La Legislatura dell’Oca

Di fatto, siamo tornati ad Aprile. cinque mesi di non governo archiviati con una dimissione ad orologeria. Stessa strategia che avrebbero seguito un mese fa se il governo Letta non avesse trovato i denari per coprire la rata di Giugno dell’Imu e provvedere all’eliminazione dell’odiata tassa. Ma Letta-Saccomanni avevano solo una cartuccia da sparare. L’hanno usata subito ed hanno ottenuto il brillante risultato di prolungare la vita poco dignitosa delle Larghe Intese per qualche settimana ancora. Il secondo ricatto è stato vinto da Berlusconi. Ora i suoi sodali potranno dire che hanno lasciato l’esecutivo per l’incapacità di Letta di scongiurare l’aumento automatico dell’Iva. Parleranno di gestione fallimentare, come se loro non fossero mai stati seduti allo stesso scranno del presidente Letta.

La verifica si svolgerà in aula martedì. Ora è interessante quello che faranno i 5 Stelle. Orellana è già da giorni nell’occhio del ciclone poiché ha proposto un governo civico, con presidente del Consiglio proposto da M5S.

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https://www.facebook.com/luis.orellana.info/posts/158008361074327

I commenti sono fra i più deprecabili. Orellana viene apostrofato come traditore. Naturalmente, in serata, le dichiarazioni di Morra mettono deputati e senatori pentastellati in guardia da possibili trattative. Si attende invettiva domenicale di Beppe Grillo.

Dall’altra parte, Scelta Civica fa sapere di essere disponibile alla formazione di un nuovo governo con una maggioranza diversa da quella attuale (la presenza della formazione di Mario Monti è indispensabile per ottenere avere la fiducia al Senato); le primarie democratiche dell’8 Dicembre possono trasformarsi in consultazioni per il nuovo candidato premier e il congresso finirebbe per essere rimandato a data futura.

Insomma, siamo tornati al caos di cinque mesi or sono. E’ la Legislatura dell’Oca.

 

Uguaglianza, Individuo e le prospettive errate

No. Non credo, come scrive Giulio Del Balzo su Europa (rubrica Leopolda, di chiara provenienza http://www.europaquotidiano.it/2013/09/12/cuperlo-non-dimenticarti-dellindividuo/), che il “nostro” (nostro, ovvero del Partito Democratico) “obiettivo deve consistere nella convivenza pacifica e felice tra ineguali, perché la diversità è l’essenza stessa dell’umanità”. L’autore qui parla da una prospettiva prettamente economica: la diseguaglianza di cui sopra è soprattutto materiale, di possesso, fin quasi di reddito. E ritengo ancor più profondamente sbagliato metterla al centro di una azione politica.

L’errore compiuto da Del Balzo è duplice: da un lato prende in considerazione il vecchio – vecchissimo – archetipo della contrapposizione fra individuo e Stato (fra iniziativa economica privata e iniziativa pubblica); dall’altro assegna al Mercato quel ruolo di regolatore automatico della ricchezza che sappiamo non ha o ha molto raramente e in certe condizioni (per esempio, la libertà di accesso alle risorse). Ebbene, l’individuo preso astrattamente può funzionare nel discorso di Del Balzo, ma cade a pezzi nella realtà fattuale poiché l’individuo è tale per la sussistenza delle relazioni sociali. Ed è la società l’obiettivo a cui deve guardare uno Stato. Non si tratta di mera attenzione per gli ultimi, si tratta invece di rendere l’ambiente sociale adeguato alla partecipazione di tutti. Partecipazione al lavoro, alla distribuzione meritocratica della ricchezza, alla salvaguardia del sé stesso e di chi lo circonda (dalla malattia, dalla vecchiaia, dalla inabilità). Non si tratta di confinare l’azione dello Stato in un ambito ristretto; non si tratta di ricadere nella dicotomia Stato minimo-Stato massimo. Si tratta di agire sulle opportunità. E’ questa l’eguaglianza di cui parliamo. Opportunità, accesso, distribuzione, condivisione.

Del Balzo scrive: “La libertà economica è uno dei fondamenti della democrazia: un mercato aperto, concorrenziale e liberale è quanto di più eguale e dignitoso a cui i cittadini possano aspirare. Dobbiamo mirare a garantire la libertà di mercato, combattendo i monopoli che lo ingessano, l’eccessiva pressione fiscale e il corporativismo sfrenato che sta divorando il nostro Paese”. Sarà certamente venuto a sapere che i mercati non sono mai liberi, aperti, concorrenziali se lo Stato non interviene con lo strumento normativo. Le distorsioni sono sempre presenti, poiché il mercato replica esattamente le posizioni di potere della società: il mercato è immerso nella società, è immerso nelle relazioni (che sono l’ambito della diseguaglianza – è noto che chi ha più capitale relazionale, ha maggiori opportunità di trovare lavoro, per esempio); non può prescindere da esse e non può fare che rafforzarle. Si prenda, a paradigma, la crisi finanziaria 2007-2013: essa ha messo in luce le storture di un mercato finanziario in cui regna l’asimmetria delle informazioni – gli attori del mercato non sono tutti pienamente ed adeguatamente informati circa i rischi delle operazioni: c’è qualcuno che conosce il meccanismo, qualcuno che lo subisce. Se non ci fosse lo Stato (e il debito pubblico), il sistema finanziario occidentale sarebbe steso ko come un vecchio pugile. Lo Stato ha salvato le banche, l’iniziativa privata ed egoistica della creazione di denaro dal denaro. In questo senso, l’iniziativa individuale ha fallito. Si è trasformata in un potente virus distruttivo, volto soprattutto ad annientare la pacifica convivenza.

Qualcosa circa l’uguaglianza che dovete sapere: http://www.ciwati.it/2013/06/14/un-po-di-uguaglianza/

Confronto Civati-Capezzone: come manipolare male i numeri

Ieri qualcuno su questo blog ha ricordato quel mirabile articolo del Fatto Quotidiano (il sempre lodato Scanzi) in cui si citavano – provocatoriamente – le affinità fra Civati e Capezzone in termini di voti espressi alla Camera. Ho replicato a quel commento spiegando che presentare quei dati in quella specifica maniera era fuorviante e certamente truffaldino. Ora vi spiego perché.

I dati presentati erano ripresi da uno screenshot del sito Openpolis. Scorrendo i dati ci si accorge già di una anomalia relativa al conteggio delle presenze in aula. Accanto al nome di Civati, infatti, è presente un ‘pollice verso’ rosso, segno di cattiva performance (131 assenze, pari al 12.6%), mentre accanto al nome di Capezzone compariva un lusinghiero ‘polllice verde’ (solo 79 assenze, pari al 7.6%). Questa è però una visione superficiale, di chi pratica male il mezzo Openpolis, o di chi lo vuol praticare per veicolare messaggi sbagliati e in malafede.

Controllate le pagine di Civati e di Capezzone:

Assente Presente In missione Totale
Capezzone 79 169 795 1043
Civati 131 912 0 1043
  1. Stiamo accomunando due parlamentari, uno dei quali, indovinate chi, è stato presente solo nel 16% dei casi ed è stato in ‘missione’ il restante 76% delle volte.
  2. Quindi, il calcolo di Openpolis è ristretto a sole 150 votazioni delle 1043 (14%) poiché solo in esse si è verificata la contemporanea presenza dei due deputati;
  3. di questi 150 voti solo 2 rientrano nel novero dei cosiddetti voti chiave (ovvero votazioni finali di leggi o decreti, sono esclusi quindi i voti su ordini del giorno o simili): si tratta del decreto sul Pagamento dei debiti della PA (entrambi favorevoli; M5S astenuto); del Decreto del Fare (entrambi favorevoli, M5S contrario).

Se quindi circoscriviamo l’analisi ai soli voti chiave possiamo concludere che:

Voti Chiave (secondo Openpolis) Capezzone Civati M5S
1 Convenzione Internazionale contro la violenza nei confronti delle donne In missione Favorevole Favorevole
2 Decreto del Fare Favorevole Favorevole Contrario
3 Decreto Emergenze In missione Favorevole Astenuto
4 Decreto ILVA In missione Favorevole Contrario
5 Decreto Lavoro In missione Favorevole Contrario
6 Decreto Svuota-Carceri In missione Favorevole Contrario
7 Delega al Governo per pene detentive non carcerarie In missione Assente Contrario
8 Dimissioni deputata Marta Leonori Voto segreto Voto segreto Voto segreto
9 Fiducia al Governo Letta Favorevole Assente Contrario
10 Modifica 416-ter, scambio elettorale politico-mafioso In missione Favorevole Favorevole
11 Pagamento debiti Pubblica Amministrazione Favorevole Favorevole Astenuto
12 Sospensione IMU Assente Favorevole Favorevole

Civati e Capezzone hanno votato ugualmente solo in due casi su dodici (17%), mentre se confrontiamo le scelte di tutto il M5S circa i voti chiave e contiamo quante volte hanno votato con Pippo Civati, ebbene, si tratta di tre casi su dodici (25%). Ergo, stando ai voti espressi ed effettivamente confrontabili, Civati è più vicino al Movimento 5 Stelle che a Capezzone.

Questi sono i numeri. Se ci vogliamo fidare di essi, bisogna anche essere in grado di leggerli.

Gli Scanzi del mestiere

Dispiace cominciare questo post con un gioco di parole, ma tant’è, oramai l’ho fatto: ed è così perché ho – ancora – qualcosa da dire circa la caracollante critica di Andrea Scanzi a Pippo Civati.

Il giornalista esperto in pentastellati, ieri su Facebook, ha scritto che “la cancellazione (finta) dell’Imu sanciva un’altra sconfitta” di Civati. Ne è seguito un botta e risposta in cui Scanzi ha precipitosamente ribadito che la battaglia di Civati nel PD è una battaglia persa, è “masochismo”:

O Civati è masochista, o il suo martirologio è calcolato. In entrambi i casi, o esce dal partito (dopo essersi tolto lo sfizio di arrivare secondo o terzo nella corsa per diventare il “Segretario di Pirro” alla corte di Renzi) o si copre definitivamente di ridicolo. Giustificando peraltro le accuse di carrierismo furbino (I dolori del sondatino Civati, Il Fatto Q).

Saprete della prosa scanziana, molto affine alla cifra stilistica di Travaglio e di Grillo (o chi per esso): nomignoli, analogie ventilate, parolette, parolacce, e via discorrendo. Ecco, a me tutto questo glossario arzigogolato, questa necessità di voler inserire in ogni riga uno “zebedei” (cito, testuale: “Tirali fuori, prima o poi, gli zebedei. Esci dal Pd, mettiti in gioco e prova a costruire qualcosa di realmente alternativo. Se ce la fai”), sembra più assimilabile al lessico di un cabarettista astioso che a quello di un giornalista. Che tipo di giornalismo è quello che cerca in tutti i modi di far passare un tentativo di rinnovamento del PD in qualcosa di deprecabile? Rispondo subito: è militanza, non giornalismo. Ma il caro Scanzi non ve lo dice mai.

Scanzi tratteggia Civati assorto nei suoi raziocinanti progetti di un “carrierismo furbino”, sempre tentennante fra la scelta di uscire dal PD e far successo personale fondando un micro partito a sinistra, e il successo personale che otterrebbe con la vittoria di Pirro alle primarie congressuali. Mi sembra semplicemente falso. Mi sembra una rappresentazione terroristica, la sua: dinanzi alla possibilità che l’elettorato e i militanti di base del Partito Democratico facciano realmente contare il proprio peso al prossimo Congresso, il giornalista prospetta al lettore la possibilità che i propri eventuali sforzi nel sostegno a Civati vadano a sbattere contro l’arcinemico, l’Apparato, ovvero l’inamovibile (e “fantozziana”) classe dirigente del PD che – ricorda Scanzi – comanda il partito da vent’anni. Inutile spiegare a voi che accettate aprioristicamente il disegno scanziano, che se quella dirigenza è ancora al suo posto, è semplicemente perché (quasi) nessuno ha mai cercato di cacciarla, soprattutto mai nessuno ha chiesto a voi personalmente – come invece fa Civati – di partecipare a questo processo storico di rimozione delle macerie del passato.

E qui che risiede la novità – taciuta, passata sotto silenzio, ammantata di un personalismo di cui contemporaneamente se ne lamenta l’assenza: la mozione Civati vuol essere collettiva, vuol mettere gli esclusi al centro del partito, vuol aprire le sacre (e vuote) stanze degli arrugginiti circoli del Partito Democratico e far sì che contino nel processo decisionale.

Non mi sembra così di esser altrettanto partigiano. Ma la prospettiva scanziana della formazione di un neo-corpuscolo partitico a sinistra mi ricorda molto Paolo Flores D’Arcais e la sua storia politica, il suo lobbismo disperato per la ricostituzione di una minoranza laburista. E mi sembra, allo stesso tempo, un piano strategico affinché il PD rimanga sempre quello che è ora, al fine di poter ripetere – come un mantra religioso – “sono tutti uguali, sono tutti da mandare a casa” e così capitalizzare ancora sulla rabbia e sull’indignazione.

Civati: tornare a votare con il Porcellum non è umano

Pippo Civati ha ripreso oggi l’attività politica in vista del Congresso ed è stato a Cesenatico, in Romagna, spalle alla spiaggia e dinanzi ad un folto gruppo di ascoltatori. E’ triste, ha detto, aprire un dibattito senza aver ancora aperto le consultazioni congressuali nei circoli. Quello che segue è un piccolo storify che sintetizza quanto detto da Pippo oggi.

No, non è stato in vacanza ma nel duro ritiro di Novosibirsk.

civati

Grillum

La legge elettorale Calderoli è antidemocratica: impedisce all’elettore di scegliere i deputati ed i senatori ma soprattutto contiene un meccanismo fortemente distorsivo della rappresentatività, il premio di maggioranza, che è persino differentemente attribuito fra Camera e Senato. E’ alla base della situazione di ingovernabilità che si è creata sia nel 2006, sia nel 2013.

Per cambiare questa legge sono state raccolte migliaia di firme in giro per il paese da più comitati ed in tempi diversi. Ma i referendum che sono sinora stati proposti sono finiti nel nulla poiché puntavano alla reviviscenza della vecchia legge elettorale, il Mattarellum, aspetto che rendeva i quesiti non ammissibili poiché tale effetto – la reviviscenza, appunto – poteva sussistere solo in seguito ad una effettiva espressione della sovranità popolare in tal senso, naturalmente per il tramite di un voto parlamentare. E’ questo il punto focale, il Parlamento. Un Parlamento di nominati (salvo i casi delle candidature espresse per mezzo di consultazioni primarie) potrà mai votare contro la legge che ne ha permesso la selezione e l’elezione? La volontà politica di riformare il Porcellum non si è mai radicata pienamente e senza l’indicazione chiara da parte di uno dei due partiti della attuale maggioranza, nessuna riforma è possibile. Enrico Letta ha recentemente affermato che la riforma della legge elettorale è prioritaria ed in conseguenza di ciò, una delle due Camere (il Senato) ha decretato la procedura d’urgenza per una bozza di legge di cui nessuno parla (l’ennesima riedizione della bozza Violante) ma che crescerebbe sulla mala pianta del Porcellum con l’assegnazione del premio di maggioranza alla coalizione maggioritaria solo in seguito al voto del secondo turno.

E Grillo? Oggi ha dettato la linea politica dal suo blog: ai 5 Stelle deve piacere il Porcellum. La spiegazione di questo ravvedimento (che è tale solo in parte, a Grillo piace l’idea di possedere il 51% dei seggi con il 20% dei voti)? Forse Grillo pensa di salvaguardare il governissimo, fonte inesauribile di indignazione, mostrando i denti e facendo intendere che qualora cadesse il governo Letta, il Movimento continuerà a stare per proprio conto, sulla Montagna, ignorando qualsiasi appello alla responsabilità verso il paese.

Ora io vorrei parlare con Luigi Di Maio. Di Maio è un deputato dei 5 Stelle, vicepresidente della Camera. Il primo di Agosto ha pubblicato questa frase sul suo profilo Facebook (non saprei dire quanto di quel che vi era scritto fosse espresso a titolo personale e quanto a titolo di rappresentante dei pentastellati):

Immagine

Questa schizofrenia del Movimento tornerà ad allietare i nostri giorni man mano che la crisi di Letta e la decadenza di Berlusconi si faranno avanti. Qualche giorno fa, Andrea Scanzi, esperto in fenomenologia del grillismo, ha avanzato l’ipotesi per cui l’unica mossa strategica in mano ai ‘fautori del governissimo’ sarebbe un governo di scopo con i 5 Stelle. Il programma: una sola legge, la legge elettorale.

L’unica contromossa dei pasionari del governicchio Letta, quando ricevono critiche, è: “Se cade finisce tutto, non ci sono alternative”. La solita litania del meno peggio.
Invece un’alternativa c’è. Ed è anzi l’unica decente. A settembre il governicchio cade, con buona pace di Re Giorgio. Pd, Sel e Movimento 5 Stelle si mettono d’accordo per fare solo la legge elettorale, ipotesi già prospettata da Vendola e Di Battista ma credo gradita anche ai renziani. 
Fanno la legge elettorale, alla svelta e senza troppi duropurismi o tentennamenti. Magari un bel doppio turno, la prospettiva più odiata dal centrodestra. O comunque qualsiasi cosa migliore del Porcellum, cioè tutto.
La approvano in tempi brevi.
E poi si va al voto (profilo Fb di Andrea Scanzi).

Questa ipotesi, che Scanzi ricorda esser prospettata da Vendola ma non ricorda affatto che era la via d’uscita proposta da Civati nei terribili cinquanta giorni prima di Letta, come si può collocare nel quadro politico odierno, vista e considerata l’ennesima chiusura ventilata dal loro sponsorizzatissimo Capo Comico?

Bosco Albergati, crocevia fra Renzi e Civati

Capita di sfogliare youtube e d imbattersi in un video ‘antichissimo’, datato 2 Agosto 2010. In quella estate calda dello scontro Fini-Berlusconi, poi risoltosi in un “che fai? mi cacci”, a Bosco Albergati transitava il segretario del Partito Democratico, Pierluigi Bersani. Veniva narrato di un PD compatto, pronto ad essere alternativa. Bersani, incredibilmente, già parlava di un governo di transizione, di scopo, che facesse due o tre riforme, tipo quella della legge elettorale, un governo “senza Berlusconi”. Oggi, risentire quelle promesse fa specie, poiché il PD viene da due anni (!) di governo con Berlusconi e tutto sembra assolutamente normale, per l’Apparato, tutto dovuto e sacrificato sull’altare della responsabilità verso il ‘paese in crisi’.

Da Bosco Albergati, piccolo centro in cui il PD modenese organizza la sua festa, sono passati Epifani, Renzi e – giusto ieri sera – Pippo Civati. Di Renzi le cronache riportano di “un’ora scarsa di intervento” (modenatoday.it), di un intervento che doveva lasciar presagire ben altro, fatto alla maniera di un comizio, da un palco, dietro uno scranno; ripreso dalle tv più importanti e tradotto in titoloni, il giorno stesso sui siti web dell’informazione ortodossa (La Repubblica). Renzi ha calcato la mano sul governo, Renzi ha chiesto al segretario Epifani di fissare la data del congresso, Renzi detto la sua sulla sentenza Mediaset, “Renzi ha sfoderato le cinque E (educazione, energia, equità, Europa e entusiasmo)”, che ricordano tanto le tre i di berlusconiana memoria.

Ora, nulla di quanto è stato detto è sbagliato o estraneo al Partito Democratico (le tre E a parte). Quel che è sbagliato è il metodo: usare Bosco Albergati per la messinscena di una ‘discesa in campo’ (Dio ce ne scampi e liberi), occupando un pubblico e un palco che sono del Partito, senza per questo mettersi a sua disposizione, a disposizione di quei volti di donne e uomini democratici che affollano ogni sera quella e altre feste e che hanno la pazienza (ancora) di ascoltare promesse e progetti (che speriamo non facciano la fine di quelli enunciati da Bersani nel 2010).

Non è successo questo quando ieri sera Pippo Civati è andato, con la propria macchina, facendo la coda per la strada come un normale visitatore, arrivando umanamente in ritardo, sfilando fra le sedie con la camicia stropicciata, proprio in quel di Bosco Albergati, non già per sottoporre i presenti alla propria versione di comizio, bensì per rispondere alle domande dei moderatori e dei presenti, senza un canovaccio scritto ma parlando ‘a braccio’. L’antitesi della comunicazione renziana, e non per questo deve essere svalutata o considerata meno efficace. Civati consegna alla politica una dimensione di genuinità che si è persa oramai da troppi anni.

E se per ascoltare Renzi erano presenti almeno duemila persone, per Civati vi era una “grande folla” (cfr. Gazzetta di Modena; per Epifani erano una cinquantina).

Qui di seguito lo Storify: http://storify.com/Ciwatweets/pippo-civati-festa-pd-bosco-albergati-10-08-13

renzi

civati_boscoalbergati[foto Gazzetta di Modena]

 

Cosa ha detto @civati in #direzionepd

Che non l’ha detto nessuno, nemmeno la super diretta twitter di Europa Quotidiano.

Pochi tweet, ma è tutto ciò che abbiamo. Quella cosa che si chiama indifferenza, eh?

[in aggiornamento]

Anche sul blog http://www.ciwati.it/2013/07/26/le-cose-che-ho-detto-che-non-vi-avevo-detto/

Fighetti che non erano: così @danieleviotti mette al tappeto @stefanoesposito

Sì, insomma: il Grande Censore di Civati, Stefano Esposito, senatore PD eletto in Piemonte, nella scorsa legislatura ha votato 222 volte in difformità dal suo gruppo e molto spesso su voti decisivi (Lodo Alfano, riforma Gelmini, Scudo Fiscale ecc.). Ne ha parlato per primo, con merito,  Mirko Solinas sul suo blog (http://mirkosolinas.blogspot.it/2013/07/esposito-dia-il-buon-esempio.html). Ecco la gustosa discussione con la quale Viotti ha messo Esposito ‘spalle al muro’:

Non pronunciare il suo nome

Lungo tutta la diretta televisiva di Matteo Renzi da Enrico Mentana, il nome di Pippo civati è stato pronunciato una sola volta, e non dal sindaco di Firenze bensì da Travaglio (nel preambolo della domanda sullo strapotere del Quirinale, suggerendo fra l’altro che si trattasse di una debole opposizione, la sua).

Se non stupisce che il cosiddetto Apparato ignori platealmente la candidatura di Civati, invece lascia interdetti (fino a che punto?) che Renzi si sia prontamente adeguato alla prassi generale. Eppure si può dire che è grazie a Civati che Renzi ha costruito quel modus operandi della comunicazione politica che viene messo in scena circa ogni anno alla Leopolda. Senza la sua influenza, molto probabilmente, mai ci sarebbe stato il Renzi rottamatore.

Non si tratta solo di calcolo probabilistico della vittoria. La vulgata generale, oserei dire ‘scanziana’, è quella che descrive Civati come di un battitore libero ma senza speranza. Non potrà mai essere segretario. Questa convinzione è in realtà figlia di una asserzione secondo cui mai ci potrà essere alcun cambiamento. L’apparato del Partito si è scelto Renzi come avversario, anzi, come nemico. Con questa scelta ha preteso di chiudere lo spettro delle possibili combinazioni: d’ora in poi nel mondo di vita del Partito Democratico esisterà solo Renzi vs. l’apparato, l’apparato vs. Renzi. E se, dal lato della comunicazione politica, la coppia dicotomica è diventata egemone sin dalle primarie di Novembre 2012, da un punto di vista della mera occupazione di cariche, le grandi manovre sono in corso e l’apparato è persino in grado di riprodurlo, il nemico, laddove non c’è. Per uno strano fenomeno di trasformismo (molecolare?) i bersaniani delle province si scoprono renziani. E il gioco è fatto. Dove non esisteva alternativa, ora l’alternativa è la regola (e pregusta la vittoria, anche se non si conosce bene cosa vincerà).

Negare l’esistenza di una qualsivoglia forma di opposizione a questo schema ben calibrato è utile a sostanziare la coppia Renzi-apparato. Il sistema ha trovato modo di sopravvivere e ciò che lo può disturbare nemmeno può essere pronunciato per nome. Quando si manifesta, nel dissenso di una astensione, viene minacciato di espulsione. Vengono mandati alle stampe dichiarazioni che ribaltano il senso della realtà (come nel caso del senatore Esposito), che attribuiscono al dissenso un valore disgregativo quando invece esso muove dalla preoccupazione per la disgregazione portata dalle scelte suicide dell’apparato nella difesa del governissimo.

Attenti a chi vi dice che Civati non ha futuro, che dovrebbe ora e adesso fondare un nuovo partito a sinistra (i più simpatici dicono che dovrebbe aggregarsi con Barca, Rodotà e i fuoriusciti dei 5 Stelle, come se bastasse metter insieme ingredienti diversi e mescolare). Sono gli stessi che vogliono che tutto rimanga così com’è: un PD da occupare da un lato, e un PD da impiegare come paradigma negativo dall’altra, nella perpetua reiterazione del sentimento dell’indignazione. La Politica, in questo disegno perverso, resta sempre quell’ambito della segretezza e dell’inganno, dell’astuzia e del malaffare. Qualcosa che mai potrà occuparsi di Noi.

Sfiducia Alfano: Napolitano ordina, Epifani esegue, Franceschini si frega le mani

Sì, è un fotomontaggio

Sì, è un fotomontaggio

Oggi lo possiamo dire con un certo grado di sicurezza: i famosi 101 hanno un padre ispiratore, un ideatore occulto che si è inventato letteralmente il secondo mandato e ha costruito il governo delle ‘Larghe Intese’. Sì, Giorgio Napolitano.

Napolitano, oggi, si è palesato con alcune dichiarazioni fin troppo limpide: 1) non è possibile nemmeno far vacillare il governissimo; 2) chi lo fa si prende la colpa e non potrà contare sul Presidente per la formazione di un nuovo governo (ergo, se cade Letta si dimette?); 3) l’alternativa è che non c’è nessuna alternativa, pena la gogna finanziaria internazionale. Il governo del cambiamento è stato negato fin dalle origini dal Quirinale. Il Quirinale ha accolto il pavido Bersani, incapace di dire pubblicamente che il governo con il PdL era già nei programmi il giorno dopo le elezioni. Il Quirinale ha accettato una nuova candidatura per un mandato bis talmente irrituale da essere ai confini della costituzionalità. Il Quirinale è la garanzia vivente per la sopravvivenza di Letta quale presidente del consiglio del Governissimo.

La mina del Kazakhstan, esplosa con colpevole e consapevole ritardo (tutto era noto, persino che si trattava dei familiari di un dissidente – poiché così recitò l’Ansa del 31 Maggio), ha finito per rivelare o l’incapacità della gestione Alfano, oppure la sua correità con la deportazione di Alma e Aula Shalabayeva. In ogni caso, sarebbe un ministro da dimissionare. Letta, invece, ha dapprima negato il caso (ed era il 5 Luglio, “non ho letto i giornali”, rispose al cronista de Il Fatto), poi ha emesso, tramite il Consiglio dei Ministri, un comunicato in cui assicurava la correttezza delle procedure seguite dai poliziotti; infine, dopo la lettura dell’informativa ‘urgente’ alle Camere, ha sposato in pieno la linea del ‘non c’ero, non sapevo’ del suo ministro. Di fatto, a questo punto della vicenda, diventata a pieno titolo uno scandalo internazionale, né Alfano né Letta potrebbero rimanere al proprio posto indenni. Ma al tempo delle larghe intese, questo prezzo lo pagheranno altri (tipo, per esempio, gli elettori del PD – e le anime belle).

Napolitano ha stigmatizzato anche lui il caso Shalabayeva. Parla di ‘imbarazzo’ e ‘discredito’ per il paese, ma non di grave violazione dei diritti umani.

Occorre sgombrare il campo egualmente da gravi motivi di imbarazzo e di discredito per lo Stato e dunque per il Paese, come quelli provocati dall’inaudita storia della precipitosa espulsione dall’Italia della madre Kazaka, della sua bambina, sulla base di una sedicente e distorsiva rappresentazione del caso (Il Sole 24 Ore).

“È indispensabile”, ha altresì detto, “proseguire nella realizzazione degli impegni del governo Letta, sul piano della politica economica, finanziaria, sociale, dell’iniziativa europea, e insieme del cronoprogramma di 18 mesi per le riforme istituzionali”. Ecco cos’è il governo Letta: il governo del Presidentissimo, con un programma di riforme pensate e ideate dal Quirinale. Come scrive Civati, “una riforma costituzionale l’abbiamo già fatta. Il presidenzialismo”.

Il rischio Alfano si è quindi trasferito in toto sulle spalle deboli della maggioranza di governo: quelle del PD. Già, perché dinanzi ad una sacrosanta mozione di sfiducia delle opposizioni, la segreteria, su evidente imbeccatura del Quirinale (e pronta adesione dei 101…), ha stabilito tramite il capogruppo Zanda la linea dura: “non ci saranno voti in dissenso” per cui pare evidente che, se anche ben ci saranno, il momento dopo in cui verranno espressi, quei voti non saranno più del PD, ma del gruppo Misto. L’ombra dell’espulsione è solo paventata, ma è evidente, sottotraccia, come un bastone che balena dietro le schiene di energumeni picchiatori. Franceschini, ministro per i rapporti con il Parlamento (che sembra più che altro un ministro per i rapporti del PdL con il PD) afferma:

“È ora di smetterla che quelli che non si allineano alle decisioni del partito fanno la figura delle anime belle mentre gli altri, quelli che ci mettono la faccia, sono i cattivi. Questo non è più tollerabile”.

Non è più tollerabile significa una cosa sola. C’è bisogno di spiegarlo? Il gruppo PD al Senato ha votato quasi all’unanimità per il no alla sfiducia individuale. Si sono distinti in sette, fra cui l’unico superstite fra i renziani, Marcucci (hanno resistito dietro la linea Maginot dell’astensione i soli senatori Ricchiuti, Tocci, Collina, Puppato, Marcucci, Cociancich). La linea dura di Zanda è stata rafforzata con questo passaggio logico: non è un voto di coscienza, è un voto politico (come se la coscienza fosse impolitica). Detto ciò, ha detto tutto: la politica del PD è proseguire il disegno quirinalizio delle riforme in diciotto mesi, mantenendosi al potere con e per il tramite della pletora berlusconiana. Se il governo consegna nelle mani di un dittatore la moglie e la figlia di sei anni (ripeto, sei anni!) di un dissidente, niente importa, vengon prima le miracolose riforme costituzionali.

Ci rimangono Franceschini e il suo volto duro da Sceriffo.

Il valore di un’astensione

Il voto sulla sospensione dei lavori richiesta dal PdL lo scorso mercoledì ha agitato molto le coscienze specie nel Partito Democratico. Mentre il vertice ha tentato di spiegare in tutta fretta le ragioni del sì alla richiesta di Brunetta (“abbiamo rifiutato con sdegno lo stop di tre giorni”), i democratici dissenzienti rispetto alla linea del Gruppo hanno dovuto esprimersi astenendosi dal voto. Taluni commentatori hanno giudicato questa scelta come segno di viltà. Uno di essi è Andrea Scanzi. Il quale ha nuovamente intinto il ditino nella fiele dipingendo Giuseppe Civati come il solito ‘tentenna’. L’indeciso, uno che vorrebbe ma non può. E così di seguito. Tutto già visto e già sentito. L’uso dei nomignoli è di moda, peraltro. Un filone giornalistico non eccelso inaugurato da Travaglio, proseguito sotto diverse forme da Beppe Grillo (che giornalista non è, ma la vena sarcastica e un po’ cinica ben si confà ad un comico).

Evitando di sfociare nella partigianeria (non nascondo quel che penso di Civati, non nascondo che lo considero la voce di un intero elettorato che negli anni si è smarrito dietro cambi di sigle e simboli), posso però dirvi che gli argomenti, impiegati da Scanzi per dileggiare la pratica dell’astensione da parte di Civati, sono perlomeno messi male in arnese, per usare un eufemismo.

L’astensione è raccontata da Scanzi come mancanza di coraggio. Coraggio di votare no ad una proposta irricevibile, la sospensione dei lavori parlamentari per i guai giudiziari di Berlusconi. Guardate, in questa dicotomia sì-no, favorevole-contrario (a questa precisa fattispecie), si nasconde ancora l’arcinoto dualismo fra berlusconismo e antiberlusconismo, ovvero ciò che ci ha cacciato in questo brutto pasticcio che passa sotto al nome di crisi della politica. Negli ultimi venti anni, in Italia, tutto lo scibile è stato suddiviso fra berlusconismo e antiberlusconismo: categorie irrinunciabili e che al medesimo tempo hanno annullato lo spazio dei non militanti. L’astensione, in questo preciso istante, equivale al rifiuto della riproposizione ennesima del dualismo che ci ha soffocato. Sottrarsi alla dicotomia berlusconismo-antiberlusconismo significa avere il coraggio di immaginare un paese diverso, scevro da questa trincea di perpetua belligeranza. Pensateci: proprio coloro che negano la differenza fra i due poli (sono tutti uguali, sono tutti morti) in realtà spostano la linea della divaricazione dal livello dei sostenitori del Cavaliere vs. suoi oppositori a quella generale di Popolo vs. Kasta. Scanzi, che evidentemente si è mosso anche lui nel filone dell’anticastismo, è allo stesso tempo un antiberlusconiano. Fa cioè parte dello schema cristallino che ha immobilizzato questo paese. Il superamento del bipolarismo belligerante è necessario, se non urgente. Il che equivale a dire che ciò può avvenire solo con la rimozione della anomalia (avverrà finalmente per via giudiziaria?) di un esponente della sfera degli interessi privati che ha cannibalizzato la sfera pubblica facendola divenire una propria dépendance.

L’astensione è rifiuto dello schema del conflitto perpetuo. E’ anche, nel caso di Civati, rifiuto della disciplina di partito, la quale prevede, nel caso di posizioni differenti all’interno del gruppo parlamentare, che alla fine il conflitto sia risolto a maggioranza semplice. Stando a quanto deciso dal capogruppo PD, mercoledì mattina, la richiesta di Brunetta doveva essere votata per tutta una serie di ragioni: in primis, poiché, recentemente, il PdL ha votato una richiesta analoga da parte del PD.

Ma questa decisione non è stata affatto discussa. E’ stata calata dall’alto, per il tramite del vice capogruppo Ettore Rosati. Nessuna discussione interna. Nessuna deliberazione preliminare. Matteo Orfini si è affannato a spiegare che ciò non è avvenuto poiché, nelle tre ore di attesa mattutina, “chi voleva che il Pd rifiutasse ogni rinvio avrebbe potuto tranquillamente chiedere la convocazione di una riunione del gruppo per discutere tutti insieme. Ovviamente nessuno lo ha fatto”. Scuse deboli, debolissime. Significa che nel PD non esiste una abitudine alla consultazione, non solo dei propri iscritti, ma pure dei propri parlamentari.

Tornando a Scanzi, posso smentirvi anche una ulteriore critica. Scanzi ha lamentato che Civati si è fatto superare a sinistra persino da Bindi e Gentiloni, che al momento del voto sono usciti dall’aula. Scanzi dimentica di dirvi che il valore dell’astensione è differente fra Camera e Senato. Al Senato, gli astenuti rientrano nel computo dei voti validi (pertanto l’astensione diventa un diverso modo di dirsi contrari al provvedimento). La vera astensione pertanto è praticata uscendo materialmente dall’aula. Alla Camera, invece, gli astenuti non influenzano il numero legale, pertanto stare dentro all’aula o uscire non reca alcuna differenza agli effetti della votazione. Semmai, uscire o meno dall’aula potrà far guadagnare un titolo o un sottotitolo in più sui giornali. Null’altro.

Civati ci candida a segretari del PD #wdays

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Giuseppe Civati ha annunciato, in conclusione del Politicamp a Reggio Emilia, la sua candidatura a segretario del PD. Lo aveva già fatto da tempo, lo ha ribadito oggi, dinanzi alla platea che ha partecipato ai lavori di questi ultimi tre giorni. Ha detto:

I molti davanti a lui siamo tutti noi, tutti quelli che si riconoscono in un movimento politico di gente onesta, che ha a cuore la libertà degli individui in una società organizzata secondo criteri di uguaglianza e dignità. Ci crediamo ancora, sì. Non siamo cinici e nichilisti come quelli che sostengono che tutto è morto, i partiti sono morti, il parlamento – pure – è morto. No, non è tutto perso. La politica non è quella cosa in cui i malfattori sprecano i denari pubblici per i loro porci comodi, per i loro sporchi interessi, per le lobbies a cui fanno riferimento. No, la politica non c’entra nulla con l’abuso della sfera pubblica che una classe dirigente depravata ha condotto indisturbata per venti lunghi anni. La politica è fatta di persone, persone come tutte noi, è fatta delle regole della convivenza, regole di giustizia, di solidarietà, di comprensione e condivisione.

Potrete pensare alla politica come all’alchimia di formule partitiche, di strategie elettorali per ‘sconfiggere’ definitivamente il debordante avversario, ma vi sbagliate. Se pensate di compensare l’assenza della percezione di una collettività con un nuovo fascinoso personalismo, ebbene siete sulla strada errata. L’obbiettivo di Civati è ricostruire il centrosinistra, senza trattini e formule studiate a tavolino: ricostruirlo partendo dagli argomenti, dalle politiche, poiché sono esse che ne costituiscono l’identità. Osservando le fotografie di Civati e Barca (presente alla Ghiara venerdì sera) mi è venuto in mente che presto o tardi i giornalisti ne parleranno come di un ticket, usando le formule astruse che ben conoscono gli editorialisti. Non è un ticket, ho pensato, è un autobus. L’autobus su cui tutti noi dovremmo salire, non già perché sarà quello del vincitore (Civati, secondo taluni opinionisti, specie Scanzi, non avrebbe alcuna chance in una ‘competizione’ già decisa) ma perché, se ci tenete veramente al cambiamento, questo è l’ultimo autobus disponibile e, dopo che sarà passato, voi non potrete avere più alibi: tutta la retorica dell’anticasta non sarà più tollerabile, la protesta verso gli alti dirigenti del PD (con questa dirigenza non vinceremo mai!) non sarà più tollerabile. Non potete lasciare che questo partito sia posseduto da una classe dirigente ripetutamente sconfitta, storicamente sconfitta. Se deciderete di salire sull’autobus di Civati (non è come quel camper, sia chiaro) sarà per riprenderci ciò che è nostro, ciò che di nostro diritto; ciò che ci è stato negli anni silenziosamente tolto.

Civati non ha bisogno solo di sovraesposizione televisiva. Gli altri, quelli che ora governano e son tutti fieri delle larghe intese, tenderanno a chiudere la partita in una disputa pro/contro Renzi. Tenderanno a parlare di Civati come di quello che è arrivato dopo, che è arrivato tardi, il solito terzo incomodo. Sottraetevi a questa trappola. Ognuno di noi porta con sé il proprio pezzo di mozione Civati. La mozione Civati è una mozione collettiva, narra di ciascuno di noi e ciascuno di noi ne è parte. Loro, i dirigenti, pensano di essere insostituibili e che il loro posto nel partito c’è e sarà sempiterno. Smettiamola di rimanere ai margini. E’ ora di riprenderci la politica.

[w] – Andò, la libertà | #wdays @vasiljthespider

Storify delle prime due ore del Politicamp di Civati. Inizio con Roberto Andò, regista di W la libertà:

Andò ha parlato del punto di intersezione fra politica e vita che la politica smarrisce se si fa finzione. I nuovi leader si logorano facilmente, dice (allusione a Renzi?) mentre si dovrebbe avere il coraggio di percorrere una strada da soli [se è una strada fatta di verità, aggiungo io]. Quando la speranza non c’è, bisogna inventarsela.

Daniele Viotti è arrivato a Reggio proprio insieme a Ilda Curti (nel 2009 fu tra le fila della mozione Marino). Ilda Curti modera il dibattito sulle Primavere Arabe, o di quel che ne resta.

I giovani italiani a confronto con i giovani di piazza Taksim. Un confronto che spiega da solo la distanza fra due mondi vicinissimi. Ma Gezi Park non è spiegabile solo ricorrendo alle categorie generazionali. La Turchia ha pur conosciuto una certa floridità economica, ma non è stata per tutti. Gezi Park è la rivolta degli esclusi.

Crediti: @vasiljthespider @ferraraxcivati @danieleviotti @MirtaMatt

e-Mozione Collettiva

Conversando stamane con alcuni Democratici circa il botta e risposta fra Scanzi e Civati, mi sono apparsi chiari alcuni aspetti che a mio avviso dovrebbero caratterizzare la mozione Prossima Italia (se così si chiamerà). I professori dell’anticasta proseguiranno ad affermare che il tentativo di Pippo è destinato ad infrangersi dinanzi alla potenza mediatica di Matteo Renzi: d’altronde, un cambiamento del partito in senso democratico (letteralmente, in cui la linea di autorità promana dal basso) rischia di vanificare l’ideale irraggiungibile della democrazia digitale, che peraltro i 5 Stelle fanno parecchio fatica ad applicare (e parecchio è un eufemismo).

Costruendo una identità in antitesi con quanto prodotto in questi mesi dal Movimento di Grillo, allora la Mozione Civati dovrà giocoforza essere una mozione collettiva. Loro sono ridotti all’archetipo del partito personale, carismatico, e l’idea di democrazia digitale è degradata in un autoritarismo plebiscitario costituito dalla comunità degli iscritti coinvolti in una videocrazia 2.0 in cui l’unica variazione è il cambio del medium (dalla televisione al computer-collegato-alla-Rete). Gli homini videns (Sartori, 2000) passano così dalla condizione di passività completa a quella di passività controllata (il voto perpetuo tramite i ‘Like’ si tramuta in un colossale elenco di preferenze che alimenta i software di profiling).

L’e-Mozione collettiva di Civati (mi permetto di definirla tale, e non è solo un gioco di parole) è sì una mozione che si sostanzia dell’attivismo degli iscritti e dei simpatizzanti, attivismo che passa sempre più spesso ‘sulla Rete’, ma non può permettersi di ridursi a mero click-activism. L’e-Mozione collettiva impone di andare al di là dei monitor, dei video, chiede di incontrarsi, dal vivo, faccia a faccia: di parlare a persone e di persone, in luoghi pubblici e senza necessità di leader. Il leader è collettivo poiché è comune l’emozione che ci anima: riprenderci la politica è il senso di tutto ciò. Riportare il PD alle ‘cose terrene’, espropriarlo dalle correnti, renderlo un luogo pubblico della discussione, un luogo aperto al dissenso e alla critica, alla condivisione e alla comprensione.

[Questo è un ragionamento incompleto ma aperto a chi volesse concluderlo. Cercate solo di essere pertinenti.]