[Dis]Fare il PD

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Ho visto D’Alema balenare nel buio vicino alle porte di Tannhauser. E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo come lacrime nella pioggia

In questi mesi, ha detto oggi Dario Franceschini, ministro del governissimo, siamo passati a riconoscerci non più come ex margherita ed ex ds, siamo passati a riconoscerci addirittura come comunisti e democristiani. E’ pericoloso, avverte. Non possiamo metterci per quattro o cinque mesi in un clima di lacerazioni. Tradotto significa che non possiamo permetterci un Congresso vero, bensì è meglio, per il cheto vivere del governo Letta, un Congresso addormentato e addormentante. Deve prevalere, dice Franceschini, uno spirito “basato su due punti”, il primo dei quali è “difendere il mescolamento che è l’antidoto a quel rischio, se non vogliamo essere ipocriti” (fonte Huffingtonpost.it).

Mescolamento? La neolingua di Franceschini ci mostra la vera linea politica, peraltro espressa limpidamente dal governissimo: il mescolamento. Non siamo ipocriti, dice Franceschini. E in una frase ha legittimato, senza accorgesene (ed è un dramma, per lui in primis), tutti i discorsi di Beppe Grillo sul PD meno L eccetera.

A questa riunione dei ‘big’ (definizione del TG3) del partito, ha esposto il proprio pensiero anche l’ex segretario Pierluigi Bersani. Basta chiacchiericcio, ha detto. Ci facciamo compatire. Di cosa avrebbe paura, Bersani? Il chiacchiericcio è altresì detto dialettica. Senza una libera dialettica, un partito si suddivide in un comitato di affezionati e in una lista di espulsi. “Il percorso verso il congresso”, ha spiegato alla folta platea, “deve essere un luogo [detto per inciso, un percorso è un percorso e un luogo è un’altra cosa, generalmente i percorsi conducono ai luoghi, ma per Bersani non è così] dove ci si confronta senza tirar su bandierine e tutti quanti cerchiamo di dirci, ciascuno con le sue idee, di che cosa dobbiamo discutere”. Ecco, questo è il dilemma: di cosa dobbiamo discutere quando dobbiamo discutere? Per esempio, io suggerirei, di strategie per uscire dalla crisi, di soluzioni al caso degli F-35, di una sacrosanta riforma della legge elettorale. Eppure, grazie anche alla politica del mescolamento, i ‘big’ del PD sono più preoccupati a mandarsi messaggi trasversali e sibillini poiché di questo dobbiamo discutere: del nulla. Per tutto il resto,  se ne discute al caldo dei caminetti e magari in accordo – accordissimo – con pitonesse e capigruppo di bassa statura.

Congresso PD, Renzi avalla il Lodo D’Alema

Il lodo D’Alema è quella formula molto particolare che trasformerebbe la regola dello statuto PD, secondo la quale il segretario è anche il candidato premier, in una opzione ‘diversamente’ praticabile, a scelta, seguendo le circostanze politiche del momento. E’ una formula melliflua che intende far passare agli elettori/iscritti che il prossimo segretario potrebbe essere candidato premier ma anche no, dipende dalla condizione di salubrità del governo Letta, sembra scritto fra le righe. Una formula che sembra godere dell’appoggio del sindaco di Firenze, non obbligato quindi a disarcionare Letta per prendere il partito, suo nuovo e malcelato obiettivo. 

Guglielmo Epifani si è autodichiarato presidente della Commissione pre-Congressuale, o per meglio dire, un presidente ombra: non è ufficialmente tale, ma lo è nella prassi. Agirà in coordinazione con i segretari regionali Bonaccini (PD Emilia-Romagna ex bersaniano) e Lupo (PD Sicilia, franceschiniano). Tanto per rinfrescare agli smemorati che le correnti son sempre quelle.

Epifani ha dettato i tempi per la revisione delle regole dello Statuto. Ancora una volta ha suggerito l’idea che le primarie congressuali si debbano tenere su una base ristretta e selezionata di elettori-iscritti. Ha riesumato la storia dell’albo, di bersaniana memoria. Se così fosse, bisognerebbe ricordare al segretario che di albo ce n’è già uno, quello di Ottobre 2012, che conta quasi tre milioni di elettori. Una buona base, si potrebbe dire, se di quei tre milioni ne fosse rimasta almeno la metà disponibile a votare nuovamente per il Partito Democratico. Epifani la mette giù così, un po’ dimenticandosene, di quelle primarie di Ottobre (potere della Sconfitta). A lui piace come fanno gli ammericani: “visto che parliamo di primarie andrei a lezione dai maestri: lì per votare ci si iscrive in albi, chi è iscritto a quell’albo vota il suo candidato alle primarie”, dirà stasera durante Porta a Porta (europaquotidiano.it).

Le altre modifiche statutarie dovrebbero accogliere l’idea di Civati, Barca e altri, secondo i quali l’ordine della discussione deve essere invertito e perciò deve promanare sempre dai circoli verso la Direzione Nazionale e non viceversa, come invece di consuetudine. In secondo luogo, aspetto degno di revisione potrebbe essere anche la composizione dell’Assemblea Nazionale, l’organo che materialmente elegge il segretario e che è composta dei delegati eletti con le primarie congressuali: si prevede una riduzione consistente del numero dei suoi componenti, che potrebbero essere eletti dalle assise regionali.

Epifani ha comunque assicurato che il congresso si terrà entro l’anno. Qualche buontempone suggerisce le date del 29 e 30 Dicembre.

PD | Segretario subito con Congresso Postdatato

Bersani, da segretario dimissionario, ha cambiato improvvisamente rotta e dice di voler spingere per risolvere lo stallo nel PD: il congresso si farà subito e non serve un segretario reggente. L’Assemblea Nazionale, sabato, deve decidere la data del congresso ma, secondo una vasta vulgata che va da Bersani, passa per Cuperlo e raggiunge persino i fioroniani (specie perniciosa, secondo i manuali di Scienza – si scherza), deve anche votare un nuovo segretario, un segretario a tutti gli effetti. Un nome autorevole. Che poi andrà al congresso per farsi legittimare da una specie di plebiscito “intimo” fra gli iscritti. Per darvi l’idea della irragionevolezza del segretario dimissionario, soltanto qualche giorno fa dichiarava che la riunione di sabato non dovrà giammai esser trasformata in un mini congresso. Ora afferma che la stessa deve votare il nuovo segretario e che il nuovo segretario deve essere autorevole: non uno che passa di lì per caso, insomma.

Matteo Renzi ha incontrato Bersani stamattina, in una sorta di antipasto del Caminetto serale. Secondo Bersani l’incontro sarebbe “andato molto bene”. Renzi ha confermato che “non sono io che faccio problemi o correntizzo il partito”, “non voglio mettermi di traverso”, eccetera. Secondo Repubblica, l’idea di votare un segretario pro tempore è però ancora sul campo e i due candidati sarebbero nientemeno che Anna Finocchiaro e Roberto Speranza. Ma se un nominativo aveva ricevuto dai renziani il niet per la seconda carica dello Stato, potrebbe essere diversa la scelta se quel medesimo nome venisse proposto in Assemblea come candidato segretario?

A posteri l’ardua sentenza.

Congresso vero, Congresso falso

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L’intervista a Pierluigi Bersani pubblicata oggi su L’Unità sgombra ogni dubbio sulle intenzioni che l’attuale dirigenza del PD ha circa la strategia da mettere in atto sabato durante l’Assemblea Nazionale che eleggerà il segretario-reggente.

Bersani ha più volte ripetuto che il congresso dovrà essere affrontato con una discussione seria, vera, eccetera, sulle regole: a questo dovrebbe servire il suo sacrificio, a “decidere delle correzioni profonde riguardo il nostro modo di essere”. Eh già, il PD non ha perso le elezioni, ha incontrato delle difficoltà dopo. “Messi di fronte alla prima vera responsabilità nazionale da quando siamo nati, non siamo riusciti a saltare l’asticella. Abbiamo mancato la prova”, ripete l’ormai ex segretario. Nessun cenno su una campagna elettorale disastrosa, specie nel mese di Gennaio, quando i sondaggi ‘sentivano’ – ma senza percepirlo in tutta la sua interezza – il calo della coalizione Italia Bene Comune. No, il disastro è colpa dell’immaturità dei parlamentari del PD, i quali non sono in grado di “distinguere tra funzioni istituzionali, come è quella del Presidente della Repubblica, e funzioni politiche e di governo”, ma tutti sapevano che la scelta del Quirinale avrebbe influito pesantemente nella scelta dell’incarico.

Bersani non dimentica di ripercorrere le tappe decisionali: la direzione che gli ha conferito mandato per ricercare un candidato presidente della Repubblica “largamente condiviso”; la scelta di Marini (“Mi piacerebbe piuttosto chiedere a Grillo e tutti gli altri perché hanno detto no a uno come Marini” – il no è stato detto innanzitutto dal suo stesso partito e Marini è stato lo stesso portato in aula, agnello sacrificale sull’altare del governissimo); la convergenza unanime sul nome di Romano Prodi, poi vigliaccamente killerato nel segreto dell’urna.

“Nell’inconsapevolezza di tanti di noi, lì è tramontata la possibilità di un governo di cambiamento, la possibilità di aprire la legislatura con una terapia d’urto capace di riconnettere il governo e noi stessi con la società”.

Questo tema dell’inconsapevolezza, come se il parlamentari del PD fossero degli ingenui intenti più che altro a farsi le scarpe l’un l’altro, è una ipotesi che Bersani spaccia per verità. Come se i 101 franchi tiratori non sapessero affatto quel che stavano facendo e il governissimo, per loro, non fosse certamente l’obiettivo finale.Tutto ciò viene affermato da un segretario dimissionario, che ha quindi ammesso di non esser stato in grado di formulare iniziative politiche chiare e vincenti. Figuriamoci se ora è in grado di prefigurare una linea politica per il futuro.

Eppure, ostinatamente abbarbicato sul proprio scoglio, lo fa. E sostiene, con una allarmante limpidezza di linguaggio, che:

  1. ci vuole un congresso vero, che sia svincolato dalla scelta di un candidato premier, visto che per la prima volta da quando esiste il PD un presidente del Consiglio lo abbiamo;
  2. è possibile avviare una procedura per arrivare a una modifica dello statuto tale per cui non ci sia più coincidenza tra la figura del segretario e quella del candidato premier;
  3. che l’Assemblea di sabato non deve essere un mini-congresso. Però poi dice che deve eleggere un segretario (alla domanda segretario o reggente, risponde, testuale:  “E’ una discussione formalistica”!), ovvero che deve “dare un mandato pieno a qualcuno che dovrà condurci nella fase congressuale e intanto rappresentare il PD di fronte al Paese”, e questo non è affatto formalismo, è svolgere il congresso in un pomeriggio, senza discussione alcuna, vidimando una decisione presa altrove e da chissà chi.

In queste tre condizioni, ovviamente, le primarie non sono più contemplate né sono contemplabili. L’assunto generale è “non disturbate il manovratore Letta” e perciò il prossimo congresso eleggerà non un candidato premier poiché il premier il PD già ce l’ha. Se vi sembrano ragioni durevoli. Il premier Letta nasce con la scadenza (18 mesi, ma potrebbe essere una “etichettatura errata” e potremmo scoprire una ‘frode’ sulla genuinità del governissimo). E non nasce secondo il principio democratico ma in virtù del giogo dei 101 occulti manovratori. I quali hanno agito consapevolmente – beata ingenuità – per suggerire la via unica dell’accordo con il Pdl.

Il congresso vero secondo Bersani sarà quello in cui ci sarà discussione sulle deroghe alle regole dello statuto. Il congresso falso è quello che le vuole applicare?

La rosa quirinalizia a 5 Stelle

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I 5 Stelle hanno selezionato dieci nomi per il Quirinale. A prescindere dai difetti del mezzo (la prima votazione è stata annullata per irregolarità), la notizia è che le preferenze degli iscritti non sono tanto diverse, per esempio, da quelle dei lettori de Il Corriere.it. Anche nella rosa a 5 Stelle c’è il nome di Emma Bonino, quello di Stefano Rodotà, quello di Gustavo Zagrebelsky, di Gino Strada e così via. L’idea che mi sono fatto è che, in fondo, le due platee di votanti si somiglino molto fra di loro, o per meglio dire le due votazioni chiamino a sé il medesimo ‘sentimento’, che è un sentimento di dignità. La domanda che emergerebbe da queste consultazioni più o meno affidabili sarebbe una domanda di dignità. La gente, sia essa parte della platea ristretta del Movimento 5 Stelle, sia invece quella più volatile dei frequentatori di un giornale online, si aspetta dalle operazioni di voto del Parlamento un nome di una personalità politica presentabile.

Sono arciconvinto che se anche il PD mettesse in opera un meccanismo del genere, il risultato sarebbe quanto di più simile a quelli presentati dai 5 Stelle o dal Corriere.

Romano Prodi si è chiamato fuori dalla competizione. E’ chiaro che la sua dichiarazione sia più che altro un rifiuto della candidatura pentastellata. Ma la sua presenza nel listino è propedeutica alla strategia dei 5 Stelle. Che sarà quella di arrivare in aula e sostenere un candidato non eleggibile almeno sino alla quarta votazione, quando sarà sufficiente la maggioranza assoluta delle Camere (505 voti). Sarà in quel preciso momento che uscirà il nome del Professore. Non è uno scenario tanto remoto. Ciò è dimostrato dai toni feroci che Berlusconi ha riservato oggi, dal palco allestito in piazza a Bari, all’ex Presidente della Commissione Europea. Lui attacca Prodi avendolo disarcionato nel 2008 con una compravendita indecente, la cosiddetta Spallata, che si tradusse con l’acquisto di De Gregorio e altri peones. Da un lato, le parole di Berlusconi, volte a minacciare il voto, apparire vincente in una piazza stracolma. Ha voluto spaventare la destra del PD, i popolari di Fioroni, la corrente di Franceschini, più propense al governissimo. Parafrasando: attenti, se non vi accordate con me, voteremo a Giugno e io sarò candidato premier. Dall’altro lato, Bersani, chiuso all’interno di un circolo PD, senza pubblico, con una mimica lamentosa, perso nell’autoreferenzialità e incapace di concludere una sola frase. Sarà un caso, ma l’assistenza a 5 Stelle potrebbe arrivare quando le chance del segretario sono oramai ridotte al minimo.

Ignazio Marino, Roma si prende ciò che il PD ha lasciato

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Una sconfitta di Marino, lo dico onestamente, mi avrebbe francamente sorpreso. Quando qualche giorno prima delle primarie per la scelta del candidato sindaco di Roma, leggevo di improbabili sondaggi attestanti il vantaggio di Sassoli, oppure di improvvisi endorsement per il pur onesto – ma navigato e renziano! – Gentiloni, non riuscivo a credere alle mie orecchie. Ignazio Marino è stato per il PD, per via del Congresso 2009 e del fallimento della Terza Mozione, la grande occasione perduta. Il Partito Democratico nel 2009 soffriva ancora – ancor più di oggi – della dicotomia fra Popolari ed ex DS e personaggi scomodi, impopolari e soprattutto minoritari come Paola Binetti, dettavano la linea del partito sui temi eticamente sensibili, specie quando si spesero mesi a impedire ad un padre, Beppino Englaro, di liberare la propria figlia, in stato vegetativo da più di quindici anni, dalla schiavitù delle macchine.

Marino era là, ad esprimere ciò che tutti volevano fosse detto e che invece nessuno, nel PD, diceva. Spesso si trovava da solo.

Ignazio Marino perse quelle primarie ma il suo progetto politico era un archetipo assoluto: era il primo programma politico democratico, non di mera sintesi fra le posizioni dei diesse e quelle dei popolari, ma di pieno superamento di quella storica contrapposizione su cui si è deciso di fondare il partito. Fu Marino per primo a parlare di ‘salario minimo’ e di flexsecurity e di metodo del layering (idee mutuate dal discusso Pietro Ichino, il giuslavorista renziano e poi transfuga verso Scelta Civica), di peer review e merito nella ricerca, di no al nucleare, di testamento biologico, di unioni civili, di una televisione pubblica non più diretta dai partiti, di antiberlusconismo fatto di argomenti e proposte e non di ospitate televisive. Argomenti e progetti che oggi sono finiti, più per dabbedaggine del PD che per merito degli altri, in mano ai 5 Stelle. E pensare al capitale politico rappresentato dalla Terza Mozione mentre ci troviamo in questo sciocco e inutile stallo, fa un po’ strano.

Il Partito allora non cambiò. Votò Pierluigi Bersani, che era un uomo di apparato, grigio, distante anni luce da quello odierno, a suo dire ultimo baluardo contro l’inciucio PD-Pdl. Allora parlava di centro-sinistra con il trattino o senza il trattino, per dire. Parlava di alleanza con l’UDC, senza mai citare l’UDC. Beppe Grillo cercò di inserirsi in quel dibattito provocatoriamente chiedendo di potersi candidare alle primarie. Gli fu negato. In realtà, stava già preparando il Movimento. All’epoca si chiamava Movimento per la liberazione nazionale. Grillo subodorava di sinistra, raccoglieva consensi dalla sinistra. Di Marino disse che era già compromesso (con il sistema dei partiti). Non si espresse mai sul suo progetto politico. Ma non è un caso se molta parte di quegli argomenti ora costituiscono l’asse portante della retorica grillina.

Voi che vi siete lamentati sinora della politica, pensate che nel 2009 c’era un chirurgo in grado di poter cambiare le cose. Oggi ha vinto le primarie per Roma. Se Roma non vuol fare la fine del PD, è meglio che si accorga del suo valore e lo scelga come sindaco. Ai democratici, specie a quelli che si ispiravano alla Terza Mozione, posso solo dire di continuare a combattere affinché questo partito smetta di essere guidato da tendenze oligarchiche e scelga, pienamente, la via della partecipazione dal basso.

Indovina chi

vitoI 5S vogliono un governo a 5 Stelle. Sembra sia l’unica condizione per il voto di fiducia. Ma non hanno mai indicato un nome. Questo strano Indovina Chi, un nuovo gioco di società, ci costerà molto probabilmente qualche decina di miliardi di euro di manovra correttiva, non a Novembre ma già nel corso dell’estate. Che dite? Lo facciamo pagare ai correntisti – come Cipro – questo salatissimo conto? L’IMU e poi la TARES renderanno impossibile una inversione di tendenza per quanto concerne il prodotto interno lordo. I pagamenti alle PMI da parte delle Pubblica Amministrazione, nella formula proposta dal Ministro Grilli, il pacchetto 20+20 miliardi in due anni, rischia di essere insostenibile non tanto per il deficit/pil quanto per il debito/pil (che si candiderebbe a sforare quota 130%). Non aggiungo una parola sulle risorse da disporre per la Cassa Integrazione.

Questo fosco quadro macroeconomico dovrebbe già da solo spingere gli onorevoli cittadini, e gli onorevoli e basta, a cercare un accordo quanto prima. Il giochetto è finito. Domani Bersani salirà al Colle con un nì (Scelta Civica), un no condizionato (Pdl e Lega), un no senza condizioni (ma ritrattabili a mezzo Facebook – M5S). Un magro bottino. Si parla di una delegazione pentastellata molto agitata, soprattutto per la gestione Crimi-Lombardi. La capogruppo alla Camera non gode di buona reputazione. Il video pubblicato ieri sul blog del Capo Comico, nel quale la cittadina deputata spiegava come il progetto di Grilli di pagamento dei debiti della PA fosse un regalo alle banche – una svista terribile se pensate che molte imprese hanno ceduto i propri crediti alle banche semplicemente per renderli esigibili e il loro pagamento non farebbe altro che estinguere la posizione debitoria per la quale lo Stato sta anche ora maturando interessi passivi – è semplicemente ridicolo e imbarazzante. Ha mostrato tutta la sua impreparazione e – se volete – pure l’incapacità dei Responsabili della Comunicazione – specie il cupo blogger Messora – di preparare un discorso decente per una tematica così delicata e complessa.

Non credo ci siano altri margini di manovra. L’insulto del Capo Comico è la pietra tombale ad una eventuale maggioranza PD-M5S. Non ci sono piani C, a meno di causare scissioni improbabili. Si va al buio, e io sono d’accordo così. Bersani andrà al Senato a forzare la mano (il piano K, che significa kamikaze). Aspettando Sam?

Ho scelto un posto a caso, lo scranno del Segretario

@civati: Ho scelto un posto a caso e dietro di me si sono seduti Bersani e Franceschini. Mi dovrò comportare bene… #opencamera

Comincia così la diciassettesima, pardon, XVII Legislatura. Qualcosa che si annuncia indimenticabile. Nell’arco di due file trovi nientemeno che il primo vice-segretario nonché secondo segretario del Partito Democratico, Dario Franceschini, capogruppo uscente, se così si può dire. Di fianco a lui l’attuale segretario del PD, Pierluigi Bersani, il cui mandato arriverà a naturale scadenza entro breve, brevissimo, ahi lui.
Pensi forse che le cose non siano affatto cambiate, quaggiù, a parte ‘quelli del loggione’, i 5 Stelle, confinati nelle file estreme, in postazioni che ricordano quelle dei Radicali (per dire che non hanno alcun futuro, i cosiddetti pontieri).

Il nuovo. Dov’è il nuovo? A insidiare i ritratti – e le strategie? – dei segretarissimi (il barbuto è anche in pole per una elezione a presidente della Camera), due ragazzi, due passisti scalatori, tanto per usare una ciclistica. Antonio Decaro e Giuseppe Civati. Oramai è chiaro, i due fanno squadra (e spogliatoio).

@orfini @civati @ivanscalfarotto nn perdete dignità no inciuci votate per vs giovani nuovi.Farlo x il futuro sto giro è andata.Disobbedite.

Qualcuno suggerisce soluzioni ‘a sorpresa’.

@civati per spezzare con gli ultimi 60 anni consiglio #Andreotti #opencamera Fri, Mar 15 2013 12:33:21
Domani il mantra ‘bianca, bianca, bianca, Fico, bianca’ sarà finalmente finito. Non per lui, ovviamente.

Roberto Fico alla buvette. I colleghi lo sfottono: “presidente, quanto zucchero?” #opencamera Fri, Mar 15 2013 03:38:12

Restiamo Democratici

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Chiunque, dico chiunque, avrebbe capito che il cambiamento non è più una opzione ma una esigenza. Bersani, durante la campagna per le primarie, aveva compreso di dover ‘cambiare passo’. La competizione con Renzi aveva improvvisamente fatto scorgere al segretario il pericolo di perdere la possibilità di diventare capo del governo. Fra Agosto e Novembre 2012 accettò di contendere la premiership anche in deroga allo Statuto del Partito Democratico fra più candidati del PD. Aveva persino accettato di definire le liste per Camera e Senato con primarie per i parlamentari. Dopodiché ha letteralmente spento la luce.

Ecco, affrontare il cambiamento con la paura di cambiare non è esattamente la cosa giusta da farsi, soprattutto se c’è qualcuno che con un blog è in grado di riempire delle piazze, in ogni città, superando divisioni storiche fra ciò che resta degli ideologismi del novecento. Si è da più parti affrontato il ‘problema’ M5S proponendo l’analogia con la Lega Nord. La furia pantoclastica – tutto è sbagliato, tutto è da rifare – collima ben poco con l’afflato secessionista del primo leghismo. Il leghismo portava in nuce un elemento di freno alla sua espansione: il legame con il Nord. Naturalmente il M5S non ha questo vincolo: quindi non c’è freno alla sua espansione, poiché l’odio verso la Casta è sentimento comune a tutto il paese. Come in una fornace, tutto il ‘sistema Grillo’ (Il Fatto Quotidiano, Chiarelettere, Casaleggio Associati, il blog, i meet-up, il M5S) mantiene la sua entropia bruciando indignazione. Lo schema argomentativo è sempre lo stesso: esiste una Casta, che è causa della miseria del Popolo; esiste un Popolo che è sempre vittima, che è sempre portatore di nuove idee e intelligenze genuine che non ottengono mai la giusta visibilità poiché la Casta seleziona gli individui solo sulla base di relazioni fiduciarie e mai su valutazioni meritocratiche. Ovviamente tutto ciò è vero, altrimenti non sarebbe creduto, ma è di fatto una ideologia che contiene in sé un vizio capitale: che la Casta è frutto del Popolo, si nutre del Popolo e il Popolo la sostiene. Questo sostegno è soltanto appena vacillato, la scorsa settimana.  Il Popolo non è affatto come viene narrato: non è affatto una entità monolitica, tutta dello stesso colore. Nel Popolo si formano e agiscono i gruppi criminali; nel Popolo esistono gruppi che comandano e altri che obbediscono, esattamente come fa la Casta con il Popolo medesimo. Il mito del Popolo è al pari del mito del Dio Po per i leghisti. Non esiste, è frutto di una costruzione narrativa che ha lo scopo di definire una identità collettiva che prima non c’era. L’indignazione è l’anticamera dell’odio. Grillo ha creato una coppia dicotomica, Casta-Popolo, che è niente altro se non la sempiterna coppia schmittiana Amico-Nemico; se la Seconda Repubblica si è sostanziata della lotta fra berlusconismo e antiberlusconismo, Grillo amplia l’ideologia dicotomica a tutto il sistema politico e il Nemico è in ogni organo istituzionale di tipo rappresentativo.

Se la retorica di Grillo ha messo in evidenza la necessità di una maggiore e più trasparente circolazione delle élite, al tempo stesso si sostanzia di questa anomalia. La sfrutta non già per cambiare il paese ma al fine ultimo e oscuro della distruzione dell’esistente. Una prospettiva velatamente anarcoide e rivoluzionaria nel senso novecentesco del termine, che ha tratti in comune con la distruzione dello Stato (Karl Marx). Ma davvero il Popolo di Grillo può rimanere ‘intatto’ anche dopo lo Tsunami? L’obiettivo ultimo della strategia Casaleggio è la riduzione del quadro istituzionale del 1948 a un mucchio di macerie. E’ un obiettivo prettamente politico. Grillo e Casaleggio non hanno scopi reconditi di natura economica. No. Useranno il caos per distruggere. E’ puro nichilismo, il loro.

Ecco, io a tutto questo mi oppongo. Non difendo lo status quo. Pretendo il cambiamento ma: resto Democratico.

L’incubo del 2006

Sì, insomma, lo spettro del pareggio. O della rimonta. O della vittoria del centrodestra. Per un paese che vive di paure – storica proprio la campagna elettorale del 2006, tutta giocata sull’emergenza immigrazione, che non c’era – non c’è da meravigliarsi se l’immagine consolatoria proviene proprio dalla televisione, che spaventa per rassicurare, che rassicura per poter spaventare. Nel solito chiasso dei talk show passano messaggi subliminali costruiti in piccoli uffici milanesi (o romani, a seconda dell’emittente): l’IMU che finisce nel caveau del Monte dei Paschi di Siena è un falso che si regge sul sentimento che quella tassa sia stata una imposizione ingiusta, sebbene sia stato l’unico (insieme alla Riforma delle Pensioni) provvedimento del governo Monti che ha rassicurato gli investitori, ancor prima dell’intervento di Draghi e dei suoi ‘OMT’ (Outright Monetary Transactions). Ed è poi una catena di associazioni mentali facili come sovraimpressioni visive, Mps e le Fondazioni bancarie, la politica senese, che è tutta in mano al PD, come se non ci fosse alcuna relazione fra questo scandalo e il collasso finanziario globale che ha pure rivelato una élite bancaria completamente fuori controllo (e una classe politica incapace di controllo) e che agisce come un virus fregandosene di difendere le reti sociali e perseguendo solamente il proprio fine, ovvero raggiungere gli obiettivi di bilancio annuali e incassare i cospicui bonus (insieme a uno 0.5% di interessi, che c’è sempre in questi casi).

Ecco, in questo cascame di informazioni parziali, la prima pagina di ieri di Libero – che ha pubblicato la fototessera dei consiglieri regionali del centrosinistra lombardo additandoli come impresentabili poiché ‘incorporati’ nell’inchiesta sui rimborsi ai gruppi consiliari regionali – è il colpo sotto la cintola che ci si aspetterebbe sempre da soggetti come Belpietro e Sallusti. Il problema è che il linguaggio del sospetto ci ha inquinati tutti quanti, e allora se un consigliere regionale, per i suoi spostamenti legati alla propria attività istituzionale, prende il taxi, diventa subito colpevole di un vizio capitale: aver usurpato denari pubblici. “Si paghi il taxi con i propri soldi”, è l’immediata equazione. Ed è un linguaggio che tracima e investe Repubblica, il Corriere, tutti. Chi legge o ascolta vuol scandalizzarsi per qualcosa. Chi scrive o conduce talk show non ha interesse alcuno ad approfondire. Poco importa se si passa sul cadavere di persone oneste e che si sono battute per eliminare il vitalizio. Poca importa la biografia del singolo consigliere. La Nutella è quella cosa che si ‘spalma’, anche sui rimborsi disonesti. Abbiamo trascorso mesi a condannare l’antipolitica. In pochi dicevano di non chiamarla così. Che quel ‘sentimento’ di indignazione è un motore che produce consenso verso chi condanna. Adesso l’hanno capito tutti. E l’antipolitica è diventata un comodo rifugio, in questa campagna elettorale. E’ comoda perché produce interesse senza troppi sbattimenti, fa vendere copie, fa aumentare i consensi. “Sono tutti coinvolti”, “sono tutti uguali”. Quindi perché dovrei cambiare (il mio voto)?

Il 2006, così semplice. Così rassicurante.

Le Politiche 2013 e il sentimento su Twitter

Da oggi terrò traccia dei risultati della ‘sentiment analysis’ che si può fare online – un po’ rozzamente – con alcune applicazioni quali http://twitrratr.com/ e http://www.sentiment140.com/. Inutile dire che siamo ben lungi dalle sofisticate analisi che la Stanford University ha realizzato nel 2009 e che qualcuno ha applicato con successo in occasione delle elezioni americane dello scorso Novembre. Però potrebbe essere una misura, un indicatore, del feeling che i leader delle coalizioni hanno su Twitter. Potrebbe suggerire delle tendenze in atto che i sondaggi tradizionali fanno fatica a intercettare.

twittrratr

Data Ora Nome 🙂 = 😦 Tweet totali %pos %neg
28/01/13 20,29 Berlusconi 31 259 11 301 10,3% 3,7%
28/01/13 20,3 @berlusconi2013 1 58 1 60 1,7% 1,7%
28/01/13 20,31 Bersani 1 35 0 36 2,8% 0,0%
28/01/13 20,32 @pbersani 11 150 0 161 6,8% 0,0%
28/01/13 20,33 @senatoremonti 52 636 10 698 7,4% 1,4%
28/01/13 30,36 @pierferdinando 2 24 0 26 7,7% 0,0%
28/01/13 20,4 @beppe_grillo 3 161 0 164 1,8% 0,0%

Sentiment 140

Berlusconi

Bersani (@pbersani)

Mario Monti (@SenatoreMonti)

Beppe Grillo (@beppe_grillo)

La polemica su Mussolini e le leggi razziali innescata ieri dall’abile troll Silvio Berlusconi ha fatto aumentare la ‘torta’ dei tweet che contengono il suo nome. Male o bene, purché se ne parli. Anche Mario Monti ha un modesto afflusso di tweet, sia positivi che negativi. E’ probabile che in questa analisi, l’ora di esecuzione delle query ha il suo impatto. Domani le ripeterò, alla stessa ora.

31/01: penso che concluderò anticipatamente questa analisi. Le Query realizzate per tramite di queste applicazioni online sono inaffidabili e non distinguono i post sarcastici. Inoltre sono solo in lingua inglese, pertanto le analisi dei tweet tendono a privilegiare Mario Monti, che in questi giorni ha spesso avuto interazioni con twitteratori in lingua inglese, specie dopo la sua partecipazione alla conferenza di Davos. In secondo luogo, non ho trovato sinora un modo coerente di trattare i post negativi: devono essere sottratti a quelli positivi o esser trattati come i neutri? Insomma, troppi dubbi metodologici e strumentali per poter proseguire questa esperienza.

Politiche 2013: i candidati premier nei trend di ricerca

Spulciando Google Trends negli ultimi 90 giorni si scopre che dei quattro nominativi dei candidati leader delle coalizioni, i termini di ricerca più digitati sono quelli di Mario Monti e Silvio Berlusconi. Bersani è in coda, minimizzato, ma non è una novità: questo strumento lo penalizzava anche alle primarie di Italia Bene Comune laddove era in coda insieme a Tabacci in una classifica dominata da Matteo Renzi e Nichi Vendola. Sappiamo tutti come è andata a finire.

trend_monti_b_bersani

Ricerca su Google Trends, ultimi 90 giorni: in blu il volume di ricerca per Mario Monti, in rosso Bersani, in giallo Silvio Berlusconi. I due picchi di Monti corrispondono alla settimana della sua ascesa in campo; il picco rosso indicato con C corrisponde alla elezione di Bersani al ballottaggio delle primarie del 2 Dicembre.

Se sostituiamo Bersani con Partito Democratico (“il PD non è un partito personale”) la curva rossa cambia sensibilmente e mette maggiormente in evidenza i flussi di ricerca in prossimità delle primarie per la leadership:

Mario Monti e Silvio Berlusconi vs. Partito Democratico su Google Trends

Mario Monti e Silvio Berlusconi vs. Partito Democratico su Google Trends

L’ultimo grafico che vi propongo è relativo al confronto del volume di ricerca fra Beppe Grillo e il Movimento 5 Stelle: ebbene, le due curve (in blu Grillo, in rosso M5S, nel grafico sottostante) sono strettamente correlate e ogni volta che il nome di Grillo subisce una impennata nel motore di ricerca, il M5S riceve un traino esattamente proporzionale. Forse così si spiegano le periodiche ‘sparate’ del comico. La lettera A, per esempio, corrisponde ad una intervista a Grillo trasmessa dal Tg1 il 10 Gennaio scorso. Le lettere C e D corrispondono alle espulsioni di Favia e Salsi.

Grillo vs. M5S su Google Trends

Grillo vs. M5S su Google Trends

#primarieparlamentari, è la volta dei TQ

Veronica Tentori, eletta a Lecco alle #primarieparlamentari

Veronica Tentori, eletta a Lecco alle #primarieparlamentari

TQ. Sì, i trenta-quarantenni. Una definizione giornalistica nuova di zecca per indicare che con le primarie per i parlamentari all’interno della lista del PD ci finiranno in buona parte persone che non hanno mai messo piede in parlamento e che hanno una età compresa fra trenta e quaranta anni. Con il miracolo dei venticinque anni di Enzo Lattuca di Cesena (per la verità ancora da compiere). Tutto ciò è avvenuto perché alcuni temerari a Gennaio 2012 (la proposta di Quarto di Prossima Italia) sfidarono il segretario sul tema del superamento del Porcellum. Ora, la battaglia nel cambiamento non è finita poiché le liste sono ancora da compilare, bisogna suddividere i prescelti delle primarie fra chi verrà inserito nella lista al Senato e chi alla Camera; dovranno essere scelti i capilista, e sarà una battaglia non di poco conto all’interno del partito. La sponda dei Giovani Turchi, Fassina-Orfini, si è rafforzata, la sponda liberale no.

I renziani hanno in gran parte perso, tranne qualche eccezione. E’ mancata, a mio avviso, una strategia di coinvolgimento che puntasse all’interno del partito. La campagna per Renzi candidato premier è stata invece combattuta facendo ricorso anche a persone e mezzi esogeni al partito. La retorica della rottamazione ha messo a pregiudizio in molti l’idea di casa comune che i volontari e i militanti hanno del PD. Certamente la sconfitta del sindaco, lo scorso 2 Dicembre, ha contribuito a smontare l’entusiasmo dei suoi sostenitori. Detto ciò, non è vero che l’istanza del cambiamento sia caduta nel vuoto. Anzi.

La Lombardia, per esempio, ma in definitiva tutto il Nord compresa l’Emilia-Romagna, è stata il motore di questo cambiamento. Forse anche a causa della spinta liberal-progressista di Pippo Civati, dovunque nella ex Regione del Celeste vincono le donne: a Milano città, con Lia Quartapelle, a Varese con Maria Chiara Gadda , 32 anni, ingegnere gestionale, a Lecco con Veronica Tentori (27 anni!). Per non parlare di Cristina Bargero (eletta ad Alessandria, in Piemonte), 37 enne ricercatrice di Casale Monferrato. Come ha scritto lo stesso Civati, sono oggi candidate alla Camera soltanto grazie alle primarie per i parlamentari. Altrimenti non lo erano.

Se non cogliamo questo segnale, se ci spendiamo unicamente a criticare quei deputati e/o senatori uscenti che hanno il posto prenotato nel listino del segretario, o che hanno ottenuto la deroga e non si sono sottoposti a primarie, o che hanno la deroga ma hanno preteso un collegio blindato (e poi qualcuno me lo deve spiegare come si fa a “blindare” un seggio alle primarie senza barare o comprare dei voti), saremmo destinati a non comprendere appieno la portata di questo cambiamento.

Il grazie deve essere rivolto soprattutto a Giuseppe Civati e a Salvatore Vassallo. Senza il loro impegno tutto ciò non sarebbe stato possibile.

Mantenente però il livello di attenzione alto. A metà Gennaio verranno formalizzate le liste. Ci sarà da vigilare affinché il risultato del voto sia rispettato.

[NB: Giuseppe Civati non è renziano. Lo scrivo perché molti giornalisti ancora sbagliano. Non hanno capito la differenza]

“Le #primarieparlamentari si faranno”

Lo dice Enrico Letta su Facebook:

letta

 

E così sono andato a leggerla, questa intervista. Da un lato, Letta riprende la sua personalissima idea (ma fino a che punto?) di fare un accordo post elettorale con l’Udc di Casini (che vi ricordo secondo recenti sondaggi vale un 3.8%). Dall’altro, spiega che le primarie per i parlamentari si faranno. E saranno primarie aperte. Quindi, quando voterete Letta, ricordatevi che è il primo sponsor della Santa Alleanza PD-Sel-Udc (con Monti o al Quirinale o molto più probabilmente al MEF).

Ora sarà più facile un`alleanza pre-elettorale con Casini e i “montiani”? «Non ho dubbi che faremo un governo insieme alle forze che sostengono Monti oggi. Che questo debba avvenire con un`alleanza con liste apparentate ora, o con un accordo dopo il voto, è da valutare. Non è una furbata perché Bersani ha chiesto i voti alle primarie su questa linea. Quindi è una scelta legata anche alle tecnicalità della legge elettorale. Oggettivamente questa situazione avvicina il Pd al cosiddetto “centro montiano”».

Si lavora a un listone unico con Sel per agevolare l`intesa con Casini? «Quella invece è una scelta politica, ma mi sembra non sia nelle cose. Valuteremo, ma credo abbia più senso andare al voto con liste distinte».

Farete in tempo a organizzare le primarie per la scelta dei parlamentari? «Le primarie si faranno sicuramente, perché si è deciso che si sarebbero fatte. E quelle del 25 novembre dimostrano quanto andare con uno schema aperto, dando fiducia ai nostri elettori, sia solo un vantaggio. Ne parleremo mercoledì prossimo e posso dire che saranno primarie aperte, non solo tra gli iscritti del partito» (http://www.enricoletta.it/press/ora-e-piu-vicina-unintesa-fra-il-pd-e-il-professore/).

#Primariecsx, una analisi del fallimento di Renzi

A mente fredda, e soprattutto con in mano i dati definitivi (sebbene quelli del primo turno siano scomparsi, ne ho tenuto una copia anche se si trattava di dati parziali), ho dato uno sguardo alla performace di Renzi e a come è cambiata fra primo e secondo turno. Ebbene, il sindaco di Firenze non è minimamente riuscito ad incrementare i voti del primo turno se non in sole 31 province (su 111). Messe su una cartina, corrispondono alle bandierine blu:

renzi_incrementi

E’ interessante vedere come le bandierine blu si siano concentrate al sud, laddove al primo turno Renzi aveva preso meno voti. Al nord, Renzi incrementa i propri voti solo a Torino e stranamente no a Firenze. Inutile dirvi che Bersani incrementa i voti un po’ dappertutto. Tutte le province che nel precedente articolo indicavo come ‘contese’ (quelle in cui Bersani al primo turno aveva solo il 5% di voti di vantaggio) sono state vinte tutte da Bersani.

Una curiosità.

Nel fare questa analisi, mi sono imbattuto in quello che credo sia un errore di compilazione (?) della tabella dei dati definitivi. La provincia di Padova, se non vado errato, al primo turno aveva fatto segnare una affluenza di circa 14417 persone. Al secondo turno votano in… 35394! +300%. Inimmaginabile. Uno dei due dati è errato. Mi auguro. Anche il dato di Ogliastra e Lucca è anomalo. Qualcuno controlla prima di divulgare le tabelle?