione della volontà di recesso (facoltà di recedere – 30/06/14) e sua esecuzione (esercizio del diritto – dopo 180 giorni). E’ il medesimo processo che si segue in ambito privato per la locazione di immobili come disciplinato dalla Legge 27 Luglio 1978, n. 392. Il 5 Stelle invece interpreta la norma a proprio piacimento e in maniera distorsiva, per sostenere l’argomentazione che la Casta stia difendendo il proprio bacino di clientela. Questa volta, però, Palazzo Chigi ha ragione.

Detto ciò, si aprirebbe un’importante discussione circa la capacità del suddetto portavoce dei 5 Stelle, e dei suoi sodali, di comprendere effettivamente una norma di legge. Immediatamente viene alzato il livello di allarme, immediatamente si attivano e parlano di legge truffa, mentre (pur essendo debitamente rappresentati nelle Commissioni) altri emendamenti più sibillini passano inosservati, finché non giungono in aula e sono approvati nel disinteresse generale e nello stupore di alcuni deputati. Così, a spanne, potrei dire che l’opposizione pentastella, fatta passare per durissima, è in realtà piuttosto inefficace. Non è in grado, cioè, di sollevare le questioni al momento opportuno e grida allo scandalo su norme o provvedimenti che, alla lettera, non contengono nulla di scandaloso o di truffaldino.

Il digital divide di Palazzo Chigi. Oscurate le tv in Lazio.

Ma quale successo. Al tg1 si intervistano persino le persone per la strada: ho risintonizzato il decoder, dicono i più. Bé, chissà come se la sono cavata a Palazzo Chigi. Sì, il paradosso è che anche la residenza del finto-premier è rimasta con lo schermo oscurato. Lo switch-off del Lazio è stato una mannaia. Di colpo fatti fuori la Rai, Mediaset e La7 insieme. Che colpo. Neanche le leggi antitrust hanno potuto tanto.

    • Televisione, è scattato oggi il passaggio definitivo al Digitale Terrestre di Roma, la prima grande capitale europea a diventare interamente digitale

    • Fra il 16 e il 30 novembre si spegneranno infatti definitivamente i segnali televisivi analogici per 4.500.000 cittadini del Lazio (2.700.000 nella sola provincia di Roma).

    • per molte ore, e moltissime famiglie è incubo. Ovvero, tv al buio, senza segnale. Compreso palazzo Chigi. Insomma non è solo l’anziano ad avere problemi con il cosiddetto "switch off" nella capitale. Raiuno, Raidue, Raitre, Retequattro, Canale 5, Italiauno e La7 non sono visibili da questa mattina in tutte le tv della Presidenza del Consiglio. I tecnici sono al lavoro, ma il problema per ora non ha trovato una soluzione.

    • Il ministero è soddisfatto e parla di successo dell’operazione, ma le associazioni dei consumatori sono inviperite. Sono arrivate migliaia di telefonate al numero verde, ma il numero di persone che ha avuto (e continua ad avere problemi è altissimo

    • è stata un’odissea. Fra 300mila e 500mila, secondo le stime del Corecom Lazio, le famiglie che avranno problemi di ricezione. Antennisti diventati più rari di un unicorno, vecchi televisori che si vanno accatastando nei parchi e nei cassonetti, mentre la maggior parte delle famiglie dovrà rinunciare al televisorino in cucina, che funzionava con l’antennino autonomo. In molte zone di Roma, inoltre, il segnale va e viene ed occorre resettarlo

    • Commenti sarcastici anche dal mondo politico. «Il passaggio al digitale terrestre è un evento importantissimo che avrà ricadute positive sul sistema delle emittenza e sui servizi di cui potranno beneficiare gli spettatori. Peccato, però, che per moltissime famiglie la questione si stia trasformando in un incubo». Lo dichiara Giorgio Merlo, Pd, vice presidente della Vigilanza

    • «In alcune regioni come il Piemonte dove dopo due mesi ci sono situazioni che vanno dal tragico e del grottesco. Nel  Lazio, a
      Roma in particolare, il giorno dello switch-off invece è stato in moltissimi casi quello del turn-off, quello dello spegnimento totale con grandissimi disagi. Migliaia e migliaia di famiglie – prosegue – si sono ritrovate con lo schermo nero, senza segnale

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