Mentre Renzi spacca tutto, Bersani apre alla e-democracy

Mentre Renzi scaglia i suoi alla guerra delle regole giocata con strumenti elettronici, dalle mail-bombing ai siti cloni come votodomenica.it e domenicavoto.it, capita che Bersani faccia pervenire al sito di Prossima Italia la propria risposta sull’iniziativa dei ReferendumPD. I tipi di Prossima Italia avevano inviato la scorsa settimana le stesse domande a tutti e cinque i candidati ma solo il segretario ha risposto. Pur non entrando nel merito degli argomenti dei referendum, che riguardano la riforma fiscale, il reddito minimo, l’incandidabilità, i matrimoni gay, il consumo di suolo e le alleanze, il testo della lettera di Bersani contiene una informazione sinora rimasta inedita e riguarda il vero obiettivo di queste Primarie di coalizione e di questa campagna di registrazioni:

Tra le ragioni che mi hanno indotto a volere fermamente le primarie c’è la costituzione di un Album degli elettori dei democratici e dei progressisti. Proprio in questi giorni stiamo lavorando con tutte le nostre energie e con il contributo di migliaia di volontari alla realizzazione di questo obiettivo e spero di poter contare anche sul vostro aiuto. Nelle mie intenzioni questo Album potrà costituire la base, messa a disposizione di tutti gli iscritti al Partito democratico, per favorire iniziative di democrazia partecipativa simili a quella promossa dal Comitato ReferendumPd che potranno avere nella piattaforma web il luogo privilegiato di attuazione. (Prossima Italia|La risposta di Bersani).

Se ci pensate, questo aspetto aiuta a comprendere un’altra differenza fra Bersani e Renzi. Renzi è quello che usa il web come strumento di marketing politico, Bersani – che è pur sempre quello che chiamava internet “quell’ambaradan lì” – pensa di far emergere, attraverso la registrazione all’albo degli elettori, una platea di cittadini partecipativi da coinvolgere nelle scelte del partito. Qualcuno potrà obiettare che Renzi ha accolto le proposte del web nel proprio programma. Chi si ricorda di #wikiPD? Era una iniziativa lanciata dal Big Bang di Renzi. Fare una wiki del PD significava allora come oggi cominciare da uno spazio vuoto, dalla pagina bianca ed essere aperti alla collaborazione e alla condivisione. Renzi che fece? Era il tempo della Leopolda 2011 e il sindaco di Firenze pubblicò sul sito di Big Bang un documento programmatico che poteva soltanto essere discusso.Non c’era proprio nessuna wiki. Questo atteggiamento, già nell’Ottobre dello scorso anno, era risultato essere un segnale, una indicazione di una propensione a usare il web più come proscenio che come luogo di confronto. Oggi, con l’iniziativa dell’associazione Big Bang (che poi vuol dire Renzi medesimo) e l’apertura di ben due siti web con l’obiettivo di raccogliere nominativi di partecipanti esclusi da usare – questo lo scopo finale – domenica sera al fine ultimo di contestare il voto, Renzi ha confermato questa impressione.

Facciamolo (questo Partito Democratico)

Ribloggo da Prossima Italia (questa è una “chiamata alle armi”, perché non è più il tempo di tergiversare, è il tempo di prender la propria parte dietro la linea gotica della alleanza già scritta fra PD e UDC; perché questi tempi eccezionali richiedono un coraggio eccezionale):

È venuto il momento (appunto) di trasformare il Pd nel partito degli elettori che avrebbe sempre dovuto essere. Di superare formule, gherminelle e tric e trac e puntare dritti alla sostanza. Di trasformare la retorica della partecipazione in qualcosa di reale e di concreto.

Per tutti questi motivi dichiariamo aperta la stagione referendaria del Pd, ai sensi dell’articolo 27 dello Statuto. Cinque quesiti per evitare che gli elettori si consegnino definitivamente alle cinque stelle. Cinque temi forti su fisco, diritti e matrimoni civili, ambiente, spesa pubblica e governo del Paese, da definire e precisare insieme, sotto il solleone, come un Sudoku democratico. Per poi passare all’azione, già da domenica.

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@pbersani, il protocollo di Canossa diventi ora il protocollo del PD

L’incontro di sabato a Canossa, organizzato da Prossima Italia sul tema della corruzione nelle dinamiche pubbliche e private dell’economia e della politica, ha infine prodotto un documento conclusivo in cui si elencano circa sei proposte ben chiare “per rendere l’Italia un paese a #corruzionezero”.

Tutto ciò è immediatamente condivisibile e auspicabile. Anzi, le persone normali si chiedono come mai non sia stato pensato prima. Eppure non si è rilevata la benché minima reazione da parte dei vertici nazionali del PD. Finché si parla di rottamazione, sono tutti pronti a commentare indignati contro la ‘banda larga’ di Civati. Dinanzi alle proposte concrete, il silenzio. E allora, facciamolo circolare, questo protocollo. Facciamolo diventare il nostro protocollo, se non diventerà il protocollo di tutto il PD.

IL PROTOCOLLO DI CANOSSA

Prevenire la corruzione politica con la trasparenza e il controllo dal basso, l’open data e le nuove tecnologie. Tutti i partiti, fondazioni politiche e comitati elettorali dovranno pubblicare su un unico sito internet gestito da un ente terzo tutte le loro entrate e uscite superiori a 500 Euro per fonte o destinatario della transazione, con rendiconti ogni tre mesi e ogni mese nei sei mesi prima del voto. Riformare il finanziamento pubblico e privato ai partiti. Sul finanziamento pubblico, agganciare il rimborso alla spesa sostenuta, creare un organo deputato al controllo e riformare le sanzioni: multe, sospensione ed esclusione dall’assegnazione futura del rimborso. Sul finanziamento privato, introdurre un limite quantitativo e fattispecie penali per la violazione del limite al finanziamento.

Introdurre regole basilari di promozione e tutela della dignità della rappresentanza politica. Disciplinare per legge specifiche cause di ineleggibilità che inibiscano la candidatura e comportino l’automatica decadenza dalle funzioni di rappresentanza politica ad ogni livello dei condannati in via definitiva per i delitti contro la pubblica amministrazione. Eliminare i doppi incarichi, che prefigurino rapporti non corretti tra controllori e controllati, e contrastare gli episodi di familismo a ogni livello. Istituire un’anagrafe, anche tributaria, degli eletti e dei principali dirigenti dell’amministrazione pubblica, a livello locale e nazionale.

Contrastare la corruzione dei funzionari pubblici incentivando le pratiche di denuncia, indispensabili per far emergere l’enorme sacca di corruzione “nascosta” che attanaglia il sistema, e tutelando in modo efficace chi denuncia.

Per combattere la corruzione negli appalti, sempre più alimentata dalla criminalità organizzata, disciplinare per legge alcuni strumenti preventivi e sanzionatori già sperimentati in protocolli virtuosi di legalità (ad esempio il protocollo per la legalità negli appalti dei Comuni di Reggio Emilia e Forlì e del piccolo Comune di Merlino). Assicurare la trasparenza degli atti amministrativi attraverso la pubblicazione, sul sito internet dell’ente pubblico, delle consulenze e delle collaborazioni, di tutti gli appalti e dei subappalti, introducendo meccanismi di regolamentazione dei conflitti di interessi ed incentivando la nascita di stazioni uniche appaltanti dotate di adeguate strutture e professionalità. Promuovere la nascita di “white lists” di operatori economici dotati dei necessari requisiti di moralità professionale e condizionare l’aggiudicazione degli appalti – anche nel privato – al rispetto di detti requisiti: i soggetti dovranno cioè comunicare in modo trasparente la composizione della compagine societaria, compreso il casellario giudiziale dei titolari e dei soci, i bilanci dell’ultimo anno di attività, l’elenco di tutti i fornitori e subappaltatori. Estendere a tutto il territorio nazionale la carta etica dei professionisti di Modena (che prevede l’espulsione del professionista nel caso di condanna per reati mafiosi o la sospensione nel caso di indagini) e creare un osservatorio che la faccia rispettare e impegnare tutti gli amministratori eletti nel PD ad aderire alla Carta di Pisa.

Istituire un Osservatorio sul rischio corruzione, che operi un censimento di casi emersi e ne analizzi le corrispondenti procedure e processi decisionali, individuandone gli snodi critici e proponendone la riforma. Costruire una banca dati nazionale sulle statistiche giudiziarie penali per i reati contro la PA con una dimensione temporale, aggiornabile e aperta al pubblico e un indicatore di corruzione costituito da una parte “comune” relativa a variabili economiche, socio-culturali e demografiche e da una parte “specifica” relativa agli ordinamenti giuridici dei paesi europei.

Adottare gli strumenti previsti dalle convenzioni internazionali in materia di corruzione: introduzione delle fattispecie di autoriciclaggio, corruzione tra privati, interferenza illecita negli affari privati, revisione del falso in bilancio. Bisogna riformare il sistema della prescrizione, prevedendo, da un lato, la sospensione della prescrizione sostanziale dopo l’esercizio dell’azione penale, dall’altro un termine di prescrizione processuale che consenta di portare a termine il processo nel rispetto della ragionevole durata. Rivisitare il sistema sanzionatoriodei reati contro la pubblica amministrazione previsto dal codice penale, a partire da un cambio di prospettiva. Bisogna prevedere e garantire l’effettiva applicazione di severe sanzioni pecuniarie agganciate alla rilevanza del prezzo e del profitto del reato ed introdurre meccanismi fondati sul danno punitivo. Il risarcimento dovrà essere quantificato in modo più rapido e in base a moltiplicatori legati alla gravità del reato: nei casi più gravi anche il quadruplo del danno arrecato.

Il libro verde della Lega Nord: versione aggiornata con altre nefandezze

Tratto da Prossima Italia.

Prefazione

I primi a contribuire al successo e alla mitologia della Lega sono sempre stati i suoi commentatori, anche a sinistra. La Lega è radicata, la Lega offre messaggi semplici e concreti,
la Lega dice cose che colpiscono e coinvolgono. Insomma, funzionano. Anche perché la Lega vince, quindi deve avere ragione. Per forza.
Come ha scritto Piero Ignazi per l’Espresso, nel settembre del 2010: «C’è una sorta di “spirale del silenzio” nei confronti della Lega Nord. Non che della Lega non si parli, tutt’altro. Ma se ne
parla solo bene. Nessuno si azzarda a criticarla a muso duro. […] È la paura di apparire minoritari e fuori gioco a far scattare un atteggiamento di compiacenza-adeguamento nei
confronti di ciò che si ritiene il parere dei più. In questo modo le opinioni dissenzienti ammutoliscono per non essere ostracizzate dal benpensare della maggioranza. Oggi la Lega
gode di una situazione di questo tipo. Dopo i suoi ultimi successi elettorali si è scatenata una corsa ad esaltarne le doti, anche a sinistra: dal modello di partito forte e radicato alla nuova e
capace classe dirigente, dalle grandi intuizioni politiche al legame con il territorio, e via di questo passo. Alla Lega si consente tutto perché a criticarla non solo si viene coperti di insulti
(e di minacce) ma si viene anche irrisi come quelli che “non hanno capito come va il mondo”.
Più o meno è lo stesso atteggiamento di sufficienza e di scherno che i post-sessantottini riservavano a chi non credeva nella rivoluzione imminente e nel salvifico libretto rosso di
Mao».
Una situazione che dura da quasi vent’anni, dal giorno in cui la Lega, portando al governo Berlusconi grazie ai suoi voti al Nord, fece il proprio ingresso trionfale nelle principali
istituzioni del Paese. Era il 1994, siamo nel 2010 o, forse, come si vedrà, non ci siamo mai mossi da quella primavera, se non per un dato che si finge di non rilevare. Dopo vent’anni
siamo ancora indecisi tra un federalismo che non c’è e una secessione che invece si afferma, senza che molti se ne accorgano. E forse questo è l’unico, vero risultato della Lega.
Inconfessabile, ma sempre più reale, in un Paese diviso e irriducibile.

(continua a leggere…)

Prima gli elettori: così comincia #OccupyPD

E’ chiaro che il referendum sul Porcellum non ci sarà tempo per farlo. B. cadrà questa settimana, più precisamente mercoledì. Ed evidentemente non ci saranno i numeri alla Camera o al Senato per fare un governo di salvezza nazionale o un post- B. con Letta presidente del Consiglio.

Bersani ieri non ha fatto alcun cenno a primarie aperte, né al fatto che questa legge elettorale anti democratica si possa aggirare chiedendo ai propri elettori di partecipare alla formazione delle liste elettorali.

Prossima Italia ha lanciato #OccupyPD. La prima delle iniziative si chiama ‘Prima gli elettori’. Andiamo da Bersani con il peso di un bel po’ di firme. Chiunque può raccogliere le firme. Chiunque. Fatelo. Ecco come:

Andate e raccogliete (le firme)Scarica il modulo

Il #wikiPD tarocco di Renzi

Nel mondo essere ‘wiki’ significa essere aperti, o per meglio dire, open source. Significa che tu metti a disposizione uno spazio bianco, una cornice, in cui più o meno tutti possono accedere e collaborare a riempire di idee quello spazio vuoto. Pensate a Wikipédia, la web enciclopedia. E’ nata il 15 Gennaio 2001 per mano (anche) di Jimmy Wales, ma quel giorno l’enciclopedia era vuota e solo la collaborazione di milioni di persone ha permesso di renderla oggi il punto di riferimento per chiunque acceda alla rete e voglia documentarsi su qualcosa. Anche adesso, scrivendo queste righe, prendo spunto e pago il mio tributo a Wikipédia.

E allora, che cos’è un ‘wiki’ è proprio Wikipédia a dirlo:

Una Wiki è una pagina (o comunque una collezione di documenti ipertestuali) che viene aggiornato dai suoi utilizzatori e i cui contenuti sono sviluppati in collaborazione da tutti coloro che vi hanno accesso. La modifica dei contenuti è aperta, nel senso che il testo può essere modificato da tutti gli utenti (a volte soltanto se registrati, altre volte anche anonimi) contribuendo non solo per aggiunte come accade solitamente nei forum, ma anche cambiando e cancellando ciò che hanno scritto gli autori precedenti.

Ogni modifica è registrata in una cronologia che permette in caso di necessità di riportare il testo alla versione precedente; lo scopo è quello di condividere, scambiare, immagazzinare e ottimizzare la conoscenza in modo collaborativo. Il termine wiki indica anche il software collaborativo utilizzato per creare il sito web e il server.

Wiki, in base alla etimologia, è anche un modo di essere (Wikipédia alla voce wiki).

Alla base del concetto ‘wiki’, al di là della radice etimologica che è pur molto interessante, vi è l’idea della collaborazione e della condivisione. Adesso, se vi pare che il documento in pdf pubblicato da Matteo Renzi sul sito di Big Bang Leopolda 2011 sia wiki, bè vi state profondamente sbagliando. Al di là del nome, ‘wikiPD’, il documento è sbagliato sin dalla sua forma – e la forma è importante, mi dicono: il formato pdf è di per sé immodificabile. Perciò come iniziare a discutere, a elaborare, a modificare, a suggerire formulazioni alternative, se la base di partenza è congelata in un formato pdf?

L’approccio iniziale è sbagliato, caro Renzi. Fare una wiki per il PD è pur una buona idea, ma c’è chi l’ha già avuta – toh, Civati e Prossima Italia, e quando il wiki di Andiamo Oltre era appena cominciato, era per davvero una pagina bianca. Adesso, a distanza di più di un anno, è diventato adulto, si è aggregato in un vero e proprio programma. E’ stato elaborato partendo non già dalle idee di uno solo, né da quelle di un gruppo, ma dal nulla. E’ passato attraverso lo scambio di opinioni e elaborati, fra libri bianchi e grigi, opere filmate e gli incontri di Prossima Italia. Ed ecco cosa è diventato.

Mentre tu, ostinato e contrario, apparivi in tv a discettare di Marchionne e cene ad Arcore.

Il temino di Matteo Renzi, titolo “Il mio PD”

Matteo Renzi si avvia a rispolverare la manifestazione della Leopolda con idee molto chiare. Le ha elencate in un temino, sì esatto, un temino il cui titolo potrebbe essere “Il mio PD”. Ora, sia chiaro, il PD non è suo. Abbiamo scritto pagine e pagine sprecando il ‘nostro’ tempo dicendo che il PD è ‘nostro’ e poi arriva il sognante Renzi a parlarci di qualcosa che non è più nostro ma suo.

Il testo del temino lo potete leggere su Il Post: Il PD che sogno.

Prima di Renzi e della riedizione della Leopolda, sabato e domenica scorsi si è svolto ‘Il nostro tempo’, la manifestazione di Prossima Italia, il gruppo di Pippo Civati. Rileggete il discorso finale di Civati e confrontatelo con quello di Renzi e capirete l’abisso che si è aperto fra i due. Vedrete le immense differenze che dividono i rottamatori dai costruttori del PD.

Provo ad elencarle:

  1. Renzi: [il mio PD] Vuole che tutti abbiano una casa ma non delega l’urbanistica alle cooperative dei costruttori o ai professionisti del mattone; Civati: Politica del paesaggio, affinché il paese non più umiliato;
  2. Renzi: [il mio PD] Si organizza dentro ai circoli ma cerca di vivere soprattutto fuori, a contatto con le persone vere; Civati: il circolo deve diventare il fulcro attraverso cui realizzare la partecipazione dell’elettore cittadino;
  3. Renzi: [il mio PD] Scende in piazza una volta ogni tanto; Civati: il PD vero è quello “che si confronta con la società civile, anzi, civilissima“, “un PD che non perde tempo, che scende dal piedistallo, che partecipa senza indugio ai movimenti
  4. Renzi: [il mio PD] Manda in pensione i cittadini due anni dopo; Civati: Prendere distanze dai luoghi comuni – per esempio sulle pensioni, quando si dice che non si devono toccare le pensioni senza ricordare che esse sono già state toccate;
  5. Renzi: qualunque sia la legge elettorale, in Parlamento ci deve andare chi prende voti, non chi prende ordini; Civati: Al di là della forma della prossima legge elettorale, il PD dovrebbe scegliere i propri candidati di lista con le primarie.
  6. Renzi: questo è “il mio PD”; Civati: questo è “il nostro tempo“.
Diversi i contenuti, diverso il metodo: Renzi ha scelto una via personalistica, Civati quella collegiale pur connotata dalla sua forte e riconoscibilissima impronta. Renzi parte da un canovaccio minimo fatto dalle sue enunciazioni, Civati ha un vero e proprio programma, articolato in cinque proposte che sono in realtà delle ‘risposte’, ovvero

1 – Prima gli elettori: primarie libere per la scelta dei parlamentari, in tutti i collegi e con qualsiasi legge elettorale, contro lo scilipotismo e a favore della partecipazione democratica, quella della primavera arancione, per far scegliere ai cittadini chi li rappresenta a Roma, proprio come si scelgono i sindaci.

2 – Con disciplina e onore: una legge feroce contro la corruzione, che cancelli tutti i lodi ad personam di questi anni, la lotta ai conflitti d’interessi ad ogni livello, e nuove forme di trasparente e accessibile rendiconto finanziario degli incarichi politici o comunque determinati dalla politica.

3 – Terra! Suolo bene comune: rivedere i criteri sugli oneri di urbanizzazione, coinvolgendo i cittadini e regolando le nuove costruzioni in base alle effettive richieste del mercato, bloccando le realizzazioni a fine speculativo; vietare l’uso degli oneri per la parte di spesa corrente dei bilanci degli enti locali, e fermare le compensazioni monetarie, anche attraverso nuovi sistemi di controllo. Censire il patrimonio utilizzato, sia quello produttivo che quello residenziale, e incentivarne l’utilizzo.

4 – Il fisco, dai mobili agli immobili: nel Paese primatista della pressione fiscale su chi lavora e produce, nel Paese in cui il mattone è la speculazione più redditizia e meno tassata, bisogna invertire la tendenza: abbassare le tasse sul lavoro con un rimborso contante annuo andando a prenderlo da chi ricava rendita dagli immobili. Inoltre, a proposito del fisco: riduzione delle scritture contabili e semplificazione dei calcoli delle imposte; ampliamento della gamma degli oneri deducibili; emissione e ricezione elettronica di fatture e corrispettivi, e tracciabilità del pagamento di costi deducibili; inversione del rapporto tra Fisco/controllore e contribuente/controllato, con l’assegnazione al Fisco della compilazione di tutte le dichiarazioni dei redditi, dipendenti e autonome.

5 – Per tutte e tutti: superare la condizione di precarietà di questi anni estendendo l’indennità di disoccupazione a tutti i lavoratori, inclusi i titolari di contratti atipici: si può fare, e va fatto parificando i contributi sociali. Ogni tipo di contratto, subordinato o para-subordinato, dovrà prevedere il versamento dei relativi contributi: si tratta di somme assolutamente contenute e sostenibili per l’impresa (fonte Prossima Italia).

Prendete per esempio il punto 5: Civati dice espressamente che il problema del paese è la disoccupazione e la divisione del mercato del lavoro. Sostiene che una delle misure da prendere assolutamente sia quella dell’estensione dell’indennità di disoccupazione a tutti, compresi i precari. Sullo stesso tema, e con una formula ben più ambigua, Renzi scrive:

[il mio PD] vuole che lo Stato sia compagno di viaggio non ostile burocrate per chi fa impresa e per chi vi lavora. Non si preoccupa solo di chi è già tutelato, ma anche e soprattutto di chi ha trenta anni e non trova lavoro. O di chi ne ha cinquanta e l’ha appena perso. Crede nella formazione permanente ma non nei burocrati della formazione. E riduce le cattedre universitarie, ma aumenta la qualità dell’insegnamento.

Notate innanzitutto la distinzione fra impresa e lavoro e l’ordinamento che Renzi dà alle due parole nella frase. Notate come sia quasi stigmatizzata la figura del lavoratore che ‘è già tutelato’. Renzi, poi, non indica alcuna ricetta per la maggior tutela dei precari, se non la formazione permanente.

In coda al pezzo, Renzi spiega che la sua visione circa la rottamazione della vecchia classe dirigente del PD:

[il mio PD] Ringrazia chi ha servito per tanti anni le Istituzioni. Ringrazia davvero, senza ironie. Ma non crede offensivo chiedere il ricambio per chi da qualche lustro occupa gli scranni del Parlamento: si può far politica anche senza una poltrona, anche rimettendosi in gioco. Chi ha causato il problema in questi anni non può proporsi come la soluzione

Renzi sembra qui voler metter l’accento sulla vecchia generazione che è di troppo e se ne deve andare. Una generazione responsabile di un fallimento politico, la mancata spallata a B. Quindi, si intuisce, il modo per metterla da parte è stabilire un limite di età, o di legislature. Ma è sbagliato ridurre la questione generazionale in un mero conteggio di mandati elettivi o di anni di carriera: la questione generazionale è implicita alla mancata circolazione delle élite di questo paese. I meccanismi di selezione sono bloccati, o ingolfati da criteri quali la fedeltà o i clientelismo. Il risultato è una generazione di donne e uomini messi ai confini della sfera pubblica. La vera sfida, dice Civati, è portare questa generazione al governo del paese, non rottamare quella vecchia. E’ una prospettiva leggermente diversa da quella di Renzi, ma è decisiva.

Dev’essere questo il nostro Civati – il discorso conclusivo de Il Nostro Tempo

Il discorso di Giuseppe Civati ha concluso la due giorni bolognese di Prossima Italia. E contrassegna il suo movimento con una mutazione genetica: il passaggio da Rottamatori (definizione più coerente con il personalismo di Renzi) a Costruttori del PD. Un mutamento che è in realtà la riaffermazione di alcuni principi base che dovrebbero essere fondamento del Partito Democratico e che troppo spesso latitano. Non si rottama più, perché già viviamo nel degrado e nelle macerie. Invece si costruisce, con il cemento delle idee e della loro condivisione.

Civati, nella sua arringa finale, cita Saramago, “non bisogna avere fretta ma non bisogna perdere tempo”. Questo è il nostro tempo, questo è il nostro PD, un partito che smette di essere quella congrega di soliti noti persa nei dibattiti dell’assurdo eterno dilemma dell’antiberlusconismo. Viceversa il PD vero è quello “che si confronta con la società civile, anzi, civilissima“, “un PD che non perde tempo, che scende dal piedistallo, che partecipa senza indugio ai movimenti anziché chiedersi morettianamente se “mi si nota di più se vengo o se non vengo?”.

Il PD deve coltivare le relazioni, dice Civati; il PD deve muoversi senza imbarazzo, parlare a tutti la stessa lingua, rivolgersi di persona, personalmente, non con le teorie astratte, o con formule da alchimista, ma con le proposte che sono in realtà risposte alle domande della società civile.

Dev’essere questo il nostro posto, come la canzone dei Talking Heads che dà il nome al film di Sorrentino. Il nostro posto è quello di una politica ‘nuova’, che ha uno sguardo lucido verso il futuro. E per affrontare il futuro bisogna prima rovesciare il quadro politico italiano. I cittadini vogliono poter scegliere.

Le risposte:

  1. Al di là della forma della prossima legge elettorale, il PD dovrebbe scegliere i propri candidati di lista con le primarie;
  2. Uguaglianza fra chi lavora e chi guadagna dalla rendita;
  3. Legge feroce contro corruzione;
  4. Lotta culturale e tecnologica, alla ‘brasiliana’, contro l’evasione fiscale;
  5. Politica del paesaggio, affinché il paese non più umiliato;
  6. Prendere distanze dai luoghi comuni – per esempio sulle pensioni, quando si dice che non si devono toccare le pensioni senza ricordare che esse sono già state toccate;
  7. La sinistra è timida sul mercato del lavoro, che è già riformato anzi deformato. Bisogna tornare a parlare di salario, parola che oggi non pronuncia più nessuno.
  8. Non esiste la famiglia, ma ‘le famiglie’, che sono diverse fra loro e devono ugualmente esser sostenute.
  9. Non crediamo che la politica sia un mestiere a vita.

Il PD ha invece paura di non piacere, di non essere abbastanza ‘cool’, quasi che esso abbia dei sensi di colpa. Il PD non può continuare a cercare sé stesso laddove non si troverà mai. Siamo stanchi delle divisioni, dice Civati, stanchi dei personalismi e di esser fraintesi. Basta con il “si è sempre fatto così”, come è stato detto quest’estate a Nardò, parlando di sfruttamento dei braccianti stranieri.

Poi esclama, “abbiamo perso diciassette anni della nostra vita, questa si che è una questione generazionale!”; queste sono le nostre idee, le metteremo nel cartone della pizza e le porteremo a Roma. Soprattutto, seguito dall’ovazione della platea che era in realtà una piazza, ha detto “dobbiamo portare questa generazione al governo del paese, e lo facciamo senza paura!“. E cita l’amico Luca Sofri, “lo facciamo con costanza”, giorno dopo giorno, non ad intermittenza ma quotidianamente, come una missione.

Renzi sta con Marchionne. L’abisso si apre fra i rottamatori

Mirafiori scava solchi profondissimi. Marchionne ha obbligato alla scelta di campo: o amico, o nemico. Una dicotomia che è archetipo della lotta; della guerra. Riflettendo il paradigma sulla politica italiana, ci saranno aree politiche filo-Marchionne e una pletora di nemici. E’ un dato di fatto, qualcosa che interessa tutti, che coinvolge tutti. E che divide.

I rottamatori del PD potevano astenersi da ciò? Potevano forse adottare una linea unica, certamente oggetto di discussione e deliberazione, certamente frutto di sofferenze e di dibattito, ma comunque unica? Evidentemente no. Poiché Matteo Renzi, apparso stasera al TgLa7, ha avuto il buoncuore di dirci quanto pensa circa il referendum-ricatto di Mirafiori. Ebbene, Renzi ha scelto la sua parte, ed è la parte di Marchionne – “dalla parte di chi sta investendo nelle aziende quando le aziende chiudono. Dalla parte di chi prova a mettere quattrini per agganciare anche Mirafiori alla locomotiva America” (Libero-News). Cosa aspettarsi da un sindaco che va a cena ad Arcore? Attenti perché la linea dei rottamatori era ben lungi dall’essere questa. Anzi, Civati nei giorni scorsi ha formulato una risposta sul caso Mirafiori che era molto prossima alla posizione articolata dal duo Bersani-Fassina, riaffermata da D’Alema a Otto e Mezzo poc’anzi – né con Fiat né con la Fiom ma per una legge della rappresentanza sindacale democratica. Una posizione, a parere di chi scrive, di buonsenso, che trova nel fondo di stamane di Massimo Giannini su Repubblica – “è una “festa”, se una grande azienda di automobili italiana decide di chiudere un impianto che esiste da un secolo, e che rappresenta un pezzo di storia non solo industriale, ma anche sociale di questo Paese?” – la giusta sintesi. Certo, il sindacato può stringere accordi sofferti, accordi al ribasso, accordi che lasciano sul campo diritti sostanziali dei lavoratori, ma lo fanno a ragion veduta, se non si può fare altrimenti, se lo stato della imprenditoria italiana diventa questo, al limite del banditismo, verrebbe da dire. Mirafiori va salvata. E si può accettare – momentaneamente, molto momentaneamente – una restrizione della sfera dei diritti. Ma non si può accettare il ricatto. Non lo può accettare in primis la politica. La politica dovrebbe ora farsi scudo verso i lavoratori. Una sfera politica sana avrebbe impedito a Marchionne di saltare sul predellino di Detroit a dettar la sua legge erga omnes ai lavoratori italiani. Una politica sana avrebbe preconizzato Marchionne e lo avrebbe evitato. In questo ha fallito, la politica, e in questo i rottamatori, in quanto portatori della buona politica, dovrebbero riuscire a fornire il proprio contributo di innovazione al partito. Viceversa, andare dinanzi ai microfoni discettando a sproposito di investimenti e aziende, come ha fatto Renzi, non è buona cosa.

Renzi, in verità, pare essere l’ombra di quello visto alla Leopolda. Forse ha capito di avere potenziale elettorale a destra. Forse la cena di Arcore è servita per raccogliere una eredità, chi può dirlo. Tutte ipotesi, e poco fondate. Quel che è certo è la divisione fra Renzi e Civati. Renzi ha criticato Civati circa l’idea della contro-direzione di domani, Civati ha minimizzato:

Mica ho fatto tutto questo — ha detto Renzi — per impelagarmi in una battaglia di correnti. I ‘rottamatori’, poi, sono persone libere, e fanno tante iniziative: io al momento mi occupo di Firenze al 101 per cento». La settimana scorsa il sindaco aveva già avvertito il suo compagno d’avventura: occhio, state facendo una corrente. E lui di correnti non ne fa (Corriere.it).

Il sospetto è allora che Renzi abbia impiegato la Leopolda per capitalizzare consenso. Renzi osserva che Prossima Italia non è una corrente. Fare una contro-direzione che fa della trasparenza e della pubblicità della discussione il punto di forza, è correntismo? Da quando riunirsi e discutere in pubblico è pari al chiudersi in stanze chiuse di direttivi segreti? Che differenza c’è fra l’andare in ordine sparso classico del PD e l’andare in ordine sparso di Renzi? Renzi ha detto la sua sul caso Fiat. La sua dichiarazione non trova alcuna corrispondenza nei lavori portati avanti sinora dal gruppo di Prossima Italia, lavori che ne costituiscono la linea politica. Renzi è fuori da questa linea. Di fatto, fuori dai rottamatori.

Salva il PD, salva le primarie

Appello per salvare le primarie come metodo lanciato da Prossima Italia:

Caro Segretario,
abbiamo letto con molta preoccupazione la tua intervista a Repubblica in cui dici che il Partito Democratico sarebbe disposto a rinunciare alle primarie in nome di un’alleanza con il nascente Polo della Nazione.
Credevamo che, pur nelle differenze talvolta aspre che convivono nel Partito Democratico, due elementi ci unissero tutti senza distinzioni: l’essere il PD un partito sempre e comunque alternativo alle destre (a tutte le destre) e che il metodo del PD per scegliere le candidature fosse quello delle primarie aperte ai nostri elettori.
Il tuo proposito smentisce entrambi questi minimi comuni denominatori, senza peraltro che sia stato possibile su questo consultare la base o almeno discuterne nelle sedi opportune, in modo trasparente.
Inoltre, il tuo ragionamento contiene una vistosa mancanza, un tema che sembra non interessarti affatto: la disaffezione delle elettrici e degli elettori del centrosinistra per il nostro Partito Democratico e per la coalizione di cui dovrebbe fare parte. Nelle elezioni del 2008 più di due milioni di persone che nel 2006 avevano votato per l’Unione hanno preferito restarsene a casa e non votare. Una tendenza confermata oggi da alcuni istituti di ricerca secondo cui quasi il 40 per cento degli elettori è intenzionato ad astenersi. Di fronte a questa crescente disaffezione, il PD e il centrosinistra dovrebbero cercare un’alleanza col proprio popolo prima che con qualsiasi altra forza in campo.
E invece no.
Le primarie le avevamo pensate e volute proprio per coinvolgere i nostri elettori, per costruire consenso intorno alle nostre idee, per mobilitare quegli astensionisti e quei disillusi che altrimenti finirebbero per ribadire la loro scarsa fiducia nella proposta politica attuale. Con le tue ultime parole, invece, sembra che il Partito Democratico preferisca la manovra di palazzo, la strategia fine a se stessa che fino ad oggi non ha pagato, il politicismo che scoraggia ulteriormente il nostro elettorato e sembra peraltro non suscitare molto interesse nella controparte, come continuamente si pregiano di ricordare il leader del nascente terzo polo.
Perché, caro Segretario, non porgi l’orecchio verso la tua base e i tuoi elettori, e non ti limiti ad ascoltare chi ti vuole sottrarre al confronto interno per il bene del Partito, per il bene dell’Italia? Perché – se non per paura del confronto interno – dovrebbe essere più facile trovare terreno comune con chi ci è piùlontano, quando ancora nemmeno è iniziato un dialogo con chi ci è più vicino?
Proprio tu, Segretario, hai parlato della necessità di costruire un progetto per il Paese. Ne ha elencato i titoli, e da colui che guida il maggiore partito di opposizione ci aspetteremmo un maggiore dettaglio, ma forse è questa la prova di quanto sia velleitaria la tua proposta di coalizione: come è possibile pensare di affrontare con l’Udc, l’Api e Fli temi come i diritti dei lavoratori, la riforma dell’università, l’immigrazione e i diritti civili? Poiché sono questi e non altri, i temi di cui bisogna occuparsi se si vuole riportare a votare la gente: delle cose che cambiano la vita quotidiana delle persone e, auspicabilmente, la migliorano.
Forse che questi partiti hanno cambiato idea rispetto a quando, poche settimane fa, hanno votato a favore della riforma Gelmini e del collegato sul lavoro? Oppure è il PD, ad aver tenuto posizioni strumentali che poi, una volta al Governo, saranno differenti? Ci auguriamo di no.
Altro che responsabilità: irresponsabile è pensare di difendere la nostra democrazia costruendo il solito fronte paralizzato dalle differenze e quindi incapace – come accadde in quell’Unione che ci eravamo ripromessi di non ripetere, e che oggi proponi addirittura di allargare a destra – di realizzare le riforme che servono all’Italia.
Ripensaci, Segretario. Tieni fede allo schema che anche tu hai sempre sostenuto: costruire un programma, su quel programma stabilire le alleanze, e poi lasciare ai cittadini il compito di scegliere con le primarie, in quella coalizione, una leadership che rappresenti il centrosinistra: quello che già oggi governa con successo in tanti Comuni, Province e Regioni.
Costruisci un percorso di partecipazione vera, caro Segretario. Oppure, il tuo stesso popolo non ti seguirà, decretando una sconfitta che ricadrà sulle persone che il PD vuole rappresentare.

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