Giovanni Favia è coraggioso. Lotta, dal di fuori, contro “il partitone”, quel PD che in Emilia-Romagna è sempre stato forza di governo e che è un tutt’uno con la società civile, in primis con quella che conta economicamente, finendo giocoforza per fondersi con l’interesse privato. Lui pensa di poter cambiare questo piccolo mondo antico e crede nel mezzo televisivo per arrivare anche al “pensionato di montagna” che non ha mai cambiato il proprio voto dal 1948.
Il vecchio tubo catodico è in questo senso infallibile. L’unico problema è che “bisogna apparire”, come recita l’incipit del film Videocracy. Per apparire in Tv, che notoriamente è uno spazio contingentato e in mani altrui, Favia e gli amici dei 5 Stelle, comprano minuti di trasmissione. Come qualsiasi altro partito. Favia la chiama informazione.
Ecco, quando leggo la parola informazione nel post pubblicato oggi sul sito del 5 Stelle Emilia-Romagna, mi irrigidisco non poco. Possibile che sia così dura da capire? Se un’istituzione fa pubblicità al proprio operato, questa non è informazione bensì propaganda. Non c’è verso di trovare altra definizione. Poiché nel concetto medesimo di informazione è insito il concetto di critica. L’informazione è quello strumento che in un sistema sociale permette alla sfera pubblica di orientare la propria opinione circa l’operato del sistema politico, il quale agisce (ovvero discute e delibera) al fine della allocazione delle risorse comuni. Mi pare chiaro che non può essere il sistema politico ad impiegare questo strumento, essendo esso medesimo l’oggetto dell’informazione.
Favia comprende bene la distorsione del nostro sistema, così lontano dall’essere una democrazia liberale compiuta. Tutti noi sappiamo che l’informazione e la Tv sono gravate dal conflitto di interesse e sono schiacciate da un oligopolio difficile da demolire se non con atti riformatori che nel nostro contesto risulterebbero addirittura rivoluzionari. Favia però deve sapere che se appare in Tv, lui che è un consigliere regionale ed è quindi un attore di quella istituzione che è oggetto di informazione, avendo però la presunzione invece di farla lui l’informazione, allora si colloca proprio al centro di quel magma bollente che è il conflitto di interesse. Diventa cioè da oggetto passivo di informazione, quindi oggetto di critica, a soggetto di informazione su sé stesso scavalcando a piè pari il terreno della critica. Egli, forse inconsapevolmente, si pone nei confronti del sistema informativo prevenendolo e diventando esso stesso curatore della informazione della propria attività istituzionale. Può decidere quindi di selezionare cosa rendere pubblico e cosa no, su quale atto impiegare più minuti e quale meno.
Certo, mi rendo conto che quanto sopra può essere evidenziato nei confronti di qualsiasi altro politico regionale o nazionale che sia. E’ vero. Non vi è nemmeno nulla di illecito, né di scandaloso in quanto da lui fatto. E inoltre il giornalismo locale è quanto di più si avvicini al mero pubblicismo e sovente gli editori di queste emittenti pendono dalle giacche di taluni gruppi politici. Pertanto è evidente che il campo della critica è spazzato via a prescindere. In ogni caso, Favia dovrebbe riflettere se non sia meglio per lui andare in un talk nazionale, a testa alta, senza pagare nulla, sottoponendosi al fuoco di fila delle domande – senza saperle prima, please – piuttosto che pagare per qualche minuto di trasmissione a 7Gold.
Anche perché se fossi al posto suo, sarei orgoglioso di me stesso se mi trovassi testa a testa contro un signor giornalista, che so, per esempio un giornalista come Jeremy Paxman. Paxman è possibile solo in Inghilterra, questo è chiaro anche ai sassi. Ma fossi in Favia, avrei fatto a gara per partecipare a una trasmissione Tv come BBCNewsnight e rispondere a domande come quelle che Paxman ha fatto a Cloe Smith, la Serracchiani dei Tories e Ministro del Tesoro del governo Cameron, caduta in disgrazia proprio dopo averlo incontrato:
dal minuto 6.30