Astensionismo e Mafia: qualche dato sul voto nelle carceri

Il dato sull’astensionismo nelle carceri siciliane mi ha sin dall’inizio lasciato perplesso. Poiché l’equazione viene facile: se non votano i detenuti, allora è la mafia ad averlo imposto. Dopo qualche giorno, Lirio Abbate ha scritto per L’Espresso un articolo in cui snocciola i numeri: su 7050 detenuti, solo quarantasei hanno votato. Ergo, la mafia ha veramente scelto per il non-voto. Manca il partito di riferimento? Per il pm Ingroia, se la mafia non vota, allora c’è aria di una nuova trattativa. Detta così, può anche significare che si sta preparando una nuova stagione di terrorismo mafioso. Enrico Mentana, in diretta al Tg La7, commenta: se il dato fosse confermato, sarebbe inquietante. Se fosse confermato, appunto.

L’articolo di Abbate non approfondisce il dato statistico, che rimane pertanto un numero, un numero qualsiasi, di difficile interpretazione soprattutto per i molti – me compreso – che non conoscono la realtà carceraria italiana. Mi sarei aspettato una abbondanza di dati statistici, una storia completa fatta di numeri e di elezioni e di partiti e di preferenze. Invece niente. Per tale ragione, Sergio Scandura su Linkiesta ha potuto etichettare l’articolo di Abbate come una bufala, argomentando erroneamente sull’inesistenza di una sezione 41bis a Palermo. Fatto che gli è stato contestato da Arianna Ciccone in un perfetto fact checking su Valigia Blu. Arianna ha concluso il suo articolo con un auspicio:

Sarebbe interessante (e decisivo) confrontare questi dati con i dati delle scorse elezioni, ma purtroppo non sono riuscita a trovarli e né L’Espresso né Linkiesta li riportano.

Sappiate che questa richiesta di informazioni si scontrerebbe con un muro di gomma, un muro che si chiama Ministero della Giustizia (o dell’Interno). In poche parole, i dati non ci sono. Intanto considerate che l’ultimo rapporto del DAP (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria) pubblicato sul sito del Ministero è datato 2010. In secondo luogo, i numeri messi in circolazione da Scandura (alle politiche del 2006 e del 2008 ha votato il 10% dei carcerati) derivano da una interrogazione parlamentare della deputata radicale Rita Bernardini, la n. 4-06146, alla quale (cito testuale dalla successiva interpellanza n. 2/01705 rivolta al Presidente del Consiglio Mario Monti) “non è mai stata data risposta nonostante i solleciti del 22/03/2010, 12/04/2010, 12/10/2010, 01/12/2010, 12/01/2011, 03/02/2011, 03/03/2011, 23/03/2011, 15/04/2011, 23/05/2011, 06/07/2011, 21/09/2011, 16/11/2011, 15/02/2012, 11/04/2012, 04/07/2012 26/07/2012”.

Nel testo, Rita Bernardini parla di trentamila reclusi aventi diritto di voto nel 2008, di cui solo il 10% lo ha esercitato (ovvero circa tremila votanti). Si tratta di detenuti in condizione “non ostativa”. In Italia, l’esclusione del diritto di voto è una pena accessoria: “l’ordinamento italiano aggancia l’esclusione dall’elettorato attivo all’interdizione dai pubblici uffici (D.P.R. n. 223 del 1967), che è perpetua nel caso di reati punibili con l’ergastolo oppure con una condanna alla reclusione per un tempo non inferiore a cinque anni, mentre è pari a cinque anni per i reati che importano la reclusione per un tempo non inferiore a tre anni (art. 29 c.p.). Per effetto di tali disposizioni, oltre il sessanta per cento dei detenuti non gode del diritto di voto” (Diritto di voto e detenzione | Rebus Magazine).

Sulla base di quanto sopra, la prima obiezione da fare ad Abbate è: i 7050 detenuti corrispondono alla popolazione carceraria residente in Sicilia oppure alla parte di essi aventi diritto di voto? Se guardiamo i dati del rapporto ISTAT 2012, Noi Italia, i detenuti maschi in Sicilia nel 2010 sono pari a 7614. Raffrontare i due numeri per me è impossibile: bisogna che Abbate almeno riveli la fonte del suo dato. In secondo luogo, bisogna considerare che per esercitare tale diritto, il detenuto, ancora in possesso dei diritti politici, deve far pervenire al Sindaco del comune di residenza una dichiarazione della propria volontà di votare nel luogo in cui si trova, con l’attestazione del Direttore del carcere comprovante la sua detenzione; ciò per consentire l’iscrizione del richiedente in un apposito elenco ed essere munito della propria tessera elettorale. La richiesta può pervenire al Sindaco non oltre il terzo giorno antecedente il voto. Tutto ciò sulla base di una legge del 1976. La seconda domanda da fare, non ad Abbate, semmai al Ministero dell’Interno e a quello della Giustizia, è: i detenuti siciliani sono stati messi in condizione di poter esercitare il diritto di voto?

Ripeto, non si tratta di domande nuove. Quando a Maggio è stato eletto il sindaco di Palermo, l’astensionismo carcerario (cinque votanti su cinquemila) che si è verificato anche in quella occasione, aveva già fatto parlare alcuni di “astensionismo mafioso”:

Sono due le interpretazioni che si possono dare se nelle carceri di Palermo non si e’ votato: una protesta nei confronti della politica o che nessuno ha dato indicazioni di voto come si faceva una volta“. Lo afferma il procuratore Antimafia Piero Grasso […] Ecco alcuni dati: all’Ucciardone di Palermo, dove è stato allestito un seggio speciale, su 2693 detenuti, 5 hanno votato, facendo registrare 3 voti con regolare preferenze e 2 schede bianche.Al Pagliarelli, su 1282 reclusi, zero i votanti. Stessa musica nelle carceri di Agrigento e Trapani, dove in un totale di 911 carcerati nessun ha votato (Amministrative Sicilia, il voto nelle carceri: su cinquemila detenuti solo cinque votanti. I commenti – Stretto Web | Stretto Web).
“Non solo nessuno ha votato – rileva il magistrato a margine dell’inaugurazione del Festival della legalità a Catania – ma non è stato richiesto neppure il seggio volante, quindi non c’era nemmeno la richiesta preventiva” (livesicilia.it).
Secondo Marco Pannella, all’Ucciardone è stato di fatto impedito ai detenuti di votare. La mafia non avrebbe avuto nessun ruolo. Semplicemente le amministrazioni carcerarie avrebbero reso difficoltoso il voto, attraverso la non informazione dei detenuti, attraverso l’eccessiva burocratizzazione costruita intorno a quella legge del 1976. Un problema non nuovo.
Nel 2008, il Presidente della Conferenza Nazionale dei Garanti regionali dei detenuti, Angiolo Marroni, inviava una lettera al ministro dell’Interno Giuliano Amato nella quale chiedeva “notizie circostanziate in ordine ad eventuali provvedimenti adottati per l’istituzione dei seggi elettorali nelle carceri e per la verifica della sussistenza del diritto di voto in capo ai soggetti che non hanno perduto tale diritto, benché reclusi” (Elezioni: Il garante scrive al ministro Amato; “Garantire il voto nelle carceri”). Insomma, il diritto di voto per i detenuti non è affatto scontato e i ministri interessati, di anno in anno, forniscono la stessa quantità di informazioni: ovvero, nulla. Quella che segue è una notizia Ansa del 2009:

Ansa, 21 Maggio 2009 – In carcere dilaga il non voto. Da Sollicciano hanno fatto richiesta solo in 20 su quasi mille detenuti. “I mezzi di comunicazione devono informare di più”. Il partito dell’antipolitica vince dietro le sbarre. L’ultimo dato che rivela il numero dei detenuti interessati a partecipare al voto delle prossime elezioni, è sconfortante. Al carcere di Sollicciano solo in 20, su un totale di 950 detenuti, hanno chiesto di poter esercitare il proprio diritto di voto il l 6 e 7 giugno.

Franco Corleone, il garante dei diritti dei detenuti nel Comune di Firenze, chiedeva che i media diffondessero nelle carceri tutte le informazioni sulle modalità dell’esercizio del diritto di
voto. “Il diritto di voto – ha continuato – rappresenta per i detenuti l’esercizio della partecipazione alla vita democratica e ha un profondo significato strategico di non separatezza del mondo del carcere da quello della società. Ma soprattutto testimonia l’affermazione del diritto di cittadinanza comune”. L’Ansa del 2009 riportava che “nelle elezioni politiche del 13 e 14 aprile 2008, il numero dei detenuti che votò in carcere fu ancora addirittura inferiore a quello che si prevede per quest’anno: solo 16 persone”.

In conclusione potrei affermare che è alquanto prematuro attribuire alla mafia la responsabilità dell’astensionismo nelle carceri siciliane. Un giornalista avrebbe dovuto tergiversare prima di dare una notizia simile. E specificare che il primo responsabile è lo Stato, il quale impedisce con ostacoli burocratici agli aventi diritto di esercitare il voto. E non si tratta di guerra di bufale, ma di un giornalismo che tende a dar spazio impropriamente all’emozione piuttosto che alla verifica dei fatti.

Trattativa, Panorama pubblica intercettazioni e Berlusconi si vendica di Napolitano

Il settimanale Panorama domani pubblicherà una “ricostruzione” delle telefonate tra il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino intercettate nell’inchiesta della Procura di Palermo sulla trattativa Stato-mafia. Sì, esatto, Panorama, giornale di casa Mondadori, quindi di proprietà di Berlusconi.

“Ricatto al presidente”, questo il titolo sparato in copertina. Si tratterà comunque di una trascrizione, non delle intercettazioni vere e proprie. Molto probabilmente si tratterà soltanto di alcune brevi frasi, condite di molta dietrologia, relative a quanto interessa al direttore di Panorama, quindi a Mondadori, quindi a Berlusconi, rivelare del dialogo fra l’ex ministro degli Interni e il presidente della Repubblica. Secondo Giuliano Ferrara, si tratterebbe di una ricostruzione “molto ben fatta”. Sui giornali, in queste ore, si vocifera di giudizi imbarazzanti su Berlusconi, su Di Pietro, sui giudici di Palermo. Ma il titolo “Ricatto al presidente” indica che c’è dell’altro. I tipi di Panorama pensano che quelle intercettazioni, non rilevanti ai fini dell’inchiesta, siano state usate per ricattare Napolitano. E naturalmente la procura è colei che esercita la pressione indebita sul capo dello Stato.

L’obiettivo di Panorama, quindi di Mondadori, quindi di Berlusconi, è molteplice:

  1. pubblicare il contenuto delle intercettazioni per stimolare nel capo dello Stato e di conseguenza nel Partito Democratico l’intenzione di limitare l’uso di questo strumento di indagine se non di escogitare sistemi di censura della stampa, stile legge bavaglio;
  2. assestare un colpo secco contro la procura di Palermo che pure indaga sulle transazioni avvenute fra Dell’Utri e Berlusconi per il passaggio di proprietà di una villa il cui valore non collima con le somme scambiate, passaggi di denaro ritenuti invece frutto di una estorsione; di fatto si tratta della medesima procura che indaga sulla trattativa e sui fatti del 1993, anno di nascita del partito Forza Italia, ritenuto da una certa vulgata giornalistica, uno degli esiti del patto di scambio fra la corrente mafiosa non stragista di Provenzano, i carabinieri del Ros e le istituzioni della Repubblica allora guidate da Scalfaro/Mancino/Conso;
  3. e infine, vendicarsi di Giorgio Napolitano, l’uomo che, di nascosto, tramando con i capi di governo di Francia e di Germania, ha deposto Berlusconi.

PD Oggi 05/03/2012: le primarie e il voto di scambio

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  2. Ferrandelli vince e Lumia, primo sostenitore del ‘candidato terzo’ chiede la testa di Bersani, un po’ affrettatamente, a dire il vero. Lo scrutinio non è ancora chiuso…
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    Bersani a rischio, lo dichiara il senatore Lumia: Giuseppe Lumia, senatore del Pd, ha… goo.gl/fb/AXVtn
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    RT @francescorozzi: Il punto non sono le dimissioni di Bersani, il punto è che un segretario dovrebbe restare super partes durante le primarie. #primariepalermo
  5. Nella caduta di Palermo è coinvolto in pieno anche l’IDV, che pure era il partito di Ferrandelli (fuoriuscito perché fedele alla poltrona di Lombardo – ah, la politica siciliana!). Orlando cerca di parare il colpo escogitando un sistema perfetto:
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    RT @GiancaMacaluso: Cioè #Orlando sta dicendo che #Borsellino o vince o perde la farà candidare. Questo si capisce. Dunque: #primarie assassinate
    #openpalermo
  7. Bersani appare in video e sembra parecchio adombrato. Palermo pesa come un macigno. L’assenza di politica ancor di più.
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    Bersani, primarie risorsa non soluzione problemi: A volte possono essere moltiplicatore problemi bit.ly/zOMuTB
  9. E poi c’è il controcanto di Letta, una costante di questi mesi. Ma non dovrebbe essere il braccio destro del segretario? Letta non perde giorno per ripetere che è necessaria l’allenza con l’UDC.
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    RT @sinistraelib: Enrico Letta: “Alle primarie di Palermo i nostri elettori ci hanno chiesto di guardare al centro”. Lui sì che ha capito tutto.
  11. Infine, Bersani: fa i conti, come nelle peggiori delle sconfitte del PD, cerca il più piccolo paese del centro, nord, sud,est, ovest per scovare una vittoria del PD. Ne conta ben diciotto.
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    RT @lageloni: Bersani: su 23 primarie pd ne ha vinte 18. no a rese dei conti, serve una politica più matura. tra poco il video sul sito di @YouDem
  13. In serata, la sedicente Striscia la Notizia rivela al mondo la tremenda verità: ci sono stati brogli, anzi no, voti di scambio che avrebbero interessato Faraone. Faraone avrebbe promesso posti di lavoro (quanti? un milione?) per avere il voto.
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    RT @Apndp: @EzioGreggio Devastante servizio su presunto voto d scambio a #primarie #pd e centrosinistra d palermo a favore d #davidefaraone. Chapeau.
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    RT @robertoragona: @matteorenzi che ne pensa del servizio di striscia la notizia su davide faraone? Voto di scambio per le primarie? #davidecontrogolia
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    A Striscia il voto inquinato alle primarie di Palermo.Promesse di “lavoro” in cambio di voti.Giovani gattopardi crescono? Ahi serva Sicilia
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    Il ” Giovane” Renzi che dice??? se sono questi i giovani mi tengo gli 80 enni!! #primarie #brogli #palermo
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    Voto di scambio per le #primarie? Quando pensi che la politica possa aver toccato il fondo ecco che….Che tristezza..

Le mani del Copasir

Il Copasir, nella persona del suo Presidente, Francesco Rutelli, lo stesso Rutelli delle accuse infamanti a Gioacchino Genchi – sì, il Genchi che intercettò gli agenti segreti al Castello Utveggio, lo stesso Genchi la cui indagine è parte provante del ruolo dei servizi segreti nella strage di Via D’amelio – dichiara oggi di volersi occupare dell’inchiesta di Caltanissetta che sta mettendo subbuglio nei Palazzi. L’intento? Mettere a tacere. Insabbiare. Quale altro allora? Perché occuparsi solo ora – solo ora! – del ruolo dei servizi nelle stragi del ’92-’93? L’ombra del Copasir si allunga su Caltanissetta e mette a pregiudizio il lavoro della magistratura, come già successo per Catanzaro. Caltanissetta e Catanzaro: un nome che li accomuna, Nicola Mancino. Mancino è colui che nega di aver incontrato Borsellino il giorno del suo insediamento al Viminale. Mancino è lo stesso uomo che durante il caso della guerra fra procure, affossa Salerno e premia Catanzaro, lo stesso che intima a De Magistriis di lasciare la toga se entra in politica. Lo stesso che paventa trame destabilizzanti mesi prima degli attentati del ’93. Che occupa il Viminale in uno strano – all’epoca dei fatti un cambio ritenuto controproducente – avvicendamento con l’allora ministro Scotti. Lo stesso che giudica un errore storico il solo pensare a qualche coinvolgimento dei servizi segreti nelle stragi.
Si dirà: è un caso.
E intanto a Palermo spariscono le prove.

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    • L’ultimo mistero siciliano è una carta sim, una scheda telefonica scomparsa nelle stanze della Corte di Appello di Palermo. La cercano da molto tempo e non la trovano. Dentro c’è anche il numero del cellulare di “Carlo”, l’agente segreto che ha trattato con Vito Ciancimino prima e dopo le stragi del 1992.
    • Il suo nome è sconosciuto agli investigatori, la sola via per identificarlo era quella carta sim requisita nel giugno del 2006 a Massimo, il figlio di don Vito, al momento dell’arresto. C’è il verbale di sequestro di uno dei suoi telefonini, c’è anche il verbale di sequestro della scheda ma la carta è sparita.
    • Dalla procura di Palermo sono partite più richieste e “sollecitazioni” alla Corte di Appello
    • O qualcuno l’ha sottratta o qualcun altro l’ha infilata in un posto sbagliato.
    • E “Carlo”, se non ci sarà nessuno che dirà chi è, resterà nell’ombra.
    • E’ il personaggio centrale di tutta l’inchiesta siciliana sugli avvenimenti di quell’estate del 1992. Più dello sfregiato, quell’altro agente segreto con la “faccia da mostro” che i magistrati di Palermo e di Caltanissetta stanno inseguendo da mesi.
    • E’ “Carlo” l’uomo cerniera di più “alto livello” fra Mafia e Stato prima e dopo le stragi di diciassette anni fa. E’ lui – lo racconta Massimo Ciancimino – che aveva materialmente in mano il famigerato “papello” alla vigilia del massacro di via D’Amelio mentre discuteva con suo padre sulle prossime mosse per far contento Totò Riina.
    • Ha fra i sessanta e i sessantacinque anni, Vito Ciancimino aveva una frequentazione con lui dal 1980. Un vero “intermediario” fra pezzi dello Stato e poteri criminali. Uno che poteva entrare e uscire dalle carceri italiane quando voleva. Uno che ha fatto avere a Vito Ciancimino anche un passaporto turco subito dopo l’uccisione di Salvo Lima, all’inizio del 1992. E’ stato “Carlo” a portarglielo a casa sua, a Roma in via San Sebastianello. “Se dovesse averne bisogno, se avesse necessità di allontanarsi in fretta dall’Italia”, gli disse “Carlo”. La foto che servì per quel passaporto, don Vito l’ha fatta in uno studio a pochi passi dalla sua abitazione. Si è messo in posa con una barba finta.
    • E’ un potente “Carlo”. Con “licenza” di fare scorribande dappertutto. Quando andava da don Vito arrivava sempre in auto blu e chaffeur.
    • Capita anche che “Carlo” prova a usare come “postini” i figli di Vito Ciancimino per mandargli a dire: “Dite a vostro padre di stare tranquillo e di non lasciarsi andare perché ci siamo noi che teniamo a cuore la sua vicenda”.
    • dopo la morte di don Vito e dopo le disavventure del figlio Massimo arrestato per riciclaggio, “Carlo” non ha mai voluto abbandonare i contatti con i Ciancimino. Soprattutto con Massimo. E’ stato lui a fargli avere le aragoste vive il giorno di Ferragosto del 2007, quando Massimo era agli arresti domiciliari.
    • E’ stato lui a presentarsi come “un carabiniere” sotto la sua casa di Palermo qualche mese fa. E’ stato sempre lui il 10 luglio scorso, nel primo pomeriggio, a entrare segretamente nell’appartamento bolognese di Ciancimino jr per lasciare un messaggio: “Ma chi te lo fa fare? Perché ti sei messo in questa situazione? Non pensi alla tua famiglia?”
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    • Il Comitato di controllo sull’ attività dei Servizi segreti (Copasir) si occuperà delle novità che stanno emergendo dall’inchiesta della Procura di Caltanissetta sulla strage di via d’Amelio in cui morì il giudice Paolo Borsellino.
    • Lo ha annunciato il presidente del Copasir Francesco Rutelli sottolineando di aver già incontrato il presidente della Commissione Antimafia Giuseppe Pisanu per coordinare i lavori.
    • ho concordato che una volta completata l’analisi della documentazione che ha nei suoi uffici, per la quale ci vorranno alcune settimane, tutte le eventuali informazioni riguardanti nel passato funzionari dei Servizi segreti, saranno oggetto di una sua informativa e di una sua audizione al Copasir

Posted from Diigo. The rest of my favorite links are here.

Join the dots. Unisci i puntini. Retrospettiva della destabilizzazione. Quando parlava Brusca.

Borsellino morì per un complotto – Repubblica.it » Ricerca

Il procuratore aggiunto di Palermo, Paolo Borsellino fu ucciso perché voleva fermare la trattativa tra pezzi dello Stato e i Corleonesi avviata dopo la strage di Capaci. Cosa nostra fu informata da una «talpa» e «accelerò» la morte del magistrato […] la mafia fu «costretta» ad un altro attentato libanese […] le rivelazioni del «pentito» Giovanni Brusca:

«Il giudice Paolo Borsellino era contrario alla trattativa che Riina aveva intrapreso con lo Stato e rappresentava quindi un ostacolo, per questo è stato assassinato». Il «pentito» però non ha fatto nomi, evitando di specificare chi fosse l’ interlocutore di Totò Riina nella trattativa. «Non lo so con certezza», ha ammesso.

Brusca ha raccontato ai magistrati che l’ uccisione di Paolo Borsellino, che era in progetto da anni «subì un’ improvvisa accelerazione» subito dopo la strage di Capaci. «Dopo Falcone, Riina – ha raccontato Brusca – aveva programmato di uccidere l’ ex ministro dc, Calogero Mannino, dandomi l’ incarico di eseguirlo. Improvvisamente cambiò decisione, e mi disse che c’ era un lavoro più urgente da fare, l’ assassinio del giudice Paolo Borsellino»

L’ «accelerazione» dell’ attentato a Paolo Borsellino è stata confermata anche da un altro capomafia pentito, Salvatore Cancemi

Brusca ha rivelato di avere appreso della «trattativa» direttamente da Totò Riina che aveva preparato un «papello» (richieste allo Stato ndr) per interrompere la strategia stragista in cambio di vantaggi per i mafiosi.

una riunione ristretta della «Commissione» alla quale parteciparono anche, Salvatore Cancemi e Salvatore Biondino, braccio destro di Riina

Biondino fece vedere a Totò Riina i verbali di un interrogatorio del pentito Gaspare Mutolo che era stato ascoltato dal giudice Paolo Borsellino due giorni prima della strage dicendo: “Quando Mutolo dice le cose vere nessuno gli crede”

Gaspare Mutolo raccontava che 48 ore prima della strage di via D’ Amelio, si era incontrato con il magistrato a Roma perché aveva deciso di pentirsi.

Io dissi al giudice Borsellino – raccontò Gaspare Mutolo dopo la strage di via D’ Amelio – che non volevo verbalizzare niente su quello che sapevo su alcuni giudici e su alcuni funzionari dello Stato collusi

mentre m’ interrogava Borsellino interruppe la conversazione e mi disse: “Sai Gaspare, debbo smettere perché mi ha telefonato il ministro, manco una mezz’ oretta e ritorno”. E quando il giudice ritornò era tutto arrabbiato, agitato, preoccupato, fumava così distrattamente che aveva due sigarette accese in mano. Gli chiesi cosa avesse ed il giudice Borsellino mi rispose dicendo che invece d’ incontrare il ministro si era incontrato con il dottor Parisi (il defunto capo della Polizia) e con il dottor Contrada (l’ ex funzionario del Sisde accusato di mafia ed assolto nel processo di secondo grado ndr) e mi disse di mettere subito a verbale quello che gli avevo detto

L’ incontro fu smentito dal senatore Nicola Mancino che s’ era insediato al ministero dell’ Interno proprio quel giorno

Brusca mette in relazione quell’ incontro al ministero con la «trattativa»

Ma nell’ agenda di Paolo Borsellino, sparita subito dopo la strage di via D’ Amelio e ritrovata qualche tempo dopo, il magistrato aveva scritto che il primo luglio del 1992, alle ore 19.30, aveva avuto un incontro con il ministro dell’ interno, una visita della durata di 30 minuti.

Brusca non ha dubbi: la trattativa ci fu, Borsellino tentò di ostacolarla e una «talpa» lo fece sapere a Cosa nostra che accelerò la sua morte.

  • MINISTRI IN GIOSTRA SCOTTI AGLI ESTERI E MARTELLI RESTA SOLO – Repubblica.it » Ricerca
  • Era il 29 Giugno 1992: l’avvicendamento fra Scotti e Mancino al Viminale. Dopo Capaci e prima di Via D’Amelio.

    Lavoravano in due e lavoravano bene o almeno in perfetto accordo. Ora sono stati divisi: uno è rimasto ministro della Giustizia, l’ altro lascia gli Interni e guiderà gli Esteri. […] grande è lo stupore per il dirottamento di Enzo Scotti dal Viminale alla Farnesina. Il loro asse sembrava uno dei punti fermi del nascente governo […] Che cosa sia successo, non lo so – dice Martelli -. E perchè Scotti sia stato dirottato dall’ Interno agli Esteri è interrogativo che andrebbe posto alla Dc. Enzo Scotti non nega sia stato proprio un certo suo atteggiamento a determinare l’ addio al Viminale e l’ interruzione del consolidato rapporto con Claudio Martelli […] E così, sabato sera sono andato a dormire sapendo di non essere più ministro. Poi in nottata è successo qualcosa che mi ha cambiato la vita…”  […] Attendibilissime ricostruzioni forniscono questa versione dell’ accaduto. Forlani e De Mita che insistono con Scotti perchè resti nel governo, e gli propongono – allora – il passaggio alla Farnesina […] E Mancino? “E’ un compito non facile, quello che mi aspetta – ammetteva domenica pomeriggio subito dopo il giuramento -. Dovrò incontrare Scotti e poi subito incominciare”



micromega – micromega-online » Memento Mori

In sette giorni Mancino, Violante, Ayala e Martelli han raccontato qualcosa, lasciando intendere che in certi palazzi si sa molto più di quanto non sappiano i magistrati e i cittadini.

Ciancimino jr. racconta che nell’autunno ’92 il padre Vito, per trattare col colonnello Mori, pretendeva una «copertura politica» dal ministro dell’Interno Mancino e dal presidente dell’Antimafia Violante.

A 17 anni di distanza, Violante ricorda improvvisamente che Mori voleva fargli incontrare Ciancimino, ma lui rifiutò.

Mancino nega da anni di aver incontrato Borsellino il 1° luglio ’92, esibendo come prova la propria agenda e smentendo così quella del giudice assassinato. Ma ora viene sbugiardato da Ayala: «Mancino mi ha detto che ebbe un incontro con Borsellino il giorno in cui si insediò al Viminale (1° luglio ’92, come segnò il giudice, ndr): glielo portò in ufficio il capo della polizia Parisi.

Intanto Mancino svela a Repubblica che nel ’92 disse no a trattative con la mafia, ma senza rivelare chi gliele propose. Poi, sul Corriere, fa retromarcia: «Nessuna richiesta di copertura governativa».

E l’incontro con Borsellino? Prima lo nega recisamente: «Non c’è stato. Ricordo la chiamata di Parisi dal telefono interno: “Qualcosa in contrario se Borsellino viene a salutarla?”. Risposi che poteva farmi solo piacere, ma poi non è venuto». Poi si fa possibilista: «Non posso escludere di avergli stretto la mano nei corridoi e nell’ufficio… non ho un preciso ricordo».

Resta poi da capire perché, fra Capaci e via d’Amelio, mentre partiva la trattativa Ros-Ciancimino, ci fu il cambio della guardia al governo. «Io e Scotti – ricorda l’allora Guardasigilli Claudio Martelli – eravamo impegnati in uno scontro frontale con la mafia. Ma altre parti di Stato pensavano che le cose si potevano aggiustare se la mafia rinunciava al terrorismo e lo Stato evitava di darle il colpo decisivo. In quel clima qualcuno sposta Scotti dall’Interno alla Farnesina e pensa pure di levare dalla Giustizia Martelli, che però dice no».

Mafia, nuovi indagati per le stragi – LASTAMPA.it

I magistrati di Caltanissetta di ritorno venerdì scorso da un faccia a faccia di tre ore con Salvatore Riina, dicono che il padrino «è sempre lo stesso»

avrebbe detto di non sapere nulla del presunto patto tra Stato e mafia, ma ci sono nuovi indagati per la stagione stragista di Cosa nostra

uno per l’attentato all’Addaura del giugno del 1989 contro Giovanni Falcone

un altro per la strage di Capaci – un nome nuovo, organico ai clan, ma mai coinvolto nell’indagine sull’eccidio, già detenuto e che avrebbe avuto un ruolo di organizzatore

una decina gli indagati per quella di via D’Amelio. Personaggi, in quest’ultimo caso, che avrebbero avuto ruoli diversi: mandanti, favoreggiatori, organizzatori ed esecutori. Nessuno parla, ma non è escluso che nell’elenco vi siano anche alcuni agenti dei servizi segreti.

avrebbe detto più cose Angelo Fondana «U miricano», il pentito che ha fatto trovare un «bunker della morte» della mafia e disvelato nuovi scenari della strage, come l’altro collaboratore, Gaspare Spatuzza che ha sconvolto verità processuali e alimentato nuove piste

Fontana avrebbe confermato la presenza di 007 al Castello Utveggio

Retrospettiva della destabilizzazione: la ricostruzione di Genchi

Il ruolo dei servizi segreti nelle stragi del 1992; le ricostruzioni dei contatti telefonici fatte da Gioacchino Genchi all’epoca delle prime indagini; quale ruolo per Contrada?

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    • «Andate a vedere là, al castello Utveggio, quella è roba vostra» ha detto Totò Riina venerdì parlando per la prima volta dopo 17 anni con i magistrati di Caltanissetta e accreditando l’ipotesi che sulla strage di via D’Amelio ci sia, anche, la mano dei servizi segreti.
    • «Le testimonianze del dottor Gioacchino Genchi e della dottoressa Rita Borsellino hanno offerto contributi determinanti su quello che realisticamente potrebbe essere stato l’intervento di soggetti esterni su Cosa Nostra (nella realizzazione delle stragi, ndr)» si legge nella sentenza di condanna per la strage di via d’Amelio.
    • «Il dottor Genchi ha chiarito che l’ipotesi che il commando stragista potesse essere appostato nel castello Utveggio, ipotesi utile per ulteriori sviluppi, era stata lasciata cadere da chi conduceva le indagini».
    • Riina e le indagini dicono la stessa cosa e puntano sui servizi segreti.
    • il riscontro alle mie indagini non arriva oggi da Riina ma da tracce telefoniche inequivocabili acquisite alle inchieste
    • quel processo sia da rifare dopo che il boss Gaspare Spatuzza ha smentito Scarantino
    • Genchi, esperto di telefonia, chiamato in causa di recente per eccessi nell’acquisizione di tabulati seppur come consulente delle procure, era all’epoca uomo di punta nel pool investigativo creato per la strage di Capaci e poi per via d’Amelio.
    • Scoprì, ad esempio, che, si legge in sentenza, «nel castello Utveggio (costruzione che domina Palermo e via d’Amelio, ndr) aveva sede il Cerisdi, ente regionale dietro il quale trovava copertura un organo del Sisde»
    • questo luogo divenne crocevia di utenze clonate, telefonate intercettate e, soprattutto, «il possibile punto di osservazione per cogliere il momento in cui dare impulso all’esplosivo» caricato sotto la 126 parcheggiata davanti all’abitazione della madre di Paolo Borsellino
    • Le indagini hanno individuato Pietro Scotto (condannato e poi assolto) come «autore di lavori non autorizzati sulla linea telefonica del palazzo di via d’Amelio
    • Scotto è stato riconosciuto da due testimoni; era dipendente della società telefonica Sielte che lavorava con gli 007; soprattutto è fratello di Gaspare Scotto, boss del mandamento dove è avvenuta la strage.
    • L’analisi delle telefonate di Gaetano Scotto – si legge in sentenza – evidenzia contatti con le utenze di castello Utveggio fino al febbraio 1992».
    • Genchi, trova la prova che «un’utenza telefonica clonata (di una signora napoletana ignara di tutto, ndr) era in possesso dei boss fin dall’autunno 1991» . E che quell’utenza, «in prossimità del 19 luglio (giorno della strage, ndr) chiama una serie di villini che si trovano lungo il percorso che l’auto di Borsellino aveva percorso quella domenica»
    • contatti telefonici con probabili punti di osservazione lungo il tragitto.
    • Era di uno 007 anche il numero di telefono trovato sulla montagnola di Capaci da dove fu fatta saltare l’auto di Falcone. Infine Bruno Contrada, lo 007 poi condannato per mafia. Il pomeriggio del 19 luglio era in barca con un altro funzionario, lo stesso il cui numero è stato trovato a Capaci. Ottanta secondi dopo l’esplosione, quando nessuno ancora sapeva, dal cellulare di Contrada partì una telefonata. Era diretta, ancora una volta, al Sisde. Ne aveva ricevuta anche un’altra, due minuti prima dell’attentato.

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Marino e l’ambivalenza di Cuffaro

Due articoli ripescati dall’archivio di La Repubblica, datati settembre 2002, confermano la versione di Marino sulla questione sollevata da Il Foglio. Marino era messo alle corde da chi voleva impossessarsi dell’Ismett per farne una struttura clientelare attraverso le procedure d’assunzione. Si accenna anche ai cattivi rapporti fra Marino e l’amministrazione americana, a quanto pare più propensa a intascare i soldi che a fornire i mezzi formativi richiesti.

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    • Insomma, l’ era Marino si è chiusa così. Lasciandosi dietro, però, una scia di interrogativi non del tutto risolti. Alcuni li ha rilanciati sul tappeto Leoluca Orlando, che da sindaco di Palermo fu tra i protagonisti principali dell’ apertura dell’ Ismett. Dopo avere espresso «gratitudine e ammirazione per l’ attività svolta in questi anni dal professor Ignazio Marino e dalla sua equipe», Orlando avverte: «Nessuno si illuda di travolgere impunemente questa straordinaria esperienza con la palude dell’ inefficienza e con una caricaturale aggressione al sistema di reclutamento del personale». E aggiunge: «è necessario inoltre che il Medical center di Pittsburgh renda conto degli aspetti finanziari, delle scelte gestionali e contrattuali e delle rispettive prospettive, evitando di trasformare una esperienza pilota in una modesta cronaca di piccoli patteggiamenti e grandi favori». Ce n’ è abbastanza, insomma, per dare corpo a quelle voci che raccontano di come la stanchezza del professor Marino sia stata acuita dai ripetuti – quanto sotterranei – scontri tra il chirurgo e pezzi della sanità, della politica siciliana e della stessa amministrazione dell’ Ismett. Insomma, il professore sarebbe rimasto schiacciato nella tenaglia Regione-Università di Pittsburgh.
    • In ballo ci sono i soldi che la Regione dà all’ istituto trapianti ogni anno – gli americani avevano proposto una decurtazione del 10 per cento del finanziamento, la Regione vorrebbe tagliare molto di più – ma anche l’ impegno assunto dall’ Università di Pittsburgh a fare formazione di personale medico in Sicilia. Un compito, previsto dal contratto, ma che gli americani avrebbero del tutto trascurato limitandosi a intascare i lauti finanziamenti.
    • l’ assessore al Bilancio Alessandro Pagano, che lo aveva già messo per iscritto nel dicembre 2000 e che lo ha ribadito ieri: «Ignazio Marino non deve dimettersi perché è il garante di tutta la Sicilia. Nel momento in cui dovevamo passare alla razionalizzazione e alla riduzione dei costi e contemporaneamente a dare il via alla formazione dei medici, l’ Università di Pittsburgh ha creato un pressing forsennato sostenuto da occulti amici che hanno tradito la propria terra, per togliere di mezzo il professor Ignazio Marino».
    • In serata anche il presidente della Regione, Salvatore Cuffaro, ha spezzato una lancia in favore di Marino e ha aggiunto: «Spero in un suo ripensamento e nei prossimi giorni lo incontrerò personalmente per avere contezza delle ragioni della sua scelta».
    • Per la verità, il presidente della Regione è già entrato da tempo nella trattativa condotta da Pittsburgh in tema di rinnovo dei finanziamenti per l’ Ismett. è successo all’ inizio dell’ estate quando a Palazzo d’ Orleans è stato ricevuto il super manager dell’ istituzione americana, Thomas Detre.
    • Cuffaro – dicono – ha voluto parlarci a quattr’ occhi. A quel tempo i rapporti tra Ignazio Marino e la casa madre di Pittsburgh erano già abbastanza logorati, proprio perché il chirurgo insisteva per dare maggior spazio all’ attività di formazione. Ma non solo. Proprio in quel periodo si acuivano i contrasti tra il professore e alcuni settori della sanità siciliana, che a Marino hanno sempre rimproverato di essere uno che decide tutto da solo.
    • Marino ha gestito tutto all’ Ismett. A partire dalle assunzioni. è di qualche mese addietro lo scontro sottotraccia tra il chirurgo e Salvatore Snaiderbaur, stretto collaboratore di Michael Costelloe, lo chief operating officer dell’ Ismett, ma anche uomo ritenuto vicino a Comunione e liberazione e, dunque, a Cuffaro.
    • Uno scontro consumatosi sul concorso per la scelta di un addetto alle pubbliche relazioni, prima bloccato, poi riaperto, infine bloccato di nuovo. E adesso all’ orizzonte c’ è un bel pacchetto di assunzioni: un centinaio, dicono. Per riempire la nuova struttura Ismett che è quasi pronta.
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    • IN euro fanno 118 milioni. In dollari qualcosa di meno. In vecchie lire sono 230 miliardi spicciolo più, spicciolo meno. Comunque la si metta, un fiume di denaro che in cinque anni è uscito dalle casse della Regione e ha preso la strada di una società, la Upmc Italy srl, il cui capitale è controllato al 95 per cento dalla University of Pittsburgh Medical center overseas e per il restante 5 per cento dalla University of Pittsburgh medical center holding.
    • L’ Istituto mediterraneo dei trapianti, il fiore all’ occhiello della sanità siciliana, il centro di eccellenza che ha invertito la tendenza dei cosiddetti viaggi della speranza: prima si partiva dalla Sicilia alla ricerca di un fegato nuovo, adesso in Sicilia ci vengono quelli che legano il proprio destino al trapianto di un organo. L’ isola felice nel mare limaccioso della sanità siciliana, ma anche il centro al quale la Regione ha dato una barca di soldi nei primi cinque anni di attività.
    • Insomma, ce n’ è abbastanza per credere che questo fiume di denaro non sia estraneo al braccio di ferro in corso ormai da un anno sugli assetti dell’ Ismett. Una guerra prima sotterranea e poi esplicita che ha rimescolato alleanze, personaggi e carriere.
    • Prendete, per esempio, l’ attuale assessore regionale al Bilancio, Alessandro Pagano, di Forza Italia: il 18 aprile del 1997, quando venne firmato l’ accordo tra la Regione e l’ Università di Pittsburgh per la creazione in Sicilia di un centro trapianti di eccellenza, faceva l’ assessore alla Sanità nel governo guidato da un altro forzista, Giuseppe Provenzano.
    • Ci sono, anzitutto, gli americani dell’ Università di Pittsburgh il cui centro medico opera, all’ americana, come un’ azienda (anche se non profit) e che hanno deciso di sondare i «mercati» esteri della trapiantologia.
    • Certo è che, in quel periodo, dalla Regione – anzi dall’ assessorato alla Sanità guidato da Pagano – parte alla volta di Pittsburgh uno studio sui flussi migratori legati ai cosiddetti viaggi della speranza. Carte che dicono come nel 1995 la Regione abbia rimborsato ben 65 miliardi di lire a pazienti che hanno scelto di farsi trapiantare il fegato all’ estero
    • con la supervisione affettuosa di sponsor d’ eccezione quali l’ allora sindaco di Palermo Leoluca Orlando, il cardinale Pappalardo, l’ epatologo del Cervello Luigi Pagliaro.
    • Serve un uomo in grado di gestire il progetto e viene individuato in Ignazio Marino, chirurgo italiano che lavora a Pittsburgh e che – raccontano – viene coinvolto nell’ operazione soprattutto grazie alle insistenze di Pagliaro e di uno dei suoi allievi prediletti, Ugo Palazzo.
    • Meno di sei anni dopo, quella fotografia che immortala la firma dell’ accordo è strappata.
    • Alessandro Pagano, per esempio, ha messo nel mirino gli americani di Upmc e li accusa, in sostanza, di aver preso i soldi dando poco o nulla in cambio.
    • Leoluca Orlando si dice certo che gli americani stanno barattando con la Regione il mantenimento degli elevati finanziamenti in cambio del via libera sulla scelta di infermieri e medici da assumere a un tanto a onorevole.
    • Ignazio Marino si è dimesso (dal prossimo anno opererà a Filadelfia), dopo essere entrato in rotta di collisione con Pagliaro, Palazzo e parecchi altri medici.
    • Regione e Università di Pittsburgh si mettono al tavolo e rivedono il loro patto. L’ amministrazione regionale trova qualche poltrona in più nel Cda dell’ Ismett. Gli americani, sostanzialmente, conservano i finanziamenti fin qui ottenuti. è il baratto denunciato da Orlando?
    • Pittsburgh va via dalla Sicilia se non ha la gestione operativa dell’ Ismett. Dunque va bene la parità in Consiglio di amministrazione, ma l’ amministratore delegato, il direttore scientifico (in pratica il successore di Ignazio Marino, ndr) e anche il direttore sanitario li sceglie l’ Upmc.
    • Le assunzioni? Noi mettiamo il nome di Pittsburgh in questa operazione. è chiaro che i curriculum li valutiamo noi a Pittsburgh

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La trattativa Stato – Mafia: strani riflessi

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Patto della mafia col nuovo potere – dall’archivio di Corsera e Repubblica – 1993

  • LIGGIO REGALO’ ALLO STATO GIULIANO . Il piano e’ stato spiegato dal pentito con un parallelismo storico con l’ omicidio del bandito Salvatore Giuliano avvenuto nell’ immediato dopoguerra a Portella della Ginestra. "A uccidere Giuliano e’ stato Luciano Liggio, che lo ha regalato allo Stato. C’ e’ stato un compromesso tra un’ ala dello Stato e Cosa Nostra. Ora ci sara’ un nuovo compromesso con chi rappresentera’ il nuovo Stato". Cosa Nostra otterrebbe in cambio di farsi "essa stessa Stato" nelle quattro regioni meridionali (Sicilia, Calabria, Campania e Puglia) che sono gia’ sotto il suo controllo territoriale. In questa strategia avrebbe parte anche la massoneria. LA MASSONERIA . "Non e’ esistito mai il terzo livello che da’ ordini a Cosa Nostra, ma c’ e’ la massoneria che racchiude tutti gli altri organismi. Con i massoni ci sono punti d’ incontro per gli affari, i grossi appalti, i processi. E’ un passaggio obbligato per la mafia"

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    • Per la strategia separatista sarebbero stati contattati anche alcuni importanti personaggi politici "che hanno avuto in questi anni dei grossi consensi politici e qualcuno, uno di sicuro, ha detto di no. Io so di quello che ha detto di no, pur conoscendo la realta’ di chi chiedeva. Non posso dire il nome perche’ e’ come prendere posizione a favore di un partito. L’ ho accennato alla magistratura. Hanno contattato una persona che prima era di un partito importante e ora e’ di un altro"
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    • Una lettera che fa tremare Palermo. L’ hanno messa in circuito fra il 22 e il 23 di giugno, per una decina di giorni solo sussurri e bisbigli, solo mezze frasi raccolte qua e là, solo preoccupate reazioni di poliziotti e carabinieri che "sentono" in anticipo l’ odore fetido dei messaggi in codice
    • Perché muore Salvo Lima? Perché, rivela il Corvo, rimane fedele ad Andreotti. E un’ intera pagina è dedicata a "quel gruppo che tenta la scalata al potere". Si fanno anche qui nomi, si descrivono improbabili incontri fra big della Democrazia cristiana e superlatitanti, si entra nel particolare citando alcuni noti personaggi e coprendoli di accuse che puzzano di spazzatura
    • Palermo è avvolta in un terribile giallo. Il Corvo fa nomi di ministri ed ex ministri, racconta di dossier insabbiati, rapporti riservatissimi della Guardia di Finanza e dei carabinieri. Entra in gioco una banca, si ripropone la storia di un potente gruppo imprenditoriale, si coinvolgono alcuni dei più noti professionisti palermitani, si tirano per i capelli dentro torbide vicende alcuni giudici. E ancora: si parla dei legami di questo o di quello con i Servizi

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Le dichiarazioni di Marino al Foglio 25/07

gnazio Marino dice di essersi sentito offeso sin dal titolo, leggendo sul Foglio di ieri l’articolo che lo riguardava […]
il Medical Center dell’Università di Pittsburgh (Upmc) non intendeva “allontanarlo”, per la ragione che Marino di fatto si era già allontanato di sua iniziativa. “In quel momento avevo già in tasca una lettera di intenti in cui la Jefferson University si impegnava ad assumermi come professore di Chirurgia e direttore del dipartimento trapianti di Philadelphia […]
Quanto al merito della lettera dell’Upmcsecondo il senatore del Partito democratico si trattava semplicemente della “bozza di un documento che successivamente è stato completamente riscritto, e di cui posso mostrare la versione definitiva, l’unica valida, in cui non si fa più alcun cenno a quelle contestazioniQuanto alle specifiche discrepanze segnalate dall’Upmc nei rimborsi, Marino non nega che possano esserci state. “Allora – spiega – io gestivo una spesa corrente per venti milioni di dollari annui, dal 1997, e come amministratore delegato dell’Ismett ero responsabile degli appalti per la costruzione di un nuovo ospedale per 102 miliardi di lire. Se in un momento di evidente tensione tra me e l’Upmc, dovuto al fatto che io avevo deciso di andare a lavorare altrove, una revisione della contabilità trova discrepanze per ottomila dollari, beh, che volete che vi dica…” […]
Tutto questo, per il senatore-chirurgo, è però soltanto “l’epifenomeno” di una vicenda molto più complicata. “Dal ’99 al 2001, al centro di Palermo, avevo avuto carta bianca nella scelta dei miei collaboratori. Tutti i primi settanta-ottanta dipendenti dell’Ismett sono stati assunti con regolare bando pubblicato sulla stampa e dopo un semplice colloquio con me. […]
Una situazione idilliaca, a quanto pare, ma solo fino al 2001. “Nel 2001, quando alla presidenza della Regione Sicilia viene eletto Totò Cuffaro, la situazione cambia. E cominciano le pressioni, sia dalla politica sia dall’università”. […]
In quel momento erano in corso le procedure per assegnare gli appalti per la costruzione di edifici e apparecchiature. [… ]
La prima gara la vince un’azienda – racconta Marino – che la prefettura mi dice essere di fatto controllata dalla mafia. Quindi devo annullare tutto e indire una nuova gara, e mi becco pure una denuncia dal consiglio di amministrazione di quella stessa società per danno patrimoniale. […]
Una storia che Marino rivendica con orgoglio, convinto che le accuse contenute nella prima lettera del Centro di Pittsburgh non abbiano alcun valore, non dimostrino nulla e pertanto non possano macchiare in alcun modo quell’esperienza.

fonte IlFoglio.it