Alessandria, a processo il sindaco del Default

E’ il primo Comune italiano a fare Default dopo la riforma “tremontiana” della normativa che ha messo i bilanci degli enti locali sotto il controllo della Corte dei Conti. Alessandria, capoluogo piemontese ricco ma discreto, mette a processo il suo ex sindaco, Piercarlo Fabbio (PdL, ora capo dell’opposizione di centro-destra dopo la vittoria della candidata del PD, Rita Rossa, lo scorso Maggio), il suo ex assessore alle Finanze, Luciano Vandone (soprannominato “Svendone” per aver dilapidato, svendendolo, il patrimonio comunale tramite due società partecipate) e il ragioniere capo Carlo Alberto Ravazzano, già arrestato lo scorso Dicembre con l’accusa di falso in bilancio, abuso d’ufficio e truffa ai danni dello Stato, gli stessi capi d’accusa che sono valsi ai tre il rinvio a giudizio. La prima udienza si terrà il 21 Novembre. Su di essi grava la relazione della Corte dei Conti che ha certificato la falsità del bilancio 2010 e le pesanti, ripetute irregolarità sui documenti di spesa relativi al 2011. Una azione scientifica e reiterata, volta a truccare sistematicamente i conti. “Il bilancio 2010 è palesemente falso”, ha detto il pm Ghio in tribunale, davanti al Gup Bertolotti.

In realtà il dissesto è iniziato dal 2007. Da quell’anno si sono ripetuti disavanzi di amministrazione in pratica per ogni anno successivo, sino al 2011. L’amministrazione era però vincolata al patto di stabilità interno: così, anziché tagliare le spese, ha truccato i conti. Ha finanziato la spesa corrente con i prestiti delle banche; ha impiegato in maniera “cronica” e non più eccezionale come dovrebbe essere, l’anticipazione di tesoreria. Nonostante questo, il governo Fabbio ha avuto le seguenti prestazioni:

Anno 2007: Disavanzo di amministrazione – 4.524.210

Anno 2008: Disavanzo di amministrazione  -2.399.828

Anno 2009: Disavanzo di amministrazione  -6.156.740

Anno 2010: Disavanzo di amministrazione -10.095.361

(Documento Corte dei Conti, 21 Marzo 2012).

Mentre tutto andava in malora, lui, Fabbio, il sindaco del fare, decideva di decorare la città con 100.000 rose dalla Moldavia. Si racconta che le rose quest’anno siano fiorite come non mai, gli spartitraffico erano colorati e vivaci ad Alessandria, città della bruma e delle stoppie di grano. Alessandria che non è abituata ai colori.

Ripercorrete la storia del default del Comune di Alessandria:

1 – Il Comune di Alessandria è fallito.

2 – Amministrative 2012: Alessandria, un comune diviso fra bilanci in rosso e ‘ndrine 

3 – Io, tu e le rose

Amministrative 2012: Alessandria, un comune diviso fra bilanci in rosso e ‘ndrine

Le amministrative 2012 saranno forse ricordate per il caos partitico: sia a sinistra che a destra la dipartita di Berlusconi ha innescato fenomeni centripeti tali per cui ci sono comuni che vedranno al primo turno una lista di candidati sindaco lunghissima. Un fatto che non si ricordava da tempo. Il vaso di Pandora della politica si è rotto e da esso fluiscono come veleni personaggi fra i più disparati e impresentabili. Prendete per esempio il comune di Alessandria, 95000 abitanti. Il sindaco Piercarlo Fabbio è del PdL e vinse le elezioni nel lontano 2007 contro l’odiato sindaco di sinistra, Mara Scagni. Fabbio era alla testa di una coalizione partitica che fotocopiava l’assetto del centrodestra nazionale: duopolio PdL-Lega con alleanza a destra (‘La destra’ – ex scissionisti di An). Oggi Fabbio si ripresenta alle urne senza più un simbolo di partito, sostituito da un cuoricino (sì, sui manifesti elettorali, condito di gergo giovanilistico del genere “I love AL”), ma soprattutto perde l’appoggio leghista e in ultima istanza anche la faccia.

1. Il bilancio comunale in rosso, l’inchiesta per truffa e il pressing della Corte dei Conti.

Parliamoci chiaro, il comune di Alessandria è stato ad un passo dal commissariamento. Fabbio si è salvato solo grazie all’inerzia leghista. Il partito di Bossi non ha ‘staccato la spina’ ma avrebbe potuto farlo e consegnare il sindaco al giudizio della Corte dei Conti. I bilanci comunale del 2010 e del 2011 presentano delle criticità. A novembre 2011 la situazione era talmente grave che era in dubbio anche il rispetto del patto di stabilità. I punti decisamente irregolari richiamati dall’organo di controllo, aspetti che ‘denotano una situazione di criticità’, erano almeno diciassette. Tra le misure richieste, la riapprovazione del rendiconto relativo all’esercizio 2010 e la modifica del bilancio di previsione 2011. Nel mirino della Corte sono finite anche le aziende partecipate per la presenza di ‘dubbi sulla effettiva contabilizzazione integrale dei debiti’, come emerge dalle scritture contabili, superiori a 42 milioni al 31 dicembre 2010. A dicembre 2011 la situazione si aggrava poiché la Corte giunge ad ipotizzare il ‘dolo’ e la ‘colpa grave’ nei confronti di sindaco, assessore al Bilancio, ragioniere capo, altri assessori e consiglieri comunali.

Luciano Vandone, l’artefice dell’intera operazione, una sorta di ‘deus ex machina’. Per la Procura Vandone avrebbe agito con dolo. Da lui sarebbero partite disposizioni agli uffici con l’intento di alterare, attraverso ripetute gravi violazioni, norme e principi contabili del Tuel e le risultanze contabili di amministrazione del Rendiconto per l’esercizio 2010. Il fine era quello di assicurare apparentemente il rispetto degli obiettivi fissati dal patto di Stabilità Interno. Un atteggiamento analogo sarebbe stato messo in atto anche in occasione della compilazione dei rendiconti consuntivi per gli esercizi 2008 e 2009 (Radio Gold).

2. Il ‘caso Ravazzano’.

Ciò che più sconcerta è la vicenda del ragioniere capo del comune, nominato dall’assessore Vandone, Carlo Alberto Ravazzano. Ravazzano, secondo la Corte dei Conti, sarebbe stato nominato ad arte da Vandone: “con il suo contributo [Ravazzano] a titolo doloso avrebbe prestato il proprio avallo all’intera operazione di alterazione dei risultati di gestione 2010. Una sorta di braccio operativo dell’assessore Vandone. Il suo intervento avrebbe garantito il rispetto degli obiettivi del Patto di Stabilità Interno per il 2010, sulla base di dati di bilancio falsi” (Radio Gold, cit.). Attenzione perché il sindaco Fabbio in tutto questo cattivo affare non è immune da accuse. Anzi, la Corte dei Conti non si è limitata a definire gli aspetti irregolari del bilancio ma ha individuato nella catena di comando l’intenzione deliberata di creare dei falsi. E il sindaco sarebbe stato la regia di tutta l’operazione. Responsabilità minori sono state ravvisate nei confronti dei membri della giunta, nonché dei consiglieri comunali, i quali avrebbero avallato i bilanci previsionali e i rendiconti finali senza il necessario controllo.

Non serve spiegare che successivamente la Corte dei Conti abbia bocciato anche gli interventi correttivi sui bilanci come sono stati decisi dalla giunta nei mesi di Gennaio e Febbraio 2012. I ‘residui passivi’ relativi al 2010 ammontano a quasi 7 milioni di euro, che fanno sprofondare il bilancio comunale nel 2010 a – 3.019.115,26. La risposta ultima del sindaco e della giunta è stata quella di affidare la soluzione del caso a degli esperti, la cui consulenza costerà almeno 12000 euro.

Intanto la Procura di Alessandria ha aperto un fascicolo nei confronti dei tre per i reati di di truffa aggravata, ipotesi di falso e abuso d’ufficio. Poco prima di Natale 2011, Ravazzano veniva anche sottoposto a carcerazione preventiva per la possibilità di reiterazione del reato e inquinamento delle prove. La città scopriva in quei giorni di essere governata da una banda di truffatori. Il teatro degli orrori non finisce qui: Ravazzano, una volta revocata la carcerazione preventiva, è stato prontamente reintegrato nell’organico comunale in un’altra funzione con un decreto a firma del sindaco. Un atto politico di ostilità nei confronti degli organi giudiziari ai confini con la sovversione. Ravazzano assumerà l’incarico di Direttore organizzativo di Base dell’Area Servizi alla Città, alla Persona e Sicurezza. Il sindaco Fabbio ha così deciso poiché l’ente in questione avrebbe inderogabili “esigenze gestionali e funzionali dell’Ente relative agli adempimenti per le prossime consultazioni elettorali” (Radio Gold).

3. L’esplosione dei partiti

La conseguenza di questo sfacelo, dei trucchi e del falso in bilancio è stata l’esplosione dei partiti e delle coalizioni. Complice anche l’avvento del governo tecnico a livello nazionale, Alessandria ha esperito, sia a destra che a sinistra, un fenomeno di disgregazione delle classiche coalizioni del periodo del bipolarismo. Da un lato vi è la Lega Nord che andrà al voto con un proprio candidato, fatto che evidentemente si spiega con la speranza di sottrarsi alla debacle collettiva di un centrodestra che ha salvato Fabbio da una giusta defenestrazione. Dall’altro, il centrosinistra si presenta altrettanto diviso: non si aggrega al centro – storicamente il comune di Alessandria ha una vocazione social-democratica, così anche nel PD a prevalere è la componente ex DS – e sembra ritenere impossibile da replicare a livello locale la ‘foto di Vasto’. Il PD ha indetto le primarie di coalizione, ma i candidati erano solo suoi: Rita Rossa, attuale assessore provinciale alla Cultura, e Mauro Buzzi, anch’esso PD però dell’area Prossima Italia (Civati). Rita Rossa, manco a dirlo, ha vinto con l’83% dei voti. E poi non dite che il PD non vince le primarie! Tuue le formazioni partitiche che non hanno accettato di allearsi con il PD hanno avuto buon gioco a bollare la consultazione come una farsa. L’Italia dei Valori ha deciso di andare al voto da sola. L’ex sindaco del PDS, Mara Scagni, si è appena dimessa dal PD e molto probabilmente si presenterà alle urne alla testa di una lista civica. Dulcis in fundo, anche il Movimento 5 Stelle è riuscito a trovare un candidato da proporre come sindaco. In totale, fra PD, IDV, Udc, Api, M5S e quanto’altro, i candidati sindaco – al primo turno – saranno dodici.

4. L’infiltrazione ‘ndranghetista

Come nel resto del Nordovest, anche ad Alessandria l’ndrangheta ha messo radici e coltivato interessi, stabilito relazioni, influenzato decisioni pubbliche. Il velo omertoso che la politica si è guardata bene dal sollevare, è stato squarciato dai magistrati della Procura di Genova con l’operazione Maglio 3. Una recente trasmissione televisiva (Presa Diretta, di Riccardo Iacona) ha raccontato bene la storia dell’ndrangheta ad Alessandria. Poiché se a Genova l’organizzazione teneva la propria base operativa, ad Alessandria era riuscita a scalare la piramide sociale e ad inserire uno dei suoi dritto in consiglio comunale. Si tratta di Giuseppe Caridi, consigliere comunale del Pdl di Alessandria. Il caso ‘Caridi’ scoppia a Novembre 2011 quando l’uomo viene arrestato con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa in seguito all’inchiesta della Procura Antimafia di Torino. Insieme a lui vengono arrestati altri sei alessandrini ritenuti affiliati alla ‘Ndrangheta. Si tratta di Bruno Pronestì di Bosco Marengo, ritenuto il boss, e il genero, Francesco Guerrisi, Domenico Persico di Sale, Romeo Rea di Spinetta e Sergio Romeo di Pozzolo. Caridi era diventato presidente della Commissione Territorio del Comune di Alessandria e da quella posizione poteva influenzare le decisioni relative al piano regolatore e alle concessioni edilizie.

Non c’è bisogno di spiegare che l’arresto del consigliere comunale Caridi, concatenato alla vicenda della truffa sul bilancio comunale e all’arresto del ragioniere capo Ravazzano, fossero ragioni sufficienti per chiedere ad un sindaco di dimettersi o perlomeno di non ricandidarsi. Non è questo il caso di Piercarlo Fabbio. Lui, indomito, si riconsegna alla cittadinanza con l’immagine di un sindaco che tappa i buchi delle strade con l’asfalto e chiude i buchi di bilancio con il falso. Un caso che addirittura sconfina nel pietoso.

Fra inni e toponomastica creativa, il sindaco di Alessandria porta l’Acqua pubblica in Borsa.

L'idea di Fabbio: quotare l'acqua in Borsa.

Ha scatenato un putiferio di critiche, il sindaco di Alessandria, Piercarlo Fabbio, PdL. Prima per la decisione dell’ufficio toponomastica del comune di intitolare una via a Bettino Craxi, e per la par condicio, un corso a Girogio Almirante, della quale lui se ne è lavato le mani:

  • Il sindaco Fabbio risponde alle critiche per le intitolazioni a Craxi e Almirante

    • il sindaco di Alessandria Piercarlo Fabbio si svincola dalle critiche che lo hanno interessato negli ultimi giorni in seguito all’intitolazione di una via a Bettino Craxi e di un largo a Giorgio Almirante
    • Il primo cittadino ribadisce di non essere competente della materia in questa fase dell’iter e che si esprimerà quando la proposta di intitolazione passerà nelle sue mani, a capo della Giunta. Fabbio non nasconde poi che il suo potere discrezionale sarà fortemente limitato dal fatto che la Commissione Toponomastica abbia deciso a larga maggioranza

Poi si è inventato cantautore ed ha scritto ed interpretato una sorta di inno (un po’ démodé) dedicato alla città, su musiche opera di un dipendente del comune. Tutto ciò ha suscitato una ridda di critiche, di ilarità, spesso legata alla sua prestazione canora poco intonata. Ma l’allegro sindaco ha preso un’altra stecca, ben più grave, passata sotto silenzio:

    • Fabbio: “per Alessandria un 2010 impegnativo, ma ricco di progetti”:
      In tema di Aziende Partecipate, il sindaco annuncia anche la prossima quotazione in Borsa del Gruppo Amag. “La legge ci impone di cedere almeno il 40% delle nostre partecipazioni aziendali, ma per Amag sarebbe da stolti, perché è una realtà efficiente e in forte attivo – prosegue Fabbio. Stiamo quindi studiando la possibilità di quotare in Borsa il 25% del Gruppo, che attualmente è valutato nel suo complesso circa 100 milioni di euro”

Amag è l’azienda multiservizi acqua e gas del comune. La Multiutility di casa. Cosa ne farà il sindaco di questo importante settore? Non venderà ai privati, no. Lo quoterà in Borsa. Azioni della Multiutility alessandrina verranno collocate in Borsa per la quota del 25%. Questo per ripianare il debito comunale che le altre aziende di servizi hanno accumulato. In barba al diritto del cittadino di avere a disposizione acqua potabile a tariffe accessibili. La collocazione in Borsa è di fatto un “giro di carte”: si svuota l’azienda del suo profitto, azzerandone gli investimenti, per dirottare il surplus all’interno del bilancio comunale. E’ il modello della multiutility semipubblica, che ha però ancora rilevanti aspetti da prendere in esame, dei quali i consigli comunali dovrebbero discutere e i cittadini dovrebbero preoccuparsene, più che essere distratti da inni e da titolazioni di vie. Poiché “i comuni sono azionisti (detengono la proprietà) e, allo stesso tempo, attraverso l’assegnazione del servizio ‘in house’ (che l’Europa giustamente ci contesta), affidano il servizio pubblico alla società di cui sono proprietari (quindi a se stessi), senza gara d’appalto. Inoltre controllano (o dovrebbero farlo) l’operato delle multiutilities (di cui sono proprietari)”.

  • Alcune linee di indirizzo necessarie affinché il servizio fondamentale non sia messo in pregiudizio:
    • istituire una Autorità indipendente di tutela dei consumatori
    • intervento regolatore regionale in materia tariffaria con maggiori capacità di verifica
    • obiettivi vincolanti legati agli aspetti ambientali anche con meccanismi di premialità
    • tutte le reti e gli impianti devono essere e restare di proprietà pubblica
    • proprietà di tutti gli approvvigionamenti
    • le strategie industriali dell’impresa vanno confrontate con orizzonti temporali a medio e lungo termine non con le trimestrali di Borsa, sempre orientate al brevissimo periodo
    • le strutture organizzative devono essere rese più leggere, senza inutili e costose bardature politiche e con poteri e responsabilità limpide e verificabili pubblicamente
    • non possiamo eludere il tema dei comuni proprietari, controllori e controllati (fonte: Multiutilities | Nelle tue mani)

Con tutte le riserve che si posono avere su questo tipo di operazioni, le Multiutilities sono la manna dal cielo per i comuni italiani. E naturalmente il settore idrico è quello che è maggiormente appetibile dagli operatori privati: con investimenti nulli,  e grazie anche al mancato controllo sulle tariffe, permette di realizzare profitti con la rete di distribuzione di proprietà altrui. Un vero affare:

    • il processo di privatizzazione del servizio idrico è iniziato da metà degli anni 90. Attraverso diversi provvedimenti legislativi si è andata affermando la gestione privata
    • diverse conseguenze sui cittadini, in primis c’è stato un aumento costante negli anni delle tariffe perché, oltre ai costi di gestione, il soggetto privato deve prevedere all’interno della tariffa, così come dice la legge, un profitto che noi come cittadini e utenti paghiamo al gestore
    • all’inizio degli anni 90, gli investimenti annui erano pari a circa 2 miliardi di euro l’anno, oggi si registrano investimenti pari a circa 700 milioni di euro l’anno
    • da una parte un innalzamento delle tariffe per garantire il profitto ai soggetti e ai gestori privati e dall’altra una diminuzione degli investimenti e anche della qualità del servizio
    • se io sono un soggetto privato e devo gestire un servizio, e quindi anche distribuire una risorsa, l’obiettivo che mi pongo sarà quello di aumentare la quantità di prodotto che vendo anno dopo anno, tant’è vero che in Italia i “piani di ambito” che sono i piani attraverso i quali si gestisce la risorsa idrica, prevedono nei prossimi anni un aumento dei consumi pari al 18% circa
    • i gestori privati prevedono un aumento di quella che è la vendita del proprio prodotto
    • i cittadini possono promuovere delle raccolte firme all’interno del territorio della propria Provincia e comune, per stimolare il Consiglio Comunale o il Consiglio Provinciale a approvare delle deliberazioni che modifichino lo Statuto comunale tramite l’inserite del riconoscimento del diritto umano all’acqua e tramite l’inserimento del riconoscimento del servizio idrico come servizio pubblico – locale privo di rilevanza economica