Ti rendi conto? E’ la Resa dei Konti!!$$$!!

Ti rendi conto? E’ la Resa dei Konti!!$$$!! SCARICA L’EBOOK sui rendiconti e le retribuzioni dei parlamentari

La retribuzione dei parlamentari – nei discorsi del quotidiano – è quella cosa che rende indegno e indecoroso fare politica. Chi ha avuto il coraggio di dimezzarsi lo stipendio? Perché non fanno tutti come i 5 stelle, che in fondo non hanno niente da perdere?

La risposta è semplice: perché tutti (o alcuni) già fanno come i 5 stelle. Soltanto che i soldi decurtati dalle indennità finiscono al Partito, in linea di massima a finanziarne l’attività e l’organizzazione a livello nazionale e territoriale. Lavorando sui numeri e sforzandosi di lasciar da parte l’armamentario dei discorsi della retorica anti-Casta, è nata l’idea per questo ebook, un documento breve nel quale si riportano i piedi a terra, alla apparente freddezza dei numeri. Così, leggetelo, almeno scoprirete:

  • che i 5 stelle e i parlamentari del Pd guadagnano e spendono le medesime cifre; che dei ventimila euro di cui si narra, il parlamentare conserva per sé circa 3000 euro;
  • che la restituzione si risolve nel devolvere i soldi raccolti ad un fondo di garanzia per le Pmi (e perché non Emergency o la Croce Rossa o la Caritas?); che localmente il 5s trattiene i soldi delle indennità per finanziare attività politica affine (quale differenza con il Pd, quindi?);
  • che c’erano parlamentari a 5 stelle che pubblicavano rendiconti a zero euro (senza accantonamenti) tutti i mesi e che sono stati mandati via;
  • che altri, come Fico, trattengono per sé, con la formula dell’accantonamento, migliaia di euro di rimborsi non spesi (e poi li spendono in un mese circa, per “l’ufficio”).

Tutto questo vi farà arrabbiare. Avevate pensato che i giusti fossero solo da una parte. E invece non è così. E’ molto più complicato di così.

[Comunque, se si volesse davvero, domani si potrebbero ridurre le indennità di 3000 euro senza far danno a nessuno)]

Nuova Sinistra

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E’ un titolo provocatorio, lo so. Guardando alle cose reali, non c’è niente di nuovo a sinistra. Se ne sono accorti in molti che la sinistra in Italia è scomparsa. Se ne sono accorti specialmente gli esperti del marketing politico. C’è un mercato. C’è un bisogno frustrato. Il prodotto politico è tutto da costruire e qualcuno intenderebbe costruirlo a partire da una personalità, poiché partire dal contenuto (la proposta politica) è sempre un po’ pericoloso e mette a rischio l’investimento.

Invece la personalità funziona bene come proxy di contenuti che ancora non esistono: una personalità forte, che appaia “di sinistra” – nel linguaggio, nella microstoria personale – aiuta a creare immedesimazione e, nel lungo periodo, conformismo. La personalità accelera il processo di coagulazione di una rete politica: se carismatica, determina la cancellazione del contenuto nonché la sua totale sostituzione. La personalità diventa contenuto politico.

Questo, diciamo, è il lato patologico. Una Nuova Sinistra non potrebbe però nascere senza personalità politiche e al tempo stesso dovrebbe tendere alla dimensione collettiva organizzata e orientata al raggiungimento di obbiettivi. Per questo, quando sento parlare di operazione DiBa (che sarebbe poi un’operazione di marketing messa in opera da Casaleggio, tramite Di Battista, per intercettare la fetta di mercato elettorale che il Pd di Renzi starebbe per consegnare definitivamente al proprio destino), il senso di ‘imballo vuoto’ si fa massimo.

Sinistra non è una etichetta che si possa applicare su confezioni industriali. La nuova Sinistra, se mai nascerà, è il recupero di una identità politica condivisa. E’ un metodo. Non è retorica del fare, e certamente non tende alla poiesis, alla mera produzione di cose, obbligata in rigide pianificazioni ove la discussione è minaccia, è perdita di tempo. La nuova Sinistra dovrebbe nascere in un contesto di confronto onesto e trasparente. E’ ideologica, nel senso che detiene un logos della idealità. Certamente non pone la meta in un futuro idealtipico, bensì la integra in un progetto discorsivo e insieme immanente.

Cos’è invece Di Battista?

Duemiladiciotto

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Continuando di questo passo, nel 2018 avremo fatto meglio dei piromani nello Yellowstone Park. Non scherzo. La cosa peggiore è che tutto ciò è frutto del più grande fraintendimento elettorale della storia (recente, recentissima e fors’anche miserrima). Perché molti degli enne-milioni elettori di Matteo Renzi, alle primarie dell’8 Dicembre scorso, erano mossi dal desiderio di riscatto, un riscatto politico ma soprattutto elettorale. Erano – hanno detto – stanchi di perdere. Di perdere contro Berlusconi.

Invece l’Uomo della Pioggia ha portato una siccità improvvisa. Dice: “via dalla palude”, ma rischia di fare il deserto intorno. Il futuro Renzi I sarà quindi il terzo governo derivato dalle alchimie di palazzo dal Novembre 2011, momento della rottura dell’ordine berlusconiano. Le elezioni, questo spauracchio, sono posticipate al mitico 2018, anno in cui tutte le riforme saranno compiute e non ci sarà più bisogno di questo commissariamento della volontà popolare.

Le riforme che ci attendono saranno fortemente punitive nei confronti dell’assetto costituzionale del 1948, inteso – secondo questa voluntas riformatrice – causa di tutte le inefficienze del paese. Via il Senato, via le Province, sostituite da assemblee di nominati. E poi, cos’altro ci attenderà? Quale dovrà essere il nostro nuovo nemico da abbattere?

Il metodo della velocità, dell’energia, della immediatezza di Matteo Renzi e della sua capacità di intercettare la volontà popolare, ha soltanto provocato la sua ulteriore compressione. Quale democrazia nella scelta di continuare una legislatura caratterizzata dalla ingovernabilità e che si è avviata solo e soltanto con una formula parecchio difforme dal progetto presentato alle urne ai propri elettori?

Tutte le criticità delle Larghe Intese ritorneranno, insolute, nel Renzi I. E allora “non ti servirà l’inglese” (F. Battiato).

 

Il frutto delle Primarie

frutto

Sarebbe l’accordo Italicum. Renzi ci sta dicendo che abbiamo speso mesi di campagna congressuale non per dare una segreteria – e una linea politica – al Partito Democratico, bensì per stringere un accordo per le riforme elettoral-costituzionali con Berlusconi. E ce l’avevamo già un accordo simile. Il governo Letta I, cosiddetto delle Larghe-Larghe Intese, era sorretto dalla mirabile promessa delle riforme ad opera del Comitato delle Riforme, che a sua volta sarebbe passato per la riforma dell’articolo 138, un fantastico stratagemma per tirare a campare e oltretutto una miniera d’oro per gli sfruttatori di indignazione a scopi editoriali.

Detto ciò, l’Infografica diffusa ieri dallo staff del Sindaco-Segretario, comincia con un proposito, ‘Facciamo chiarezza’, poiché evidentemente è necessaria l’interpretazione autentica dinanzi alle dure critiche ricevute da dentro il Partito. Facciamo chiarezza: Renzi si presenta per Renzi e non per il Segretario. Il Partito è ancora quella cosa dalla quale prendere distanza. “In questi giorni tanto parlano di strani accordi”, continua. Tanto parlano, gli altri, mentre lui arriva con l’accordo che non è strano ed appunto lo saprete perché lui può chiarirvi le idee, non le parole eccessive udite sinora.

L’accordo è il frutto ed è già avviato. Mi avete votato, questo sforzo ha prodotto qualcosa che si è già avviato. Badate bene a questa narrazione e ai simboli: il frutto è concretezza, è visibile, tangibile: è sul ramo che matura. La parola è confusione, è il ciancicare di una moltitudine scomposta. Da una parte chi lavora; dall’altra chi fa filosofia. L’immedesimazione è ricavata sul frame della produzione: chi produce, fa fatica, ma porta a casa un risultato. Il politico parla, quindi non fa fatica. Non ci spostiamo un millimetro dalla dicotomia Casta-Popolo. Una riedizione della sempiterna metafora berlusconiana dell’uomo che, tramite il lavoro (imprenditoriale), si è fatto da sé ed è estraneo alle liturgie del sistema. Come può Renzi, che è un politico da molti anni, presidente prima della Provincia poi primo cittadino del Comune di Firenze, farsi riconoscere come espressione dell’antitesi alla classe politica? La narrazione della rottamazione è slittata in un significato più largo che trova eco su un’antica opposizione, quella fra Stato e società civile.

L’abilità del Sindaco-Segretario è appunto quella di farsi percepire come fattore emergente ed esogeno al partito-casta. C’è un prima, fatto di una classe di inamovibili; c’è un poi, nel quale l’élite è spazzata via e sazia la sete di rivalsa del Popolo. Tutto l’accordo dell’Italicum è orientato da questa necessità: l’eliminazione del Senato non è reale, il Senato verrà declassato a camera non elettiva, i suoi componenti saranno nominati per via indiretta dalle istituzioni locali. Ma l’infografica renziana spiega che l’amputazione della Camera più alta, che esprime la seconda Carica dello Stato, renderà le leggi più veloci (anche quelle cattive?), permetterà la riduzione dei parlamentari e soprattutto il risparmio delle spese di funzionamento. Spenderete meno per la chiacchiera, viene detto. La parola è improduttiva, quindi non è necessario spendere per essa. Le leggi devono essere veloci: velocemente ideate e velocemente approvate, esattamente come per un prodotto. Bisogna arrivare primi sul mercato e spiazzare la concorrenza. Non è richiesto che la legge sia giusta o ingiusta, ciò che importa è che essa diventi tale con il minimo costo.

Definitiva, la chiusura: “Molti di quelli che criticano sono gli stessi che non hanno fatto nulla in passato”. E continua: “è ora di dimostrare” (con i frutti) “che cambiare si può e si deve”. L’Italicum porta il cambiamento, e se il cambiamento prevedesse di riprendere pari passo alcune soluzioni del Porcellum, ovvero il torbido passato, allora il passato non esiste.

[per chi non l’avesse ancora letta Infografica_Italicum]

L’infelice #Italicum

Al di là degli psicodrammi sulla visita al Nazareno del Nemico Pubblico Numero Uno (con il quale il Pd ha – purtroppo – governato dalla fine del 2011), ciò che conta, dal mero punto di vista politico, sono due aspetti: uno prettamente legato al metodo, l’altro alla questione più tecnica del contenuto della proposta di legge elettorale.

Comincio dal secondo. Facendo riferimento all’analisi pubblicata oggi da Civati con il contributo di Andrea Pertici, il premio di maggioranza posto al raggiungimento del 35% dei suffragi è sproporzionato e irragionevole; il ballottaggio di coalizione si somma agli effetti distorsivi dello sbarramento, riducendo ulteriormente la rappresentatività; le liste sono nuovamente bloccate e la ripartizione nazionale dei seggi le unificherebbe in un unico listone nazionale, vanificando qualsiasi collegamento eletto-elettore. Inoltre, questo disegno di legge riguarda la sola Camera dei Deputati: nell’Italicum non è prevista alcuna norma per quanto concerne il Senato. Si è voluto collegare la nuova legge elettorale alla riforma costituzionale del Senato non elettivo. Un azzardo inutile. La “cancellazione” del Senato deve avvenire giocoforza sulla base del dettato costituzionale dell’articolo 138. I tempi non sono certi. Se la linea del consenso trovata è quella fra Pd e Forza Italia, non si capisce perché gli altri componenti della attuale maggioranza dovrebbero essere clementi nei confronti di questo complesso di riforme. Ergo, la riforma di Renzi è attesa al soglio di Montecitorio (e sappiamo di che palude si tratti). Tanto più che, recentemente, un precedente tentativo (non si sa quanto serio), spacciato per una riforma istituzionale ma incuneatosi in una torbida modifica al 138, è finito sul consueto binario morto (insieme a tutto l’armamentario di buone e buonissime intenzioni, finanche il cambiamento del Porcellum), con buona pace di tutti.

Appunto, il metodo. A parte lo scazzo (termine tecnico) con Cuperlo, la frase “Nessuna modifica o salta tutto” lascia ben intuire che verso abbia preso il #cambioverso. A che serve la Direzione? A che servono gli organi di un partito, se la discussione è messa in un angolo? Non si può modificare nulla? Allora perché se ne è parlato oggi? Per un patetico e formalistico voto? Quale può essere il contributo della minoranza se ciò che dice il Segretario è lettera scritta immodificabile?

Il ricorso alla speciosa argomentazione che un milione e settecentomila persone ti hanno dato un voto non giustifica l’azzeramento della dialettica interna. Questo valeva ai tempi di Bersani, e vale ora. Ancora di più, se possibile.

Primarie PD | Renzi e il rendiconto spese molto light

Leggi la prima parte – https://yespolitical.com/2013/12/27/primarie-pd-alcune-curiosita-nei-rendiconti-spese/

Vi dicevo ieri che il rendiconto spese del Comitato Matteo Renzi meriterebbe una più ampia e attenta analisi. Perché? Per una serie di ragioni, la prima delle quali è che il totale spese dichiarato è appena al di sotto del limite, imposto per regolamento, stabilito a 200000 euro, ma è indicato Iva esclusa – almeno per le spese di “Comunicazione, Web e Servizi” di cui all’Allegato E. Ora, il Comitato Renzi non è soggetto giuridico che fiscalmente può scaricare l’Iva essendo esso stesso il terminale dell’interazione economica quindi non se ne comprende la omissione dal resoconto finale. Solo aggiungendo l’imposta prevista dalle prestazioni elencate in fattura nell’allegato suddetto (pari a 12000 euro), il totale spese supera già il tetto regolamentare.

Preciso un aspetto, onde evitare fraintendimenti: la vittoria di Renzi è netta e regolare. Non si vuol qui dire che Renzi abbia vinto violando le regole, bensì che abbia vinto e che abbia violato le regole (in materia di finanziamento). I due aspetti vanno tenuti disgiunti, altrimenti si commette un grave errore, diciamo così, svilendo la volontà elettorale espressa democraticamente da quasi tre milioni di elettori.

Ma Democrazia equivale a dire anche parità di condizioni e rispetto delle regole. In entrambe le voci, il Comitato Renzi si trova in una posizione delicata.

In termini di parità delle condizioni, ci sarebbe da dire qualcosa circa il ruolo della Fondazione Big Bang (oggi Fondazione Open). Renzi ha potuto cominciare la campagna congressuale sfruttando il volano finanziario ed organizzativo della sua struttura personale che gli ha consentito di coprire gli extra costi per circa 89000 euro e di organizzare la manifestazione “Leopolda 2013” senza per questo farla rientrare nelle manifestazioni correlate al congresso. I costi della Leopolda sono quindi stati espunti dal Resoconto Generale renziano e non sono nemmeno così chiari, non essendo ancora stati resi pubblici. Sul sito della Fondazione Open (fondazioneopen.it) si spiega – alla voce ‘Spese’ –  che “il totale e le voci di spesa della Fondazione, con i relativi importi, risultano dai bilanci di esercizio annuali”, per cui occorre attendere la chiusura del bilancio (a Gennaio?). In ogni caso, sul sito matteorenzi.it, che è il media ufficiale del sindaco-segretario e lo è stato per tutta la campagna elettorale, potete ancor oggi entrare nella pagina dedicata alla manifestazione della Leopolda come se fosse una iniziativa stessa del (ex) candidato. Innegabile che la Leopolda abbia consentito al sindaco una esposizione mediatica eccezionale: durata tre giorni, è stata l’apertura di quotidiani online e cartacei, nonché dei telegiornali. Un bel credito comunicativo che è stato sfruttato a dovere, non c’è che dire. Gli altri due candidati? Uno aveva dalla sua la macchina del partito (un po’ inceppata, ad onor del vero); l’altro – Civati – non aveva proprio nulla, a parte l’operosità dei propri volontari. La Commissione di Garanzia nazionale avrebbe, pertanto, dovuto adoperarsi affinché i candidati avessero parità di trattamento e di opportunità a livello comunicativo. Sorvoliamo?

Non del tutto. Perché di mezzo, appunto, c’è il rispetto delle regole. Veniamo al famigerato Allegato E. In esso, come anticipato poche righe più sopra, sono contenute le fatture dei servizi di Comunicazione e Web, fra cui quelle relative ai pagamenti verso Proforma, la nota agenzia di Comunicazione e Marketing politico. Si tratta di tre pagamenti fatturati da Proforma al Comitato Matteo Renzi che elenco qui di seguito: fattura n. 76 del 16/10/2013 per un importo totale di 27450 iva compresa; fattura n. 100 del 13/12/2013, con importo totale pari a 9150 euro; fattura n. 82 per 1342 euro. Niente di illecito, sia chiaro. Ma, ad un occhio più attento, sorgerebbe un dubbio. Il primo documento, il n. 76 del 16 Ottobre reca nel campo descrizione la frase seguente: “Quota acconto (pari al 50% del compenso totale concordato)”. L’importo netto è di 22500 euro; ne consegue che il totale pattuito con Proforma sarebbe di 45000 euro Iva esclusa. Purtroppo i pagamenti verso Proforma, come rendicontati dal Comitato Renzi, ammontato a sole 31100 (Iva esclusa), di cui 1100 di rimborso spese. Mancano 15000 euro più Iva che (insieme all’imposta omessa) impattano sul totale speso da Renzi spingendolo ben sopra quota 250000, sforando il tetto massimo di spesa consentito dal Regolamento congressuale di 50000 euro.

Riassumendo:

  1. il Comitato Renzi ha presentato un rendiconto spese per 197000 euro circa, ma in esso non ha conteggiato l’Iva;
  2. nel Rendiconto Spese – Allegato E, mancano almeno 15000 euro di versamenti verso Proforma;
  3. non è chiaro se la somma messa a disposizione da parte della Fondazione Big Bang/Open sia stata nelle disponibilità del sindaco-segretario sin dall’inizio della campagna o se sia stata ‘trasferita’ in forma di copertura degli extracosti (considerato il budget pari alla somma raccolta con i finanziamenti volontari); non è altrettanto chiaro se tale finanziamento rientra nelle finalità della fondazione medesima;
  4. la manifestazione Leopolda è stata espunta dal rendiconto ma era parte integrante del sistema comunicativo del candidato; non esiste rendiconto pubblico di entrate/uscite della Leopolda 2013.

Avete spiegazioni in merito?

Quattordici

Quando a Settembre iniziavano a circolare i primi sondaggi sulle primarie del Partito Democratico, accanto al nome di Giuseppe Civati compariva un 5. Cinque per cento. La macchina congressuale doveva ancora mettersi in moto. E in due mesi scarsi doveva svolgersi ciò che in passato si era svolto in quattro mesi: elezioni delle segreterie, convenzioni di circolo, convenzione nazionale, campagna elettorale, primarie. Il sondaggio della IPR Marketing del 2 Settembre scorso assegnava a Renzi l’80% dei consensi. A Cuperlo il 14%. Non si poteva parlare nemmeno di polarizzazione dell’elettorato.

Dalle consultazioni di ieri, la mozione del #civoti esce con il 14%. Ed è puntualmente seconda nelle regioni del Nord, laddove il Pd fa sempre troppa fatica a raccogliere i voti. Per intenderci, le regioni rosse sono esclusivo appannaggio del neo-segretario sindaco di Firenze. Il flusso elettorale rispetto alle precedenti primarie – non quelle del 2009, bensì quelle del 2012 – è ben chiaro. Questo è un voto di riparazione. È un voto di pentimento. Ha pesato, sulla scelta dell’elettorato, la ferita del 24-25 Febbraio scorso e la convinzione che, se si fosse votato diversamente a Novembre, il risultato sarebbe stato profondamente diverso. È un voto del se.

L’elettorato del Pd è rimasto, in questo lasso di tempo, impermeabile alla politica. Poco hanno pesato i tentennamenti di Renzi sul governo Letta, i riposizionamenti di molta parte delle seconde e terze linee bersaniane, il carrismo franceschiniano. Lo choc è stato tale da fissare l’immagine della sconfitta. Avremmo potuto scegliere la rottamazione per tempo, è stato il sottotesto che in questi mesi si è insinuato nel senso collettivo circa il congresso democratico.

Questo schema è stato via di seguito rafforzato dalla prospettiva televisiva che, per dirla con le parole di Fabio Fazio, ha scelto i due candidati che essa stessa riteneva più rilevanti. Così, per conto proprio, e in maniera del tutto arbitraria, la televisione ha riflesso solo l’immagine che giudicava congrua alla narrazione dello scontro bipolare. Gli altri, che pure esistono e solo il 14%, sono una anomalia trascurabile. In tal modo, lo schermo è ancora il primo e principale strumento della conservazione.

È facile per taluni dire ora che Twitter non conta nulla. Dopo essersi posti pesantemente il dubbio di quel che stava accadendo, dopo non esser riusciti a leggere il dato di Febbraio, dopo aver arrangiato alla buona una ‘war room’ nel tentativo di contrastare la vivacità della comunicazione di Civati, adesso sentenziano l’inutilità dei social media. Posso smentire. Posso dire che i social media sono stati uno strumento essenziale nell’organizzare la campagna vis à vis. Non avranno spostato migliaia di voti, ma hanno permesso di rendere trascurabili i costi dell’interazione fra i volontari, e fra i volontari e i sostenitori. Civati ha percorso chilometri, così i referenti regionali e provinciali. I social media hanno permesso di stabilire una comunicazione politica anche localmente. È In tal modo che la mozione #civoti ha quasi triplicato il consenso iniziale. Dopotutto, ciò è successo mentre il frame della rottamazione è rimasto nell’aria, non in virtù di una strategia comunicativa, ma di un sentimento diffuso. Un sentimento molto difficile anche solo da scalfire. È la sconfitta di Febbraio ad aver indirettamente determinato questo risultato.

Grazie al #civoti una comunità politica dispersa ha ripreso a conoscersi. È ciò che chiamiamo sinistra e che non smette certo di esistere perché ha vinto Matteo Renzi, anzi. Il contributo di innovazione portato dall’iniziativa politica di Civati non deve essere disperso, deve essere invece di sprono ad uscire dall’isolamento. La sinistra esiste. Ed è ora che si manifesti, che si riprenda il proprio ruolo nella politica. Una politica fatta di cose concrete, di buona amministrazione, di passione verso il giusto. È questo a cui abbiamo lavorato, a cui anche chi scrive ha preso parte con il proprio piccolo contributo di parole. È possibile guardare alle cose non più in senso disfattista. Il nichilismo non alberga più qui. Non è tutto da distruggere e da cancellare. Abbiamo trovato un significato comune e il 14 è infine solo un numero.

#PrimariePd diretta twitter dalle 21 su @yes_political #civado

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Stasera, dalle ore 21, su questa pagina, diretta blog/twitter in conclusione delle elezioni primarie per il nuovo segretario del Pd.

Affluenza ore 18: superati 2 milioni – fonte youtrend

22.25 Renzi: l’avete presa bene, direi. Evitiamo le pagliacciate. E’ molto bello prendere la parola stasera. La prima parola è il mio grazie a tutti, grazie a Gianni Pittella; grazie Pippo Civati, chi l’avrebbe detto tre anni fa che la Leopolda sarebbe diventata maggioranza del Pd; un grazie a Gianni Cuperlo (qualche fischio, però). Se c’è una persona con cui vorrei dialogare è proprio Cuperlo. Grazie alla mia famiglia. Ai miei figli. La mia scelta di dedicare il mio tempo alla politica per loro non è semplice. E grazie ad Agnese (la moglie), lei sa perché. Grazie al mio staff, siete uno straordinario manipolo di pazzi. Partendo da zero abbiamo messo in piedi una realtà straordinaria. Hanno azzeccato tutti i dati, dai circoli alle primarie. Hanno organizzato una Leopolda straordinaria. Grazie ai cittadini, che oggi hanno dato segnale commovente.

Domenica scorsa sono andati in piazza trenta mila persone per gridare un vaffa alla politica. Oggi tre milioni hanno votato democraticamente. Perché la politica non è fare delle liste di proscrizione di giornalisti! A fidarsi oggi della politica può sembrare da folli. La classe politica non ha colto in questi anni gli umori del paese. Non c’è più alibi per nessuno.

Rispetto al compito che mi è stato affidato, riconosco che c’è tanto lavoro da fare. Non passerà ogni giorno senza lottare su ogni pallone. Sono orgoglioso di voi per ogni chilometro fatto per questa campagna. Riconosco la bellezza e la fatica di ciò che avete fatto. Oggi che abbiamo vinto gettiamo lo sguardo verso chi non ce la fa.

22.22 A breve il discorso di Renzi. Già sventolano le bandiere tricolori.

22.17 – Il discorso di Civati riassunto in questi tweet:

https://twitter.com/vasiljthespider/status/409792395442528256

https://twitter.com/vasiljthespider/status/409791301186379776

Fra pochi istanti parla Giuseppe Civati

21.49 Parla Cuperlo: se mi lasciate un po’ di spazio… rivolto alla stampa. Penso che oggi sia stata scritta pagina bella della politica italiana. Una giornata importante per il Pd e la democrazia. E’ prima ragione di orgoglio per un popolo che ha liberamente scelto. Primo ringraziamento a loro e ai migliaia si volontari. Primo pensiero a Matteo Renzi, l’ho sentito al telefono, gli ho fatto gli auguri più sinceri. Grazie anche a Pippo Civati per la battaglia che ha condotto. Se ho capito bene, quando si perde è importante fare un bel discorso e io non sono sicuro di possedere queste capacità. Da questo passaggio il popolo democratico esce più forte. Mai come adesso siamo argine al collasso del nostro sistema democratico e del nostro paese. L’attacco scomposto alla Consulta, una violenza verbale contro il Capo dello Stato, lo squadrismo populistico di un leader politico contro i giornalisti: il dramma sociale senza precedenti impone alla sinistra di recuperare credibilità alla politica. Bisogna uscire con la forza del consenso popolare da questa crisi. Di fronte all’enormità di questo tema ciascuno di noi è tenuto ad assumersi propria parte di responsabilità. Mi sono messo al servizio di una riscossa civica della sinistra italiana. Il nostro è il progetto più ambizioso del riformismo italiano. Ma non siamo riusciti a convincere gli elettori, ha prevalso un’altra impostazione e ne prendo atto. Il mio comportamento sarà leale e sincero. Quell’impianto di valori che abbiamo messo al servizio della sinistra non si esaurisce con il voto di oggi ma sarà contributo costante per il nuovo segretario. Sapevo che la strada era in salita. Mi sono candidato alla guida del mio partito e ho perso. Non avevo ami pensato di farlo, di candidarmi. La responsabilità è mia, non sono stato all’altezza. E’ mia per tutte le cravatte che ho sbagliato.

Zoggia definisce Renzi il nuovo segretario del Partito Democratico

21.42 Sta per parlare Zoggia, dati ufficiali: Cuperlo 17.7, renzi 68.4, Civati 13.9

21.16 Proziezione Quorum Renzi 65-68, Cuperlo 16-19, Civati 13-16

21.09: Pietro Raffa, staff di Renzi, su twitter – 826009 voti scrutinati, Renzi 70, Cuperlo 17, Civati 13

21.03: Dati Ufficiali, via Termometro Politico seggi 2225 su 8476, Renzi 68,4%, Cuperlo 18,2%, Civati 13,4%.

La portavoce di Renzi chiama la vittoria (in diretta su Skytg24) – non ci sarà ballottaggio in assemblea nazionale

20.44 matteorenzi.it corregge il tiro: 68%

20.32 dal sito di matteorenzi.it primi 40000 voti scrutinati, Renzi 70%, Cuperlo 18%, Civati 12% via Tg La7

L’esito dello spoglio è atteso in tarda serata. Alle 20.40 la prima proiezione di Quorum.

20.09: parla Epifani, l’affluenza ai livelli del 2009, quelle fra Bersani e Franceschini (manca sempre un terzo)

Far finta che non sia successo

Ci sono ora due rischi sulla strada delle primarie del Partito Democratico. Il primo è quello più ovvio: che i giornali e le televisioni continuino con il consueto schema della arcinota e fin troppo sfumata contrapposizione fra discendenti dei Ds e discendenti dei Popolari. Per alcuni mesi sono state scritte paginate di giornali con il racconto di questa guerriglia più o meno simulata, sono stati progettati e realizzati sondaggi che fornissero la pezza d’appoggio statistica a tale rappresentazione.

Ieri questo schema è andato in pezzi. Per certi versi sembrava impossibile, era collaudato da quasi venti anni, forse troppi. Ma eventi di siffatta portata avvengono quando improvvisamente nella telecamera entra l’anomalia. La presenza di Giuseppe Civati ha avuto questo effetto. Le sue parole, in primis – chi lo segue giornalmente le ha oramai mandate a memoria – hanno colpito per la nitidezza, per l’assenza di ombre, di retropensieri, di secondi o terzi livelli di interpretazione. No, le parole di Civati volevano dire proprio quello e null’altro. Non c’era distinzione fra la parola e la voce: esse hanno lasciato una traccia univoca, visibile a tutti, comprensibile a tutti. Per la politica italiana, intrisa com’è di ipocrisia, di Giano Bifronte, di sotterfugi e strateghi delle ombre, è un enorme passo avanti.

E l’Apparato cosa starà pensando adesso? Avrà forse preparato la sua cervellotica exit strategy, così disperata e ingegnosa insieme, sopraffina e intelligentissima: gettare a mare il proprio candidato per privilegiare la logica del voto utile, del voto da dare al solo che può contrastare l’arrivo della realtà e della parola libera al vertice del principale partito della attuale maggioranza. La strenua resistenza passa per amare ciò che è stato odiato sino a ieri l’altro. Una nemesi beffarda, passare al nemico.

Arrampicata stile libero e caso Cancellieri

A questo fanno pensare le dichiarazioni di Cuperlo e Renzi circa il caso dell’aiutino alla famiglia Ligresti. Il ‘tengo amici’ del Ministro dell’Interno pone in grande imbarazzo due dei tre (quattro..) candidati alle primarie per la segreteria del Pd.

Cuperlo, riporta oggi Repubblica.it, pur essendo favorevole alle dimissioni della Ministro, tiene a precisare il suo pensiero: “Non è in discussione la correttezza del ministro Cancellieri; quel che ho posto è un problema di opportunità politica: se esistono tutte le ragioni di serenità per adempiere appieno a una funzione particolarmente delicata come è quella del Guardasigilli”.

La posizione di Renzi è sempre la stessa da alcuni giorni: “io mi sarei dimesso”.

Forse non si sono accorti che sulla Ministro pende una mozione di sfiducia individuale proposta dal M5S. E che quindi il dilemma non è più dimissioni/non dimissioni bensì quello ben più gravoso per il Pd, il dilemma della fiducia. Non è forse il caso di riflettere bene prima di difendere a spada tratta Cancellieri? Di riunire i gruppi parlamentari e di ascoltare bene le ragioni di coloro che chiedono le dimissioni, di votare valutando accuratamente le conseguenze di tale deliberazione? Non è forse il caso di allargare lo sguardo e di accorgersi dell’opinione pubblica generale prima di limitare l’analisi a ciò che è più consono alla persistenza del governo delle Larghe Intese? Poiché non c’è scritto da alcuna parte che lo stato d’emergenza perpetuo in cui viviamo giustifichi gli abusi d’ufficio di un Ministro.

Di Battista, sei circondato

Mi spiace moltissimo ripetermi. Ritengo quella certa critica a Civati, mossa dagli ambienti pentastellati, non solo fine a sé stessa ma anche errata negli argomenti impiegati. Alessandro Di Battista è parlamentare dei 5 Stelle, uno dei fedelissimi alla linea del duo Grillo-Casaleggio. Ieri, in un post sul suo blog (che volutamente non cito) paragona Giuseppe Civati a Borghezio. Vi risparmio lo schema mediante il quale Di Battista giunge a formulare questa equazione. Ma mi vorrei soffermare sul passaggio del pezzo da lui scritto, poi ripreso – acriticamente – dagli amici de Il Post.

1) Civati è un mito. Fa finta di ribellarsi (solo la sera davanti al PC) ma vota, nel 98,1% dei casi come la Santanchè

Questa frase è lo specchio di una tendenza ormai ampiamente radicata nell’ambiente: prendere i risultati di analisi automatiche e impiegarli per una valutazione politica. Sbagliato. Sbagliatissimo. In primis perché le percentuali nascondono altre verità e vanno debitamente soppesate. Sono, troppo spesso, semplificatorie.

Ripeto l’esercizio di qualche settimana fa, quando andava di moda paragonare Civati a Capezzone. Innanzitutto guardiamo alle presenze in aula:

Presenze Assenze Missioni
Di Battista 1711 338 0
Santanché 275 1846 0
Civati 1506 615 0

in pratica, in circa l’88% delle volte in cui Di Battista sedeva in aula, era presente anche Civati, mentre non si può dire lo stesso della Santanchè (16% delle sedute di Di Battista). Si potrebbe già dire che il confronto con Santanchè è irrilevante. Santanchè ha votato allo stesso modo di Civati in 228 votazioni, ma se guardiamo ai voti chiave (come definiti dal medesimo sito e organizzazione dalla quale Di Battista ha ripreso i dati per il suo personalissimo confronto) questo numero scende a 2. Avete capito bene: 2. Il resto dei voti era relativo a mozioni, subemendamenti, emendamenti, eccetera. Normale prassi d’aula. Ed è altrettanto normale che, facendo parte entrambi della medesima maggioranza, giocoforza alcuni provvedimenti li devono aver votati insieme. Nei voti chiave, Civati ha invece votato ben 3 volte come Di Battista. Dobbiamo forse pensare che Di Battista sia passato al nemico?

Di Battista Santanché Civati
Decreto Salva Pubblica Amministrazione Astenuto Assente Assente
Norme in materia di Diffamazione Contrario Assente Favorevole
Abolizione del finanziamento pubblico diretto ai partiti Assente Assente Assente
Decreti Imu Contrario Assente Favorevole
Decreto Anti Femminicidio Assente Assente Assente
Decreto Cultura Astenuto Assente Assente
Fiducia al Governo Letta Contrario Favorevole Assente
Assestamento Bilancio 2013 Contrario Assente Favorevole
Delega Fiscale al Governo Astenuto Assente Favorevole
Contrasto Omofobia e Transfobia Assente Assente Voto segreto
Comitato parlamentare per le riforme costituzionali ed elettorali Contrario Assente Assente
Decreto del Fare Contrario Assente Favorevole
Dimissioni deputata Marta Leonori Voto segreto Assente Voto segreto
Decreto Lavoro Contrario Assente Favorevole
Decreto Svuota Carceri Assente Assente Favorevole
Modifica 416 ter, scambio elettorale politico mafioso Favorevole Assente Favorevole
Decreto ILVA Contrario Assente Favorevole
Delega al Governo per pene detentive non carcerarie Contrario Assente Assente
Decreto Emergenze Astenuto Assente Favorevole
Sospensione IMU e Rifinanziamento CIG Favorevole Assente Favorevole
Convenzione Internazionale contro la violenza nei confronti delle donne Favorevole Favorevole Favorevole
Pagamento debiti Pubblica Amministrazione Astenuto Favorevole Favorevole
Fiducia al Governo Letta Contrario Favorevole Assente

Questi 228 voti in cui Civati ha votato con Santanchè fanno parte di un pacchetto di 232 voti. Ma attenzione: sapete quante volte Di Battista e Civati hanno votato nella medesima maniera: 363. Trecentosessantatre voti (lo scrivo in lettere perché sia più chiaro). Va da sé che la base imponibile di voti espressi, in questo secondo caso, è maggiore (1162), ma è evidente che ciò sia così, dato che è più facile trovare in aula Civati-di Battista che Civati-Santanchè.

2) Tu latiti Pippo pavido! Alzati in piedi martedì in aula e fai un intervento contro l’ultima vergognosa prova dell’indecenza del sistema partitico. «Ma no, sei matto? Mi cacciano dal partito».

Parliamo di disciplina di partito? Ebbene, sappiate che il vostro eroe a 5 Stelle vota molto diligentemente secondo le indicazioni del partito. Questa caratteristica è valutata da openparlamento tramite i cosiddetti voti ribelli. Facciamo un confronto su questo? Facciamolo:

Voti ribelli
Di Battista 1 1781 0,06%
Civati 18 1506 1,20%

Civati ha votato diciotto volte contro i suoi stessi colleghi. Non è poco, soprattutto per uno che si è sobbarcato l’onere di non votare la fiducia al governo delle Larghe Intese in ben due occasioni. Si può dire lo stesso di Di Battista? Si può dire che sia un deputato che pensa e agisce solo sulla base delle proprie convinzioni personali? Dobbiamo credere che fosse d’accordo con il proprio gruppo parlamentare tutte e le 1780 volte in cui ha votato conformemente? A voi l’ardua sentenza. Credo che quei diciotto voti ribelli la dicano lunga sull’approccio di Civati rispetto alle decisioni intraprese dal proprio gruppo parlamentare.

Non commento la parte di critica relativa alla mancanza di interventi in aula di Civati sugli F35. Parlano in sua difesa, le centinaia di persone che lo ascoltano in molte parti del paese, alle manifestazioni collegate alla campagna congressuale. Tutti sanno, o hanno letto sulla mozione congressuale, quale è l’opinione di Civati in merito.

3) Uomini come Civati continuano purtroppo a dare speranza a chi crede ancora che un partito morto come il PD possa cambiare.

Sì, continua a dare speranza. Ma non è una speranza fine a sé stessa. E’ una speranza che invita ad agire. Ora. Occupare il Pd è l’invito che Civati ha rivolto a tutti coloro che sono mossi dallo schifo verso un sistema partitico (spiacente, è compreso in questa definizione anche il M5S) che è immobile, spinto solo dalla conservazione dello status quo (chi conserva la posizione di dominanza, chi quella di critica al potere). E’ un atto di civiltà, occupare il Pd. Farlo proprio per mandar via i signori della pioggia (delle tessere). Farlo diventare luogo della libera e informata discussione. Un progetto irrealizzabile? Di Battista vuol farvi intendere questo. Vuol farvi intendere che è tutto finito, che può solo peggiorare. Che non ci sarà mai fine alla corruzione e alla malapolitica. Vi invito a rifiutare questo nichilismo, questo intendimento secondo cui ci attende solo la distruzione. Ricostruire la sfera pubblica si può. Fare ciò cominciando dal Partito Democratico è l’impresa più straordinaria che possa capitarvi in tutta la vita. Reagite.

In Fondazione Carige le Larghe Intese sono finite

Flavio Repetto, il dominus di Fondazione Carige, è caduto. Uno degli ultimi Capitani d’Industria del paese, 81 anni, indomito e immarcescibile, è stato deposto dal Cda della Fondazione. Diciassette voti contrari: voti dei referenti di Claudio Scajola e di altri berlusconiani che in tal modo rientrano nella durissima partita del controllo del board di Banca Carige. Claudio Burlando, Pd, presidente di Regione, aveva già negli scorsi giorni paventato il rischio: “è una guerra fra bande”, aveva dichiarato il 16 Ottobre, attirandosi le critiche del consigliere Pdl Melgrati (“se è così, dica quale è la “banda” che capeggia lui”). Burlando non è certamente un fan di Repetto, ma era riuscito, dopo la defenestrazione del presidente Berneschi, a piazzare Cesare Castelbarco Albani, ex consigliere della medesima banca e dimissionario da fine Settembre. Castelbarco Albani, un uomo, come da tradizione, avente cariche in circa dodici fra società e aziende:

Ebbene, Castelbarco Albani aveva dichiarato, all’atto della sua nomina, che se Repetto fosse stato sfiduciato, avrebbe lasciato testé la presidenza, causando una empasse che farebbe precipitare l’Istituto nel gorgo del commissariamento. A distanza di quasi 24 ore, Castelbarco Albani non ha lasciato dichiarazioni. Neppure Burlando ha osato prender parola. Il dado è tratto e le Larghe Intese, nel Cda della Fondazione, possono dirsi definitivamente archiviate.

Gli esponenti del Pd locale sono evidentemente in disarmo. Burlando ha visto soddisfatta però la sua richiesta della nomina del nuovo Ad di Banca Carige prima della sfiducia a Repetto. Lui è Petro Montani, ex Bpm. Montani è considerato un ‘risanatore’, ben visto dalla Vigilanza di Bankitalia, proposto dal presidente Cesare Castelbarco Albani (e, si immagina, con il favore del presidente di Regione). Ma il fronte si è subito spostato sulla Fondazione.

L’attacco dei prodi di Sciaboletta e della finanza in porpora (Bagnasco) spinge la fase della ridefinizione degli assetti in Carige verso destra. In pista per la successione di Repetto, vi è tal Pierluigi Vignai, attuale vicepresidente della Fondazione, ex candidato sindaco della città di Genova per il Pdl. E’ etichettato come ‘indipendente di centrodestra’, ma ha avuto la tessera del Pdl fino a tutto il 2011. E’ un ex democristiano, aspetto che non si cancella mai dalle biografie. Come candidato sindaco, era espressione sia dell’ala scajolana sia dell’ala cattolica facente riferimento al cardinale Bagnasco. Il suo nome è quindi il suggello finale alla ‘guerra fra bande’ evocata da Burlando. Vignai è altresì soprannominato “l’uomo che sussurra ai Cardinali”. Questo aneddoto forse rende la misura esatta di quanto la figura di Bagnasco sia esposta in questa vicenda. Un cardinale che interviene un po’ troppo spesso per commentare le vicende di un istituto bancario. Come tre giorni fa, prima di questo passaggio di nomine e sfiducie, Bagnasco si espresse in questi termini:

La Carige è una istituzione fondamentale, importante, genovese. Tutti vogliamo che mantenga questa connotazione, questa origine, questa fidelità […] ha detto il cardinale, sottolineando l’importanza della “missione di Carige”[…] Una istituzione – ha detto – che deve mantenere la sua connotazione senza rinchiudersi nella regionalità o nella città, però rimanendo ben ancorata non soltanto come sedi o occupazione, ma anche come missione (Carige, Bagnasco: «Auspichiamo resti genovese» | Liguria | economia | Il Secolo XIX).

Il giorno dopo a rispondergli è il Giovane Turco (dalemiano) Andrea Orlando: “Il localismo non ha portato buoni risultati. Io non sono un mercatista, ma il mercato si incarica sempre di dare risposte. Se questo modello fosse stato efficiente probabilmente non saremmo a fare le discussioni di questi giorni [..] è un sistema bancario fortemente anchilosato, legato a una dimensione quasi esclusivamente pubblica, a un sistema nel quale è venuto meno qualsiasi tipo di governo. Da un lato si è andati verso un gigantismo che spesso ha sradicato le strutture dal territorio mettendo in difficoltà le imprese. Dall’altro ci sono stati anche fenomeni di localismi e di chiusura che in nome della territorialità non hanno saputo cogliere i cambiamenti” (Carige, «Il localismo non ha portato buoni risultati» | Liguria | economia | Il Secolo XIX).

Non una parola, non una sul rapporto abusato dei partiti politici con le Fondazioni Bancarie.

Imparare tutto daccapo

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Ti avvicini all’uomo tatuato che sta caricando i sacchi di pane. Lui smette di lavorare perguardarti. C’è qualcosa che non va nel modo in cui muovi le gambe. Ti chiedi se ti stia ancorascendendo il sangue dal naso.
«Pane.» Così gli dici, anche se avevi intenzione di dire qualcosa di più.
«Come hai fatto a indovinare?» dice lui. E’ un uomo che ha servito il suo paese, pensi, un uomo conuna famiglia da qualche parte fuori città.
«Potrei averne un po’? Un panino o qualcosa del genere?»
«Squagliati.»
«In cambio dei miei occhiali da sole,» dici tu. Te li togli e glieli porgi.
«Ray-Ban. Ho perso la custodia.» Lui se li prova, scuote un paio di volte la testa, poi se li toglie.
Li ripiega e se li mette nel taschino della camicia.
«Sei pazzo,» dice. Poi lancia un’occhiata dentro il magazzino. Prende un sacco di panini e te logetta ai piedi.
Ti inginocchi e apri il sacco con uno strappo. Il profumo del pane fresco ti avvolge tutto. Il primo boccone ti si ferma in gola e ti fa quasi vomitare. Dovrai cercare di andar piano. Dovrai imparare tutto daccapo.

Jay McInerney, Le Mille Luci di New York, Bompiani).

Splendida metafora, io credo, di quel che dovrebbe accaderci dopo venti anni di sbornia berlusconiana. A noi comunità politica e al Partito Democratico.

Civati il parresiastes, o della rivincita sul Konduttore

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Durante la #direttacivati, ieri sera, molti di noi, molti di quelli che agivano su twitter per raccontare in 140 caratteri la partecipazione di Giuseppe Civati a Ballarò, fatto più unico che raro, hanno scritto che guardare un talk-show tutto intero per sole tre domande fosse una fregatura, o una seccatura almeno. Cose così, buttate giù di pancia.

Devo ammettere di esser stato fra quelli che hanno istintivamente pensato che Civati fosse un pesce fuor d’acqua in quella circostanza, come spesso gli capita quando si trova in trasmissioni tv in cui la regola è non far capire nulla a chi sta a casa. La critica, ovvia e automatica, è stata più o meno questa: un leader deve sapere impiegare questi mezzi di comunicazione. Deve saper parlare in tv, come parlare alla radio, come stare sui social network, e via discorrendo. Un leader politico è oggi soprattutto un personaggio televisivo; ha cioè un suo carattere, una sua figura televisiva. Parla la lingua della televisione. E’, di fatto, un campione della mimesis del piccolo schermo. Non necessariamente il suo personaggio è autentico. Nella televisione questo non importa: si è finché si rimane in onda, fuori dallo schermo si è qualcos’altro.

Dal post moderno in poi, con la nascita della società dello spettacolo, è tornato in auge il personalismo. Il personalismo è quel fenomeno che fa sì che non sia tanto un’idea o un concetto o una visione di vita ad emozionare il pubblico e gli elettori, quanto il personaggio che veicola tali contenuti (Barbara Collevecchio, il Fatto Q).

Ora per chi pretende di cambiare il paese iniziando da un partito, cosa che qualifica Civati come ‘folle’ bastian contrario (i partiti sono m..da, dice il Capo Comico, facendosi interprete del comune sentire in virtù del suo carisma), si impone la necessità di rompere il campo dell’avanspettacolo politico portando la scomodità della verità addosso. Chi fa ciò non è meno leader di chi si pavoneggia bene davanti al Konduttore, abile maître della retorica da talk show. Il konduttore non sa che farsene di un parresiastes. La banalità del reale in tv non funziona. Il parresiastes ha il coraggio di dire la verità a discapito di sé stesso: non va incontro all’opinione pubblica, ma la conduce verso il vero (l’esatto opposto del leader populista, che invece guida la propria mimesis in virtù dell’opinione generale). Se in una discussione politica, un oratore rischia di perdere la sua popolarità perché la sua opinione è contraria a quella della maggioranza, egli sta usando la parresia. Il leader televisivo, invece, cerca di accrescere la propria popolarità, cavalca l’onda del sentimento, fa vivere al telespettatore l’esperienza della condivisione d’intenti che è effimera poiché dipendente dallo schermo.

Dopo venti anni di berlusconismo, non abbiamo bisogno di palcoscenici, né di teatri di posa, né di studi televisivi. Il leader è tale poiché si fa carico del cambiamento, perché mette sé stesso, la propria carne, la propria voce al servizio di un movimento fatto di persone oramai disilluse. L’incantesimo è finito. E allora, restare in silenzio aspettando che il konduttore ti dia la parola, non è sinonimo di sconfitta bensì di alterità. Perché se anche Landini alza la voce per togliere la battuta all’avversario politico, allora dobbiamo renderci conto che qualcosa non funziona più in noi. Se riteniamo che questo sia il modo giusto, se lo riteniamo vincente, scopriamo inorriditi di essere definitivamente cambiati, in questi venti anni.

Ecco, il leader è timido poiché timida è la verità. Aiutarla a tornare protagonista della nostra vita politica non è solo un’opportunità, è un dovere civile. Per poi alzarsi da quelle poltrone e dire al konduttore, quasi con un piede fuori: no, non è con me che stai parlando.

Oppure

Oppure possono provare ad ascoltare quel «segnale» che questa volta proviene da una parte del Pd che si candida a cambiare la sua politica, a ricostruire il centrosinistra, a riprendere l’alleanza elettorale che è saltata ad aprile, a considerare finalmente come protagonisti «quelli che si muovono», in questo Paese, e che fanno politica fuori dal Palazzo e dalle sue logiche. Senza ambiguità, senza retropensieri, senza alcuna opacità.

Il segnale, insomma, che diamo noi, in previsione delle primarie dell’8 dicembre, risalendo la storia delle delusioni del Pd e del centrosinistra per dare un nuovo corso a tutto quanto. Che poi era quello per cui avevamo votato a febbraio, e il senso di quel segnale, non è così?

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D’altronde, aggiungo io, inutile insistere a dire che mai il Pd potrà cambiare se non si è mai – mai! – provato a cambiarlo. E si comincia direttamente così, saltando a piè pari al centro di una scena che vede i soliti protagonisti da molti troppi anni. Chi vi dice che non c’è speranza, vi dice di andar via, di abbandonare la politica, vi dice “non tentare neanche di capirla” (che già ci sono loro e voi non siete in grado). L’esatto contrario di quel che serve. Poiché serve esserci. Fisicamente. Entrare in quelle stanze (i circoli, i congressi, le assemblee) ormai vuote o semi-vuote. Pretendere di contare in un meccanismo decisionale che non contempla non solo più la diversità d’opinione, ma persino averla espressa. E in fondo a tutto, il più grande moto di ribellione civile che potremmo esercitare, oggi, non domani, non in un futuro où tòpos (utopico, e perciò senza luogo, senza spazio qui sulla Terra).