L’ha detto Calamandrei

Il referendum sull’Euro è fuori dell’ambito costituzionale: “Non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali” (art. 75, c. 2, Cost. It.). Questo è un punto inderogabile. Se si apre una campagna elettorale promettendo un referendum sull’Euro, la si comincia mentendo. Certo, si può dire che la costituzione è sbagliata. Che la costituzione è ingiusta. Si può dire che è ingiusto che gli italiani non possano esprimersi su qualsiasi decisione politica. Ma sarebbe altrettanto ingiusto non dire che dietro quelle parole si nasconde una ideologia, che poi quella ideologia salvifica della tecnologia digitale, la quale renderebbe efficiente un sistema democratico di tipo diretto. L’utopia novecentesca diventerebbe immediatamente praticabile, con un click. Senza mediazione alcuna. Forse anche senza riflessione.

Così Beppe Grillo ieri:

“La volontà popolare viene mortificata ogni giorno in questo paese, io sogno che mio figlio possa votare da casa con un click sulle spese militari, sull’Euro. L’Inghilterra fa un referendum per decidere se restare o meno nell’Europa, e io sono stato preso per pazzo” […] “La Costituzione è imperfetta, l’ha detto lo stesso Calamandrei, perché non ci sono sistemi di democrazia diretta per decidere sui beni come l’acqua, la sanità”.

Quale Calamandrei? Lo stesso che proferì, nel lontano 1955, le seguenti illuminanti parole:

Dietro a ogni articolo di questa costituzione, o giovani, voi dovete vedere giovani come voi, caduti combattendo, fucilati, impiccati, torturati, morti di fame nei campi di concentramento, morti in Russia, morti in Africa, morti per le strade di Milano, per le strade di Firenze, che hanno dato la vita perché la libertà e la giustizia potessero essere scritte su questa carta. Quindi, quando vi ho detto che questa è una carta morta, no, non è una carta morta, questo è un testamento, un testamento di centomila morti. Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero perché lì è nata la nostra costituzione (Piero Calamandrei, Discorso sulla costituzione, 1955).

Sia chiaro, sulla questione referendum sull’Euro mi sono già espresso altrove: https://yespolitical.com/2012/10/24/grillo-m5s-il-referendum-senza-quorum-visto-dalla-costituente/ . Ma se Grillo, messo dinanzi all’evidenza che la propria proposta non è affatto costituzionale, afferma poi che la costituzione è da cambiare, pur sapendo egli medesimo che le modifiche alla Carta fondamentale non si fanno a colpi di “minoranza”, non è forse in malafede? Non rivela a chi ascolta la sua natura di imbonitore di piazza? Di raccontatore di favole? Il populista pratica l’irrealtà. E’ il suo campo d’azione. Prospettare soluzioni che in realtà celano dietro sé stesse un nucleo destabilizzante di banalizzazione delle regole. La costituzione? Quella cosa che non contempla la volontà popolare, secondo Grillo. Un documento che può essere sbianchettato a piacimento. Un giorno per effettuare referendum popolari che metterebbero a rischio le nostre relazioni internazionali, nonché la nostra economia. Un giorno, chissà, per trasformare cariche elettive in ereditarie. Semplicemente pigiando un bottone virtuale su uno schermo. Senza discussione. La discussione è perdita di tempo. L’ha già detto il Leader, il Capo carismatico, cosa sarebbe giusto e cosa ingiusto.

Grillo & M5S / Il referendum senza quorum visto dalla Costituente

Facendo tesoro del commento seguente, ho deciso di confutare la tesi di Grillo secondo cui una democrazia si realizza esclusivamente per il tramite dell’esercizio diretto della sovranità popolare.

L’eliminazione del quorum è quanto di più democratico e sensato possa fare una classe politica. Chi non va a votare e magari preferisce starsene a casa a vedere il Grande Fratello o banalità del genere non deve impedire agli altri l’esercizio del voto e conseguentemente del risultato! La vita democratica è partecipazione . Ho capito tardi perché a molti notabili ha sempre fatto comodo l’astensione , le non intercettazioni , la non trasparenza . Mi creda è veramente l’ora di finirla ; percepisco da alcune delle sue risposte in questo forum molto equilibrato, un certo suo nervosismo, cerchi piuttosto di convincere anche me e molti altri su questo punto fondamentale della democrazia partecipativa in assenza di vuoti politici ed istituzionali , siamo tutti in attesa di questi risultati siciliani che potrebbero cambiare veramente l’Italia, un cordiale saluto, Claudio (vedi qui).

Claudio, avrei un dovere di sintesi che non mi sento in questo ambito di violare. La sintesi in argomenti così complessi come la differenza fra democrazia rappresentativa e democrazia diretta è sempre deleteria perché obbliga a semplificazioni. Per evitare, cercherò di trattare un argomento per volta, il primo dei quali, come annunciato, è relativo al referendum popolare e alla proposta di Beppe Grillo di abolire il limite del quorum.

La riforma viene “venduta” sui palchi di mezza Italia come una rivoluzione: la svolta definitiva che realizzerebbe finalmente la democrazia diretta in Italia. Ma qualcuno, mentre ride alle battute del Comiziante, ha pensato quale conseguenza avrebbe questa riforma?

Qualcuno, a suo tempo, al momento cioè di scrivere quella norma, ci aveva già pensato. Si tratta dei nostri padri costituenti, le cui opere sono raccolte sul sito storico della Camera dei Deputati e sono accessibili a chiunque. La norma in questione è l’attuale articolo 75 della Costituzione (nei resoconti parlamentari era il numero 72), che qui vi ripropongo:

Art. 75.

È indetto referendum popolare per deliberare l’abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge, quando lo richiedono cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. Non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali. Hanno diritto di partecipare al referendum tutti i cittadini chiamati ad eleggere la Camera dei deputati. La proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi. La legge determina le modalità di attuazione del referendum.

Questo articolo non è stato scritto casualmente. Il referendum popolare è uno strumento che potenzialmente può mettere in blocco un sistema democratico rappresentativo. Può impedire cioè alle istituzioni democraticamente elette di adempiere alla funzione legislativa. L’articolo originario proposto all’Assemblea costituente era radicalmente diverso:

Il referendum poteva colpire inizialmente tutte le leggi proposte in parlamento “dichiarate non urgenti”, una formulazione che è poi stata abbandonata. Si trattava di un referendum di tipo preventivo, o “di veto” su leggi dichiarate dal Parlamento non urgenti. Si trattava cioè di qualcosa molto simile a un potere di veto sulle leggi espresso direttamente per via popolare. Uno strumento evidentemente ispirato al modello della democrazia diretta, forse importato dalla Costituzione della Repubblica di Weimar, in cui il referendum legislativo poteva essere istituito in seguito alla richiesta di sospensione di una legge da parte di almeno un terzo dei deputati. Era una sorta di tutela delle minoranze, laddove la maggioranza avesse approvato leggi contrarie alla vigente opinione pubblica.

Fra i delegati dell’Assemblea Costituente c’era però un signore che si chiamava Palmiro Togliatti. Egli, relativamente al progetto di articolo 72 recante la disposizione sul referendum, disse che:

Il primo comma fu pertanto messo ai voti già durante la discussione preliminare in Commissione, ma l’emendamento che intendeva abrogarlo fu respinto poiché tale Luigi Einaudi sostenne che il pericolo di blocco del sistema legislativo fosse alquanto remoto, dato che sussisteva la clausola della non-urgenza della legge. Bastava che il Parlamento assegnasse in via preliminare questo status a tutte le leggi che intendeva non sottoporre al giudizio popolare e non si sarebbero verificati i pericoli che invece Togliatti aveva ben identificato.

Il comma fu abrogato durante la seduta plenaria. Il presidente della Commissione per la Costituzione, Ruini, una volta aperto il dibattito in Assemblea (era il 16 Ottobre 1947) disse che di questo strumento bisognava farne un “savio e corretto uso”, che significava, e significa tuttora, impiegarlo senza farsi sì che la sovranità popolare diventi di ostacolo all’altro organo istituzionale che il popolo concorre a formare, ovvero il Parlamento. In sostanza, la formulazione così come uscita dalla Commissione, rischiava di mettere in contrasto troppo frequentemente volontà popolari diverse (quella che vota per il Referendum e quella che ha votato per il Parlamento), entrambe legittimamente – ma in tempi diversi – costituitesi. Pensate a quanto siano volatili le opinioni pubbliche sulle varie materie della legislazione. Oppure: a quanto poco importi alla medesima opinione pubblica una legge schiettamente tecnica.

Cinquantamila elettori potevano essere chiamati a raccolta dai partiti di massa e convinti facilmente a firmare per referendum studiati apposta per essere strumento nella battaglia partitica. Quel limite, quello dei cinquantamila, diviene nel testo finale cinquecentomila. E’ un limite che ha causato lunghe discussioni in Assemblea plenaria, poiché alcuni politici come Grassi temevano che divenisse una “notevole remora”, un notevole elemento di dissuasione.

In ogni caso, essendo la sovranità soggetta a dei limiti (art. 1 comma 2, Cost. It: “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”), gli strumenti che permettono al popolo di esercitarla direttamente, sono essi stessi soggetti a dei limiti. Il limite naturale del referendum è la medesima Costituzione, la quale prevede che il potere legislativo sia esercitato dalle due Camere, le quali sono a loro volta espressione della volontà popolare, che interviene nella loro composizione in libere elezioni a suffragio universale.

Una democrazia parlamentare si fonda sul sistema del check and balance, ovvero del controllo fra i poteri e dell’equilibrio fra i poteri. Eliminare il quorum dal referendum abrogativo eliminerebbe il balance fra sovranità popolari e metterebbe in mano a minoranze il potere abrogativo delle leggi. I padri costituenti, stabilendo al comma 2 che “non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali”, ha ribadito nuovamente che la sovranità popolare non è illimitata e che il Sovrano non è legibus solutus. La sovranità è esercitata nelle forme e nei limiti della Costituzione. Perché non è ammissibile il referendum in materia tributaria? Perché il popolo non può legiferare su leggi che sono contrarie ai propri interessi. Così come non può decidere sui trattati internazionali, tramite i quali la Repubblica realizza la politica di pace contenuta nell’articolo 11 della medesima Costituzione. E’ per questa ragione che un referendum sull’Euro sarebbe inammissibile. L’Euro è stato istituito in seguito a un trattato internazionale, il cosiddetto Trattato di Maastricht, ed è attualmente parte dl pilastro più solido della integrazione europea, la miglior via per la pace che questo travagliato continente ha trovato nel secondo dopoguerra. Chi vi racconta di volere far votare il popolo sulla moneta unica, vi sta mentendo o è “costituzionalmente” ignorante.

Per le stesse medesime ragioni per cui i padri costituenti non ammisero il referendum preventivo sulle leggi ‘non urgenti’, così oggi noi dovremmo rifiutare la proposta-Grillo, a meno di non voler trasformare la vita legislativa di questo paese in una “Cambogia” ancor peggiore di quella attuale. Semmai, eventuali riforme dovrebbero andare nel senso di evitare che il Parlamento non sia più, come è accaduto in questi anni, il luogo di rappresentazione di interessi particolari, bensì sia ri-pubblicizzato (nel senso di orientato al bene pubblico). E per fare ciò si dovrebbe agire sulla legge elettorale, in primis.

In che modo l’astensione di una parte maggioritaria impedirebbe ad una minoranza “l’esercizio del voto e conseguentemente del risultato”? Che razza di diritto sarebbe mai questo? Non è una democrazia quel paese in cui le minoranze dettano le regole a maggioranze silenti. Semmai sono oligarchie, plutocrazie, dittature, ma non democrazie. La domanda di maggior partecipazione non può non essere colta, ma la partecipazione deve essere regolata. Il difetto sistemico più grave è che i soggetti preposti a indirizzare domande e sostegno da parte del sistema sociale verso il sistema politico, ovvero i partiti politici, sono sempre stati – volutamente? – lasciati in un limbo giuridico, né soggetti di diritto pubblico, né soggetti di diritto privato, ma in ogni caso gestiti come macchine per la produzione di consenso e la gestione di bacini di clientele elettorali.

Uno qualunque dei candidati a 5 Stelle che avesse avuto un minimo di cultura politica e giuridica, sentendo dal palco Grillo invocare l’eliminazione del quorum nei referendum, avrebbe dovuto (e sottolineo il dovuto) esprimere la propria contrarietà a questa proposta. Non si tratta di una mera opinione; si tratta di una idea che contrasta con i principi cardine del nostro sistema costituzionale, contenuti agli articoli 1 e 11. Per questo vado dicendo che Cancelleri, anche se ha avuto la parola sul palco, non ha fatto sentire la propria voce. La voce è qualcosa che distingue immediatamente tutti noi. La voce rimanda direttamente alla carne; “la voce esprime il chi e’ di ciascuno” (cfr. A. Cavarero). Ma la voce di Cancelleri non è la sua propria vera voce. Essa non racconta nulla di sé medesimo, della propria intenzione politica, ma è una voce imitativa che replica il solito refrain anticasta.

Sitografia:

Assemblea costituente 1946-1948

Seduta del 16 Ottobre 1947

Seduta della Commissione per la Costituzione del 29 Gennaio 1947

[seguirà post sul Divieto di Mandato Imperativo, art. 67 Costituzione]

La vittoria dei nuovi media

Punti di vista/1:

La sempre rinascente nuova sinistra ha usato Facebook, Twitter, e-mail e blog. La sua vittoria non è solo un voto di protesta – è stata una vittoria dei nuovi media sui più vecchi, in un paese dove, come tutti sanno, i vecchi media sono dominati da un solo uomo e dalla sua famiglia (Bbc, Il Nichilista).

Punti di vista/2:

Punti di vista/3:

La terza sberla

Siamo stufi, ha detto Calderoli. Stufi di prendere sberle. Non sa, il poveretto, che questo è solo l’inizio. Il potere logora chi non ce l’ha, disse uno. Sapete tutti che fine ha fatto. C’è un ’92 per tutti, prima o poi, in particolar modo per quelli che pensano di essere insostituibili.

La prima sberla è stato il colpo di Milano, dove nonostante il ricorso al solito mezzo estremo del terrore, è stato eletto Pisapia. Napoli non conta per i leghisti. In ogni caso fa parte della prima sberla. Una sberla che ha fatto male, che ha creato confusione. Qui crolla tutto, spifferavano l’indomani al telefonino i parlamentari.

Noi, lui sembra tenere botta. Si sa, tutti lo sanno, almeno quelli del circuito di amici più intimi, che si consola in altra villa insieme alle stesse signorine di sempre. Instancabile. Oramai è nella condizione di colui che, schiavo del vizio, non è più in grado di percepirla la realtà. Vaga sconsolato in cerca di sé stesso, affranto, senza comprendere appieno quel che gli sta capitando. E le voci seguitano a circolare. Si sta fermi, ma si volta lo stesso lo sguardo intorno, casomai il precipizio fosse già arrivato alla suola delle scarpe. Qui-crolla-tut-to, si mormora.

La seconda sberla arriva dalla gente. Da quella maggioranza relativa – sì, maggioranza – di persone di buon senso che hanno votato ai referendum. Lui pensava di far bella figura a dire che quelle consultazioni erano inutili. Pensava ancor di poter dire la propria e di essere sufficientemente convincente. Pensava che qualcuno stesse ad ascoltarlo.

Ora siamo a un passo dal fuggi fuggi. Siamo stufi, ha detto Calderoli. Stanno tremando i polsi. Il ticchettio delle scarpe s’intensifica. E’ tutto un via vai da via Bellerio. Bossi aveva detto che non si doveva andare a votare. Pure Bossi ha fallito. L’olimpo degli Dei di centro destra si sta sgretolando. Improvvisamente emerge tutto il carico di finzione che l’ha sempre mascherato. Gli dei del ’94 oggi sono dei vecchi raggrinziti, ripiegati su sé stessi. Dei dinosauri che aspettano il tempo dell’estinzione.

Qualcuno ha preconizzato la “terza sberla”. Politicamente, se la daranno da soli. Questo potrebbe avvenire tra il 21 e il 22 Giugno prossimi, quando in Parlamento si aprirà il dibattito sul rimpasto di governo. Un passaggio imposto da Napolitano. La terza sberla avverrà forse in Parlamento. Ma sapete quante volte avevamo previsto questo: prima con la banda di Fini, poi con quella dei Responsabili, un po’ mariuoli un po’ avventurieri. Tante volte in un anno, ma Lui è sempre rimasto al suo posto: prima demolendo il suo avversario interno, poi comprando quattro miserabili con una poltrona da sottosegretario co.co.co.

Ma il tempo passa. Sono passati, per esempio, dieci anni dai fatti di Genova. C’era una volta un popolo che manifestava la sua esistenza nelle strade, e fu pestato a sangue. Molti chiedono ancora giustizia, oggi. Molti dei pestatori sono rimasti ai loro posti, anzi, hanno fatto carriera. Dieci anni dopo, qualcuno ha osservato, quel popolo è tornato. Ha avuto la forza di riemergere con quattro sì. Nessuno era in grado di prevederlo. Nel 2001 si manifestava contro l’ingiustizia della globalizzazione.  Di lì a poco ci sarebbe stato il grande crac dei mutui subprime. Poi la crisi del debito. Oggi il popolo ha rimesso sé stesso al centro della politica. E si è ripreso la politica. Oggi è il tempo del Noi.

Referendum, voto all’estero e quorum: l’ombra di un altro ricorso

Parlavo ieri del pronuncia della Cassazione che ha modificato il testo del quesito del referendum sul nucleare (vedi post). Ebbene, oggi è esploso il caso del voto degli italiani all’estero: hanno votato – i pochi che l’hanno fatto – con le schede vecchie, riportanti cioè il testo originario del referendum sull’atomo prima della rettifica della Cassazione a causa del decreto Omnibus. Voti validi o no?

D Pietro si dice pronto a fare ricorso. Il suo intento non è quello di far rispettare la volontà dell’elettore all’estero, bensì di invalidarne il voto. La ragione è molto pratica, o per così dire, matematica. Con il voto all’estero sarà necessaria un’affluenza all’urne più grande ai fini del raggiungimento del quorum: all’estero non c’è grande partecipazione, votano in pochi. Trattasi di 3 milioni e duecentomila aventi diritto. Facciamo due conti:

47.357.878 elettori

3.236.990 elettori

ipotizziamo “un’affluenza alle urne” della circoscrizione esterno del 30%, in calo rispetto alle scorse politiche (circa 39%): 971.000 voti. I votanti residenti in Italia sono 44.120.888: il 50%+1 è pari a 22.060.445. Ne consegue che vengono sommati ai voti esteri, il quorum si fermerebbe al 48%. Per riuscire a raggiungere la fatidica soglia, bisognerebbe sperare in un’affluenza nel paese superiore al 52% – percentuale che potrebbe essere anche più alta se l’affluenza reale all’estero fosse inferiore a quanto qui immaginato.

Di Pietro ha pronta una scorciatoia: ricorrere in cassazione e chiedere di invalidare il voto degli italiani all’estero, quindi chiedere il conteggio del quorum escludendo quei 3 milioni di votanti. Eticamente, una porcata. Però pare che si sia pronti anche a vendere la pelle pur di vincere questi referendum. Esiste un’altra strada, forse più democratica: fare il 60% di affluenza qui da noi. Pensateci.