#primarieparlamentari, una analisi del voto

Sulla base dei risultati parziali e ufficiosi pubblicati sul sito www.primarieparlamentaripd.it ho tentato di effettuare una analisi statistica del voto del 29 e 30 Dicembre cercando di intuire le tendenze dell’elettorato del Partito Democratico. L’analisi generale effettuata dai giornalisti è stata così sintetizzata: hanno vinto i giovani, hanno vinto le donne. Vediamo se questa impressione è confermata dai dati e se gli stessi ci possono fornire ulteriori interpretazioni.

Va da sé che il successo delle donne era già di fatto “scritto nelle regole”: il voto doveva obbligatoriamente essere dato ad una donna e ad un uomo. Per tale ragione, le liste dei candidati sono state equamente divise fra il genere maschile e femminile. Su 882 candidati, 442 erano donne, 440 uomini. Questa ripartizione rigida aveva l’obiettivo di far ottenere alle donne una percentuale minima di rappresentanza del 40%. Il voto, in realtà, non è stato così rigido, e taluni hanno espresso solo una preferenza femminile o maschile. Non si votavano coppie di nomi, ma nominativi singoli. Pertanto su 113 province, in 70 casi gli uomini hanno avuto una media di voti superiore a quella delle donne; 43 sono invece le province in cui la media del voto per le donne è stata superiore. Significa che l’elettore in parecchi casi, molto probabilmente perché non completamente informato sulle biografie dei candidati, ha espresso soltanto la preferenza maschile. Geograficamente parlando, ritroviamo questa situazione (fra parentesi il totale delle province per area geografica):

  Prevalenza Media voti F
Nord 21 (47)
Centro 14 (30)
Sud 3 (20)
Isole 5 (16)

In sostanza, il voto femminile ha funzionato sia al Nord che al Centro (quasi nella metà delle province le donne hanno concentrato su di loro un fetta di voti più ampia di quella conquistata dagli uomini), mentre al Sud e nelle Isole un candidato donna attrae in media meno voti che un candidato uomo (accade solo in 8 province su 36).

Ancor più interessante il dato relativo all’età. La vulgata giornalistica ha descritto un grande successo dei candidati giovani. Ho provveduto a definire tre categorie anagrafiche: i candidati con età inferiore a 45 anni; i candidati con età compresa fra 45 e 60 anni; i candidati over 60. Questa la distribuzione all’interno delle liste:

  Candidati Voti
  <45 45-60 >60 <45 45-60 >60
Nord 36,57% 53,43% 10,00% 39,03% 52,88% 8,09%
Centro 42,01% 46,12% 11,87% 40,43% 50,91% 8,66%
Sud 42,86% 46,56% 10,58% 39,21% 50,39% 10,40%
Isole 45,16% 38,71% 16,13% 41,70% 40,78% 17,52%
       
Complessivo 40,48% 48,07% 11,45% 39,73% 50,45% 9,83%

Il rapporto fra candidati/voti per i “giovani” – indicati come minori di 45 anni – è favorevole solo al Nord (36% di candidati raccolgono il 39% dei voti). Generalmente è stata maggiormente premiata la fascia d’età fra 45 e 60 anni (rapporto % candidati/% voti maggiore di 1 sia al centro che al Sud che nelle Isole).

Rapporto % voti e % candidati

Nord 1,07 0,99 0,81
Centro 0,96 1,10 0,73
Sud 0,91 1,08 0,98
Isole 0,92 1,05 1,09
   
Complessivo 0,98 1,05 0,86

Da notare che il Nord e il Centro puniscono i candidati di età superiore a 60 anni, che corrispondono più probabilmente a personaggi già noti, avvezzi alle istituzioni, che magari provengono da esperienze di governo nei territori. L’esatto contrario accade al Sud e nelle Isole, dove la fetta di voti degli “over 60” è maggiore alla relativa densità delle candidature.

Nella tabella che segue ho riproposto il medesimo calcolo suddiviso per regione. A sorpresa, al Nord la distribuzione del voto non è così omogenea come si possa pensare. Il rapporto %voti/%candidati è maggiore di 1 in Emilia-Romagna, Lombardia, Liguria, Trentino e Veneto. Eccezione il Piemonte, dove addirittura gli over 60 incidono maggiormente rispetto alla loro presenza in lista (fattore Damiano?).

<45 45-60 >60
Abruzzo 0,86 1,20 0,78
Alto Adige 1,00
Basilicata 0,68 1,32
Calabria 0,79 1,22 0,90
Campania 0,98 1,00 1,05
Emilia-Romagna 1,04 1,00 0,80
Friuli Venezia Giulia 0,89 1,19 0,83
Lazio 0,90 1,12 0,90
Liguria 1,42 0,98 0,40
Lombardia 1,07 0,96 0,94
Marche 1,25 0,87 0,67
Molise 0,96 1,48 0,60
Piemonte 0,96 0,94 1,46
Puglia 1,02 1,01 0,80
Sardegna 0,80 1,21 1,08
Sicilia 1,00 0,97 1,06
Toscana 0,98 1,16 0,53
Trentino 1,10 0,97
Umbria 1,01 1,10 0,44
Veneto 1,27 0,79 0,80

Questo indicatore sembra disegnare una mappa dell’elettore. L’elettore tenderebbe a scegliere un candidato che gli somiglia, per genere e per età. Si potrebbe quindi affermare che il voto al Sud, nelle Isole e in Piemonte sia in generale un voto di uomini e anziani. Mentre il voto del Nord-Nord-Est, con le eccezioni felici delle Marche, dell’Umbria e della Puglia, è un voto giovanile e femminile.

Nella tabella che segue effettuo un confronto del rapporto voto/candidato per le giovani donne e i giovani uomini. Il metodo di calcolo è il medesimo: l’indicatore è il rapporto fra la percentuale di voti alle giovani donne (sul totale dei voti alle donne) rispetto alla densità di candidature. Le giovani donne sono andate forte soprattutto al Nord e ribaltano la tendenza giovane/vecchio per il Piemonte (che complessivamente premia i maggiori di 60 anni, ma uomini). In Emilia-Romagna la tendenza è inversa e sono premiati maggiormente i maschi giovani, mentre il Veneto ha premiato entrambi (naturalmente a discapito di quelli di età maggiore). In Basilicata i giovani uomini hanno raccolto una fetta di voti molto piccola rispetto al loro numero. In Alto Adige non erano presenti candidati minori di 45 anni.

<45 F < 45 M
Abruzzo 0,94 0,75
Alto Adige
Basilicata 0,97 0,19
Calabria 0,88 0,73
Campania 1,10 0,80
Emilia-Romagna 0,89 1,26
Friuli Venezia Giulia 1,15 0,71
Lazio 1,05 0,74
Liguria 1,17 1,24
Lombardia 1,01 1,13
Marche 1,48 1,09
Molise 0,94 0,97
Piemonte 1,22 0,73
Puglia 0,71 1,38
Sardegna 0,79 0,84
Sicilia 0,71 1,40
Toscana 0,87 1,11
Trentino 1,05
Umbria 1,31 0,79
Veneto 1,11 1,40

Conclusione: è vera l’affermazione che il voto ha premiato donne e giovani. E’ vero soprattutto al Nord e in parte al Centro.  Ma al Nord persistono aree in cui il voto è stato indirizzato verso gli uomini e verso gli uomini esperti (Emilia-Romagna; Piemonte). Il voto ha rispecchiato grosso modo la rappresentazione anagrafica dei candidati. In sostanza sembra che l’offerta dei candidati abbia definito e selezionato la domanda (i votanti). In sostanza, in lista vi erano in maggioranza persone con età fra 45 e 60 anni e gli elettori li hanno premiati, soprattutto al Centro-Sud (da indagare, qualora si conoscessero i profili anagrafici di chi è andato a votare, l’ipotesi secondo la quale gli elettori scelgono il candidato che più gli somiglia da un punto di vista di genere e di età). I candidati over 60 hanno avuto miglior fortuna al Sud e nelle Isole, dove fra l’altro erano presenti in misura maggiore che al Nord.

In questo post vi ho presentato una delle analisi possibili. Se volete, potete cercare nella tabella che vi allego, il risultato dei parlamentari uscenti nonché dei derogati. Che fra l’altro, sono stati bocciati a metà: Maria Pia Garavaglia, l’unica che ha avuto il coraggio di presentarsi in un seggio “normale”, ha preso la miseria di 816 voti; Cesare Marini (fossi in voi mi segnerei questo nome), invece, candidatosi a Cosenza, non compare nemmeno più nella lista dei votati. Di Bindi e Finocchiaro conoscete già la sorte.

primarieparlamentari_risultati

Finanziamento partiti, 66 firme per sprofondare

Alla fine sono in sessantasei. Sessantasei parlamentari che si oppongono alla presentazione del ddl sul finanziamento dei partiti della triade #ABC, Alfano, Bersani, Casini, in sede legislativa alla Camera.

Secondo AdnKronos, la Lega Nord avrebbe raccolto ben 66 firme per appellarsi al regolamento di Montecitorio. Il provvedimento, partorito in tutta fretta dalla Triade inciucista, doveva seguire l’iter accelerato passando in sede legislativa in Commissione Affari Costituzionali. Ebbene, i leghisti, proprio loro, boicottano l’intervento dell’ABC. Questa è opposizione? Il partito di Belsito e di Rosy Mauro (ex partito) non è nella posizione per ostacolare un provvedimento del genere, seppur incompleto e provvisorio. Ai leghisti si sono aggiunti i parlamentari di Popolo e Territorio – sì, a questo punto possiamo dirlo: Maroni, Bossi, Calderoli sono sulla stessa lunghezza d’onda di Scilipoti, Grassano, Calearo.

Queste sessantasei firme sono le fime di chi si è autocondannato alla propria fine (politica, s’intende). Dead Parlamentary Man Walking.

Bestiario Nuovo sull’abolizione dei vitalizi dei parlamentari

Appuntatevi questi nomi.

Antonio Borghesi, IDV, sull’istituzione del metodo contributivo: “Più che una mannaia, questa riforma è un temperino, che nell’immediato rischia di costare più di prima ai contribuenti” (riferito al fatto che la spesa per i contributi pensionistici della Camera salirebbe sopra i 25 mln annui).

Renzo Lusetti, UDC, “ Non lo farò, ma a me, che ho 53 anni, converrebbe lasciare lo scranno oggi stesso, altrimenti il vitalizio lo prenderò a 60 anni”.

Antonio Mazzocchi, PdL: “Se le regole cambiano in corsa e un deputato fa causa allo Stato, credo che possa vincere”.

Alessandra Mussolini, PdL: “pronta a sacrifici solo se prima i membri del governo forniscono informazioni sui loro conflitti di interesse”.

Francesco Boccia, PD (!), è contro le discriminazioni dei deputati più giovani: “Siamo furibondi. Fini e Schifani non pensino di fare questa operazione sulla testa delle nuove generazioni”.

Maurizio Pepe, ex Popolo e Territorio: “Ridurre deputati e senatori alla fame vuol dire rendere il Parlamento schiavo dei poteri forti” […] “Se a uno come Bertinotti togliete il vitalizio, cosa gli resta?”.

Gianluigi Pini, Lega Nord: “è una proposta demagogica per indorare la pillola agli italiani che dovranno subire i tagli alle pensioni”.

E, dulcis in fundo…

Maurizio Grassano, Responsabili, condannato a quattro anni in primo grado per truffa: “I diritti acquisiti non si toccano, ci dovrebbero dare indietro i soldi, altrimenti è come se ci avessero truffati”.

Cancellata la manovra d’agosto, tutto da rifare

Il vertice di Arcore di oggi è il capolinea della vergogna: tutte le chiacchiere ferragostane sul contributo di solidarietà, sulla cancellazione dei comuni sotto i mille abitanti, sulla riduzione mediante accorpamento delle province, acqua passata. Bossi e Berlusconi hanno cancellato ogni norma, tranne quelle sulle festività e sul diritto a licenziare. Ne consegue che la manovra non ha più alcun senso. Non sono state prospettate misure che sostituiscano le predette norme in fatto di tagli alla spesa, quindi sarà impossibile, stando a quanto sentito stasera, approvare il decreto di ferragosto negli stessi saldi. Tanto per dire: l’intervento sulle pensioni – l’abolizione della facoltà di riscatto degli anni di studio universitario o di leva militare obbligatoria – è ridicolo e i suoi effetti sulla spesa pubblica sono tutti da dimostrare (questo perché per riscattare gli anni della laurea bisogna pagare all’INPS una discreta somma che ora nessuno si sognerà più di dare).

Il taglio delle Province verrà inserito invece in una legge costituzionale: le province verranno declassate a organismi istituzionali di secondo livello. Non saranno più organi elettivi bensì nominativi (con responsabilità in capo alle Regioni). Risultato: dalle province ai poltronifici. Nessuno può dire oggi se questa riforma apporterà benefici al bilancio pubblico mentre è quasi certo che incrementerà la corruttela e il clientelismo.

I mancati tagli ai comuni non trovano alcun contrappeso: non verrà apportato alcun aumento all’IVA. Mentre il dimezzamento dei parlamentari verrà inserito anche esso in una legge di riforma costituzionale. Ergo: non ci sarà alcuna modifica ai privilegi di casta. Nulla. Niente di niente. E’ un decreto svuotato del suo contenuto. Dalla fretta di ferragosto si è passati alla più classica delle retromarce. Nessuno cita più la lettera di Trichet. Nessuno ricorda le minacce di Berlino e di Parigi. Il peggio sembra passato e invece il peggio è in questo governo che non è in grado di difendere le proprie – impopolari e ingiuste – scelte. Oggi il cuore non gronda più sangue: salvati i redditi alti (anche i calciatori tirano un sospiro di sollievo), non una parola contro l’evasione e l’elusione, salvo una promessa di un futuro intervento di “nuove misure fiscali finalizzate a eliminare l’abuso di intestazioni e interposizioni patrimoniali elusive” (via La Repubblica.it).

Il governo scherza con il fuoco. La BCE sta a guardare ma ben presto farà tremare le fondamenta di Palazzo Grazioli. Potete giurarci.

Per concludere, un’osservazione: declassamento delle province a organi di secondo grado di natura nominativa e dimezzamento dei parlamentari (ripeto, non del loro stipendio né dei loro privilegi) equivale a dire meno democrazia per tutti.

La sottile linea bianca. I parlamentari e il test antidroga.

Centosettantotto. Il numero di parlamentari che si sono sottoposti al test antidroga. Alla fine, tutti puliti. La pantomima di un controllo volontario mostra ancora una volta l’ipocrisia di una classe politica che crede alle proprie menzogne.
Eppure. C’è una frequenza distorta, una nota, che nessuno coglie. Una sottile linea bianca che influenza chi è nei posti in cui si decide. Il caso Marrazzo è sorto alla luce della pubblicità mostrando come il morbo della dama bianca sia mellifluo, si insinui nel mistero, nelle ombre della personalità. Da un lato, l’immagine pubblica di Marrazzo, ex paladino dei consumatori, governatore di sinistra di una regione importante come il Lazio, un oppositore degli sprechi nella sanità pubblica. Dall’altro lato, l’oscurità del Marrazzo dipendente (? aspetto naturalmente ancora da chiarire), che di giorno sacrifica valigette da cinquemila euro all’altare della coca, obbedisce ad essa e ad essa è fedele come avesse prestato giuramento alla maniera di un massone. Allora, se l’uomo non è libero, nemmeno il politico lo è. La sua decisione pubblica è prima mediata in privato dal demone bianco.

    • Era stato La Russa a (ri)lanciare l’idea: «È giusto che i politici si sottopongano volontariamente ai test volontari antidroga». Detto fatto: il ministro della Difesa aveva subito effettuato le analisi che sono praticate normalmente dalle pattuglie sul territorio. Risultato? Negativo.

    • L’idea è piaciuta a Carlo Giovanardi: il sottosegretario alla presidenza del Consiglio ha messo a disposizione i locali del Dipartimento per le politiche di contrasto agli stupefacenti.

    • Il leader Udc si era fatto promotore nella scorsa legislatura di un battaglia antidroga, dopo il caso Mele (il deputato centrista scoperto in un noto albergo della Capitale durante un ‘festino’ a base di coca) e il servizio delle «Iene» che svelò la positività di alcuni parlamentari a un test antidroga.

    • Di diverso avviso Paolo Ferrero, segretario di Rifondazione comunista, per il quale «il test è totalmente demagogico, è una presa in giro. Giovanardi dovrebbe dire che se un onorevole venerdì si è fatto dieci piste di coca, nell’analisi del capello lunedì non se ne troverà traccia. Le tracce di cocaina svaniscono molto prima, così come è assurdo che in giro per le stazioni ci sono i cani antidroga allenati per le droghe leggere mentre non riconoscono le droghe pesanti. Il sistema repressivo è tutto basato verso le droghe leggere perché l’altra, essendo la droga degli strati alti, viene lasciata correre»

    • Replica secco Giovanardi: «Le tracce nel capello restano sei mesi, caro Ferrero: sei rimasto indietro»

    • Oggi giornata ‘boom’ di affluenze: 79 a fare gli esami
      Roma, 11 nov. (Apcom) – Sale del 50% il numero di parlamentari che si sono volontariamente sottosposti al test antidroga proposto dal Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega alle tossicodipendenze, Carlo Giovanardi. Solo oggi, terzo gionri di svolgimento dei test antidroga sulle urine e sui capelli. si sono sottoposti volontariamente ai prelievi 79 parlamentari. Complessivamente, pertanto, nei primi tre giorni della settimana si sono complessivamente sottoposti al test 178 tra deputati e senatori.

    • nessuno aveva previsto, in generale, che una "droga" propriamente detta, nel caso specifico la cocaina, potesse avere un ruolo significativo nella crisi da "finanziarizzazione estrema" che ha portato il mondo sull’orlo del baratro

    • Né, tantomeno, qualcuno aveva previsto che il consumo di cocaina sarebbe divenuto, in Italia, un problema che attraversa l’intera società, comprese le sue classi dirigenti

    • la storia italiana è piena di scandali e scandaletti del genere a metà strada tra cronaca nera e di costume

    • da diversi anni il fenomeno è cresciuto a tal punto da essersi radicato in pianta stabile in tutti (nessuno escluso) i circuiti decisionali e professionali che contano

    • Ne è scaturito così un sistema grigio a bassa affidabilità, in buona parte sommerso e in parte sulla soglia dell’emersione, che esercita una sorta di codice di selezione al contrario e condiziona il sistema di relazioni inquinate, appunto, dal fattore cocaina

    • Dati e autorevoli analisi lo confermano

    • l’allarme lanciato dal capo dipartimento sulle dipendenza dalle droghe della clinica universitaria di Ginevra: ormai si ricoverano a decine i banchieri, gli operatori di piazze finanziarie e i professionisti

    • Silvio Garattini, direttore dell’Istituto Mario Negri di Milano, ha spiegato che «l’uso della cocaina (che crea un’alterazione nella percezione del rischio) da parte di operatori del mondo della finanza può aver avuto un ruolo nel dispiegarsi della crisi»

    • apocalisse bianca

    • Dalla metafora alla realtà, il Po – segnalava già nel 2005 l’Istituto Negri – è "un fiume di cocaina", tanto è pieno dei residui delle "piste"

    • il Cnr stimava in 4,2 miliardi i costi del consumo di coca

    • nel 2007 l’Osservatorio della Regione Lombardia diretto da Riccardo Gatti prevedeva entro il 2010 un aumento dei consumatori di cocaina del 40 per cento

    • a Milano la classe dirigente è prigioniera della droga (cocaina ed eroina) e del giro che la smercia : «È una società civile in ostaggio e potenzialmente sotto continuo ricatto», e la prevenzione deve essere fatta anche in azienda, «perché lì sta la classe dirigente della città»

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