La fabbrica dei gruppi parlamentari

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La prossima legislatura si annuncia come la più fertile in fatto di numerosità dei gruppi parlamentari. I cartelli elettorali che si presentano all’opinione pubblica come elementi unitari, addirittura in alcuni casi come nuovi alla politica, più che altro espressione della società civile e non della cosiddetta casta, sono dei meri riassemblaggi di micro-partiti personali e partiti reduci delle esperienze di centrodestra o di centrosinistra opportunamente ‘diluiti’. Rientrano in questa categoria sia Rivoluzione Civile di Ingroia, sia Scelta Civica di Mario Monti. Lo stesso PdL, per poter vincere nelle regioni chiave e imporre la legge del pareggio al Senato, sta imbarcando nelle proprie liste soggetti appartenenti a partiti di espressione locale nonché prettamente personalistici, come MPA di Lombardo o Grande Sud di Miccichè. Un altro fattore di instabilità nella formazione dei gruppi parlamentari lo potrebbe portare il Movimrnto 5 Stelle e la sua assenza di struttura e di organizzazione; gli editti del leader carismatico, qualora egli perseguiti a dettare una linea politica oramai pienamente destrorsa (e come collocare altrimenti le recenti dichiarazioni sul destino dei sindacati?), potrebbero aver l’effetto di ingrossare le file del Gruppo Misto o magari di facilitare la riorganizzazione dei fuoriusciti intorno alla persona di Giovanni Favia, forse eleggibile alla Camera. Ma procediamo con ordine.

1. L’impalpabilità dell’Agenda Monti

Basta osservare come il Professore è stato costretto a strutturare le liste elettorali di Scelta Civica per comprendere come i partiti dell’UDC e di FLI riusciranno egregiamente a sopravvivere all’ultima Legislatura e a regalarsi una nuova veste, addirittura – ed è il caso dell’UDC – a divenire terza gamba della maggioranza sghemba di Bersani e a strappare qualche sottosegretariato se non qualche ministero (dall’alto del suo 4%). Il CISE, il centro studi elettorali della LUISS, ha esaminato le liste di Scelta Civica nelle posizioni eleggibili e ha scoperto che i candidati scelti direttamente da Mario Monti non sono più di undici alla Camera e soltanto tre al Senato. Potremmo individuare in 22 deputati la pattuglia di fedelissimi del senatore (gli undici di cui sopra più il movimento ‘Terza Repubblica’ di Riccardi). Italia Futura, che non è un partito ma una fondazione, otterrebbe ben 21 deputati, mentre UDC e FLI, alla Camera, correranno con proprie liste, seppur in coalizione con il Professore. Per cui, ci si aspetterebbe di avere un gruppo parlamentare ‘Scelta Civica’, a sua volta suddiviso in montiani e riccardiani, un altro afferente a Montezemolo, Italia Futura, a cui vanno sommati gli eventuali gruppi parlamentari di UDC e FLI (il partito di Fini però rischia di non superare la soglia di sbarramento). Al Senato, il gruppo montiano è in inferiorità numerica, dovendo fare spazio ai candidati di UDC, FLI e Italia Futura. Montiani e riccardiani conterebbero di soli otto senatori, contro i sicuri 7 di UDC, eventualmente opzionabili a 9-10 grazie alle doppie candidature di Pierferdinando Casini, ai 3 di FLI, ai 5 di Italia Futura. Insomma, il famoso centrino diventerebbe ben presto una costellazione di partitini, chiaramente tutti degni di rimborso elettorale, anche in virtù dell’assenza di qualsiasi accordo politico post-elettorale. L’adesione al contenuto dell’Agenda Monti non è garanzia di nulla: all’indomani del voto. UDC, FLI e Italia Futura potrebbero volgere le spalle a Monti, avendo ottenuto ciò che cercavano, l’elezione. D’altro canto, Monti medesimo potrebbe consegnare i propri fedelissimi, in una sorta di scambio politico-numerico, della serie ‘ti consento di governare al Senato a patto che tu assumi l’Agenda o parte di essa come tuo programma di governo’, messaggio che il PD e Bersani sembrano aver recepito come dimostrerebbe la retromarcia sulla patrimoniale.

2. Rivoluzione Civile che delusione

Antonio Ingroia aveva condizionato la sua ‘ascesa’ al campo solo in conseguenza di un dietrofront dei partiti. voleva, l’ex pm di Palermo, organizzare la ‘riscossa’ della società civile. Ma l’operazione Ingroia è sembrata a molti come la mossa estrema di Di Pietro per far proseguire la vita a Italia dei Valori. Di Pietro ha lavorato dietro le quinte, chiamando a sé chi nel 2008 aveva contribuito ad escludere dal Parlamento (ricordate Veltroni che scelse Tonino e tagliò fuori dall’alleanza i residui della Sinistra Arcobaleno di Bertinotti?), ovvero i Verdi e la Federazione della Sinistra, a sua volta un aggregato dei micro partiti di Rifondazione comunista e Comunisti Italiani, risultati di vecchie scissioni della sinistra ‘antagonista’ ai tempi del primo governo Prodi.

Il progetto di Ingroia è stato duramente ridimensionato. Le liste sono rinfoltite dall’IDV romano, dalla sorella di Stefano Cucchi, Ilaria, che è ricollegabile al senatore Pedica, dai movimentisti viola, in primis Gianfranco Mascia, dal giornalista dell’Espresso e blogger Giglioli, anima della contestazione a Berlusconi nel 2009-2010. Ma ha dovuto pescare anche nell’IDV malato, quello dei Mariuccio, dei capibastone locali, e la cosa a quanto pare non è piaciuta. Se non lo avesse fatto, Ingroia avrebbe detto addio alla possibilità di ottenere qualche senatore. Senza gli impresentabilit dell’IDV in Campania o Molise niente superamento della soglia di sbarramento dell’8%. Che fare? La battaglia per le candidature è stata qualcosa di osceno: Di Pietro avrebbe fatto saltare Agnoletto in Lombardia. Salvatore Borsellino ha parlato chiaramente di lottizzazione partitica delle liste di Ingroia. Lo ha fatto anche in diretta televisiva durante il programma di Lucia Annunziata, giovedì scorso, lasciando Ingroia esterrefatto:

“Voterei Ingroia ad occhi chiusi, ma sto vedendo vecchi politici riciclarsi nelle sue liste e le mie agende rosse vengono penalizzate […] Dopo aver voluto il mio appoggio e la designazione dei ragazzi delle agende rosse per la candidatura con Rivolzione Civile ho visto i loro nomi finire in fondo alle liste senza possibilità di continuare la nostra lotta in Parlamento […] Non mi sono chiari i criteri con cui vengono stilate le liste. Temo che alcuni vecchi politici le stiano usando come paravento per ripresentarsi alle elezioni dopo che i loro partiti hanno perso di credibilità (Salvatore Borsellino, fanpage).

Prima di lui, hanno tolto l’appoggio a Ingroia sia il politologo Marco Revelli che l’ex magistrato Livio Pepino di ‘Cambiare si può’:

Ingroia ha due problemi di fronte, il primo è il rapporto con l’altra branca del movimento arancione, il gruppo di “Cambiare si può” dell’ex magistrato Livio Pepino, del sociologo Marco Revelli e del profesor Paul Ginsborg. Il movimento si è spaccato sulla scelta dell’alleanza con Idv, Rifondazione, Verdi e Pdci. I partiti non presentano simboli, l’unico è quello di Rivoluzione civile, ma candidano i segretari e dirigenti. “Cambiare si può” ha sottoposto a referendum la scelta lo scorso 31 dicembre. Risultato: su 13200 aventi diritto hanno votato per via telematica in 6908, e il 64,7% (4468) ha detto sì all’alleanza con la lista Ingroia. La conseguenza finale sono state le dimissioni di Chiara SassoLivio Pepino e Marco Revelli, dal vertice del movimento. “Il nostro mandato si è concluso e per quanto ci riguarda non è più rinnovabile” (Il Fatto Q, 5 Gennaio 2013).

In sostanza è chiaro anche ai muri che Rivoluzione Civile è un ‘cavallo di troia’ per IDV, Fds e Verdi, altrimenti privi di possibilità di entrare in parlamento. Non faranno altro che utilizzare il volto di Ingroia per evitare il giudizio degli elettori, in primis Di Pietro e IDV, distrutti dallo scandalo dei rimborsi elettorali. Per poi ovviamente separarsi il giorno dopo le elezioni e costituire alla Camera e al Senato ognuno il proprio personalissimo gruppo parlamentare.

3. Il partito liquido

Le parlamentarie del M5S hanno selezionato liste di giovani e di donne, scelti fra le fila del movimento, soprattutto di quella parte che ha fatto la storia del movimento. Ovvero personalità che difficilmente stanno tollerando la deriva accentratrice e destrorsa di Grillo. Potrebbe essere che Grillo stia seguendo una strategia suicida: che voglia cioè far precipitare il consenso verso i 5 Stelle al fine di ridimensionare le aspettative verso di loro. Più volte il comico ha detto che l’obiettivo era quello di inserire nelle istituzioni dei ‘cani da guardia’ del potere. Di spezzare la coltre di segretezza delle istituzioni. Ha rischiato di divenire il secondo partito italiano e di ottenere una rappresentanza parlamentare di più di cento fra deputati e senatori. Troppo per un movimento che non ha ancora chiare le regole della selezione dei candidati e per la deliberazione interna e che di fatto è rappresentato da un marchio che non possiede.

Ma se la vulgata grillesca continuerà sulla falsa riga della linea politica spiegata in questi giorni nel tour nelle città italiane, molto probabilmente i suoi futuri parlamentari diventeranno nervosi e inclini a smarcarsi dal comico. I distinguo e le dissociazioni non tarderanno ad arrivare. Con il risultato che il gruppo parlamentare del M5S si spezzetterà in più parti, determinando flussi di parlamentari imprevedibili da e verso la lista Ingroia o il centrodestra o Di Pietro.

“Le #primarieparlamentari si faranno”

Lo dice Enrico Letta su Facebook:

letta

 

E così sono andato a leggerla, questa intervista. Da un lato, Letta riprende la sua personalissima idea (ma fino a che punto?) di fare un accordo post elettorale con l’Udc di Casini (che vi ricordo secondo recenti sondaggi vale un 3.8%). Dall’altro, spiega che le primarie per i parlamentari si faranno. E saranno primarie aperte. Quindi, quando voterete Letta, ricordatevi che è il primo sponsor della Santa Alleanza PD-Sel-Udc (con Monti o al Quirinale o molto più probabilmente al MEF).

Ora sarà più facile un`alleanza pre-elettorale con Casini e i “montiani”? «Non ho dubbi che faremo un governo insieme alle forze che sostengono Monti oggi. Che questo debba avvenire con un`alleanza con liste apparentate ora, o con un accordo dopo il voto, è da valutare. Non è una furbata perché Bersani ha chiesto i voti alle primarie su questa linea. Quindi è una scelta legata anche alle tecnicalità della legge elettorale. Oggettivamente questa situazione avvicina il Pd al cosiddetto “centro montiano”».

Si lavora a un listone unico con Sel per agevolare l`intesa con Casini? «Quella invece è una scelta politica, ma mi sembra non sia nelle cose. Valuteremo, ma credo abbia più senso andare al voto con liste distinte».

Farete in tempo a organizzare le primarie per la scelta dei parlamentari? «Le primarie si faranno sicuramente, perché si è deciso che si sarebbero fatte. E quelle del 25 novembre dimostrano quanto andare con uno schema aperto, dando fiducia ai nostri elettori, sia solo un vantaggio. Ne parleremo mercoledì prossimo e posso dire che saranno primarie aperte, non solo tra gli iscritti del partito» (http://www.enricoletta.it/press/ora-e-piu-vicina-unintesa-fra-il-pd-e-il-professore/).

Il più grande bluff dopo Berlusconi

Annunciano il più grande cambiamento della politica italiana di sempre. Da una parte Alfano, dall’altra Casini. Le loro manovre sono volte a fornire alla politica nuova linfa vitale. Così dicono. Così vogliono farci credere. Sappiate che questi signori stanno preparando il più grande bluff della politica degli ultimi venti anni. S’intende: il più grande bluff dopo Berlusconi.

Il nascente Partito della Nazione è una vecchia storia di cui si vocifera agli angoli delle strade nei pressi di Montecitorio da almeno due anni, da quando Fini disse “cosa fai? mi cacci?” e quello lo cacciò davvero. La tecnica degli assemblaggi di partito o pezzi di partito l’ha inaugurata infelicemente il Partito Democratico e solo ora, solo dopo la scoperta del tesoro del tesoriere Lusi e della persistenza dei vecchi partiti (Margherita e DS) s’è scoperto che è una pratica diabolica e decisamente “appetibile”. Per i tripli rimborsi elettorali, sia chiaro.

Oggi è stata la volta di Angelino Alfano. Ha detto che dopo le Amministrative il suo partito e Berlusconi annunceranno la più importante novità della politica. Considerato che la prassi di fare dei restyling in vista delle elezioni è quanto di più inutile si sia mai visto in questi anni, Alfano dovrà fare grossi sforzi per impressionare gli elettori. E se avete fiutato l’aria di fregatura, avete pienamente ragione: non ci sarà alcuna novità, solo che Berlusconi cambierà controfigura e al posto di Alfano assumerà Luca Cordero di Montezemolo. Il presidente della Ferrari, e di decine di altre aziende (se volete, è la quintessenza del conflitto di interesse, perciò il miglior surrogato berlusconiano). Sarà l’uomo di Fiat per un governo di centro-destra. Una grande novità, se ci pensate. Non abbiamo mai avuto governi di centro-destra, no?

Il nuovo PdL non potrà governare da solo. Non esiste più il blocco verdognolo del Nord, il leghismo è allo sbando e Maroni non basterà da solo a conservare il bacino elettorale critico per poter essere partito dirimente in un quadro bipolare. Ecco allora la strategia: Casini e Fini convergeranno nella costituente del Partito della Nazione, et voilà, la coalizione è fatta. Come nei peggiori copia e incolla.

Quello a cui stiamo assistendo non è il crollo della politica ma dell’antipolitica che ci ha governato sinora, laddove antipolitica è tutto ciò che è contro l’interesse generale: è l’interesse privato, privatistico, di gruppi di interesse chiusi verso il basso, gruppi dirigenziali e caste burocratiche nelle quali è assente del tutto una qualsiasi circolazione delle élie. La sfera pubblica è stata occupata da usurpatori, da tiranni. Questo momento di decomposizione dei loro legami di protezione è una catarsi durante la quale la Politica può risorgere come argomento della coesione quotidiana fra i cittadini. E’ una piccola finestra che il tumultuoso succedersi degli eventi sta per rendere possibile.

L’altro giorno è stato il giorno di Ligresti, finanziere bancarottiere tanto in alto nell’era di B. e ora precipitato nel burrone. La scorsa settimana è stata la volta di Vendola. Quindi dei leghisti, di Belsito, della Rosy Mauro, di Umberto Bossi. Domani tocca a Formigoni. E quindi a chi altro? E’ finito questo mondo, e se ne andranno tutti, uno alla volta. Erano undici piccoli indiani, ne resterà uno solo. Noi.

“Dieci poveri politichetti / Se ne andarono a mangiar: / uno fece indigestione, solo nove ne restar. / Nove poveri politichetti / fino a notte alta vegliar: / uno cadde addormentato, / otto soli ne restar. / Otto poveri politichetti / Se ne vanno a passeggiar: / uno, ahimè, è rimasto indietro, solo sette ne restar. / Sette poveri politichetti / legna andarono a spaccar: / un di lor s’infranse a mezzo, /e sei soli ne restar. / I sei poveri politichetti / giocan con un alvear: / da una vespa uno fu punto, / solo cinque ne restar. / Cinque poveri politichetti / un giudizio han da sbrigar: / un lo ferma il tribunale / quattro soli ne restar. / Quattro poveri politichetti / salpan verso l’alto mar: / uno se lo prende un granchio, / e tre soli ne restar. / I tre poveri politichetti / allo zoo vollero andar: / uno l’orso ne abbrancò, / e due soli ne restar. / I due poveri politichetti / stanno al sole per un po’: / un si fuse come cera / e uno solo ne restò. / Solo, il povero politichetto / in un bosco se ne andò: / ad un pino s’impiccò, / e nessuno ne restò.” (parodia della “filastrocca del camino” in Dieci Piccoli Indiani,  Agatha Christie).

Cercasi Badoglio Disperatamente

Chi sono i candidati? Questa domanda alberga sulla scena politica italiana come una nube nera. Chi dopo B? Non Fini, che non troverebbe nessuno all’interno del PdL pronto a votarlo. Non Casini, che fa troppo Terzo Polo. Non sia mai Pisanu, lui che non è un traditore, ma pensa troppo con la propria testa ed è chiaramente in opposizione al federalismo di stampo leghista, in ogni modo una carta da giocarsi in chiave anti-Bossi. C’è un rischio da evitare: che PdL e Lega diventino improvvisamente opposizione di un governissimo Terzo Polo-PD e che lo usino come una preziosa leva elettorale. Allora per Fini e soci è necessario tenere la Lega dentro il governo. Serve un Badoglio, urgentemente.

Due i nomi che circolano insistentemente: Gianni Letta, per un governo da maggiordomi; Roberto Maroni, per un inedito governo di garanzia leghista, ipotesi suffragata dalle prese di posizione antitetiche a Bossi del Ministro dell’Interno (Europa). Pare che questa sia la sola alternativa spendibile dei terzopolisti con Berlusconi. Se sarà invece, come probabile, sfiducia con rottura delle trattative Fini-Casini-Berlusconi, quest’ultimo getterà la polpetta avvelenata ai due che dovranno prendersi la responsabilità della decisione: governissimo con il PD o elezioni. Nel primo caso, il nome candidato per eccellenza alla guida di un nuovo esecutivo con una nuova maggioranza non elettorale, è quello di Mario Draghi. Un revival dell’operazione Ciampi del 1993.

Infine c’è il Partito Democratico. Il quale deve guardarsi bene dall’entrare in un esecutivo che gli farebbe perdere altri elettori e gli getterebbe addosso l’onta del collaborazionismo, già ventilata da più parti soprattutto in ambienti IDV. Certo, la pressione a sinistra si fa sempre più pesante. Vendola con SeL è al 7%, secondo gli ultimi sondaggi. La disponibilità del PD per un governo di responsabilità nazionale è – dicono – “fuori discussione”. Quelle vecchie canaglie di Ferrero e Diliberto soffiano sul fuoco: «un eventuale governo di transizione permetterebbe di nuovo a Berlusconi di fare la vittima e di candidarsi a vincere le prossime elezioni». «Nuove elezioni, non c’è alternativa minimamente decente» (Europa). Non mancano le frecciate di Di Pietro, il quale, forse in affanno nei sondaggi, vista l’arrembanza di Vendola che porta via consensi a tutti a sinistra del PD,e certamente in ritardo sui tempi della mobilitazione in vista del voto di sfiducia del 14 Dicembre, ha organizzato una manifestazione al Paladozza di Bologna per questo venerdì, 10 Dicembre. Ci saranno tutti i paladini dell’antiberlusconismo di ferro: da Travaglio a Vauro, a Dario Fo. E’, diciamolo, un tentativo in extremis per oscurare la manifestazione del PD prevista per sabato 11 Dicembre, per la quale si prevede una adesione record: la riparazione al danno fatto al partito medesimo con quella decisione cervellotica di non aderire al No Berlusconi Day dello scorso anno.

[Questo blog seguirà entrambe le manifestazioni].

Attenti all’UDC, è pronta a votare il Processo Breve e il nuovo Lodo Alfano

L’UDC sembra mantenersi equidistante da PD e PdL? Il partito di Casini viene dato un giorno all’opposizione e il giorno dopo al governo insieme a Berlusconi e Bossi? Normale: il centro della politica italiana è quella grande palude che si è sostituita alla Democrazia Cristiana. E se alle Regionali l’erede dello scudo crociato si è alleato in Piemonte con il PD in un prototipo di una nuova Unione prodiana, un nuovo patto Bersani-Casini per le politiche prossime venture sembra sfumare. Sicché oggi Bersani ha rotto gli indugi e, mandando in crisi i piani dei centristi del PD, ha ipotizzato la formazione di un Nuovo Ulivo, ovvero di una alleanza con la sinistra – ora extraparlamentare – di SeL, Verdi e Rifondazione (se sopravvive). Bersani mette la freccia a sinistra, creando non pochi crucci a Di Pietro, che finora ha attinto a piene mani dall’elettorato post-comunista, e sconfessando il modello di Partito Democratico voluto da Walter Veltroni – quell’utopia del partito maggioritario che rompe a sinistra per confabulare al centro. Bersani ha però lasciato la porta aperta: l’Ulivo sarà disponibile a partecipare alla (Santa) Alleanza Democratica contro Berlusconi. Tradotto in parole comprensibili: alleanza con l’UDC, se non viene prima comprata dal PdL.

Lo scenario al momento vede una situazione di stallo: Bersani ha reagito rispolverando l’Ulivo; Berlusconi, frenando davanti all’ipotesi di nuove elezioni. Casini resta senza partner, avendo ancora da ridefinire il solco con i finiani sui temi etici, elemento di ostacolo alla formazione del Nuovo Centro. Comunque c’è chi scalpita per dare una mano al Caimano:

E’ la giustizia il vero nodo: è su questo terreno che Berlusconi potrebbe trovarsi scoperto perché i finiani non sono disponibili a votare il Processo Breve. Che farete?

“Non deve essere un ammazzasentenze, con tanti saluti alle vittime e a chi ha subito danni”.

E sul Lodo Alfano?

“Mi voglio rovinare:  se ci presentassero una legge di carattere costituzionale fatta bene e capace di mettere fine al conflitto fra politica e magistratura, noi non ci troveremo niente di scandaloso” (parola di Rocco Buttiglione, intervistato da Il Mattino).

Non c’è da stupirsi: pensate che Vicepresidente del Csm è tale Michele Vietti, “autore della legge sul legittimo impedimento, della riforma del falso in bilancio e della pregiudiziale di costituzionalità che, paragonando l’orientamento sessuale a “incesto, pedofilia, zoofilia, sadismo, necrofilia, masochismo eccetera”, ha bloccato nel 2009 una proposta di legge che prevedeva l’aggravante per i crimini di natura omofobica” (Wikipedia), eletto con i voti del PD (meno uno, Ignazio Marino). E allora, incassata una fiducia pro tempore a settembre, Berlusconi potrebbe procedere in autunno a disarmare i giudici – per sé e per gli amici, vicini e lontani – con una riforma costituzionale che verrebbe avallata dal Csm, oramai del tutto asservito, e votata grazie al soccorso dell’UDC più Rutelli, sì proprio l’ex candidato premier dell’Ulivo alle politiche del 2001. Rutelli non si è limitato a proporsi come votante ma si è spinto più in là, suggerendo i punti cruciali della eventuale riforma:

La riforma immaginata dal leader di Api è netta: “Separazione delle carriere. Spersonalizzazione del pubblico ministero. Non vorrei conoscere i pm, non vorrei vederli in televisione. Vorrei che facessero il loro lavoro seriamente, professionalmente, sobriamente. Vorrei che non siano leggibili come figure politiche. E li voglio liberi di indagare su chiunque. E penso che tutti gli italiani sarebbero contenti di questo. E se i magistrati sbagliano, debbano rispondere. Una scelta – ha concluso – che fu sancita persino da un referendum in Italia” […] “una riforma, non un piccolo provvedimento tampone che dovrebbe servire solo ad allontanare un attacco giudiziario da Berlusconi che peraltro non si allontana mai” (Opinione.it).

A chiarire ulteriormente la posizione de l’API, Linda Lanzillotta afferma che “siamo pronti a un’operazione-verità sul federalismo. E anche sulla giustizia, sfidiamo una maggioranza inchiodata alle leggi ad personam e opposizioni ancorate al giustizialismo: ci sono due anni di legislatura per riformare giustizia civile e penale” (Opinione.it, cit.).

Conclusione: altro che dimissioni e crisi di governo. Qui si fa a gara per salvare B.

Regionali Lazio: L’UDC verso la Polverini. Il PD ora faccia le primarie.

Chi ha paura delle primarie? L’UDC approda a lidi migliori, scegliendo di appoggiare la Polverini – loro, banderuole guidate solo dal vento della probabile vittoria, non dalle idee. Ma chi ha paura delle primarie, ha paura delle persone. Ha paura delle idee. Di confrontarsi con le idee.

In mattinata accelerazione. Pressing informale Vaticano su Udc […] il via libera definitivo dell’Udc a Renata Polverini c’è stato stamattina, nel corso di un incontro riservato fra la candidata, Fini e Casini alla Camera […] Per Fini, inoltre, l’accordo può rappresentare il viatico per nuove intese. Polverini vantava dal canto suo un rapporto cordiale con Casini. Proprio su questo ha fatto leva per superare le resistenze di quella parte dell’Udc che non vedeva di buon occhio un patto con il Pdl nel Lazio […]

si è trattato di un accordo “più personale con Fini e Polverini che politico tra Udc e Pdl”

la partita Udc-Polverini ha subito nelle ultime ore un’accelerazione. Un po’ perché l’esplorazione di Nicola Zingaretti non ha portato frutti, un po’ perché Fini era già forte di un accordo di massima con Casini sulla candidata siglato ormai diverse settimane fa […] Un po’ anche perché dal Vaticano la preferenza per l’ex leader sindacale non è stata certamente nascosta alla dirigenza del partito di Casini
(APCom – Regionali/ Fini vede Casini, poi via libera finale a Polverini

Trattasi di un accordo “personale”, un anticipo del futuro progetto di Kadima Italiana, il partito centrista di Casini-Rutelli-Fini. Con queste persone il PD doveva allearsi per ottenere la presidenza di Regione, stando ai sondaggi. Che sinora non hanno ancora rilevato l’impatto di una possibile candidatura di Emma Bonino, o di Loretta Napoleoni (che purtroppo pochi conoscono): l’ultimo sondaggio disponibile di Ipr Marketing metteva a confronto Nicola Zingaretti, l'”esploratore” nonché presidente della Provincia di Roma, e Renata Polverini, nelle due condizioni possibili, UDC a centro-sinistra oppure UDC a centro-destra.

L’indecisione, non è la prima volta che lo sottolineo, danneggia il PD perché i cittadini non la capiscono e non la condividono. E’ già accaduto in passato e sarebbe utile non ripetere gli stessi errori. Coloro che si oppongono ad un virtuoso strumento di maturità democratica lo fanno per il timore di scelte che sfuggono al loro controllo. Esemplare è stato il caso della Puglia nel 2005: Nichi Vendola si è imposto alle primarie e poi ha vinto le elezioni e ha governato la regione per cinque anni. Bene? Male? Ancora una volta il giudizio non può spettare a pochi notabili pugliesi, o romani, spetta ai cittadini valutare l’operato della persone che hanno eletto. Se lo hanno apprezzato lo rivoteranno, altrimenti lo bocceranno […]

In questi giorni ho l’impressione che il PD si stia impantanando in meccanismi che non portano a nulla di utile per i cittadini. E’ invece il momento di liberarsi dalle paure, liberarsi dai vecchi modi di affrontare le sfide politiche, osare e agire come auspicano i nostri sostenitori, come un vero Partito Democratico.

Ignazio Marino

Loretta Napoleoni è e resta il candidato ideale. Loretta parla di “primarie”, queste sconosciute, di restituire la parola alle persone, di spegnere la tv e potenziare il web (cosa che ben fa Zingaretti con gli Hot Spot del Wi-fi gratuito a Roma); parla di programmi e di idee, di persone e di possibilità di scelta:

    • oggi Loretta Napoleoni, economista finanziaria e uno dei massimi esperti mondiali di terrorismo internazionale, risponde a una chiamata che non arriva da Bersani, Bindi o Ferrero, ma da un gruppo di utenti di Facebook, nuova patria della contestazione giovanile nell’era tecnologica
    • Lei è pronta ad attraversare l’Atlantico, lasciare il suo lavoro diviso tra Stati Uniti e Gran Bretagna – “ma solo per pochi anni, il tempo di una legislatura” – e sfidare col centrosinistra Renata Polverini per la poltrona di governatore del Lazio
    • non conosco la Polverini e comunque non mi schiero contro nessuno. Ho fatto un programma e su quello mi voglio confrontare. La gente voglio che scelga chi la governerà sulla base delle cose concrete proposte per la propria regione
    • Ho preso la decisione di candidarmi il giorno di Natale proprio perché a chiedermelo sono stati centinaia di internauti. La Rete è un mezzo di comunicazione importantissimo perché non ancora contaminato
    • Penso che la televisione stia gradualmente perdendo importanza. Io dico di ripartire dal web
    • E’ giusto che Zingaretti svolga un’indagine e individui la persona più adatta per la candidatura. Ma faccia le primarie, spero che le faccia così come scritto nel suo statuto, perché sia la gente a scegliere il candidato del centrosinistra tra esponenti del partito certo, ma anche tra persone che vengono dal di fuori, dalla società civile
    • Zingaretti non lo conosco ma se mi chiama ci parlo volentieri. E se il mio nome può servire a scuotere il Partito Democratico ben venga. Per me l’importante è che sia finalmente la gente a scegliere, perché c’è bisogno di uscire da questa apatia nella quale il Paese è caduto
    • Come si governa il Lazio?
      “Si governa come qualsiasi società, come si governerebbe un comune anche molto piccolo. Le logiche di amministrazione sono le medesime: bisogna ricordarsi che si sta gestendo la cosa pubblica e tutto quello che si fa lo si fa per esclusivo interesse della gente. Il politico è un servitore non un padrone. Credo che un’equipe di professionisti esperti ed onesti, che sappiano prestare le orecchie alla gente, possa fare grandi cose. Partendo da questo credo che oggi la prima regola sia quella del risparmio. Nelle amministrazioni ci sono sprechi indicibili e solo chi viene dal di fuori può fare questo. I politici di oggi vivono in un’altra dimensione. Ho visto il bilancio del Lazio e mi sono messa le mani nei capelli”
    • Dopo che Zingaretti ha concluso l’incarico esplorativo e in attesa di ulteriori possibili nomi, resta in campo Emma Bonino. Così Ignazio commenta la sua possibile candidatura: “Già due mesi fa dissi che nella difficilissima situazione della regione Lazio che si trova a dover fronteggiare un debito disastroso lasciato dalla giunta Storace serviva una persona come Emma Bonino. Ovviamente confermo il mio giudizio. Mi auguro che il PD regionale consideri con molta attenzione il fatto che quella di Emma Bonino sia una candidatura rilevante di una persona di grande prestigio, in grado di attrarre moltissimi voti del centro sisnitra. Non penso che si possa svolgere una valutazione sul Lazio prescindendo dalla candidatura di Emma Bonino.”

Posted from Diigo. The rest of my favorite links are here.

Pronta la Grosse Koalition: anche Di Pietro alla guida del nuovo Carrozzone Ulivista.

Se ne era già parlato in estate, durante le primarie. Gli elettori del PD si rassegnino: non ci sarà nessun confronto sui programmi per la coalizione di centro-sinistra con il trattino: l’unico programma sarà mettere Berlusconi ko. Un programma che si estrinseca in poche righe:
– fare una Grosse Koalition sfruttando l’emergenza democratica che sorgerà con l’acuirsi dello scontro fra Mr b e i magistrati;
– mettere dentro tutti, UDC, Alleanza per l’Italia (ovvero Rutelli), i finiani in un nuovo contenitore che già è stato etichettato come la Kadima italiana;
– imbarcare Di Pietro che condivide l’obiettivo dell’esautorazione del (finto) premier, accontentandolo con ministeri;
– attribuire a Casini la responsabilità dell’operazione e fornirgli la giusta ricompensa con la candidatura alla Presidenza del Consiglio, magari con un vernissage di democrazia passando attraverso delle primarie di coalizione blindate ai soli iscritti;
Di Pietro ieri si è detto ben disposto a costruire la casa degli anti-berlusconiani e non si è fatto troppe remore nell’accettare l’alleanza con il partito del bigné (ricordate Cuffaro?); bisognerebbe seriamente chiedersi se Di Pietro aprirà mai il confronto all’interno del suo partito o continuerà a procedere a tentoni, un giorno soffiando sul vento “viola” e l’altro benedicendo coalizioni di partito senza contenuto. Poiché è proprio questa la principale obiezione nei confronti della Grosse Koalition nostrana: avendo l’unico scopo di cacciare il “Mercante” (Mr b) dal Tempio (il governo), finirebbe per esaurisi in questo misero compitino e degenerare nella litigiosa coalizione che già abbiamo conosciuto con l’ultimo Prodi, consegnando di fatto il paese a altri cique anni di ingovernabilità e di immobilismo parlamentare. L’esatto contrario di ciò che abbiamo bisogno.

Eppure, l’Armata anti-biscione non sarebbe ancora pronta. Tutti rifuggono dall’ipotesi di elezioni anticipate, in primis Fini (Italo Bocchino ha detto oggi limpidamente che in caso di elezioni anticipate il presidente della Camera resterebbe con il cerino corto in mano, ovvero sarebbe costretto a correre da solo rischiando la scomparsa dalla politica), ma anche Rutelli e Casini non sono ancora piazzati politicamente. Rutelli ha uno sparuto gruppeto di fuoriusciti dai poli, fra cui Tabacci, in prestito dall’UDC. Casini deve risolvere i nodi delle alleanze nelle amministrazioni locali; infatti, una coalizione con il PD a livello nazionale significherebbe uscire dai posti che contno in tante città, Milano e Roma in testa. La strategia suggerita da D’Alema è proporre la nuova Santa Alleanza alle Regionali del 2010, oramai dietro l’angolo. Le manovre – per esempio in Puglia – sono cominciate già da tempo, con la messa in discussione di Niki Vendola, troppo sbilanciato sui temi etici, su cui l’UDC fa da supervisore per conto del Vaticano.

Naturalmente il rumore creato dalla dichiarazione di ieri di Casini ha sollevato i dubbi all’interno del PD, in special modo fra i sottomarini, i quali tornano a far critica sul metodo, mettendo in discussione una coalizione così eterogenea e priva contiguità sul discorso programmatico. Con la riunione di ieri della rete dei coordinatori della mozione Marino, il senatore ha deciso di restare in gioco e di dare voce e forza alle idee che ispirano il suo gruppo, ribattezzato appunto “corrente delle idee”.

Quello che segue è il monito di Veltroni che parla oggi a La Stampa esorcizzando l’ipotesi del Grande Centro, la temuta Kadima italiana costruita sulla triade Rutelli, Fini, Casini e con il benestare di Montezemolo (leggasi Fiat).

    • Il mio posto è qui, senza riserve, anche se sono l’unico che non ha ruoli o incarichi, ma è giusto sia così. Sono altri che sono usciti, come Rutelli, o che hanno detto, come ha fatto D’Alema, che se avesse vinto Franceschini se ne sarebbero andati
    • questa idea di Veltroni si scontra da settimane con alcuni fatti gravidi di implicazioni: l’apertura al governo Lombardo in Sicilia, il no di Bersani «a quella piazza, di Internet e dei movimenti», quella frasetta di Enrico Letta su Berlusconi che può difendersi «dai processi»
    • se si arrivasse ad uno strappo istituzionale di queste dimensioni, io credo sarebbe giusto che tutte le forze di opposizione si unissero per contrastare questa avventura in cui Berlusconi vuole far precipitare il Paese. Sarebbe l’ultimo danno che Berlusconi fa all’Italia. Costringere ancora le forze politiche a stringersi dentro schieramenti “contro”. Quello che con la nascita del Pd cercammo di evitare. L’Italia ha bisogno di radicali cambiamenti e di coalizioni omogenee, se vuole cambiare
    • se il Pd conservasse un ruolo subalterno ad un’alleanza con un centro diventato grande sbaglierebbe. Penso che l’idea di un partito Anni 70 sia un errore e dunque ci sono differenze abbastanza profonde
    • cosa ha sbagliato Bersani?
    • la posizione di Letta su Berlusconi che si può difendere “dai processi”, un errore che ingenera una forte confusione sull’identità del Pd e sul suo ruolo. Poi la manifestazione del “No-B-Day”
    • Terzo, la Sicilia. Il Pd non può sostenere un governo con pezzi di centrodestra. Avrebbe un senso solo in un caso, se ci fosse un elemento di forte discontinuità, a cominciare dalla composizione del governo regionale fatto esclusivamente da tecnici e in cui tutte le forze politiche, con pari dignità, dessero il via ad una fase di transizione
    • non è possibile che il Pd dall’esterno sostenga un governo espressione dei rappresentanti di Miccichè
    • “La presidenza della regione Puglia si deve determinare sui programmi. Questo e’ per me un punto imprescindibile. Ecco perché, mi trovo chiaramente d’accordo con Nichi Vendola che sui temi come i diritti civili, le questioni ambientali, il no al nucleare, ha sempre sostenuto proposte chiare. Tra Vendola e l’alleanza con l’Udc, ripeto, non ho dubbi, scelgo il primo.” Cosi’ il senatore del Pd, Ignazio Marino, esprime la sua opinione sulle regionali in Puglia in un’intervista sul Riformista.
”Anche Pierluigi Bersani – continua Marino – si e’ espresso in maniera contraria al nucleare, non capisco, dunque, come noi potremmo appoggiare l’Udc che invece la pensa diversamente su temi così importanti e delicati per i
cittadini. Del resto per fugare ogni perplessità, sostengo che il modo migliore per scegliere il candidato siano le primarie. Dovremmo adottare questo metodo, altamente democratico, per poter dare l’ultima parola ai cittadini. La gente deve poter scegliere ed esprimere liberamente le proprie preferenze per ristabilire un vero rapporto traelettori ed eletti”
    • “L’elaborazione di contenuti e di idee devono essere il centro delle attività del PD, e quindi prima di tutto pensiamo ai programmi e solo successivamente alle alleanze per le prossime elezioni regionali. Non possiamo pensare di battere la destra semplicemente sommando forze politiche che non condividono valori e programmi. Quindi partiamo dalla condivisione di valori come la laicità e di programmi come l’economia o il nucleare e le alleanze verranno”. Ne è convinto il sen. Ignazio Marino, che oggi ha riunito, nella sede del PD a Roma, per la prima volta la rete dei coordinatori regionali della mozione che ha partecipato alle primarie.

      Il PD non potrà prescindere dal dire parole chiare su temi cruciali come: giustizia e legalità, diritti civili, lavoro e flexicurity, energie rinnovabili e nucleare, ricerca e innovazione. E’ solo partendo dai contenuti che possiamo proporci come concreta alternativa alla destra e a Berlusconi e il primo appuntamento che ci attende è quello delle elezioni regionali.

      “Proprio per dare impulso alle idee che abbiamo proposto durante la campagna per le primarie – sottolinea Marino – abbiamo deciso di non perderci di vista. Non vogliamo costruire una corrente politica, piuttosto una corrente delle idee. Con i coordinatori di tutte le Regioni costruiremo un portale, con derivazioni regionali, come contenitore di idee ed elaborazione e strumento di comunicazione e interazione. Con trasparenza, chiarezza e coerenza continueremo a vigilare, insieme al popolo della rete, perché i temi che noi consideriamo prioritari siano anche siano priorità nel programma del PD.”

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Regionali 2010, in Puglia PD alla svolta: o Vendola o UDC.

Ecco la vecchia politica del PD, quella che ha vinto le primarie e ora cerca di essere egemone. D’Alema vuole che Vendola si faccia da parte per poter mettere in piedi a livello locale il futuro progetto di alleanza con l’UDC di Casini alle politiche del 2012 (salvo scioglimenti anticipati). Naturalmente il prezzo da pagare, almeno in PUglia, è il sacrificio della sinistra radicale, pur già compromessa di suo con l’affossamento di Sinistra e Libertà, e dei rapporti con l’IDV di Di Pietro.
Neanche un accenno ai contenuti politici dell’alleanza che dovrebbe costituirsi in un rinnovato centro-sinistra con il trattino. Neanche una virgola a proposito di politiche sanitarie, di gestione del bilancio della sanità regionale, nessun cenno alla questione morale e al caso Tedesco, nessun riferimento alle politiche energetiche o alla gestione del servizio idrico nel passaggio alla nuova disciplina del decreto Ronchi.
L’unico scopo è il mantenimento del potere. Il PD lavora in Puglia non per costruire una piattaforma politica che abbia in vista l’interesse generale dei cittadini e degli individui, ma piuttosto per vincere le elezioni e mantenere la Regione sotto la propria egida. Tutto il resto è secondario. L’obiettivo è strappare alla destra il governo regionale per altri quattro anni. Che miseria e che visione ristretta. Questo è il nuovo corso di Bersani e D’Alema: una riproposizione delle dinamiche uliviste in ottica antiberlusconiana con il bypassaggio della reisstenza interna, che pure si fa sentire, e di quella della sinistra radicale, sempre più divisa e allo sbando. Uno scenario povero di idee e contenuti che rende preferibile la sconfitta elettorale.

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    • Il Pd prende tempo: sulla candidatura per le prossime elezioni regionali, bisognerà trovare un candidato che coaguli una coalizione più ampia di quella ora al governo. E’ il risultato dell’assemblea regionale chiusa da Massimo D’Alema.

    • Una chiusura alla ricandidatura di Nichi Vendola e un raffredamento sul nome di Michele Emiliano come possibile sfidante del governatore nelle primarie del centrosinistra.

    • spaccatura anche all’interno del Pd. Non sono stati pochi infatti a sostenere la necessità di non interrompere l’esperienza con Vendola e quindi la sua ricandidatura. Ma altrettanto vasto è il fronte dei "realisti", di quelli che vogliono portare dentro la nuova alleanza Udc e Idv, considerati indispensabili per la vittoria. Una divisione profonda e difficilemente sanabile

    • ”La situazione è resa difficile non dalle nostre trame ma dalla decisione di Vendola” di candidarsi ”nella convinzione che di fronte al fatto compiuto i partiti si sarebbero accodati”. Lo ha detto Massimo D’Alema

    • ”Noi – ha detto D’Alema – avevamo chiesto a lui di prendere l’iniziativa di chiamare le forze politiche attorno a un tavolo e verificare la possibilita’ di portare l’alleanza per il Mezzogiorno al governo della regione’

    • ”Noi – ha continuato D’Alema – siamo stati messi di fronte a questa situazione, noi non abbiamo mai posto il problema di scegliere tra Vendola e Udc perche’ in questi termini si tratta di decidere come perdere le elezioni e, scusatemi, anche per la mia storia preferirei perderle avvolto nella bandiera rossa”

    • dopo la decisione di Vendola, secondo D’Alema, ”noi possiamo accodarci ma verremmo meno alla nostra responsabilita’ di fronte a un partito che non puo’ pensare di farsi eterodirigere”

    • ”Dobbiamo cioe’ fare noi – ha concluso D’Alema – quello che avrebbe dovuto fare Vendola e non ha fatto: chiamare le forze politiche a discutere programmi e prospettive senza fare veti e pregiudiziali”

    • ‘Vi prego di rispettare le alleanze con l’Udc che abbiamo gia’ fatto, altrimenti rischiamo di perdere non solo la Regione Puglia alle prossime elezioni ma le giunte cha abbiamo gia’ conquistato alle scorse amministrative

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    • "Vogliono candidare qualcuno altro contro di me? Prego, si accomodino. A patto pero’ che l’eventuale mio concorrente accetti le primarie. E vedremo chi avra’ piu’ consenso popolare".

    • Lo ha detto a La Stampa

      Niki Vendola, attuale Governatore della Puglia, affrontando il tema della candidatura alle regionali, dove si profila quella alternativa di Emiliano, attuale Sindaco di Bari.

    • "A D’Alema voglio solo ricordare – ha aggiunto Vendola – che anche cinque anni fa lui diceva che non avrei potuto vincere perche’ ci voleva un candidato piu’ moderato, pure nel look: uno come me comunista e con l’orecchino, come poteva pensare di sconfiggere la destra in una regione di destra? E invece l’ho sconfitta".

  • Vendola: nessun sortilegio può farmi sparire

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    • Doveva essere l’assemblea che sgomberava il campo dai tentennamenti delle ultime settimane. Invece, ciò che è accaduto in casa Pd – e soprattutto le ultime parole pronunciate dal palco da Massimo D’Alema – hanno avuto l’effetto di compattare l’ala sinistra del centrosinistra

    • da oggi Socialisti, Verdi, Rifondazione comunista e Sinistra e Libertà non forniscono più alcun alibi: «Il nostro candidato è Nichi Vendola»

    • «Non solo vado avanti malgrado tutto e tutti ma vado avanti perchè tutto e tutti mi spingono ad andare avanti. È vero, c’è il pericolo di riconsegnare la Puglia alla destra e questo pericolo è strettamente connesso al tentativo di rimozione del significato profondo che la Primavera pugliese ha avuto nel 2005 e ha avuto nel corso della stagione di governo. È il significato di un cambiamento non fittizio, non costruito sulla rincorsa di un moderatismo che uccide in nuce la prospettiva del cambiamento. Immaginare oggi, dopo cinque anni, di annullare politicamente questo punto di forza del centrosinistra – ha concluso Vendola – mi pare davvero un gravissimo rischio»

    • segretario regionale di Sinistra e Libertà, Nicola Fratoianni: «Non è il Pd che sostiene Vendola a essere eterodiretto, mi pare piuttosto che sia il Pd di D’Alema a farsi eterodirigere dall’Udc e da altre forze che propongono veti su Vendola»

    • D’Alema che accusa Vendola di non aver messo d’accordo forze politiche esterne al centrosinistra per allargare la coalizione

    • ha ricevuto veti sulla sua persona e non sulla sua proposta politica

    • Vendola non molla: «Rifletta bene il segretario del Pd, Blasi. Io continuo a sperare di essere il candidato di una coalizione larga. Comunque io sarò candidato. Se ci fosse la possibilità di mettere in pista l’esperienza delle primarie potrebbe essere il punto maturo di soluzione dei nostri problemi.

    • senza primarie non c’è nessun sortilegio che possa far sparire dalla Puglia la mia candidatura e la mia vicenda politica

    • un coro di voci a suo favore. «Noi sosteniamo Nichi Vendola», annuncia il presidente dei Verdi di Puglia, Magda Terrevoli

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Rutelli, il pesce pilota. E Bersani accetta la pax berlusconiana.

Grandi manovre in vista. Peccato che Bersani sia già partito con il piede sbagliato. La notizia di oggi: Berlusconi afferma che il governo sponsorizzerà D’Alema alla candidatura per la carica di Ministro degli Esteri della Unione Europea. D’Alema minimizza: l’Unione Europea non è una faccenda fra lui e Silvio, diciamo. In cambio, però, Bersani attuerà la politica dell’acquiescenza, abbandonando Di Pietro e l’antiberlusconismo sciocco, prestando il fianco per una riforma della giustizia in senso berlusconista ma con camuffamento. Vale a dire, permetteranno la divisione delle carriere e una riduzione ulteriore dei tempi della prescrizione, avallando di fatto il nuovo lodo Alfano.
Bersani piace tanto alla destra. A Bossi, ma anche a Berlusconi. L’avrebbero votato anche loro. In una intervista a Il Fatto Quotidiano, Franco Battiato parla del suo nuovo singolo, Inneres Auge, un requiem per la politica:

Alla vista di certi personaggi, mi vien voglia di impugnare la croce e l’aglio per esorcizzarli.C’èunmutamentoantropologico, sembrano uomini, ma non appartengono al genere umano, almeno come lo intendiamo noi: corpo, ragione e anima”.

Tutto condivisibile. Poi scopri, qualche riga più sotto, che Battiato ha votato alle primarie ed ha espresso la sua preferenza proprio per Bersani. Allora capisci, capisci il grande equivoco in cui sono incorsi in molti, e anche il maestro: votare Bersani è stato come votare per una etichetta, è stato facile, innocuo e sbrigativo. Bersani il comunista, eccotutto.
Poi c’è Rutelli, che migra verso il centro-centro casiniano: insieme raddoppieremo i voti, esulta Pierferdi. Si tratta di prove tecniche di alleanza. Non quella di Rutelli e Casini, bensì quella fra il PD e l’UDC, il grande progetto dell’Ulivo risorto.

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    • Francesco Rutelli ufficializza il suo addio al Pd

    • Rutelli e Casini convergono sull’attacco alla Lega. Per Rutelli «la Lega non è solo folclore. La Lega ha un potere dirimente nell’attuale coalizione di Governo. È contraria ai valori che hanno determinato l’unità d’Italia. Dobbiamo lavorare ad un documento comune in vista dei 150 anni dell’unità d’Italia che cadranno nel 2011: penso che Fini condividerebbe questa iniziativa. Serve uno sforzo per far emergere l’insostenibilità della presenza della Lega nelle istituzioni»

    • Casini rimarca: «Alle prossime regionali l’Udc non si alleerà mai con coalizioni che sostengano un Presidente della Lega»

    • Casini pensa che con Rutelli si possa arrivare «a raddoppiare i voti». «Evitiamo però di pensare a spallate a Berlusconi – dice Casini – dobbiamo arrivare a fine legislatura e chiedere conto a Berlusconi delle promesse non mantenute». Casini dice no alla Lega e no al «populismo giustizialista di Di Pietro».

    • «Nell’attuale assetto bipolare – prosegue Casini – risultano vincenti le forze populiste.

    • Bisogna salvare lo Stato dai pericoli di disgregazione che lo minacciano»

  • L’offerta di Bersani – di Stefano Cappellini

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    • Di una possibile tregua tra i poli si parla da anni a scadenza più o meno semestrale e ogni volta col medesimo esito

    • Qualcosa può cambiare nei prossimi mesi? L’elezione di Pier Luigi Bersani, che ridà al Pd una guida stabile e al centrodestra un interlocutore pienamente legittimato, potrebbe aprire una fase nuova?

    • una nuova fiammata di guerra guerreggiata

    • Piccoli segnali. Mosse formali più che sostanziali. Che indicano però una possibile direzione di marcia.

    • Dice già molto, sul versante di centrosinistra, il fatto che Bersani abbia scelto di affrontare subito il dossier Antonio Di Pietro, incontrato ieri mattina al quartier generale democratico del Nazareno

    • Disinnescare l’ex pm, fermare la guerriglia quotidiana dell’Idv, interrompere la rincorsa giustizialista che ha imposto al Pd, rappresenta una priorità per il neosegretario

    • nessuna coalizione di centrosinistra che si privi dell’apporto di Di Pietro ha i numeri per impensierire il centrodestra

    • i dipietristi minacciano di andare da soli in alcune regioni del sud (Campania e Calabria), di fatto consegnandole in partenza al Pdl

    • Bersani ha chiesto a Di Pietro di darsi una regolata. L’offerta all’ex pm poggia su una sorta di divisione dei ruoli all’interno dell’opposizione: il Pd fa da baricentro riformista, l’Idv è libera di organizzarsi altrimenti purché, in piazza come nelle altre sedi, tolga il Pd e il Colle dal suo mirino e si concentri sull’opposizione al Cavaliere

    • Il disarmo con Di Pietro è la prima mossa per ridare centralità al Pd nel gioco politico. Da mesi la dinamica maggioranza-opposizione è tutta interna al centrodestra, con Fini e Tremonti a fare le veci dei leader democratici impegnati a congresso. Bersani intende riprendersi il mestiere. Ma vuole anche stare attento a non impelagarsi in un nuovo stucchevole e astratto dibattito dialogo sì-dialogo no: «Dialogo è una parola malata. C’è un posto per discutere, si chiama Parlamento»

    • Bersani ha alcuni paletti che non può valicare. Sul capitolo giustizia i suoi margini di manovra e di confronto con le proposte del governo sono strettissimi: avrebbe seri problemi all’interno del suo stesso partito e minerebbe la tregua con Di Pietro

    • è convinzione profonda del segretario che il Pd non può stare a guardare se parte un serio tentativo di riforma dell’assetto istituzionale: poteri del premier, superamento del bicameralismo con l’istituzione di un Senato federale, riduzione del numero dei parlamentari e via dicendo

    • C’è un segnale però che Bersani attende per verificare le intenzioni del centrodestra ed è la disponibilità a rivedere, insieme al resto, la legge elettorale

    • La preferenza di Bersani è nota: va al modello tedesco, mix di maggioritario e proporzionale

    • non vuole accelerare al buio. I suoi spin doctor spiegano che la prassi del nuovo corso non sarà mai “prima l’annuncio e poi la discussione” e quindi il segretario si muoverà solo quando avrà un chiaro mandato del Pd

    • Il resto dipenderà dalle novità nel campo di centrodestra. Ma anche lì qualcosa pare muoversi. C’è il lavorìo trasversale di Gianfranco Fini. La ritrovata centralità di Gianni Letta, uomo chiave di qualsiasi eventuale trama di distensione. I molti e autorevoli esponenti del Pdl che invocano una moratoria bipartisan sull’uso politico degli scandali a sfondo sessuale.

  • Pd/ Rutelli: Lascio da subito, anche se con dolore – "Faremo nuova squadra, Casini è interlocutore essenziale"

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    • Lascio il Pd, subito e con dolore", perchè "il partito democratico non è mai nato" e "questo non è il mio partito", "non è per questo che ho sciolto la Margherita". Francesco Rutelli, in un’intervista al Corriere della Sera, ribadisce la scelta di abbandonare il partito Democratico e spiega che erano state poste tre condizioni: "non approdare al socialismo europeo, basta collateralismo e vecchie cinghie di trasmissione tra politica, corpi sociali e interessi economici e pluralismo politico". Nessuna di queste, argomenta l’ex vicepremier, è stata rispettata: "non ho nulla contro il Pd di sinistra – sancisce quindi – ma non può essere il mio partito", perchè la "socialdemocrazia non ha alcuna possibilità di parlare ai contemporanei". E poi, c’è l’alternanza. "Il Pd – spiega Rutelli – era nato per riconquistare il cuore, il centro della società italiana. Il suo spostamento a sinistra impone che altri assolvano questo impegno fondamentale". Ovvero, una forza politica di centro, "non un partito di Rutelli, ma una squadra", che avrà in Pier Ferdinando Casini "un interlocutore essenziale. E’ giusto guardare lontano: con proposte serie, si può puntare a unire molte altre sinergie, sino a creare, in alcuni anni, la prima forza del Paese

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Nuove alleanze crescono. L’infinito riciclaggio dell’Ulivismo.

Bersani ha vinto. Con lui la base del partito, o almeno il 53%. Oggi ha fatto un’intervista in una location insolita, una fabbrica tessile di Prato. Chissà se ha riconosciuto gli operai. Era ascoltato e applaudito da una folta schiera di canuti sostenitori. Sì, perché a quanto pare la maggioranza dell’elettorato delle primarie, dei tre milioni, ha un’età compresa fra i 50 e i 60 anni, sono cioè coetanei del nuovo segretario e come lui vanno alla bocciofila e a ballare il liscio. Insomma, c’è da scommettere sulla loro vitalità nell’affrontare le questioni gravi che ci attendono in fatto di ambiente e di energia. La loro visione a breve termine sarà fondamentale per mantenere lo status quo. Era ciò che temevano di perdere, ecco perché si sono mossi in così tanti.
Intanto si vocifera sulla scelta di Rutelli: resta o non resta? Il dubbio amletico del titubante ex sindaco di Roma verrà sciolto stasera nell’emiciclo imbottito di Vespa. Me ne andrò ma non ora – e se non ora quando? Rutelli s’appresta a essere il "pesce pilota" del nuovo Ulivo che crescerà fra il PD e l’UDC di Casini e Tabacci. Prove generali le prossime regionali, in primis in Lazio, orfano del Marrazzo governatore – dimessosi a posteriori, dove si sperimenterà una mega coalizione ulivista stile Prodi II con l’imprimatur delle primarie di coalizione.

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    • Vorrei mettermi dalla parte di quei tre milioni di persone che domenica, molti pazientemente in fila per ore, hanno partecipato alle primarie del Pd, dandogli un’altra occasione (forse l’ultima) per cominciare a essere il partito che aveva promesso di essere.

    • Non abbiamo capito perché la nascita del Pd invece di rafforzare il governo Prodi non fece nulla per impedire la caduta dell’ultimo baluardo al nuovo dilagare del berlusconismo.

    • Non abbiamo capito perchè il Pd di Veltroni affermò la sua vocazione maggioritaria isolandosi dal resto delle forze di centrosinistra e di sinistra.

    • Dopodiché riuscì sì a raggiungere quel 33 e rotti per cento di voti che costituì un buon risultato in sè ma lontano ben 12 punti dalla maggioranza per cui quello stesso Pd aveva manifestato la propria ‘vocazione’.

    • Non abbiamo capito le vere ragioni che hanno spinto Veltroni a lasciare baracca e burattini da un giorno all’altro.

    • A cui si chiede non solo di costruire l’alternativa ma anche di dare ascolto a quei tre milioni di brave persone non abbandonandole al loro destino e alla loro solitudine come troppe volte è accaduto in passato.

    • Adesso il Pd ha di nuovo un popolo e ha di nuovo un leader, Bersani.

    • Bersani ha ragione: domenica è stato un bel giorno per la democrazia. Che ne seguano altri.

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    • "Con Casini, ma non subito e non da solo". Francesco Rutelli affida a Bruno Vespa quello che sembra proprio un annuncio di abbandono del Pd.

    • "Mentre Berlusconi detta l’agenda al paese, nel nostro campo da un lato i moderati sono sempre più attratti da Casini e dall’altro guardano a Di Pietro, che batte solo su un punto Berlusconi è un mascalzone, e se incontra sulla propria strada il presidente della Repubblica, non risparmia neppure lui. Per riparare, il Pd si sbilancia a sinistra, e così peggiora la situazione, e si isola" dice Rutelli a Vespa.

    • "Per essere riformisti non bisogna stare necessariamente nel Pd. A destra ci sono socialisti come lo stesso Berlusconi, Tremonti, Brunetta. Frattini è diventato socialista venendo dal Manifesto. Bondi era comunista. Maroni viene addirittura da Democrazia Proletaria..".

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La schizofrenia di Casini. Critica Marino, plaude a Fini. Laicità non è laicismo.

Hanno inaugurato un nuovo partito che coalizzerà al centro i rutelliani, i teodem del PD, Fini, l’UDC e così via.
Lui, il Pierferdi, dice che guarda al congresso PD con la speranza che non accetti i toni laicisti e anticattolici di Marino.
Eppure solo il giorno prima le sue mani si sono spelacchiate a furia di applaudire l’intervento di Fini, in parte incentrato sulla legge del testamento biologico. Le obiezioni di Fini hanno trovato d’accordo anche Buttiglione. Fini ha citato il Catechismo di Ratzinger. Allora tutti hanno deposto le armi.
Eppure l’idea di una legge – definita soft law – sul testamento biologico lanciata già in estate dalle colonne di FareFuturo, la fondazione politica di Fini, esiste già, è il testo Marino depositato in Senato. Quali sarebbero i toni anticattolici, on. Casini? Ma di che parla? Il testo Marino è molto vicino alla catechesi di Ratzinger citata dal Presidente della Camera. Cosa credete di aver scoperto? Sono mesi che dai banchi del PD vi giungono inviti a fermare l’iter del DDL Calabrò e a riflettere sulle cosenguenze di un testo che renderebbe gli individui oggetti posseduti da macchine. Un testo scritto sull’onda emotiva del caso Englaro, sotto la pressione delle gerarchie ecclesiali, senza alcun criterio, non avendo in vista i diritti degli individui, ma solo l’intenzione di compiacere chi risiede all’oltretevere.
E’ chiaro che Casini parteggia per Bersani. La manovra è fin troppo evidente. Costruire un partito nuovo al centro fa parte di questo disegno. E Marino è una anomalia che va neutralizzata.

  • Ignazio, nel rispondere a Casini che oggi, a Chianciano, aveva definito i suoi toni “ laicisti e anticattolici”, ha ricordato “all’onorevole Casini che un bravo cattolico prima di tutto non racconta bugie sugli altri e per questo non accetto l’etichetta immotivata che vorrebbe attribuirmi di anticattolico. Sono convinto che in politica ci debba essere una netta divisione tra la vita di un cattolico, la sua fede e il suo ruolo istituzionale. Nonostante io abbia da sempre una salda fede cattolica e segua gli insegnamenti della religione cristiana, credo profondamente nella laicità della politica. Allo stesso tempo, sono consapevole del ruolo essenziale che i cristiani hanno nella vita pubblica e del contributo che da essi può venire a una visione alta e nobile dell’agire politico. Ma, come del resto diceva anche Aldo Moro: ‘L’autonomia è la nostra assunzione di responsabilità, è il nostro modo personale di rendere un servizio e di dare, se è possibile, una testimonianza ai valori cristiani nella vita sociale’”. Ignazio ha poi concluso, dicendo che “sui diritti civili, e in particolare sul testamento biologico, l’onorevole Casini dovrebbe guardare ed ispirarsi alle scelte politiche fatte dai suoi colleghi nel Partito Popolare Europeo, in particolare a quelle esemplari di Angela Merkel”.

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    • La fine del bipartitismo sognato dal Pd e dal Pdl tuttavia, ci tiene a precisare il leader dell’Udc, non significa che non si possa costruire "un bipolarismo europeo come quello tra il centro e la sinistra socialista che c’è in Germania"
    • occorre "cambiare questo sistema politico" e "il grande centro – dice Casini rivolgendosi direttamente al fondatore di Repubblica Eugenio Scalfari, feroce critico di tale progetto – è l’unico in grado di farlo.
    • l’Udc "non accetterà un’alleanza organica sul territorio nazionale: se vogliamo mandarli a casa perché dovremmo fare un’alleanza organica col Pd o col Pdl?
    • Nel momento in cui diciamo che non fanno il bene del paese perché dovremmo allearci con l’uno o con l’altro? Mica siamo schizofrenici…"
    • Accettare un’alleanza nazionale oggi, secondo il leader Udc, "negherebbe l’impianto politico dell’Udc e ci renderebbe subalterni politicamente agli uni o agli altri"
    • E sempre in funzione del ‘grande centro’, l’Udc guarda al congresso del Partito democratico con attenzione e tifando neanche troppo velatamente Pierluigi Bersani. Casini non lo dice esplicitamente ma rileva "la fine del Pd a vocazione maggioritaria" creato da Veltroni e raccolto da Franceschin
    • Il Pd, suggerisce Casini, "deve fare una scelta strategica, trasmettere l’idea di un paese diverso. Noi guarderemo al congresso, vedremo se ci hanno convinto, vedremo se hanno risolto il problema del rapporto col mondo cattolico perché non si può pensare di accettare i toni laicisti e anticattolici del neoclericalismo laico di Marino e poi dialogare con i cattolici"
    • martedì, partirà il tesseramento del nuovo partito di centro, forse si chiamerà Partito della nazione, ma il segretario dell’Udc, Lorenzo Cesa, fa sapere che non è stato ancora deciso
    • Il congresso fondativo ci sarà l’anno prossimo dopo le Regionali anche se Casini si mostra già forte tanto che a Berlusconi e Bossi che "ogni tanto fanno circolare la favola metropolitana delle elezioni anticipate" dice: "Facciamole, siamo pronti, qui c’è un partito che alle prossime elezioni sarà la decisiva forza di cambiamento con ben altre presenze di quelle che oggi si vedono qui"
    • Sulle "altre presenze" non va oltre ma il nome del presidente della Fiat, Luca Cordero di Montezemolo, è stato più volte evocato nella tre giorni a Chianciano.  "Tra i nostri interlocutori c’è Rutelli, magari Fini, forse anche Montezemolo", dice a Libero il presidente dell’Udc Rocco Bottiglione.
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    • «Sono cose che dice il catechismo, ma ci sono dei passaggi anche in Paolo VI, nel suo messaggio al congresso dei medici cattolici», «si tratta di un tema delicatissimo, sul quale non possono esserci posizioni tagliate con l’accetta», e invece, «nel testo del Senato non c’è mai la parola famiglia. Non c’è mai, capite?».
    • parlando dell’opportunità di «deporre la becera e grossolana contrapposizione tra laici e cattolici per scrivere una bella pagina parlamentare e politica sul biotestamento», il presidente della Camera ha estratto una citazione giusta giusta per sostenere la sua tesi: il Catechismo, scritto ai tempi da Joseph Ratzinger in persona, allora prefetto della Congregazione per la dottrina della fede.
    • «L’interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima», ha letto Fini dal palco nello stupore generale, «Le decisioni devono essere prese dal paziente, o da coloro che ne hanno legalmente il diritto, rispettando sempre la ragionevole volontà e gli interessi legittimi del paziente». E ancora: «L’uso di analgesici per alleviare le sofferenze.. può essere moralmente conforme alla dignità umana, se la morte (…) è soltanto prevista e tollerata come inevitabile».
    • Un colpo a effetto, questo del Catechismo, che Fini aveva pronto da mesi. Ammonticchiato sulla sua scrivania insieme a passi della Dottrina della fede e citazioni di Paolo VI («dovere del medico è alleviare le sofferenze, invece di voler prolungare una vita che non è più pienamente vita umana»). Pezze d’appoggio per dimostrare che la Chiesa non è soltanto quella che vuole leggi come il testo sul fine vita del Senato. E che, dunque, anche le sue posizioni («bisogna tener conto della volontà del paziente,della famiglia, e del collegio medico») non sono per forza contrarie a quelle.
    • Buttiglione, delegato dall’Udc ad occuparsi del biotestamento con Vietti, si trova perfettamente d’accordo. Su almeno due punti «il ruolo della famiglia, che non può essere ignorato». E il ricorso alle terapie del dolore: «Quello di Eluana rappresenta l’1% dei casi: di solito il problema è quello del dolore in prossimità della morte. E io credo che, anche se abbreviano la vita, gli analgesici vadano utilizzati. Avevo presentato una proposta di legge, nella quale si sosteneva proprio questo».
    • Potrebbero diventare emendamenti Udc, alla Camera. A dimostrazione che una buona fetta della Chiesa – «anche monsignor Fisichella» dicono – davvero non sarebbe soddisfatta del testo del Senato.
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Join the dots. Unisci i puntini. Scacco matto a Mr b: rivelare la verità sulle stragi.

C’è un’alleanza che giunge fino a oltreoceano. Stavolta sono proprio tutti contro Mr b. Lo rivela il grande teorico di puttanopoli, Paolo Guzzanti, il fedele seguace di Forza Italia, poi messo in disparte e ribellatosi.
Lo scenario che viene descritto è quello di un Mr b scomodo agli USA per la vicenda South Stream e per l’alleanza stretta con Gheddafi. Pertanto l’Ambasciata USA in Italia sarebbe al centro di una regia che vede insieme Repubblica, i giornali stranieri in quota Murdoch, El Pais per la componente mediatica; Fini, Casini, Montezemolo per la costituzione della "cosa bianca" (in cui Rutelli porterebbe i suoi, all’indomani del Congresso PD); le concomitanze della pronuncia della Consulta sul Lodo Alfano e il progredire delle indagini congiunte sui mandanti occulti dello stragismo mafioso del 1992-1993.
Tutto questo si sovrappone al Congresso PD, che designerà il nuovo segretario del partito. Comunque vadano le primarie, si annuncia la scissione dei rutelliani e dei teodem, per i quali si starebbe confezionando il nuovo contenitore. Il quadro politico muterebbe in maniera vertiginosa e in aperto contrasto con l’esito delle urne delle politiche 2008. Berlusconi resterebbe isolato a destra insieme alla Lega, la quale proprio oggi torna a teorizzare la "Padania libera". Non ci sarebbe più una maggioranza e il suo ex leader sarebbe contemporaneamente sotto accusa per il processo Mills, per le indagini su Mediatrade e i diritti tv, per la presunta collusione con lo stragismo mafioso. Uno scacco matto.
Gaspare Spatuzza, il pentito di mafia, l’assassino di Don Puglisi, ha fatto rivelazioni importantissime confermando i teoremi accusatori di altri pentiti – vedi Giuffré. Uno scenario – quello dei contatti Mafia-Forza Italia – già indagato nel passato da Piero Grasso, ma rimasto nei cassetti per anni nonostante le coincidenze presenti in molte dichiarazioni di pentiti. Ora forse i tempi sono maturi.

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    • L’ordine è arrivato dagli Stati Uniti: Berlusconi va eliminato. Motivo: i contratti energetici che legano non solo l’Italia alla Russia, ma tutta quella parte di Europa che Berlusconi è deciso a portarsi con sé.
    • ambasciatore Spogli
    • “Non siamo certo noi americani che vogliamo vendere energia all’Italia, ma vogliamo un’Italia che non dipenda dalla Russia come una colonia e non vogliamo che la Russia incassi una somma di denaro di dimensioni mostruose, che poi Mosca converte direttamente in armamenti militari”
    • un fatto nuovo di enorme gravità si è aggiunto: l’Italia ha silurato il gasdotto Nabucco (che eliminava la fornitura russa passando per Georgia e Turchia) facendo trionfare South Stream
    • Contemporaneamente Berlusconi organizzava la triangolazione Roma-Tripoli-Mosca associando Gheddafi nell’affare. E’ opinione diffusa Oltreoceano (per esempio all’Istituto Aspen, Colorado) e anche di fonti georgiane che Berlusconi abbia interessi non soltanto di Stato.
    • L’operazione è stata preparata con cura attraverso una campagna mediatica di lavoro al corpo di Berlusconi basato sulle vicende sessuali, sulle inchieste di mafia e sulla formazione, nell’area moderata, di una alternativa politica a tre punte: Luca Cordero di Montezemolo, Perferdinando Casini e Gianfranco Fini, ciascuno a suo modo e con le sue vie, ma in una sintonia trasparente.
    • Il partito di Montezemolo, non ancora ufficiale, aprirà la sua convention sotto forma di manifestazione culturale il 7 Ottobre, lo stesso giorno in cui la Consulta dovrebbe decidere sul lodo Alfano.
    • Che cosa farà la Consulta è il nodo da sciogliere perché il risultato è incerto
    • Berlusconi tutto questo lo sa perfettamente, sostiene che dietro Fini ci sarebbe Paolo Mieli e altri intellettuali laici, e fa sapere che lui a dimettersi non ci pensa per niente e che, se mai lo costringessero, negherebbe con il PDL qualsiasi maggioranza a qualsiasi altro governo – Fini, si suppone – costringendo Napolitano a constatare la mancanza di una maggioranza e a convocare elezioni anticipate da accorpare a quelle regionali stabilite con enorme anticipo a marzo.
    • ci troveremmo di fronte a una crisi virtuale e poi formale subito dopo la prima metà d’ottobre, già affollata per il congresso del PD. Lo scioglimento anticipato delle Camere dovrebbe precedere di 60 giorni la data delle elezioni e quindi il decreto dovrebbe arrivare subito dopo Natale.
    • Questa sarebbe, secondo lo scenario peggiore, l’ultima chance di Berlusconi pronto a sfidare i nemici sul piano elettorale, forte del massimo momento di popolarità nei sondaggi, malgrado gli scandali.
    • davvero Berlusconi avrebbe il potere di controllare tutti i deputati e senatori del PDL affinché neghino la fiducia ad un suo successore? E come si regolerebbe il Pd?
    • E’ infatti molto probabile che, in caso di vittoria ormai scontata di Bersani, i cattolici del Pd se ne andranno. Scissione a sinistra, dunque, e scissione anche a destra. Grande rivoluzione parlamentare e politica.
    • Con Berlusconi deciso a resistere, sfidare, e se proprio deve morire, portarsi dietro tutti quanti.
      Ma i suoi deputati sanno che se lui li mandasse a casa, poi sarebbero tutti sostituiti dalla nuova leva di giovanissimi già selezionati. Sarebbero allora i tacchini di Natale: davvero i tacchini di Natale accompagnerebbero il disegno natalizio? Appare improbabile.
    • chi tiene le fila del gioco che punta al ricambio tutto questo lo sa e si è fatto i conti. Anche Berlusconi si fa i conti. Lo scontro è ravvicinato e mortale. Se Berlusconi riuscisse ad evitare la bocciatura del Lodo Alfano, alla fine uscirebbe rafforzato.
    • La grande manovra è cominciata, le artiglierie già battono il campo. La guerra arriverà, se arriverà, entro un mese.
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    • Il nome del presidente del Consiglio è citato 15 volte, Forza Italia 14 volte, 12 quello del senatore Marcello Dell’ Utri, 6 la Fininvest. A farli il capomafia pentito Antonino Giuffrè nelle 86 pagine di verbali in cui, rispondendo alle domande del procuratore della Repubblica Pietro Grasso e dei suoi sostituti, parla dei presunti rapporti tra Cosa nostra e i capi di Forza Italia
    • Rapporti, quelli tra Cosa nostra e Forza Italia, che secondo Giuffrè iniziano a fine ’93, quando si cominciò a parlare della nascita di un nuovo partito, quello poi effettivamente fondato da Berlusconi. Rapporti che si sarebbero materializzati nel settembre-ottobre del 1993 e di cui in Cosa nostra si era già parlato ancora prima, «fin dal giugno 1993 o, addirittura ancora prima»
    • Giuffrè è l’ ottavo pentito di Cosa nostra che parla dell’ interesse della mafia e dei rapporti con i vertici prima della Fininvest e poi di Forza Italia
    • Prima di Giuffrè, altri pentiti (Salvatore Cancemi, Angelo Siino, Giovanni Brusca, Pietro Romeo, Calogero Pulci, Tullio Cannella, Giovanni Ciaramitaro) avevano parlato di "relazioni pericolose" tra Cosa nostra e Forza Italia
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    • Gaspare Spatuzza, boss del quartiere palermitano di Brancaccio soprannominato "U’ tignusu" per le sue calvizie, ha cominciato dalla fine. Ha cominciato dal fallito attentato all’Olimpico, da quel massacro che nei piani di Cosa Nostra corleonese sarebbe dovuto avvenire una domenica pomeriggio allo stadio "per ammazzare almeno 100 carabinieri" del servizio d’ordine
    • quella volta qualcosa non funzionò nei circuiti elettrici del telecomando che avrebbe dovuto far saltare in aria un’auto – una Lancia Thema – con dentro 120 chili di esplosivo. Non ci fu strage. Ma rivela oggi il pentito Gaspare Spatuzza ai magistrati di Firenze: "Giuseppe Graviano mi disse che per quell’attentato avevamo la copertura politica del nostro compaesano"
    • Le indagini riaperte sui massacri di diciassette anni fa sono disseminate di indizi che stanno portando gli investigatori a riesaminare uno scenario già esplorato in passato, ipotesi che girano intorno agli ambienti imprenditoriali milanesi frequentati dai fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, boss di Palermo più volte citati – in inchieste e anche in sentenze – come vicini al senatore Marcello Dell’Utri.
    • Rapinatore e poi sicario – è uno dei killer di don Pino Puglisi, il parroco ucciso a Palermo nel settembre 1993 – capo del mandamento di Brancaccio, legatissimo ai Graviano, Gaspare Spatuzza dopo avere fornito una diversa ricostruzione della strage di via D’Amelio (autoaccusandosi e smentendo il pentito Vincenzo Scarantino che a sua volta si era autoaccusato dello stesso massacro), è stato ascoltato sulle bombe di Firenze e Roma e Milano, dieci morti e centosei feriti
    • fallito attentato all’Olimpico, quello che – se fosse avvenuto – sarebbe stato uno degli ultimi atti della strategia mafiosa nell’attacco contro lo Stato
    • La "comprensione" del fallito attentato dell’Olimpico potrebbe, a questo punto, diventare la chiave per entrare in tutti i misteri delle stragi
    • fatto risalire il progetto dell’attentato nel periodo ottobre-novembre 1993, poi il pentito Salvatore Grigoli aveva indicato una data precisa (domenica 31 ottobre, la partita era Lazio-Udinese), poi ancora un altro pentito – Antonio Scarano – aveva spostato di qualche mese il giorno della strage: 6 febbraio 1994, ventiduesima giornata di campionato, all’Olimpico l’incontro Roma-Milan
    • Gaspare Spatuzza racconta adesso alcuni restroscena cominciando con quella frase sulla "copertura politica"
    • "L’attentato dell’Olimpico doveva essere un messaggio mandato in alto loco… Sarà stato uno dei soliti colpi di testa di Leoluca Bagarella contro i carabinieri, magari perché gli avevano arrestato il cognato Totò Riina, o perché mirava ad altri discorsi, ad eventuali contatti che poi ci sono stati fra i carabinieri e parti di Cosa Nostra"
    • Antonino Giuffrè, più che della seconda ipotesi era convinto della prima. E spiegava ancora che – in quel periodo – dentro Cosa Nostra era già stato impartito l’ordine "di appoggiare la nuova formazione politica che era Forza Italia", che Cosa Nostra non avrebbe mai più continuato con le stragi, che "se ci fosse stato l’attentato dello stadio Olimpico a Bagarella gli avrebbero senza dubbio staccato la testa: sarebbe morto"
    • Le indagini di Firenze si incrociano con quelle della procura di Caltanissetta su Capaci e su via D’Amelio, con quelle di Palermo sulla famosa "trattativa" fra i Corleonesi e apparati dello Stato e infine quelle di Milano sugli investimenti in Lombardia dei fratelli Graviano
    • fra qualche mese affiorerà probabilmente qualcosa di più concreto

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