Il discorso di Walter Tocci sulla Riforma dell’articolo 138 della Costituzione

Questo ha detto Walter Tocci, stamane al Senato. Un discorso condivisibile, che mette l’accento non su generici allarmi di ‘attacco alla Carta Costituzionale’ ma al contrario mette in discussione tutto l’impianto argomentativo che ha indotto il governo a procedere con una riforma dell’articolo 138. Per Tocci, “si ricorre all’ingegneria istituzionale per obbligare il politico a fare ciò che non gli riesce spontaneamente”, ergo la modifica istituzionale è un paravento che nasconde la reale intenzione di non far niente.

Su questo blog ho avuto parole di critica verso gli allarmisti, verso i professionisti dell’indignazione. Il progetto di legge costituzionale n. 813 è pura scena. Istituisce un comitato fatto di parlamentari (una ‘bicamerale’ a tutti gli effetti) che dovrà preparare dei pacchetti di riforme istituzionali non meglio precisate entro diciotto mesi da quando lo stesso entrerà in funzione. Tutte le riforme istituzionali che il Comitato riuscirà a produrre (quale è il minimo sindacale? Due? Tre riforme?) attraverseranno il Parlamento ad una velocità sinora sconosciuta (1 mese di intervallo fra le due votazioni nello stesso testo) e però dovranno passare il vaglio del referendum popolare anche se validate dal voto dei due terzi. Ebbene, mai queste leggi avranno il voto dei due terzi; mai potranno passare lo scoglio del referendum in una situazione politica così precaria e frammentata (il governo delle larghe intese non sopravviverà a lungo, soprattutto dopo l’accelerazione della deriva giudiziaria per Berlusconi). Questo progetto di legge non è osceno perché sbagliato; è osceno poiché politicamente insostenibile e senza futuro. E’ osceno poiché reca in sé la pretesa di essere rappresentanza di una volontà popolare ma è invece frutto dell’opera di partiti sostenuti da meno della metà del corpo elettorale. 

Leggete bene questo eccezionale discorso.

Vorrei ribaltare un famoso incipit dicendo che tutto, fuorché la cortesia, mi porta contro questa proposta di legge. Il mio dissenso comincia dal titolo, si alimenta dal testo e diventa totale sull’idea stessa di toccare la Costituzione.

Per rispetto del mio partito non voterò contro, ma, nel rispetto dell’articolo 67, non posso votare a favore. D’altronde, c’è già troppo unanimismo: si propagano luoghi comuni che sembrano veri solo perché ripetuti con sicumera dall’inizio, trent’anni fa. Il mondo è cambiato, ma l’agenda è rimasta sempre la stessa.

L’entusiasmo iniziale delle bicamerali si è tramutato in una vera ossessione a modificare le istituzioni, una malattia solo italiana, che non trova paragoni in nessun altro Paese occidentale. È difficile credere che la nostra Carta costituzionale sia tanto più difettosa delle altre da meritare questo accanimento terapeutico. È più probabile che il malanno dipenda dagli improbabili costituenti.

Siamo chiamati a dichiarare che la revisione della Costituzione è oggi una suprema esigenza nazionale. Mi chiedo perché, per che cosa e in nome di chi.

La domanda sul perché riguarda la decisione. Si ricorre all’ingegneria istituzionale per obbligare il politico a fare ciò che non gli riesce spontaneamente, ma questo cadornismo applicato all’ordinamento è sempre fallito: il bipolarismo doveva eliminare la corruzione; il federalismo doveva promuovere lo sviluppo locale; il maggioritario doveva garantire la stabilità. Per dirla con don Abbondio, chi non ha la volontà politica, non se la può dare con gli artifici istituzionali.

Eppure questa illusione è dura a morire. Ha sostenuto strategie politiche, ha animato i talk show, ha creato perfino il nuovo ordine professionale degli ingegneri istituzionali, costituito dai parlamentari esperti del tema – ai quali va comunque la mia stima personale – dai giuristi, che ne hanno fatto una carriera accademica, e dagli editorialisti, che ne hanno fatto una fortuna mediatica.

L’ordine degli ingegneri si pone solo domande tecniche, ma il dato saliente del trentennio è la crisi dei partiti. La causa politica dell’ingovernabilità è stata trasferita in capo alle istituzioni. Se non si decide, non è colpa mia, ma dello Stato che non funziona: questo è il motto del politico, a tutti i livelli. Lo sviamento, però, non è stato innocuo: è servito come alibi alla politica per non affrontare i suoi problemi, che si sono di molto aggravati. Le istituzioni sono state stravolte per finalità di parte, invece di essere curate nella loro essenza.

La promessa era di riformare lo Stato per migliorare i partiti, ma sono peggiorati entrambi; mai erano giunti tanto in basso nella stima dei cittadini.

È tempo di fare sobriamente la nostra parte, lasciando in pace le istituzioni. L’unica riforma veramente necessaria è cambiare i nostri partiti per renderli adeguati al compito di governo del Paese.

La domanda sul che cosa si è ridotta ad un mantra: il mondo cambia e bisogna decidere in fretta. Ma in quest’Aula sappiamo bene che le leggi più brutte sono proprio quelle più frettolose: il “porcellum” fu approvato in poche settimane; le leggi ad personam di gran carriera; diversi decreti di Monti, approvati con lo squillar di trombe, sono oggi smontati dal Governo Letta. Il decisionismo senza idee ha prodotto un’alluvione normativa che soffoca l’economia e la vita quotidiana dei cittadini.

Aveva ragione Luigi Einaudi a fare l’elogio della lentezza parlamentare come antidoto all’ipertrofia normativa. Non è la velocità ma la qualità che manca al procedimento legislativo.

La causa è nello strapotere dei governi che da tanti anni propongono solo leggi omnibus, con centinaia di commi disorganici, improvvisati, spesso modificati prima di essere applicati. Questa peste normativa distrugge l’amministrazione dello Stato, crea i contenziosi, le interpretazioni fantasiose e la paralisi attuativa. Bisognerebbe restituire al Parlamento la piena sovranità legislativa, ma questa autoriforma dovremmo farla noi, cari colleghi, senza delegarla all’ordine professionale degli ingegneri istituzionali, dovremmo attuarla con l’orgoglio di parlamentari: poche leggi l’anno, in forma di codici unitari, delegando funzioni al Governo e aumentando i poteri di controllo. Stabilire che non si legiferi senza prima valutare i risultati delle leggi precedenti. Dare alle Commissioni parlamentari poteri di inchiesta: un dirigente di Finmeccanica deve temere un’audizione come un manageramericano quando va in Senato.

Alla terza domanda (in nome di chi?) si risponde: nell’interesse nazionale. Eppure, ogni volta che abbiamo modificato la Costituzione ce ne siamo dovuti pentire: il Titolo V ha creato conflitti permanenti tra Stato e Regioni; dopo lo ius sanguinis del voto all’estero oggi si passa ad invocare lo ius soli per i figli degli immigrati; prima si blocca il pareggio di bilancio e poi si esulta per la deroga concessa dall’Europa.

D’altro canto, basta leggere il testo per notare la differenza. La bella lingua italiana, con le parole semplici e intense dei Padri costituenti, viene improvvisamente interrotta da un lessico nevrotico e tecnicistico, scandito dai rinvii a commi, come un regolamento di condominio. Sono queste le parti aggiunte da noi.

Fortunatamente i cittadini hanno evitato i guai peggiori bocciando la legge costituzionale ideata dagli stessi autori del “porcellum”. L’unico baluardo è venuto dai presidenti di garanzia come Scalfaro, Ciampi e Napolitano. Mi sconcerta la leggerezza con la quale si ritiene possibile demolire questo ultimo bastione. In Italia la personalizzazione si è sempre presentata come patologia e non come responsabilità delle leadership. Non scherziamo col fuoco: il presidenzialismo non sarebbe un emendamento, ma un’altra Costituzione.

Dovremmo avere un senso del limite. I nostri partiti rappresentano oggi a malapena la metà del corpo elettorale, l’altra metà ha manifestato in tutti i modi il disagio e la sfiducia. Noi non siamo quindi in grado, in questo momento, di rappresentare l’unità nazionale. Non è saggio usare la revisione costituzionale per santificare un Governo privo del mandato elettorale. Questo è il vulnus che segna la modifica del 138. Il procedimento lega la sorte del Governo ai tempi e ai modi della revisione costituzionale. Porre un vincolo di maggioranza come inizio e come fine nella della riforma è una forzatura politico-costituzionale senza precedenti in Italia e in Europa. I Governi passano, le Costituzioni rimangono, non dimentichiamolo.

Dovremmo prendere atto che la nostra generazione non è capace di fare queste riforme, che possa farlo oggi al minimo storico del consenso elettorale è un ardimento senza responsabilità, è una dismisura contro lo spirito costituzionale. Lasciamo alle generazioni successive il compito di rielaborare l’eredità ricevuta dai Padri costituenti. Non tutte le generazioni hanno l’autorevolezza per cambiare la Costituzione.

Dovremmo prenderne atto con umiltà, con l’umiltà di cui parla Papa Francesco, che dovrebbe sempre accompagnare l’esercizio del potere. La nostra umiltà è il migliore contributo che possiamo portare oggi alla Carta costituzionale. (Applausi dai Gruppi PD, M5S e Misto-SEL e della senatrice De Pin).

La verità sull’attacco all’articolo 138 della Costituzione

Parlano di colpo di mano del governo. Parlano di attacco alla costituzione e all’articolo 138. Da un paio di giorni, il blog di Grillo martella i propri lettori con questa notizia. “Colpo di mano del governo con l’assist della Boldrini”, esordiscono, “A fine luglio sarà portato in aula il provvedimento per cambiare l’art. 138 della Costituzione” (qui il seguito). Detta così, può significare tutto e il suo contrario. E’ una brutta abitudine quella di scrivere di taluni provvedimenti senza citarne gli estremi (ogni atto parlamentare è registrato con un numero preceduto da una C maiuscola se depositato alla Camera o da una S se depositato al Senato). Un’abitudine che impedisce al lettore di verificare quanto scritto dal blog di Grillo, un’abitudine che spaccia per vere informazioni dimezzate (il post ha ricevuto su Facebook 4 mila like).

Le cose sono un po’ più complicate rispetto a quanto scritto dal blog di Grillo. Comincio col dire che anche altre fonti riportano il medesimo livello di allarmismo. In primis, Europa Quotidiano, giornale del PD, il quale, con un pezzo a firma di Alessandro Pace, ci avverte che “la legge costituzionale in gestazione pone in essere una deroga che si traduce in surrettizia violazione della Carta”, la deroga appunto alla procedura rafforzata dell’articolo 138. Attenti, però, alle date: l’articolo è del 21 Maggio scorso, Grillo ha acceso l’allarme rosso ieri. Chi ha ragione e di cosa si tratta veramente?

Fra il 21 Maggio e ieri è successo che il ministro Quagliarello ha chiesto ed ottenuto dal Senato (con l’obiezione del senatore Schifani!) l’applicazione della procedura d’urgenza per il progetto di legge costituzionale n. (813 del 10/06/13) Istituzione del Comitato parlamentare per le riforme costituzionali, comitato composto da dieci fra deputati e senatori, sorta di commissione speciale per la produzione delle leggi di riforma costituzionale: di fatto una commissione Bicamerale. Sostiene Pace che per le leggi costituzionali è “sempre adottata la procedura normale di esame e di approvazione diretta” (art. 72, c. 4, Cost.). E’ quindi escluso il conferimento del potere redigente alle stesse Commissioni o ad altri organi. Ma il pdl 813 non pregiudica il procedimento di approvazione delle leggi costituzionali previsto dalla Costituzione e dai regolamenti parlamentari. All’articolo 4, comma 2, infatti, è scritto che:

 il Comitato, entro quattro mesi dalla data della sua prima seduta, trasmette ai Presidenti delle Camere i progetti di legge costituzionale approvati in sede referente, corredati di relazioni illustrative e di eventuali relazioni di minoranza.

Pace ricorda anche che “le leggi costituzionali debbano avere un contenuto omogeneo e specifico”, pertanto il Comitato non potrà redigere un unico provvedimento di riforma, poiché aspetti costituzionali diversi devono essere riformati ognuno per conto proprio (pensate a quel che accadrebbe se, in caso di referendum popolare, i cittadini si dovessero esprimere su bicameralismo perfetto e federalismo fiscale potendo votare sì o no per un solo provvedimento omnibus che li comprendesse entrambi). Il legislatore sembra però esser già corso ai ripari rispetto a questo rischio poiché, sempre al comma 2 dell’articolo 4 prevede che: “Ciascun progetto di legge è omogeneo e autonomo dal punto di vista del contenuto e coerente dal punto di vista sistematico”. L’impianto procedurale previsto dall’articolo 138 è rispettato pienamente. Leggete i commi 3 e 4 del medesimo articolo:

3. In prima deliberazione, l’Assemblea della Camera che procede per prima all’iscrizione del progetto di legge costituzionale all’ordine del giorno ne conclude l’esame nei tre mesi successivi alla data della trasmissione di cui al comma 2. Il progetto di legge approvato è trasmesso all’altra Camera, che ne conclude l’esame entro i successivi tre mesi. I termini per la conclusione delle ulteriori fasi dell’esame delle Assemblee sono fissati d’intesa dai Presidenti delle Camere.

4. Il progetto o i progetti di legge costituzionale sono adottati da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di un mese e sono approvati a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione [che equivale al comma 1 art. 138 Cost. con la riduzione del tempo fra le due deliberazioni da tre a un mese – però non viene meno la doppia votazione, che è la vera barriera alle modifiche affrettate].

L‘articolo 5 inoltre, introduce un ulteriore rafforzamento delle tutele previste dall’articolo 138: è previsto il referendum popolare anche in caso di votazione a maggioranza dei due terzi.

La legge o le leggi costituzionali approvate ai sensi della presente legge costituzionale sono sottoposte, quando ne facciano domanda, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali, a referendum popolare anche qualora siano state approvate nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza dei due terzi dei suoi componenti e sono promulgate se al referendum siano state approvate dalla maggioranza dei voti validi.

Ricapitolando:

  1. il blog di Grillo evidentemente vi racconta delle frottole;
  2. il comitato non è altro che una commissione bicamerale;
  3. l’attività legislativa è condotta nelle commissioni parlamentari solo per la fase referente (e non redigente);
  4. il progetto di legge costituzionale estende la tutela del referendum popolare anche in caso di voto dei due terzi del parlamento.

Se invece lo scandalo fosse stato innescato dalla richiesta della procedura d’urgenza, posso dirvi che anche in questo caso la perplessità rispetto al livello di allarme sollevato da Grillo è alta:

Per tali leggi è sempre adottata la procedura normale di esame e diapprovazione diretta da parte della Camera (art. 72, ultimo comma,
Cost.). Si reputa compatibile con la particolarità di questa procedura la dichiarazione d’urgenza, purché siano comunque fatti salvi i termini perentori stabiliti dalla Costituzione : l’intervallo non minore di tre mesi tra le due successive deliberazioni di ciascuna Camera, e quello (di tre mesi) fra la pubblicazione della legge approvata con meno dei due terzi dei voti e la sua promulgazione, qualora non sia intervenuta richiesta di referendum. Sembra, dunque, applicabile – nei limiti anzidetti – il secondo comma dell’art. 73 Cost., per il quale, se le Camere,ciascuna a maggioranza assoluta dei propri componenti, ne dichiaranol’urgenza, la legge è promulgata nel termine da esse stabilito* In talcaso, tuttavia, la speciale maggioranza richiesta non può essere se nonquella dei due terzi (L’esame delle Leggi Costituzionali, Gian Carlo Perone, Cap. X, pag. 539).

Certo, nonostante l’urgenza, il Comitato non riuscirà a produrre alcunché, o in ogni caso, mesi di lavoro troveranno la propria palude in parlamento. Ma spiegatemi da che viene tutto lo scandalo manifestato da Grillo. Spiegatemelo.

[Post aggiornato – segue seconda parte]

Il Grande Papocchio non è un inciucio, è un accordo. Che però nessuno conosce


Insomma, l’incontro fra Violante, Zanda e Bressa da una parte e Quagliarello, (udite, udite) La Russa e tale Bruno Donato dall’altra, sembra aver avuto l’effetto sperato per il PD. Pazienza se non si è capito affatto in nome di chi e sulla base di quale proposta politica i tre delegati democratici stessero trattando, pazienza se la proposta politica del PD in fatto di legge elettorale si è modificata nel tempo, passando da un ritorno al Mattarellum sostenuto coi denti stetti durante il periodo referendario a una proposta di maggioritario a turno unico con correzione proporzionale di difficile comprensione. Alla fine, dicono le cronache, la sintesi con la proposta del PdL è compiuta: un coacervo di sistemi elettorali che qualcuno stamane – forse sul moribondo Manifesto – ha ribattezzato Italiesco, un format tedesco in salsa italiana, una porcata meno evidente della precedente, ma pur sempre porcata.
Quindi? Una vittoria per il PD? Violante avrebbe detto che il risultato dell’incontro è andato “oltre le più rosee aspettative”. Il che vuol dire: si aspettavano di raccogliere zero, hanno raccolto uno. Tutto questo incessante trattare con l’ex nemico è stato poi riassunto in un comunicato che dice più o meno nulla, ovvero “siamo d’accordo sul fatto di fare le riforme istituzionali” – bicameralismo, numero dei parlamentari, ridefinizione dei poteri del governo, riforma dei regolamenti parlamentari, roba grossa che questo Parlamento non farà mai in tempo a votare, visto che sono necessarie riforme di portata costituzionale e il clima del pacifismo pro-Monti non può durare troppo, causa campagna elettorale imminente. Ergo, è necessario stabilizzare la Casta con un ritocco alla fase di ingresso: una sforbiciata all’indecente premio di maggioranza, una alzatina alla soglia di sbarramento, per far tremare gli alleati riottosi – leggasi Di Pietro e Lega ed ex alleati come FLI – e per tener lontani vecchi e nuovi guastafeste come i reduci di Rifondazione e i nuovi del M5S (ma questo ce lo siamo già detti – la lista degli indesiderabili l’ha compilata lo stesso Berlusconi) in barba a qualsiasi criterio di rappresentanza.
E le preferenze? Troppo costose, sentenzia Violante. La soluzione un finto maggioritario a turno unico, il che vuol dire che ogni collegio, magari ridotto al solo territorio provinciale, potrà scegliere fra tre/quattro nomi, rigorosamente imposti dai partiti. Tutto risolto. Con buona pace dei referendari, quelli veri, quelli che avevano a cuore la democrazia italiana e il buon funzionamento del parlamento. Non un cenno sul limite di mandati elettorali, né sulla questione del parlamento pulito. Potremo scegliere fra il meno corrotto, questo è un successo. Alzate i calici.

Legge elettorale, così la maggioranza vuole blindare il Senato

Parliamoci chiaro: l’unico ostacolo fra le elezioni anticipate e Berlusconi è il Senato. Secondo molte delle proiezioni statistiche realizzate nel periodo agosto-settembre 2010, il voto anticipato comporterebbe un rischio molto elevato di maggioranze disomogenee fra Camera e Senato. Mentre la Camera Bassa è messa al sicuro dal Porcellum tramite il premio di maggioranza (assegnazione d’ufficio della maggioranza relativa dei 340 seggi), al Senato il premio è ripartito regionalmente, conformemente al dettato costituzionale (art. 57). Ovvero, “la suddivisione dei seggi avviene in base al numero di scranni, costituzionalmente immodificabile, assegnato a ciascuna Regione, mentre il premio di maggioranza regionale è fissato al 55% dei seggi” (Wikipedia). Ne consegue che una coalizione – o una lista – può avere la maggioranza di voti ma non quella dei seggi, di fatto perché non guadagna il premio di maggioranza in tutte le Regioni.

Che fare per evitare il pericolo della ingovernabilità? Vi siete chiesti perché Schifani contenda a Fini la riforma del Porcellum? Al Senato sono stati depositati diversi disegni di legge che riformano la 270/2005, la vigente legge elettorale. Molti sono documenti prodotti dall’opposizione e sono volti o a restaurare il Mattarellum, o a ripristinare le preferenze di lista, oggi bloccate, fattore che pregiudica parecchio la democrazia in Italia. In Commissione Affari Costituzionali, tutti questi progetti di legge sono stati accorpati in un malloppo unico che è stato discusso di recente e per brevi sedute. Per dire, in esso sono contenute anche le leggi di iniziative popolare per il Parlamento Pulito e per il ripristino delle Preferenze di Beppe Grillo. Poi, scorrendo l’elenco, si scorge un testo a firma di Quagliarello (PdL): il Disegno di legge N. 2356.

Si tratta, ci avvisa Quagliarello nella relazione allegata, di un provvedimento che reca in sé “una modifica urgente e necessaria anche solo in via cautelare e provvisoria, qualora si determinassero condizioni tali da rendere inevitabile il ricorso anticipato alle urne”. Cioè, si modifica la legge – urgentemente – per cautelarsi da un evento possibile, probabile, che si può verificare con il ricorso anticipato alle urne. Quale? Lo dicevo prima: che non si realizzi una maggioranza al Senato. Allora si deve correggere il Porcellum per scacciare l’ipotesi:

qualora la coalizione di liste (o la lista singola) che ha conseguito il maggior numero di seggi nell’ambito di tutte le circoscrizioni regionali (incluse quelle della Valle d’Aosta e del Trentino-Alto Adige, il cui sistema di elezione rimane peraltro immutato), abbia conseguito meno di 170 seggi, ad essa sia attribuito un premio di governabilità sino alla concorrenza di tale consistenza, e comunque in misura mai superiore a 45 seggi (Disegno di legge N. 2356).

Tradotto: il premio di maggioranza resta regionale, ma qualora la coalizione maggioritaria in tutte circoscrizioni non raggiungesse la quota fissata a 170 seggi, si provvede all’assegnazione del premio di governabilità, con riparto regionale, che consta di “un numero ulteriore di seggi sino alla concorrenza di 170 seggi e comunque in misura non superiore a 45 seggi” (Disegno di legge N. 2356). E’ facile comprendere come questa norma sia un efficace stratagemma per correggere un risultato elettorale che non premiasse la maggioranza attuale di governo. Il Porcellum attribuisce il 55% dei seggi regione per regione, secondo questa tabella:

Regioni Seggi 55%
Piemonte 22 12
Lombardia 47 26
Veneto 24 13
Valle d’Aosta 1
Trentino Alto Adige 7
Friuli Venezia Giulia 7 4
Liguria 8 5
Emilia-Romagna 21 12
Toscana 18 10
Marche 8 5
Umbria 7 4
Abruzzo 7 4
Lazio 27 15
Campania 30 17
Molise 2
Basilicata 7 4
Puglia 21 12
Calabria 10 6
Sicilia 26 14
Sardegna 9 5
Estero 6

Invece, Quagliarello pone la soglia di 170 seggi come “risultato finale”: la quota di seggi da attribuire come premio è ripartita sui 170 seggi e viene assegnata alla coalizione/lista che ha complessivamente la maggiore “cifra elettorale”, ovvero a quella che ha preso più voti a livello nazionale:

Qualora il maggior numero di seggi sia stato conseguito da più di una coalizione di liste o singola lista, l’ufficio assegna il premio di governabilità alla coalizione di liste o alla singola lista che abbia ottenuto la maggiore cifra elettorale complessiva, calcolata, per ciascuna coalizione o singola lista, sommando le cifre elettorali delle liste ammesse al riparto in ogni circoscrizione, ai sensi dell’articolo 16, comma 1, lettera b) (ibidem).

Quindi, “l’ufficio [centrale nazionale] individua un coefficiente di incremento dato dal rapporto tra il numero 170 e il numero dei seggi ottenuti dalla coalizione di liste o dalla singola lista vincente”: di fatto si spalmano i 170 seggi per tutte le regioni anche se la coalizione/lista non è maggioritaria in ognuna di esse. Un bel modo di aggirare il dettato costituzionale di cui all’art. 57. Ora capite benissimo perché Schifani si è inalberato e pretende di portare avanti i ddl sulla legge elettorale in Commissione al Senato. Non c’è – in questo caso –  una vera e propria intenzione di risolvere l’anomalia del bicameralismo perfetto italiano, l’avere due camere con le medesime funzioni ma con sistemi elettivi diversi, ma solo evitare l’empasse al Senato. Proprio il Senato, dalla riforma del 1993 – il referendum che introdusse l’uninominale, poi assorbito nella Mattarellum – è sempre stata l’aula più critica per i governi. Il governo Prodi II si reggeva, per esempio, sul voto dei senatori a vita. Il minor effetto maggioritario del premio di maggioranza del Porcellum al Senato, causato dalla sua frammentazione regionale che implica il dover vincere tutte le regioni per poterlo acquisire nella sua totalità (55% dei seggi), era stato corretto da soglie di sbarramento molto alte (20% per le coalizioni, 8% per le liste), soglie che chiusero la porta del parlamento a Sinistra Arcobaleno, tanto per citare il caso più clamoroso. Quagliarello, dinanzi alla prospettiva di maggioranze diverse per le due Camere, introduce un premio di “governabilità” che aggira il riparto regionale. Ma è costituzionale? Dubito che questa riforma possa procedere oltre. E’ un dato di fatto che la maggioranza stia cercando di cambiare le regole non già per garantire la governabilità del paese, qualunque sia il partito o la coalizione di maggioranza, bensì per garantirsi il governo per un’altra legislatura e con un margine di sicurezza ampio sulle opposizioni – 170 seggi significano il 54% del Senato, una maggioranza “qualificata” per poter affrontare le riforme costituzionali, in primis la riforma della giustizia. La legge elettorale è la leva che B. userà per scardinare l’impianto costituzionale di questo paese, andando al voto con liste di servitori e camerieri pronti a votargli la riforma ad hoc, o l’elezione a presidente della Repubblica, a scelta.

Intercettazioni, il governo cambia l’emendamento “D’Addario”

Mentre il ddl Intercettazioni langue in 2a Commissione Giustizia, la Conferenza dei Capigruppo alla Camera riunitasi oggi, non ha preso alcuna decisione se inviare il testo in aula come emendato dalla commissione. Questo nonostante le pressioni della maggioranza la quale parla per bocca dell’on. Quagliarello, secondo il quale il disegno di legge giace in commissione “da oltre un anno” – come per dire, tempo immemorabile – e “il suo iter in commissione” è già “abbastanza avanti e credo che subito dopo il decreto incentivi che scade la settimana prossima si potra’ procedere con il ddl intercettazioni”. Risposta della Finocchiaro (PD):

  • La presidente dei senatori del Pd Anna Finocchiaro ha tirato il freno in Conferenza dei Capigruppo quando il vicario del Pdl Quagliariello ha proposto la calendarizzazione del provvedimento per l’Aula gia’ dalla prossima settimana. ‘Mi sembra – ha detto Finocchiaro – che siamo ben lontani dall’aver sciolto i nodi principali del provvedimento’

La giornata di oggi in Commissione Giustizia è stata caratterizzata dall’approvazione di un piccolo emendamento dell’opposizione a firma di Casson (PD) e altri ma soprattutto dalla presentazione da parte del governo dell’mendamento all’emendamento D’Addario, versione 3.0. L’emendamento D’Addario è stato così nominato per una intuizione giornalistica quell’emendamento che vieta registrazioni di conversazioni e comunicazioni fraudolente, ovvero senza l’informazione e il consenso di chi viene immortalato nei nastri o nelle memorie digitali. Una norma scritta su misura contro la escort del sex gate all’italiana.
Ecco come il governo intende cambiarlo:

    • 1.2007 (testo 3)IL RELATORE

      Al comma 26, dopo la lettera g), inserire la seguente:

      g-bis) dopo l’articolo 616 del codice penale, è aggiunto il seguente:

      “Art. 616-bis. (Riprese e registrazioni fraudolente). Chiunque fraudolentemente effettua riprese o registrazioni di comunicazioni e conversazioni a cui partecipa, o comunque effettuate in sua presenza, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni, se ne fa uso senza il consenso degli interessati.

      La punibilità è esclusa:

      quando le riprese o registrazioni di cui al primo comma sono utilizzate nell’ambito di un procedimento innanzi ad autorità amministrativa ovvero giudiziaria ordinaria o amministrativa o nell’ambito di un procedimento volto alla definizione di una controversia;

      quando le riprese o registrazioni di cui al primo comma sono effettuate nell’ambito delle attività di difesa della sicurezza dello Stato;

      quando le riprese o registrazioni di cui al primo comma sono effettuate ai fini dell’attività di cronaca dai giornalisti professionisti iscritti nell’albo professionale;

      Il reato è punibile a querela della persona offesa.”

Sostanzialmente viene confermato il primo comma, mentre il secondo, che inizialmente prevedeva l’esclusione della punibilità solo nel caso emerga “una notizia di reato e la stessa viene tempestivamente comunicata all’autorità giudiziaria”, vede ampliato il novero di casi non punibili, salito a tre:

  1. UTILIZZO IN PROCEDIMENTO GIUDIZIARIO O AMMINISTRATIVO: quando le riprese o registrazioni di cui al primo comma sono utilizzate nell’ambito di un procedimento innanzi ad autorità amministrativa ovvero giudiziaria ordinaria o amministrativa o nell’ambito di un procedimento volto alla definizione di una controversia;
  2. SICUREZZA NAZIONALE: quando le riprese o registrazioni di cui al primo comma sono effettuate nell’ambito delle attività di difesa della sicurezza dello Stato;
  3. ATTIVITA’ DI CRONACA: quando le riprese o registrazioni di cui al primo comma sono effettuate ai fini dell’attività di cronaca dai giornalisti professionisti iscritti nell’albo professionale.

Relativamente al primo caso, il più controverso, non si capisce se il reato non sia più punibile solo dal momento in cui un giudice decide di impiegare il materiale durante il dibattimento o se ciò valga anche per la fase di istruttoria; oppure, un esempio pratico, il caso del pestaggio da parte della polizia a Roma del ragazzo passante scambiato per ultrà, è punibile chi ha registrato le immagini? Anche in questo caso le persone immortalate non sono a conoscenza della registrazione. Chi opera le registrazioni non è un giornalista iscritto all’albo professionale come invece previsto dal terzo punto. Che succede? Se non sono un giornalista non posso produrre una testimonianza filmata di un reato di cui sono testimone? Le eccezioni sono ben più delle tre introdotte dal legislatore. E il governo dimostra di non conoscere una materia, quella del diritto di privacy, che ha implicazioni enormi sul quadro giuridico complessivo.