Lo schiaffo di Palazzo Grazioli

Così Alfano non c’era alla riunione del PdL. E’ arrivato a Palazzo Grazioli ben dopo la mezzanotte. L’incontro con Berlusconi è durato non più di venti minuti. Una visita, null’altro, per comunicare che un manipolo di senatori farà la scissione. Silvio, Dudù, Francesca, l’aria improvvisamente impietrita. Alfano, e quella spocchia da azzeccagarbugli abbronzato. Abbiamo dirazzato, Silvio.

E’ la prima volta forse che la trama di relazioni di Silvio Berlusconi trova un limite, anzi, la prima volta che viene lentamente sgretolata ai bordi. L’ex Cavaliere ha scoperto che un’altra affinità, un’affinità rimasta sommersa per quasi venti anni, lega questi uomini al Presidente Letta. Fabrizio Cicchitto, Maurizio Lupi, Carlo Giovanardi, lo stesso Alfano, hanno percepito il ritorno di un comune sentire. E così tradiscono il padre padrone del loro partito, l’ormai vecchio avvizzito e degenerato fondatore del Predellino, in vista forse di una qualche ricompensa politica: avere un ruolo da protagonista nell’epoca post-berlusconiana. Che poi questo coincida con il ritorno del Grande Centro, o della Balena Bianca, poco importa. In fondo – questo è il loro segreto – sono sempre stati, intimamente, duplici e democristiani.

In tutto questo scenario, il Partito Democratico è arrivato al capolinea: ora il PD dovrà scegliere se essere la carne sacrificale per il risorgimento della DC o scegliersi la propria parte e una identità, risolvendo per sempre quell’ambiguità di fondo che lo ha contraddistinto sin dalla prima ora. Sarebbe bello che, ad operare questa scelta, fossero non i gerarchi chiusi in una riunione stile ‘caminetto’, ma gli iscritti e gli elettori, e non necessariamente in questo ordine. Sarebbe bello, ma potrebbe non accadere. E’ appunto per tale ragione che occorre esserci. C’è una differenza sostanziale fra i Democratici e Alfano, Giovanardi, Lupi, Cicchitto. E non serve che ve la spieghi. Bisogna solo farla rispettare.

Di Pietro: non ho fatto il gesto dell’ombrello. Come negare l’evidenza?

Di Pietro fra gli ultras delle dimissioni fuori da Palazzo Grazioli si esibisce in un classico del repertorio della commedia all’italiana. Meglio di Totò. Sarà un caso ma Monti sceglierà i suoi ministri fra i professori della ‘Bocconi’.

Vodpod videos no longer available.

La solitudine del Sultano: paura e delirio a Palazzo Grazioli

Le nubi nere che si addensano al di là delle Alpi, si sa, non sono un mero fenomeno atmosferico. Ciò lo si può intuire anche dalle finestre di Palazzo Grazioli. Così lontano, così vicino. Lui, il Sultano, ha l’esatta percezione: i tempi sono cambiati, irreparabilmente. Meglio evitare i luoghi pubblici, meglio l’influenza.
Il tempo scorre lento fra i corridoio vuoti, una volta occupati dal vociare di ragazze. Lui ascolta cogitabondo le ricostruzioni di Giani Letta, legge i titoli dei giornali, s’indigna ancora una volta per quei titoli di Repubblica su Dell’Utri e quel rompicoglioni di Ciancimino. Passa appena lo sguardo sull’articolo del caso dell’Addaura. Poi, Tremonti.
La legislatura è ad un vicolo cieco: da un lato le pressioni della Lega per il federalismo fiscale; dall’altro, Fini, la crisi, al Grecia, la BCE, il debito. Berlusconi si trova in un cul de sac e non sa come procedere. Il federalismo fiscale non potrà esser fatto. Il suo costo – è stato valutato – si aggira sui 133 miliardi di euro, mentre allo studio vi è una manovra finanziaria da 25-30 miliardi per il 2011. L’attività legilsativa del Carroccio in Commissione Bicamerale è del tutto inutile:

L’ultima stima, aggiornata sui bilanci delle regioni nel 2008, l’ha fornita la Commissione tecnica paritetica per il federalismo, nel rapporto curato da Luca Antonini e appena depositato in Parlamento. E’ una cifra scioccante: per assicurare il passaggio al federalismo nelle materie strategiche (cioè sanità, istruzione e assistenza sociale) occorrerebbero quasi 133 miliardi di euro calcolati in termini di spesa storica (caratterizzata da sprechi, iniquità e inefficienze di ogni genere) […] La riforma federale, com’è noto, ruota intorno al principio dei “costi standard” delle prestazioni, cioè quelli considerati ottimali secondo i livelli dei servizi raggiunti dalle regioni più efficienti […] Ebbene, anche a voler dimezzare l’esborso necessario, nel passaggio dalla spesa storica a quella standard, il federalismo fiscale costerebbe allo Stato non meno di 60 miliardi (La bandiera strappata del federalismo – Repubblica.it).

L’aspetto del costo finanziario del federalismo è l’elemento che fare esplodere la maggioranza. Giorni fa con una dichiarazione, Fini aveva fatto sapere di non esser disposto ad approvare alcun provvedimento normativo legato alla riforma del federalismo fiscale che comportasse un aggravio del bilancio dello Stato.Il bilancio sarà il grande tema nell’agenda del governo per i prossimi mesi. Esso cancellerà tutte le riforme annunciate in campagna elettorale: federalismo, riduzione delle tasse, grandi opere. Tremonti studia come recuperare dal bilancio 25 miliardi di euro. Già si parla di blocco dei pensionamenti:

Allo studio ci sarebbe un intervento tampone su una o due “finestre” di uscita del 2010 che cadono a luglio e a dicembre. Con il nuovo sistema a “quote” circa 100 mila dipendenti privati stanno raggiungendo “quota 95”, cioè 59 anni di età e 36 di contributi. Il blocco congelerebbe la loro uscita per sei mesi o addirittura per un anno […] si parla anche di un intervento sulle pensioni d’oro, o contributo di solidarietà (http://www.repubblica.it/economia/2010/05/15/news/dossier_manovra-4078168/).

Il congelamento delle pensioni riguarderebbe sia il settore pubblico che il settore privato. E inoltre: blocco delle liquidazioni per gli statali; blocco degli scatti di anzianità per docenti universitari e magistrati; azzeramento delle risorse per l’imposta agevolata al 10 per cento sui premi di produttività.

Di fatto il governo, nel suo potere di “spesa”, è messo sotto tutela dalla Commissione UE e la legislatura rischia di esaurirsi ancora una volta nelle leggi ad personam -ddl intercettazioni e Lodo Alfano costituzionale – per le quali comunque si annunciano battaglie in aula e probabili ‘imboscate’ dei secessionisti di Fini. Fra l’altro, il Lodo Alfano costituzionale rischia di esser ‘incostituzionale’ per la solita ragione che viola l’art. 3 (uguaglianza):

non sarebbe più un’immunità automatica, già ritenuta più volte incostituzionale, ma una sorta di autorizzazione a procedere […] nessuno ha mai dubitato della costituzionalità dell’autorizzazione a procedere già prevista dall’art. 68 della Costituzione e abolita ai tempi di Mani Pulite, mi pare difficile che una procedura analoga, anzi meno privilegiata perché riguarda solo la sospensione del processo e non l’impossibilità definitiva di celebrarlo possa essere ritenuta incostituzionale, almeno sotto questo profilo […] Perché solo i presidenti della Repubblica e del Consiglio e i ministri? E i presidenti della Camera e del Senato? […] da qui potrebbe innescarsi un’eccezione di illegittimità costituzionale per violazione dell’art. 3 (Lodo Alfano: hanno toppato? – Antefatto).

Si aggiunga che le leggi costituzionali non sono dispensate dal giudizio di costituzionalità della Consulta (sentenza 1186/1988) e che per la loro approvazione è necessaria la maggioranza qualificata dei due terzi onde evitare il referendum, ed ecco che lo scenario è nuovamente quello di una lunga e sterile battaglia parlamentare. Il legittimo impedimento? Ha la scadenza, e inoltre è stata sollevata dalla procura di Milano la questione di legittimità costituzionale (di nuovo la Consulta in mezzo alla sua strada).

C’è anche lo scandalo corruzione della cricca a turbare i pensieri del (finto) premier: dopo Scajola, nel mirino anche Ugo Cappellacci per mazzette negli appalti dell’eolico, persino indiscrezioni su Gianni Letta e suoi presunti rapporti con Anemone. E la rabbia degli elettori corre sul web (L’Unita.it).

Insomma: il sultano è solo e conta i giorni che lo separano dalla fine.

Lettura consigliata:

Oliviero Beha – Dopo di Lui, il diluvio – Chiarelettere

“Noi fummo i Gattopardi, i Leoni; quelli che ci sostituiranno saranno gli sciacalletti, le iene; e tutti quanti Gattopardi, sciacalli e pecore, continueremo a crederci il sale della terra…” scriveva Giuseppe Tornasi di Lampedusa, e dalla parafrasi dell’immortale “Gattopardo”, nella quale gli “sciacalli” sono coloro che ridono al telefono del terremoto dell’Aquila, parte Oliviero Beha per una ricognizione tra le macerie materiali e immateriali del Paese. A cinque anni dall’uscita del suo pamphlet “Crescete & prostituitevi”, preso alla lettera dalla classe dirigente di ieri e di oggi, l’autore si domanda che cosa succederà quando sarà finita la stagione di Berlusconi, se davvero “dopo di Lui” ci sarà “il diluvio”. Perché Berlusconi è il prototipo di quel “berlusconismo” che ha attecchito a destra e a sinistra. Per arrivare a concludere che non siamo più una “democrazia”, che tira aria da “Weimar” sia pure “all’amatriciana”, che ogni giorno che passa è peggio e il risveglio del Paese si allontana. Ma non è detto, ci sono albori all’orizzonte…