UK fuori dall’Europa: Obama in aiuto di Cameron

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Abbandonato dai suoi ministri, specie da Gove e da Hammond, rispettivamente al Dicastero dell’Istruzione e della Difesa, i quali hanno dichiarato giorni fa di esser pronti a votare a favore dell’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, David Cameron trova un inaspettato sostegno da parte di Barack Obama. Il Presidente americano ha affermato, durante la conferenza stampa a margine della visita di Cameron a Washington, che il Regno Unito compirebbe un grave errore a indire il referendum per l’uscita dall’Unione ancor prima di rinegoziare la propria partecipazione.

Cameron ha definito un piano di negoziazioni con Bruxelles, un piano che dovrebbe essere messo in opera dopo le elezioni, e una consultazione referendaria entro il 2017, sempre se Cameron dovesse ancora governare. Ma è chiaro che la batosta subita dai Tories alle recenti amministrative e il contemporaneo successo degli antieuropeisti di Nigel Farage, hanno accelerato il suo declino in seno al partito conservatore. Si prevede che il premier non verrà ricandidato. Al suo posto potrebbero avere qualche possibilità il sindaco di Londra Boris Johnson e il medesimo Michael Gove. Entrambi potrebbero cavalcare l’onda anti Europa adottando il linguaggio neo nazionalista di Farage.

Cameron ha detto: “C’è una buona ragione per cui domani non ci sarà un referendum – sarebbe dare al pubblico britannico, credo, una scelta del tutto sbagliata tra lo status quo e l’abbandono dell’UE, che non credo sia accettabile. Voglio vedere cambiare l’Unione europea, voglio vedere quale rapporto può avere la Gran Bretagna con il cambiamento e il miglioramento nell’Unione europea”.

Cameron ha anche affermato che il futuro a lungo termine del Regno Unito è all’interno dell’Unione Europea. Obama ha espresso le sue preoccupazioni circa gli eventuali negoziati per un nuovo accordo commerciale fra UE ed USA da prepararsi al prossimo G8. Obama ha interesse che il Regno Unito rimanga all’interno dell’Unione al fine di influenzarne la politica commerciale. Gli USA hanno necessità di ottenere accordi commerciali vantaggiosi con l’UE. Senza l’influenza di Londra, Washington ha strada sbarrata.

Va da sé che la mossa di Gove ha innescato una corsa a chi la spara più grossa sulle ‘colpe’ di Bruxelles. Il popolare sindaco di Londra, Johnson, ha utilizzato il suo spazio sul Daily Telegraph per ricordare agli elettori dei Tories, ma anche e soprattutto a quelli dell’Ukip (il partito di Nigel Farage) che “tutti i nostri mali non nascono a Bruxelles”. Scrive a lettere capitali, Johnson: una abitudine demagogica, fanno notare sul Guardian:

MOST OF OUR PROBLEMS ARE NOT CAUSED BY “BWUSSELS” BUT BY CHRONIC BRITISH SHORT-TERMISM, INADEQUATE MANAGEMENT, SLOTH, LOW SKILLS, A CULTURE OF EASY GRATIFICATION AND UNDER-INVESTMENT IN HUMAN AND PHYSICAL CAPITAL AND INFRASTRUCTURE.

Insomma, un attacco frontale a Gove che il ministro ora dovrà controbattere e che potrebbe non esser così gradito agli inglesi medesimi. Suo malgrado, BoJo – questo il suo soprannome – rischia di vedersi affibbiata l’etichetta del leader del blocco pro-europeo nella guerra fratricida dei Tories.

Referendum elettorale, le colossali sviste nell’editoriale di Panebianco

Ho letto l’editoriale di stamane di Panebianco sul Corriere, intitolato ‘Un Referendum, due tesi errate’. Pensavo di trovarci una analisi lucida di quanto si rischia mercoledì sui quesiti del referendum contro il Porcellum. Invece è un articolo deludente. Se non fosse che è realmente pubblicato sul Corsera a firma Panebianco, l’avrei creduto un fake, un tarocco. Invece.

Coloro che temono il referendum, e pertanto si augurano che la Corte dichiari la non ammissibilità del quesito, hanno messo in circolazione due argomenti di cui è facile constatare la fragilità.

Il primo è quello secondo cui, se la Corte si pronunciasse per l’ammissibilità e gli italiani votassero l’abrogazione della legge elettorale in vigore, ne verrebbe fuori un vuoto legislativo, ci troveremmo senza legge elettorale. È falso. Sarebbe come dire che se nel 1974 gli avversari del divorzio avessero vinto il referendum abrogativo, non avremmo più avuto un matrimonio regolato per legge, ci saremmo ritrovati nella Repubblica del libero amore. Naturalmente no (per fortuna o per sfortuna). Se fosse stata cancellata la legge istitutiva del divorzio ne sarebbe automaticamente seguito il ripristino della legge precedente. Punto e basta. E così accadrebbe anche se gli italiani scegliessero di abrogare l’attuale legge elettorale (G. Panebianco, Corriere della Sera del 08.01.12, prima pagina).

Analizziamo il teorema argomentativo di Panebianco:

  • ci sono dei nemici del referendum (è vero, lo sono praticamente tutti i partiti politici);
  • questi signori avrebbero messo in circolazione due argomenti che propendono per l’inammissibilità dei quesiti.

Il primo argomento: la vacatio legis. Dice Panebianco che questo è un argomento falso. La spiegazione? Cita l’esempio del referendum sul divorzio. Dice il celebre editorialista, se nel ’74 avesse vinto il sì ci saremmo ritrovati senzauna legge che regolasse il matrimonio. A me sembra che Panebianco non abbia studiato. Avesse letto almeno Wikipedia:

Il Referendum abrogativo del 1974, meglio conosciuto come Referendum sul divorzio, si svolse nei giorni 12 e 13 maggio 1974, quando gli italiani furono chiamati a decidere se abrogare o meno la legge 1 dicembre 1970, n. 898 – “Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio” (la cosiddetta legge Fortuna-Baslini, dal nome dei due promotori Loris Fortuna e Antonio Baslini), con la quale era stato introdotto in Italia l’istituto del divorzio (Wikpedia alla voce Referendum abrogativo sul divorzio).

Il referendum del ’74 abrogava la legge sul divorzio, quindi se avesse avuto effetto, avrebbe abrogato quella legge e non la parte di normativa che regola il matrimonio. Questa è una grossa svista. Grossissima. Poi c’è un altro aspetto. Panebianco vi dice che queste voci – voci! – sono state messe in giro dai nemici del referendum. In realtà il divieto di vacatio legis in materia elettorale è stato definito dalla medesima Corte Costituzionale, come più volte detto, nella sentenza n. 29 del 1987: un “organo, a composizione elettiva formalmente richiesta dalla Costituzione, non può essere privato, neppure temporaneamente, del complesso delle norme elettorali contenute nella propria legge di attuazione” (cit.).

Panebianco nemmeno ci prova a prendere in esame la questione della reviviscenza. Il bello di questo referendum è che abroga una legge (Porcellum) che abroga un’altra legge (Mattarellum). E’ possibile quindi che la precedente legge abrogata torni a rivivere, o a ‘ri-espandersi’? Panebianco gira a largo da un quesito così complesso che forse metterà in crisi la Consulta. Infatti neanche lo menziona. Ma in realtà un referendum abrogativo non ha la stessa portata di una norma di legge che abroga una legge vigente. Tutto ciò per una serie di ragioni, che sicuramente la Consulta prenderà in esame, fra cui:

  • Non è possibile nel referendum abrogativo individuare alcuna altra volontà se non quella di delimitare l’efficacia di una norma (il Porcellum);
  • Un quesito che voglia al tempo stesso abrogare il Porcellum e ripristinare il Mattarellum è a rischio di eterogeneità – ovvero l’elettore si troverebbe a esprimere, con un solo voto, due volontà, e già solo questo aspetto dovrebbe esasere considerato dalla Corte come invalidante;
  • Il Mattarellum non è ‘normativa di risulta’ (quel che resta dopo le abrogazioni referendarie) bensì è normativa abrogata;
  • E’ necessario un atto esplicito per la riqualificazione della normativa abrogata – per esempio, non è sufficiente per il legislatore ridare effettività ad una norma abrogando la successiva norma che la abroga, deve scrivere un articolo in cui specifica la propria volontà di rivalidare quanto precedentemente abrogato, facoltà negata in caso di referendum.

Non vi ho parlato del secondo argomento degli anti-referendari: la destabilizzazione del quadro politico. Concordo con Panebianco sul fatto che la Corte non invaliderà i due quesiti per una questione di opportunità politica. Lui la mette in termini economici – la durata di Monti la detta il mercato. Io vi dico che invece ciò che guiderà la Corte in questo giudizio è solo la volontà di mantenere l’armonia del quadro normativo costituzionale.

Detto ciò, come si fa a scrivere un articolo del genere?

Tutti i dubbi sull’ammissibilità dei referendum elettorali.

Legge elettorale fra referendum e inciucio. Intervista al senatore Belisario.

Felice Belisario presidente senatori idv

Qualche settimana fa, il senatore Belisario (IDV), sul suo blog, aveva ventilato l’ipotesi di un accordo sulla legge elettorale fra Pd, Terzo Polo e PdL. Un inciucio che farebbe saltare la consultazione referendaria e vanificare il milione di firme raccolte. Certo, stando ad alcuni commentatori, il verdetto di ammissibilità sui due quesiti, atteso a settimane da parte della Corte Costituzionale, non è affatto scontato. In ogni caso, il post di Belisario è diventato una occasione per porre al senatore alcune domande sulla legge elettorale e sul futuro di Italia dei Valori. Questa l’intervista che ne è scaturita.

1) Senatore Belisario, siamo arrivati al collo di bottiglia di questa legislatura. A Gennaio la Consulta deciderà sull’ammissibilità dei referendum sulla legge elettorale. La decisione, per taluni costituzionalisti, potrebbe non essere scontata e quindi propendere per la non ammissibilità. Secondo lei, l’effetto ‘pistola alla tempia’ paventato da Bersani, funzionerà e spingerà il parlamento ad adottare un provvedimento – nella direzione suggerita dai quesiti e suffragata dal milione di firme – oppure no?

Sono praticamente certo che il Parlamento non tornerà al Mattarellum senza referendum. Sono ben altre le soluzioni che si stanno prospettando. Se la Corte, come io credo, dichiarerà l’ammissibilità del referendum ci troveremo davanti alla possibilità di una svolta storica e non credo che ci sarà la possibilità di una riforma per evitare la consultazione popolare. Ma non è detto. Nel Palazzo gli inciuci sono sempre più frequenti.

 2) Sul suo blog ha parlato di trame sotterranee – mi passi il termine – fra propaggini del PD e altre propaggini del PdL. Un inciucino mascherato da accordo-per-il-bene-del-paese ma che produrrebbe una legge elettorale fortemente diversa da quella che si produrrebbe altrimenti con il referendum. E’ così? E’ questo che sta per accadere?

Esattamente. Invito a leggere questo articolo (http://www.unita.it/italia/legge-elettorale-e-dialogo-tra-i-pd-pdl-e-terzo-polo-1.364293), ma sul web ne troverà tanti altri che raccontano le stesse cose. Il Pdl propone un sistema elettorale sul modello spagnolo, un proporzionale con collegi relativamente piccoli, che tenderebbe a sovrastimare i partiti grandi (Pd e Pdl) e quelli con una connotazione territoriale molto radicata (la Lega), tende a mantenere la proporzionalità di partiti intorno al 12-15 per cento (Terzo Polo) e tende a sottostimare i partiti medio piccoli (Idv, Sel, 5stelle). Il Pd sta riflettendo perché un’ipotesi del genere rischierebbe di regalare di nuovo all’alleanza Pdl-Lega il Paese e solo con un’alleanza con il Terzo Polo potrebbe competere, senza peraltro avere alcuna certezza della vittoria che tutti i sondaggi gli assegnano ormai da qualche mese. Insomma, se si verificasse questo scenario passeremmo dal Porcellum a una nuova porcata nei confronti degli italiani che non sarebbero rappresentati neanche con questo sistema.

Di questo si parla con sempre maggiore insistenza e soltanto il referendum può disinnescare questa minaccia. Di fronte a un successo referendario resterebbero pochissimi margini per una ulteriore modifica della legge elettorale perché questo significherebbe andare contro la volontà della maggioranza degli elettori. Per questo è fondamentale che la consultazione referendaria abbia buon esito.

 3) Se invece il progetto di legge elettorale a mezzo inciucio fosse accettabile (che dire, qualunque legge elettorale a confronto con il Porcellum è accettabile), Italia dei Valori lo potrebbe votare o scegliete senza esitazioni per il referendum? La riesumazione del Mattarellum non è forse la migliore delle soluzioni. Lei cosa ne pensa?

Noi abbiamo raccolto le firme proprio perché i tentennamenti del Parlamento rispetto alla cancellazione del Porcellum erano diventati insopportabili. Tecnicamente il Mattarellum era l’unica proposta possibile con un referendum perché se si abroga una norma rientra in vigore quella precedente. Ritengo, comunque, il Mattarellum un sistema che funziona, mantiene il bipolarismo che per noi è una condizione imprescindibile, consente di avere alleanze solide e restituisce ai cittadini il diritto sancito dalla Costituzione di scegliersi i propri rappresentanti. Se arrivassero altre proposte di legge in materia (quelle che sono state presentate sono pessime) non ci sottrarremmo comunque alla discussione. Ma è chiaro che abbiamo intrapreso una strada precisa: vogliamo che i cittadini si esprimano su una scelta netta: Porcellum o Mattarellum.

 4) In caso di riesumazione del Mattarellum, per Italia dei Valori ritornerà ad essere indispensabile alla propria sopravvivenza una coalizione di centro-sinistra. La sussitenza del governo Monti – con il PD terza gamba della maggioranza – ha invece messo in forte crisi gli stilemi classici delle alleanze: come ricomporre l’abusato ritratto di Vasto quando emergono ancor oggi pesanti differenze fra IDV, Sel e PD, anche a voler prescindere dalle manovre del governo?

L’ho scritto anche sul mio blog, la foto di Vasto non è sbiadita e l’attuale alleanza parlamentare anomala è figlia della situazione di emergenza attuale. Credo che il Pd resti più vicino alle nostre posizioni, nonostante la divergenza attuale, piuttosto che al Pdl o al Terzo polo con cui vota insieme i provvedimenti di Monti. In una situazione di normalità democratica, fuori dall’emergenza, l’alleanza naturale non possa che partire da un centrosinistra formato da Pd, Idv e Sel, a cui, ovviamente, sulla base di un programma condiviso, possono aggiungersi altri soggetti della società civile, ma tenderei ad escludere un’alleanza allargata al Terzo Polo che mi sembra oggettivamente molto diverso dall’idea di centrosinistra che ha in mente anche la maggioranza del Partito Democratico.

5) Si è scritto e detto che il Porcellum è l’emblema del deficit di democrazia – il default politico – che ci accompagna oramai da troppo tempo. Non crede che la sola riproposizione delle preferenze di lista sia insufficiente a colmare questo profondo debito (che è ben più grave di quello finanziario)?

Il Porcellum è il figlio prediletto del deficit di democrazia. E’ stato creato dal centrodestra (compresi Fini e Casini) proprio per svuotare la Costituzione e la democrazia, un tentativo che a Berlusconi è riuscito molto bene grazie al controllo di quello che finora è stato il principale mezzo di comunicazione, la televisione. Riproporre soltanto le preferenze ovviamente non basta. L’Italia dei Valori si batte da tempo per l’estinzione dei privilegi di tutte le caste. Purtroppo nei 20 anni di berlusconismo è stata attuata una controrivoluzione culturale che ha portato a un disinteresse generico per tutti i problemi legati alla democrazia. Nei 20 anni precedenti abbiamo assistito all’individualismo sfrenato e all’egoismo di casta e di razza portati rispettivamente avanti da Berlusconi e da Bossi. Mi sembra che finalmente stiamo cominciando a invertire la rotta, ma il cammino sarà lungo.

6) Non pensa che una maggiore democratizzazione della vita dei partiti potrebbe rappresentare una svolta? IDV ancora fa fatica a prendere in esame la propria forma di partito personale. Il carisma di Di Pietro non è servito ad evitare di imbarcare nel partito personaggi come Scilipoti e Razzi. Una discussione pubblica più partecipata potrebbe servire a selezionare meglio l’élite del partito e a scongiurare compravendite in aula al momento del bisogno. A che punto è il vostro utilizzo del web e dei social network? Lei avrà inteso che sul web è vitale il confronto e il dibattito. Esserci ma estraniarsi da esso è controproducente. Berlusconi ha risolto inviando messaggi preregistrati, come un tempo faceva con le cassette. Invece altri politici si affidano a strampalate campagne pubblicitarie su Youtube (vedi Formigoni). Come collocare IDV in mezzo a questi eccessi?

Potrei dire che questo è il prezzo da pagare per la trasformazione di un piccolo movimento a un partito che aspira a diventare di massa ma sarebbe una risposta troppo semplicistica. L’Idv due anni fa ha tenuto il suo primo congresso nazionale, a cui sono seguiti congressi regionali, provinciali e comunali. Soltanto il questo modo, dandoci cioè una struttura democratica a tutti i livelli, il mio partito potrà crescere. Errori ce ne sono sicuramente stati, ma fanno parte tutti della vita precongressuale dell’Idv. E’ anche vero che soltanto con il ritorno delle preferenze, chiedendo cioè ai cittadini da chi vorranno essere rappresentati, questi errori potranno essere evitati. Ricordo, inoltre, che la compravendita si fa in due. Se Scilipoti e Razzi si sono fatti comprare è perché c’è qualcuno che li ha corrotti. Su questo, grazie a un esposto di Antonio Di Pietro, sta indagando la magistratura.

Per quanto riguarda il web sono assolutamente d’accordo. Ovviamente, per me che sono nato quando ancora non c’era la televisione, nel 1949, è stato complicato adattarmi alle nuove tecnologie, ma sapevo e sono sempre più convinto che in esse c’è il futuro della comunicazione e della politica. Sono attivo su facebook, su twitter, su google+, ho un blog e, da qualche settimana, proprio per utilizzare pienamente le potenzialità del web, e lontano dalla campagna elettorale per evitare strumentalizzazioni, ho aperto un sito, www.politicaevalori.it, in cui chiedo a chiunque un contributo di idee e queste idee possono essere votate. E’ un tentativo, appunto, di non utilizzare il web passivamente e fatto per ridurre la distanza tra politica e società civile. Spero solo, perché non è questa l’intenzione, che non sia scambiato per uno strumento di propaganda. Se così fosse stato lo avrei fatto in piena campagna elettorale. E’ un laboratorio, spero abbastanza innovativo, di programma partecipato. Un work in progress e decideremo insieme cosa fare in futuro. Anche il mio partito ha puntato sul web per la comunicazione. Ha rinunciato ad avere un giornale di partito con i soldi pubblici e ha come canali di comunicazione soltanto il sito dell’Idv, i blog degli esponenti politici a partire da Di Pietro, una web tv e i social network.

7) Per concludere, parliamo di digitale e di internet: abbiamo visto nascere il progetto del Movimento 5 Stelle, pur con qualche difficoltà interna. Alcuni sondaggi lo attestano al 7%. Si tratta di un movimento politico nato dal web. Tutto ciò è clamoroso ed è ancor più clamoroso se si pensa che accade in un paese in cui hanno accesso a internet circa il 58% delle famiglie. Molto meno della Svezia, per esempio. L’Agenda Digitale era lettera morta con Berlusconi. Digitale all’epoca significava solo digitale terreste – e televisioni sue, naturalmente. Abbiamo per anni ignorato che investimenti nella banda larga produrrebbero benefici per 1, 1.5 punti del PIL. Si può dire che abbiamo già completamente superato la Videocrazia? E’ bastata la defenstrazione del suo padrone? Oppure dobbiamo evolvere una cultura del digitale e di internet che invece ancora non abbiamo?

L’intuizione di Grillo è stata geniale perché forse è stato il primo a capire le potenzialità del web. Se quel 7 per cento dei sondaggi dovesse essere confermato credo che la loro presenza in Parlamento possa essere uno stimolo e un pungolo ulteriore. Quello che non mi piace è fare politica vestendo i panni dell’antipolitica, scimmiottando il Berlusconi dei primi tempi. Io diffido dell’antipolitica che è la negazione della politica e che, storicamente, sfocia sempre nell’avvento dell’uomo forte, autoritario, che arriva promettendo di risolvere tutti i problemi. Considero invece la politica, in astratto, alta e nobile. Ma è con la politica, non con l’antipolitica, che si risolvono i problemi del paese. Il mio sforzo è che si ritorni all’onestà e alla considerazione di una volta. Mi sento molto più vicino all’idea di politica di Aristotele, Montesquie o Croce che a quella di Beppe Grillo.

La cultura del digitale, per passare alla seconda parte della sua domanda, è ancora molto di là da venire. Ma non c’è dubbio che sia questa la strada da seguire sia per superare le anomalie della videocrazia sia perché, ne sono convinto, attraverso investimenti in questo senso si può creare maggiore occupazione. Non c’è dubbio che il web sia la forma più democratica degli attuali strumenti di comunicazione perché consente un’interazione che negli altri media è limitatissima.

Mi lasci concludere con una battuta. Tutta la campagna elettorale di Berlusconi, nel 2001, fu caratterizzata dallo sviluppo delle tre ‘i’, impresa, inglese e internet. Anche su questo il fallimento è stato totale. Berlusconi ha mantenuto solo un terzo della promesse, quella relativa alle imprese, ma solo le sue.

La leggina di Franceschini per azzoppare i referendum – il testo

Si fa presto a gridare allo scandalo. All’inciucio. Sarà il caso che approfondiamo i discorsi, una volta tanto. Dario Franceschini ha presentato una proposta di  Legge “in materia di soggetti competenti all’autenticazione delle firme per la presentazione di liste elettorali e candidature e per la richiesta di referendum”. Sempre più spesso – scrive Franceschini – “in occasione di elezioni, si verificano gravi irregolarità legate alle sottoscrizioni false per la presentazione delle liste elettorali e delle candidature nonché delle richieste di referendum”, il che è vero, verissimo, direi quasi sacrosanto. Ma bisognerebbe anche specificare meglio e dire perché si vuole sottoporre alla medesima disciplina la raccolta firme per i referendum. I referendum sono già sottoposti a una verifica ben più rigorosa da parte della Cassazione, rispetto invece alle liste elettorali, per le quali i controlli da parte della Commissione Elettorale Circondariale risultano un po’ superficiali, come dimostrano i casi ‘Firmigoni’ e delle sotto-liste pro-Cota in Piemonte.

Il problema delle «firme false» ha assunto una dimensione che non è più accettabile. La gravità della questione si riscontra soprattutto nel fatto che la partecipazione di una lista «non legittimata» alla competizione elettorale rischia di alterare il giusto risultato e quindi di comprimere la volontà popolare posta alla base della nostra democrazia rappresentativa. La gravità di tali condotte non si riduce, quindi, a mere questioni burocratiche: esse, al contrario, minano «dal basso» la trasparenza e la legalità del procedimento elettorale. Il caos che ogni volta ne deriva suscita profonda sfiducia nell’elettorato circa la possibilità di uno svolgimento corretto delle competizioni elettorali, gettando discredito sul sistema politico stesso.

Ora non sbraitate, il problema delle firme false ‘esiste’. Non gridiamo al golpe anche questa volta. Franceschini è mosso da una volontà riparatrice nei confronti di un comportamento illegittimo che deturpa la democrazia poiché colpisce la libertà di scelta dell’elettore. Quindi l’intento del capogruppo PD è sensato, la formulazione del testo può essere corretta. Risulta infatti poco approfondita la spiegazione sul perché far rientrare i referendum nello stesso calderone. Ipotizzare due percorsi diversi per l’accertamento dell’autenticazione delle firme non è blasfemo. Diamo a Franceschini il tempo di precisare meglio la sua proposta.

PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

1. L’articolo 14 della legge 21 marzo 1990, n. 53, e successive modificazioni, è sostituito dal seguente:
«Art. 14. – 1. Sono competenti ad eseguire le autenticazioni che non siano attribuite esclusivamente ai notai e che siano previste dal testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, dal testo unico delle leggi recanti norme per l’elezione del Senato della Repubblica, di cui al decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533, dalla legge 8 marzo 1951, n. 122, dal testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle Amministrazioni comunali, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570, dalla legge 17 febbraio 1968, n. 108, dal decreto-legge 3 maggio 1976, n. 161, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 1976, n. 240, dalla legge 24 gennaio 1979, n. 18, e dalla legge 25 maggio 1970, n. 352, i notai, i cancellieri dei tribunali e i cancellieri delle corti di appello, i segretari comunali e provinciali, i sindaci e i funzionari comunali appositamente delegati dal sindaco.
2. L’autenticazione di cui al comma 1 del presente articolo deve essere compiuta con le modalità stabilite dall’articolo 1, comma 1, lettera i), del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445». (Atto Camera n. 4294).

Legge elettorale: per Bersani, il “referendum è come una pistola sul tavolo”

Un’altra delle similitudini azzardate di Bersani nasconde in verità il totale endorsment del PD per il referendum sulla Legge Elettorale. La spiegazione la fornisce D’Alema, principale oppositore di un ritorno del Mattarellum (l’uninominale a turno unico made in Italy), a sorpresa diventato favorevole alla consultazione elettorale. Cosa ha fatto cambiare idea al Lidér Massimo e al tentennante Bersani?

Corriere della Sera, 13/09/11, p. 19

Pensate che mente sopraffina ha potuto partorire un ragionamento simile. Non già l’interesse pubblico dinanzi alla strategia di sostenere i referendari e il bistrattato Parisi, bensì una machiavellica teorizzazione di un annichilimento della Lega Nord, obbligata a smarcarsi da B. per poter esistere ancora ‘sul territorio’ e quindi pronta a far saltare il governo davanti alla prospettiva di un referendum che ripristini l’uninominale. Mi pare puerile, ma anche diabolico.

Più esplicito Bersani, che oltre alla metafora, aggiunge: noi – la pistola – la teniamo lì, e vedrete che pur di non pronunciarsi su questi temi, la maggioranza farà terminare la legislatura.

Referendum, IDV incassa un milione di euro di rimborsi?

Questa la notizia come l’ho letta. A voi il commento:

L’Italia dei valori incasserà un milione di euro di rimborsi elettorali per i referendum appena conclusi. Un altro milione di euro andrà invece ai comitati promotori dei due quesiti su l’acqua pubblica. E’ la legge a stabilire che una volta raggiunto il quorum, ai promotori vadano un euro per ogni firma depositata fino ad un massimo di 500 mila firme. Doppia la soddisfazione quindi per Di Pietro, che non solo ha rifilato l’ennesima sberla al governo, ma ha trovato anche l’occasione per rimpinguare le casse del partito (fonte).

Internet batte televisione 4 (sì) a 0. Ma ora liberiamoci da Facebook

Miguel Mora su El Pais commenta il voto di domenica prendendo spunto da quel video parodia di ‘L’aereo più pazzo del mondo’. In volo sull’oceano, i berluscones di ritorno dal soggiorno di Antigua vengono avvisati dell’esito dei referendum. Hanno abolito il legittimo impedimento, dice l’hostess ai passeggeri. E scatta l’isteria. La “Primavera dei Cittadini”, scrive Mora, “è sorta e si espande ogni giorno attraverso internet”. Esattamente come sulla riva sud del Mediterraneo, ma in una forma più pacifica e ricorrendo più all’ironia e alla satira che alla rabbia, il territorio infinito senza censura della Rete sembra aver giocato un ruolo chiave nel nuovo vento politico che sferza l’Italia.

Ma sembra chiaro che il problema è che la destra italiana non è a conoscenza del crescente potere di Internet. Che le nuove tecnologie non sono il punto di forza del suo leader è emerso pochi giorni prima del voto, quando ha detto che qualcuno gli aveva passato una “cassetta” per vedere un programma che aveva perso. “Possibile che un primo ministro e magnate dei media del XXI secolo ignorari che il DVD è stato inventato nel 1995, proprio l’anno in cui l’ultimo referendum in Italia ha vinto il quorum? Sembra improbabile, ma il fatto è che il referendum è stata una sconfitta finale non solo per il governo, ma anche per l’ambiente in cui Berlusconi è stato un mago (Miguel Mora, El Pais).

Così sembra. Il voto ha testimoniato il cambio di paradigma mediatico: non più l’oligarchia televisiva, che esclude e impone i piani argomentativi alla discussione pubblica, di cui è rimasto celebre il caso della violenza contro una donna a Roma poche settimane prima del voto del 2006, fatto che infiammò il dibattito televisivo contro l’immigrazione clandestina e fece emergere un clima di paura convogliato dai media di casa Berlusconi verso Lega e PdL; tanto per rinfrescarvi la memoria, quelle elezioni politiche furono poi vinte ugualmente dal centrosinistra ma Berlusconi riuscì nell’impresa di recuperare a Prodi almeno 8 punti percentuali. Quel caso ha rappresentato l’apice della forza persuasiva della televisione. I fatti criminosi compiuti nel paese erano in calo, ma la percezione delle persone era di un aumento. Si viveva un’emergenza che non c’era, indotta dalla suggestione televisiva che ogni giorno riproduceva quel fatto all’infinito, trasmettendo le immagini di retate, di sgomberi di campi Rom, parlando di tolleranza zero e di ergastoli e di pena di morte.

No, quel tempo è finito. Così sembra. Al posto della tv, una discussione eterodiretta che si autoalimenta grazie al contributo di tutti, senza necessità di conduttori o di presentatori, di opinionisti o di registi. Si afferma l’argomento prevalente in un susseguirsi di piani argomentativi in libera competizione fra loro. Questo è consentito da un mezzo straordinario che è la rete, essa stessa piano altro in cui l’individuo si dispiega in una multipolarità di voci che altrimenti gli sarebbero negate. Se l’azione dell’individuo non è più direttamente coercita se non in casi eccezionali stabiliti dalla legge, la parola era (ed è) fortemente compromessa, sottaciuta, senza alcuna rappresentanza nel teatro degli specchi che va in onda ogni giorno nello schermo televisivo. Internet sembra restituire all’individuo la parola, e al contempo gli riassegna lo status di cittadino, ovvero di individuo partecipe alla vita della polis.

Ho usato il termine sembra perché neppure Internet è priva del rischio oligarchico. Anzi: la sua tecnologia è talmente complessa da creare sistemi che sfuggono alle parole che possediamo. Per esempio: lo spazio di Internet è pubblico o privato? Se la discussione è politica, allora Internet diventa condizione propedeutica alla discussione pubblica. Diventa naturale considerarlo un diritto poiché nel web l’individuo si esprime e esprimersi è una delle libertà civili fondanti della modernità. Peccato che tutto ciò avvenga a casa di Zuckerberg. Rendetevene conto: abbiamo lottato per sconfiggere il demone televisivo, per poter contare, per poter fare prevalere l’interesse pubblico contro quello privato. Lo abbiamo fatto attraverso un social network che è estremamente inclusivo ma che è privato. Facebook non è un bene comune, non è nostro: ho una pagina a casa di Zuckeberg. Zuckerberg detiene il mio profilo di utente di Facebook. Di fatto mi controlla. E controlla tutti noi. Controlla l’informazione che passa attraverso il suo social network. Volendo, la potrebbe condizionare. Potrebbe far prevalere un argomento piuttosto che un altro. Esattamente come il media televisivo, ma in maniera ancor più subdola. E globale. Un mostro ben peggiore della nostra piccola videocrazia.

Facebook, il McDonald’s del social networking (segnalazione de Il Nichilista).

La vittoria dei nuovi media

Punti di vista/1:

La sempre rinascente nuova sinistra ha usato Facebook, Twitter, e-mail e blog. La sua vittoria non è solo un voto di protesta – è stata una vittoria dei nuovi media sui più vecchi, in un paese dove, come tutti sanno, i vecchi media sono dominati da un solo uomo e dalla sua famiglia (Bbc, Il Nichilista).

Punti di vista/2:

Punti di vista/3:

La terza sberla

Siamo stufi, ha detto Calderoli. Stufi di prendere sberle. Non sa, il poveretto, che questo è solo l’inizio. Il potere logora chi non ce l’ha, disse uno. Sapete tutti che fine ha fatto. C’è un ’92 per tutti, prima o poi, in particolar modo per quelli che pensano di essere insostituibili.

La prima sberla è stato il colpo di Milano, dove nonostante il ricorso al solito mezzo estremo del terrore, è stato eletto Pisapia. Napoli non conta per i leghisti. In ogni caso fa parte della prima sberla. Una sberla che ha fatto male, che ha creato confusione. Qui crolla tutto, spifferavano l’indomani al telefonino i parlamentari.

Noi, lui sembra tenere botta. Si sa, tutti lo sanno, almeno quelli del circuito di amici più intimi, che si consola in altra villa insieme alle stesse signorine di sempre. Instancabile. Oramai è nella condizione di colui che, schiavo del vizio, non è più in grado di percepirla la realtà. Vaga sconsolato in cerca di sé stesso, affranto, senza comprendere appieno quel che gli sta capitando. E le voci seguitano a circolare. Si sta fermi, ma si volta lo stesso lo sguardo intorno, casomai il precipizio fosse già arrivato alla suola delle scarpe. Qui-crolla-tut-to, si mormora.

La seconda sberla arriva dalla gente. Da quella maggioranza relativa – sì, maggioranza – di persone di buon senso che hanno votato ai referendum. Lui pensava di far bella figura a dire che quelle consultazioni erano inutili. Pensava ancor di poter dire la propria e di essere sufficientemente convincente. Pensava che qualcuno stesse ad ascoltarlo.

Ora siamo a un passo dal fuggi fuggi. Siamo stufi, ha detto Calderoli. Stanno tremando i polsi. Il ticchettio delle scarpe s’intensifica. E’ tutto un via vai da via Bellerio. Bossi aveva detto che non si doveva andare a votare. Pure Bossi ha fallito. L’olimpo degli Dei di centro destra si sta sgretolando. Improvvisamente emerge tutto il carico di finzione che l’ha sempre mascherato. Gli dei del ’94 oggi sono dei vecchi raggrinziti, ripiegati su sé stessi. Dei dinosauri che aspettano il tempo dell’estinzione.

Qualcuno ha preconizzato la “terza sberla”. Politicamente, se la daranno da soli. Questo potrebbe avvenire tra il 21 e il 22 Giugno prossimi, quando in Parlamento si aprirà il dibattito sul rimpasto di governo. Un passaggio imposto da Napolitano. La terza sberla avverrà forse in Parlamento. Ma sapete quante volte avevamo previsto questo: prima con la banda di Fini, poi con quella dei Responsabili, un po’ mariuoli un po’ avventurieri. Tante volte in un anno, ma Lui è sempre rimasto al suo posto: prima demolendo il suo avversario interno, poi comprando quattro miserabili con una poltrona da sottosegretario co.co.co.

Ma il tempo passa. Sono passati, per esempio, dieci anni dai fatti di Genova. C’era una volta un popolo che manifestava la sua esistenza nelle strade, e fu pestato a sangue. Molti chiedono ancora giustizia, oggi. Molti dei pestatori sono rimasti ai loro posti, anzi, hanno fatto carriera. Dieci anni dopo, qualcuno ha osservato, quel popolo è tornato. Ha avuto la forza di riemergere con quattro sì. Nessuno era in grado di prevederlo. Nel 2001 si manifestava contro l’ingiustizia della globalizzazione.  Di lì a poco ci sarebbe stato il grande crac dei mutui subprime. Poi la crisi del debito. Oggi il popolo ha rimesso sé stesso al centro della politica. E si è ripreso la politica. Oggi è il tempo del Noi.

Referendum Nucleare, il nuovo quesito e la bufala

La delibera della Corte di Cassazione in ordine alle conseguenze del decreto Omnibus sul referendum che abroga le norme del nucleare, confermata oggi dalla corte costituzionale con voto unanime, ha cambiato del tutto il testo del quesito referendario, che ora è il seguente:

Vediamo in dettaglio i commi sottoposti alla consultazione abrogativa:

Art. 5 c. 1:  Al fine di acquisire ulteriori evidenze scientifiche, mediante il supporto dell’Agenzia per la sicurezza nucleare, sui profili relativi alla sicurezza nucleare, tenendo conto dello sviluppo tecnologico in tale settore e delle decisioni che saranno assunte a livello di Unione europea, non si procede alla definizione e attuazione del programma di localizzazione, realizzazione ed esercizio nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia elettrica nucleare.

Art. 5 c. 8: Entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto il Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dello sviluppo economico e del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e acquisito il parere delle competenti Commissioni parlamentari, adotta la Strategia energetica nazionale, che individua le priorita’ e le misure necessarie al fine di garantire la sicurezza nella produzione di energia, la diversificazione delle fonti energetiche e delle aree geografiche di approvvigionamento, il miglioramento della competitivita’ del sistema energetico nazionale e lo sviluppo delle infrastrutture nella prospettiva del mercato interno europeo, l’incremento degli investimenti in ricerca e sviluppo nel settore energetico e la partecipazione ad accordi internazionali di cooperazione tecnologica, la sostenibilita’ ambientale nella produzione e negli usi dell’energia, anche ai fini della riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra, la valorizzazione e lo sviluppo di filiere industriali nazionali. Nella definizione della Strategia, il Consiglio dei Ministri tiene conto delle valutazioni effettuate a livello di Unione europea e a livello internazionale sulla sicurezza delle tecnologie disponibili, degli obiettivi fissati a livello di Unione europea e a livello internazionale in materia di cambiamenti climatici, delle indicazioni dell’Unione europea e degli organismi internazionali in materia di scenari energetici e ambientali».

Il dubbio sorto nelle scorse ore è ambiguo: il referendum abroga le norme che abrogano le norme che reintroducono il nucleare in Italia, ergo bisogna votare NO. E’ corretto? Provo a rispondere. Le norme che reintroduco il nucleare in Italia sono già abrogate dalla L. 75/2011, che contiene i succitati commi 1 e 8 dell’art. 5. La Corte di Cassazione ha spostato il bisturi da una legge all’altra, non già per riabilitare le norme di cui al decreto legislativo 15 febbraio 2010, n. 31 (cosiddetto Decreto Nucleare), oramai abrogate, bensì per colpire quanto di quelle norme è resistito nel decreto Omnibus, vale a dire appunto i commi 1 e 8. In particolare, il comma 1 attua una sospensiva mentre il comma 8 lascia aperta la “porta” alla decisione governativa di reintrodurre la produzione di energia di origine nucleare dietro parere della UE circa la sua sicurezza. Non è vero che eliminati i due commi, le norme che la Legge 75/2011 ha abrogato ritornino in vigore. I due commi dell’art. 5 non abrogano alcuna norma. Quindi non credete a chi vi dice che bisogna votare NO. La vostra volontà di dire No al Nucleare corrisponde anche con il nuovo quesito alla croce sul Sì. Non è cambiato nulla. Con il referendum si azzoppa la strategia meschina del governo di schivare il colpo e di mettere al riparo interessi cospicui (e occulti).

Quindi votate sì per dire no al nucleare.

Pronto l’assalto alla Corte Costituzionale: Alfonso Quaranta verso l’elezione

C’erano una volta le toghe rosse. La fine dell’interregno di De Siervo alla presidenza della Consulta ha innescato una guerra intestina fra giudici filoberlusconiani e antiberlusconiani. Ne resterà uno solo e questo sarà Alfonso Quaranta, giudice di Palazzo dal 2004 – fu nominato dal Consiglio di Stato.

Dopo la defezione di De Siervo, la cui presidenza è stata segnata dalla sentenza che ha neutralizzato il Legittimo Impedimento e dagli strali di B. secondo cui la Consulta è un covo di toghe rosse, i giudici restano quattordici. Inoltre il giudice Maria Rita Saulle non gode di buona salute e potrebbe disertare la votazione. Gli avversari di Quaranta sono tutti “nominativi deboli”: Maddalena verrà sostituito a metà luglio e non è conveniente eleggere un presidente per un solo mese; Finocchiaro ‘scade’ a Dicembre. Quaranta potrebbe dare continuità a una carica che ha troppo di frequente cambiato volto. Andrà in pensione soltanto nel 2013. Il problema è che Quaranta è in quota alla destra. Ne sono evidente testimonianza due fatti:

  1. Quaranta è la mano che ha scritto la sentenza della Corte su Abu Omar e la preminenza del segreto di Stato – il “segreto di Stato” è una prerogativa unica del presidente del Consiglio. “Il giudizio sui mezzi ritenuti necessari o soltanto utili a garantire la sicurezza dello Stato – si legge nella sentenza – spetta al Presidente del Consiglio dei ministri sotto il controllo del Parlamento”; vi ricordo come il caso della Extraordinary Rendition di Abu Omar è stato al centro di un caso internazionale e che ha messo contro governo – presieduto da B. – e procura di Milano nella persona di Armando Spataro, pm dell’inchiesta;
  2. Quaranta è molto vicino a Altiero Matteoli: negli scorsi anni fece parlare di sé poiché il figlio, tale Alessio Quaranta, divenne presidente niente meno che dell’ENAC. Un bel posticino. Potenza dei padri. Poco tempo dopo, la Consulta dovette pronunciarsi su un conflitto di attribuzione fra magistratura ordinaria e Tribunale dei Ministri circa un procedimento a carico dello stesso Altiero Matteoli, accusato di favoreggiamento (aveva rivelato ad un prefetto di essere sotto indagine). Se avete un po’ di fantasia, potete facilmente capire come è andata: la Consulta ha votato a favore del conflitto e la Camera ha salvato il buon Altiero. Si dice che Quaranta si fosse astenuto nella fattispecie, ma chissà quale è stato il suo contributo alla discussione.

Considerato che la Corte si divise 12 a 3 durante il voto sul Legittimo Impedimento, tolti De Siervo e la Saulle malata, i rossi scendono a dieci, due dei quali a scadenza prossima ventura. De Siervo deve essere sostituito dal voto parlamentare e la maggioranza terrà quello scranno a lungo vuoto, spettando esso all’opposizione.

A metà luglio la Corte dei conti elegge il successore di Maddalena. In lizza un giudice di destra come Salvatore Sfrecola, presidente della Corte in Piemonte, che festeggia la nomina con un festa da 300 invitati a casa del principe Ruspoli. Poi l’attuale pg Mario Ristuccia (già in pensione), il presidente della Corte in Puglia Eugenio Schlitzer, il più giovane Aldo Carosi. A novembre voto in Cassazione. In corsa il presidente aggiunto Paolo Vittoria, anche lui pensionando, e il civilista Mario Morelli (La Repubblica.it).

Facendo i conti, al momento in cui si dovrà discutere il conflitto di attribuzione sul caso Ruby, le toghe rosse saranno solo 8, con presidenza contraria. Di fatto si compierà la berlusconizzazione della Corte Costituzionale. Ecco perché la probabile presunta vittoria di Quaranta potrebbe avere un effetto dirompente sugli equilibri istituzionali. Tutto avverrà lunedì, al chiuso delle stanze del Palazzaccio. Non solo: martedì la Consulta deciderà sul nuovo conflitto sollevato dalla Presidenza del Consiglio circa la sentenza della Cassazione sul referendum del nucleare (la Presidenza chiede la nullità della consultazione). Il primo test a cui Quaranta e il suo cerchiobottismo daranno prova di fede e ossequio al Padrone?

Il PD alla prova della direzione nazionale: il caso Sicilia fra Mirafiori, Legittimo Impedimento e Lingotto

La direzione nazionale del PD si terrà giovedì 13. Un clima infuocato attende Bersani. Giovedì 13: un giorno sbagliato, si direbbe, a guardare la lista degli eventi. Da un lato le beghe interne al PD:

  • oggi, il caos Sicilia con la scomunica del circolo di Caltagirone;
  • la controdirezione di Civati (senza Renzi) mercoledì 12 a Roma, Circolo Letterario di Via Ostiense 95;
  • dulcis in fundo, ma oramai a “bocce ferme”, il ritorno di Veltroni, in pompa magna, anzi in salsa marchionnesca, con il Lingotto 2.

Tutto questo mentre nel paese si affastelleranno le notizie e le relative polemiche circa:

  • riunione della Consulta, rigidamente a ‘porte chiuse’ il giorno 11, chiamata a discutere in materia di legittimo impedimento;
  • decisione della Consulta, prevista proprio per giovedì 13;
  • referendum a Mirafiori, il 13 e il 14, con la prevedibile vittoria dei sì.

Se vi sembra poco, allora vi introduco al caos Sicilia, uno dei fattori X che pendono sulla testa di Bersani. Poichè in Sicilia il PD ostiene con i propri voti il governatore Lombardo. Un ribaltone che va avanti da alcuni mesi e che nel partito non è mai stato adeguatamente discusso. Il PD in Sicilia è diviso in due: da una parte i fautori del ribaltone, con il segretario regionale Lupo in testa, la capogruppo al Senato Anna Fnocchiaro a far da stampella alla irragionevolezza di tale scelta; dall’altra, gli oppositori, aventi in Enzo Bianco e Giovanni Burtone elementi di spicco e di riferimento.

I fatti: un circolo, quello di Caltagirone, città amministrata dalla sinistra, ha indetto referendum fra gli iscritti al fine di accertare il sostegno alla scelta della direzione regionale del PD di appoggiare il governo Lombardo. Apriti cielo! Il referendum è nullo, tuonano dalla segreteria regionale. Non rispetterebbe lo statuto del PD – che pure prevede consultazioni democratiche fra gli iscritti – in svariati punti, fa sapere il segretario Lupo. “Può il Partito democratico continuare a sostenere il governo regionale di Raffaele Lombardo?”, questa la domanda posta nel quesito referendario. Lupo ha intimato al coordinatore del circolo Gaetano Cardiel di sospendere immediatamente la preparazione della consultazione, cosa che non è avvenuta. Su di essa pende un ricorso dinanzi al comitato dei Garanti, una sorta di Alta Corte interna al partito, pertanto secondo Lupo non poteva in ogni modo svolgersi. Lupo ha quindi accusato Cardiel di aver violato in più punti lo Statuto. Ed ha disposto il comissariamento del circolo di Caltagirone. E’ pur vero che all’art. 28 di predetto Statuto si definisce in maniera univoca una disciplina che non lascia spazio a dubbi per indire referendum fra gli iscritti:

Articolo 28.
(Referendum e altre forme di consultazione)
1. Un  apposito  Regolamento  quadro,  approvato  dall’Assemblea  nazionale  con  il  voto  favorevole della maggioranza assoluta dei suoi componenti, disciplina lo svolgimento dei referendum interni e le altre forme di consultazione e di partecipazione alla formazione delle decisioni del Partito, comprese quelle che si svolgono attraverso il Sistema informativo per la partecipazione.
2. È indetto un referendum interno qualora ne facciano richiesta il Segretario nazionale, ovvero il Coordinamento nazionale con il voto favorevole della maggioranza assoluta dei suoi componenti, ovvero il trenta per cento dei componenti  l’Assemblea nazionale,  ovvero  il  cinque  per cento degli iscritti al Partito Democratico (Statuto PD).

Naturalmente nulla di tutto ciò è successo: la soglia del 5% non è nemmeno lontanamente raggiungibile e il segretario neanche si sogna di affidare una decisione così delicata e importante come quella della fiducia a Lombardo a un referendum fra gli iscritti. Quindi è vero che l’iniziativa di Caltagirone è al di fuori dello Statuto e l’iniziativa di Lupo non poteva che essere censoria nei confronti dei dissidenti di Caltagirone. Tanto più che una iniziativa analoga era stata messa in piedi a Enna “facendo registrare percentuali bulgare per il no al sostegno al governo Lombardo” (Caltagirone, Pd al voto nonostante lo stop di Lupo – Palermo – Repubblica.it). Non ci si poteva aspettare altro. Ciò dimostra ancora una volta il divario profondissimo fra il partito e il suo elettorato, anzi i suoi iscritti medesimi. L’iniziativa di Caltagirone ha il merito di far arrivare una manifestazione del dissenso dell’elettorato siciliano direttamente sul tavolo della Direzione Nazionale di Giovedì 13. Un giorno brutto assai, si direbbe. Si comprendono meno le dichiarazioni di Buirtone e di Bianco, che condannano il comissariamento e chiedono l’intervento di Bersani:

“Ascoltare l’opinione degli elettori del partito e’ un obbligo politico morale da parte dei suoi vertici, soprattutto quando si prendono decisioni che ne segnano una svolta nell’orientamento politico”. Lo afferma in una nota il senatore del Pd Enzo Bianco […] L’ex sindaco di Catania chiede infine al segretario nazionale del Pd Pierluigi Bersani di “intervenire subito in merito a questa vicenda” (Pd: Bianco, su commissariamento Caltagirone intervenga Bersani – – Libero-News.it).

“E’ un atto arrogante nei confronti di una realtà politica che ha avuto da sempre una condotta esemplare” – Giovanni Burtone, tra i primi parlamentari PD a manifestare il suo dissenso alla decisione di Lupo, è stato, insieme a Enzo Bianco, uno dei principali oppositori dell’appoggio del PD a Lombardo. “Dietro questa decisione c’è evidentemente la paura di confrontarsi e scoprire che gli elettori del Pd sono contrari al sostegno al governo Lombardo – prosegue Burtone che arriva a parlare di “pulizia etnica” verso chi non è allineato […] il circolo di Caltagirone incassa la totale solidarietà degli altri partiti all’opposizione di Lombardo; I circoli di Idv, Psi e Sel Caltagirone, in un comunicato congiunto, bollano come “atto liberticida” il commissariamento (Caltagirone, PD commissariato: partito allo sbando – la Periferica – Mensile di informazione a Catania).

Che ascoltare l’opinione degli elettori sia un obbligo politico morale è indubbio, mentre è dubbia la procedura che si è seguita (il cosiddetto “stare alle regole” che ci si è dati – lo Statuo è stato o no votato nei circoli? e se sì, è stato preso in esame con buonsenso anche l’art. 28?). Inoltre pare eccessivo parlare di atto liberticida o di pulizia etnica per chi non è allineato, sebbene sia vero che chi dissente nel Partito Democratico non ha vita facile, vedasi Civati e co. In ogni caso, il circolo guidato da Cardiel ha l’indubbio merito di aver rimesso al centro la questione della partecipazione. Fattore che inizialmente doveva essere distintivo del PD e che ora diventa sempre più spesso opzionale.

Fronte Acqua Pubblica, IDV va da sola al referendum

Il Fronte dell’Acqua Pubblica si spacca sul referendum. Italia dei Valori corre da sola con il proprio quesito referendario. La rottura con il Fronte dell’acuqa pubblica si è consumata negli ultimi giorni, a fronte però di un semestre di ambiguità da parte di IDV.
Nei giorni seguenti l’approvazione del decreto Ronchi, sia Di Pietro che Bonelli (Verdi), che Rosario Trefiletti (Federconsumatori), annunciano referendum. Viene creato il Forum Italiano dei movimenti per l’acqua pubblica, il quale indice chiama a raccolta tutti i soggetti interessati a presentare e ad appoggiare il refrendum anti-decreto Ronchi. Risposta affermativa dei Verdi e di Ferderconsumatori, ma IDv comincia la sua tacchica di attesa. Leoluca Orlando frena e IDV ritarda a dare risposta. A sorpresa, IDV, presenta un quesito referendario proprio, in data 19 dicembre 2009, senza coinvolgere i movimenti. Orlando rassicura, IDV non vuol cavalcare il tema dell’acqua pubblica, non ci sono fughe in avanti.
Il 9 Gennaio scorso, il Forum decide per tre quesiti con i seguenti criteri:

  • distinzione fra comitato promotore (reti associative) e comitato di sostegno (partiti);
  • inizio raccolta firme dopo le elezioni regionali.

Leoluca Orlando, a questo punto della storia, sostiene il metodo deciso a Napoli e afferma che IDV congelerà il proprio quesito. Seguono altre due riunioni del Forum nazionale, del 26 e del 30 Gennaio, in cui IDV non smentisce l’impianto dei tre questiti referendari fin qui proprosto. La svolta avviene con il Congresso IDV del 5-6 Febbraio: Paolo Brutti contatta i responsabili del Forum (Corrado Oddi, Vittorio Lovera, Paolo Carsetti e Marco Bersani) per informarli che esiste un problema riguardo i quesiti referendari. “IDV vuole stare a pieno titolo nel Comitato promotore. Dice anche che chi ha partecipato alle riunioni – Leoluca Orlando – ha negato di aver dato il consenso alle proposte del Forum italiano dei movimenti per l’acqua” (Tutto quello che avreste voluto sapere su il referendum e l’IdV e non avete mai osato chiedere). Si consuma una prima rottura fra IDV e il Forum Acqua Pubblica. Rottura che diventa concreta il 12 Marzo, quando il Forum incontra IDV nelle persone di Luigi De Magistris, Paolo Brutti e Antonio Di Pietro: Di Pietro non accetta la distinzione fra reti associative e forze politiche proposta dal Comitato promotore. E’ questo il problema fondamentale per lui. Non si tratta di rilievi a carico dei quesiti refrendari, ma del posto che IDv dovrebbe occupare all’interno del Comitato promotore. Di Pietro vuole il referendum per sé. Poi è il silenzio elettorale a posticipare la resa dei conti, che avviene fra una puntata di ‘Porta a Porta’ e una lettera dai toni glaciali, dice Il Manifesto:

  • 29 marzo 2010 : Antonio Di Pietro a “Porta a porta” annuncia intenzione di depositare quesiti referendari entro metà aprile e di iniziare la raccolta di firme il 1 maggio.
  • 31 marzo 2010 : il Comitato promotore deposita i tre quesiti referendari, lancia la campagna con conferenza stampa, stabilisce l’avvio della campagna raccolta firme per il 24 aprile e chiede incontro formale all’IDV.
  • Inizio aprile 2010 : proseguono tutti i contatti possibili con Leoluca Orlando (irreperibile), Luigi De Magistris e Paolo Brutti per tentare di scongiurare l’iniziativa autonoma dell’IdV. Il Forum italiano dei movimenti per l’acqua attua una incisiva email-bombing su tutti i parlamentari e gli eurodeputati dell’IdV. Nessuna risposta alla richiesta di incontro.
  • 7 aprile 2010 : Escono prese di posizione di Luigi De Magistris e di Sonia Alfano affinché si arrivi ad un accordo unitario. Dentro i comitati territoriali si registra l’imbarazzo degli attivisti dell’IdV che, totalmente all’oscuro delle decisioni maturate ai vertici del partito, non capiscono perché l’IdV voglia procedere in questo modo.
  • 7 aprile 2010 : Di Pietro scrive al Forum italiano dei movimenti per l’acqua, annunciando il deposito del suo quesito e producendosi in una serie logica di passaggi del tipo: vado da solo perché non mi avete voluto, anzi, vado da solo perché non sono d’accordo con voi, anzi vado da solo perché i vostri quesiti sono giuridicamente sbagliati, ma comunque sono con voi (che non mi volete, che scrivete quesiti che non condivido, che scrivete quesiti giuridicamente sbagliati) e raccoglierò le firme anche per voi. Saremo noi e voi separati ma insieme, quanto ad incontrarvi non ho nessuna intenzione di farlo (Tutto quello che avreste voluto sapere su il referendum e l’IdV e non avete mai osato chiedere).

Per Paolo Ferrero (Rifondazione) si tratta di un vero e proprio scippo. Increduli i Verdi. De Magistris e Sonia Alfano manifestano una posizione di dissenso verso il proprio Presidente attraverso una dichiarazione pubblica.

È il senatore Paolo Brutti, responsabile ambiente dell’Italia dei Valori, a spiegare qual è il vero senso dell’iniziativa referendaria proposta da Di Pietro: «È vero, la nostra proposta è vicina a quella del Pd – racconta – perché per noi è prioritario respingere il decreto Ronchi». Ovvero l’obiettivo sembra essere più la politica anti Berlusconi che l’acqua pubblica. «Vogliamo riportare lo stato delle cose a prima del decreto Ronchi, lasciando scegliere i comuni tra le tre forme di gestione, quella pubblica, quella mista e quella privata, come aveva già stabilito il governo Prodi» (IL MANIFESTO).

Insomma, un vero guazzabuglio in cui IDV ne esce a pezzi. Non è chiaro quale sia l’obiettivo di Di Pietro: avere visibilità politica mettendo il cappello sul refrendum, oppure non scontentare il PD, nel quale comunque prevalgono posizioni di differenziazione rispetto alla politica del Forum Nazionale per l’Acqua Pubblica, ovvero vuole mantenere la distinzione fra acqua come bene comune e gestione del bene comune, che può anche esser affidata ai privati secondo logiche societarie miste, a capitale pubblico e privato. La divisione è nota, e ricalca più o meno quella che si profilò nel governo Prodi nel 2006, quando si attuò una prima liberalizzazione nei servizi di gestione dell’acqua, con l’opposizione dei partiti di sinistra e dei verdi. Pare che Di Pietro voglia muoversi in senso monopolistico sul tema dell’acqua, forse per non far riprender fiato ai moribondi partiti di sinistra, Rifondazione e PdCI in testa, suoi diretti concorrenti nel mercato elettorale.

Per partecipare alla raccolta firme del Forum Nazionale Acqua Pubblica: http://www.acquabenecomune.org/index.php

Questo il manifesto per l’acqua pubblica, pubblicato da Il Manifesto, giornale comunista:

    • Privatizzare l’acqua vuol dire in primo luogo farla costare di più per farla «rendere».
      Questa prospettiva basterebbe da sola per mettere sull’avviso i cittadini, perché si entrerebbe in una logica diversa da quella che regola i beni di tutti: il nuovo possessore potrebbe venderla, cederla a chi può pagare di più
    • La tendenza dell’acqua (e della sua proprietà) scorrerebbe sempre, come l’acqua del fiume, dal piccolo al grande: ad esempio, in un periodo di siccità potrebbe avvenire che l’acqua disponibile non venga più ripartita tra tutti in modo equo, secondo un metodo democratico e civile, ma seguendo altri principi, quelli del potere economico.
    • Nell’intento di guadagnare, il venditore privato dell’acqua tenderà a venderne il più possibile per aumentare il fatturato e i profitti. L’idea del risparmio, di un uso cauto dell’acqua, per evitare gli sprechi eccessivi e non intaccare le scorte dei bacini sotterranei, non alterare lo scorrere dei fiumi lo stato dei laghi, sarebbe del tutto estranea agli investitori che devono rendere conto a soci e fondi d’investimento, al cosiddetto mercato e quindi pensano di avere una ragione fortissima per vendere il massimo quantitativo di acqua disponibile
    • L’opportunità di conoscere con precisione la risorsa idrica (dalle fonti al sistema dei consumi) è essenziale per i cittadini, ma non lo è nello stesso modo e senso dai gestori privati che hanno  tutto l’interesse a tenere per sé alcune informazioni che potrebbero «turbare» il pubblico dei consumatori e diffonderne invece altre che spingano verso consumi innaturali.
    • La conoscenza dei problemi e per contro dei costi e dei benefici orienta in modo assai diverso gli investimenti e le tariffe dell’acqua: le priorità e quindi le spese che il pubblico è disposto o ritiene di dover fare non coincidono con quelle dei padroni dell’acqua.
    • Il meccanismo decisionale che ne scaturisce può quindi essere il risultato di un dibattito democratico con le conseguenti scelte esperte ed equanimi, oppure l’esito di un confronto tra i soci la cui priorità non è il bene comune ma il profitto aziendale, la soddisfazione dei soci e un dividendo più solido: ragioni forti ma che non hanno niente a che fare con la sete delle persone e la necessità di non sprecare l’acqua, il bene più prezioso che abbiamo.

L’Irlanda dice sì alla UE zoppa. Ma il Parlamento europeo resta un mezzo parlamento.

L’Irlanda dice sì ma per gli europeisti c’è poco da gioire. Il Trattato avrà pure i suoi effetti positivi poiché crea la figura del presidente del Consiglio, che è l’organo di rappresentanza dei governi, ma non è un organo elettivo, crea la figura dell’Alto Rappresentante per la Politica Estera, che già esiste, ma ora siederà in Consiglio con altri poteri, limita il ricorso al voto per unanimità, aggancia nel processo legislativo i parlamenti nazionali, i quali verificano il rispetto del principio di sussidiarietà.
Il problema fondamentale è che il Parlamento Europeo, l’assemblea elettiva, l’unica espressione diretta del popolo europeo, non possiede l’iniziativa legislativa, che resta nelle mani della Commissione. Inoltre, il ruolo dei parlamenti nazionali risulta ancora limitato.
Insomma, lo Stato sovranazionale che verrà ha un deficit in termini di democrazia. La ripartizione dei poteri verte ancora sul vecchio paradigma della prevalenza del Consiglio – e quindi dei governi nazionali – sul parlamento europeo in virtù di una concezione di modello politico di tipo confederalistico, di intereazione fra le nazioni, che fallisce laddove era l’ambizione iniziale: il superamento del modello stato-nazione e l’affermazione di uno stato federale europeo. Lisbona è una conferma della multigovernance pasticciata che da Maastricht è evoluta fino al Trattato di Nizza e gli allargamenti a Est: una tecnocrazia che difetta in termini di democrazia, lontana com’è dai bisogni dei cittadini.

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    • Il trattato di Lisbona, approvato oggi in Irlanda, è il testo che intende modificare i trattati istitutivi dell’Unione europea e della Comunità europea, adattando i meccanismi di funzionamento della vecchia Ue alle necessità di una unione che oggi conta 27 membri.

    • le principali novità previste dal nuovo trattato

    • PRESIDENTE DEL CONSIGLIO
      Viene creata la figura del Presidente dei 27, con carica di 2 anni e mezzo rinnovabile.

    • ALTO RAPPRESENTANTE POLITICA ESTERA
      Quasi un ministro degli Esteri che sarà anche vicepresidente della Commissione e riunirà in una sola persona il commissario agli esteri e l’Alto rappresentante per la politica estera e di difesa

    • RIPARTIZIONE POTERI
      Il Parlamento europeo esce rafforzato e potrà dire la sua (attraverso il processo di codecisione con il Consiglio) su nuove delicate materie: giustizia, immigrazione, trattati internazionali e bilancio.

    • SISTEMA DI VOTO
      Il potere di veto tra i 27 viene escluso in 45 ambiti di decisione, pur rimanendo in altri settori chiave, come il fisco e la difesa. Le decisioni nel Consiglio verranno prese con un sistema di voto a doppia maggioranza (55% dei Paesi che rappresentano il 65% della popolazione), lo stesso già previsto dalla defunta bozza di Costituzione. Per le resistenze della Polonia, il nuovo metodo entrerà però in vigore in maniera completa solo dal 2017 (dal 2014 in maniera parziale).

    • CITTADINI UE
      Potranno lanciare un’iniziativa legislativa, sempre che siano in grado di raccogliere almeno un milione di firme in diversi Stati membri.

    • PARLAMENTI NAZIONALI
      Fanno la loro comparsa nella mappa istituzionale tramite un meccanismo di verifica del principio di sussidiarietà (cioè per capire se sia più efficace agire con una normativa europea o con una nazionale).

    • MEMBRI DELLA COMMISSIONE
      Non ci sarà più un commissario per Paese, ma un numero pari a due terzi degli Stati membri, che così saranno presenti nell’esecutivo comunitario a rotazione.

    • MEMBRI DEL PARLAMENTO
      Ggli eurodeputati saranno al massimo 751 (l’Italia passa da 78 a 73)

    • PERSONALITÀ GIURIDICA
      Per la prima volta nella sua storia, l’Ue avrà una propria personalità giuridica e potrà quindi firmare i Trattati internazionali

    • CARTA DEI DIRITTI FONDAMENTALI
      Incorporata nel Trattato tramite un articolo, diventerà vincolante per tutti, ma non per Regno Unito e Polonia che hanno chiesto e ottenuto un’esenzione

    • CLAUSOLA DI USCITA
      Lisbona introduce la possibilità per uno Stato membro di uscire dalla Ue, dietro condizioni da negoziare con gli altri Stati

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    • Ha vinto il sì al secondo referendum per il Trattato di Lisbona che si è tenuto ieri in Irlanda. Il 67,1% degli elettori si è pronunciato a favore, 32,9% hanno votato contro. L’affluenza è stata del 58%. E’ lo stesso premier irlandese Brian Cowen ad annunciare il risultato: "Il sì ha vinto. La gente ha parlato, questo è un buon giorno per l’Irlanda e per l’Europa", ha detto. "Insieme all’Europa, siamo migliori e più forti. Il Trattato farà nascere un’Europa più forte e un’Irlanda migliore".

    • Già ieri sera gli exit poll informali diffusi dai partiti politici Fianna Fail e Fine Gael assegnavano la vittoria al sì con il 60%. Il passaggio di voti dal No al Sì è stato del 20,5% rispetto al 2008 quando il trattato fu bocciato una prima volta con il 53% dei voti contrari.

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    • Risultati definitivi attesi per questo pomeriggio
      Dublino, 3 ott. (Ap) – I primi dati elettorali relativi al referendum irlandese danno il "sì" al Trattato di Lisbona largamente in testa: lo hanno reso noto fonti della commissione elettorale poche ore dopo l’inizio dello spoglio dei voti; i risultati definitivi sono attesi per questo pomeriggio. I risultati parziali nelle circoscrizioni di Dublino Centrale e Dublino Nordest – che lo scorso anno avevano respinto il Trattato di Lisbona – danno infatti il sì al 56%. Nella consultazione del 12 giugno del 2008 gli irlandesi (tre milioni di aventi diritto al voto, l’1% degli elettori dell’Ue) avevano infatti respinto il Trattato con il 53% di voti contrari, paralizzandone di fatto l’applicazione: stando alle ultime rilevazioni il "sì" potrebbe oggi contare sul 60% delle preferenze. Nessun dato ufficiale è stato ancora diffuso sull’affluenza alle urne, che dovrebbe però superare quella dello scorso anno, attestatasi al 53%. Mgi

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Europa: il trattato di Lisbona è la morte del sogno federale europeo.

L’allarme è lanciato da alcuni giornalisti nascosti nel web, ma nessuno se ne occupa veramente. Il referendum sul Trattato di Lisbona che verrà sottoposto a referendum nella sola Irlanda il 2 Ottobre – qui da noi i trattati internazionali costituzionalmente non possono essere soggetti a consultazione popolare, e il trattato di Lisbona è già stato ratificato dal nostro parlamento.
Il Trattato di Lisbona non è una costituzione europea. E’ un’operazione al ribasso, che, grazie alla sua illeggibilità, si presta a essere la tomba del federalismo europeo, quel movimento che fu fondato nel 1943 da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi , Eugenio Colorni, grandi pensatori europeisti, che credevano nell’Europa come stato federale, come Europa dei Popoli.
Il Trattato di Lisbona fallisce laddove proprio c’era più bisogno di creare un modello di superstato costruito sul concetto della multigovernance, del principio di sussidiarietà e della partecipazione a più livelli, locale e globale, fornendo così diverse possibilità di inclusione. Il Parlamento Europeo resta vuoto di compenteze, e partecipa all’iter legislativo ma non è il titolare esclusivo del potere legislativo che permane ancora in posse del Consiglio, vale a dire del consesso dei governi nazionali. Questo deficit di democrazia è aggravato dalla mancanza di etica di taluni parlamentari nazionali – gli italiani in primis – i quali accettano la candidatura a Bruxelles solo come prima tappa della carriera politica che poi condurranno nel proprio paese, che diventano parlamentari europei ma cedono subito il proprio scranno per ricoprire cariche politiche nel paese di appartenenza (triste esempio che ci ha fornito la Serracchiani, ora parlamentare europea ma presto candidata alle Regionali in Friuli).

Ecco allora che l’appuntamento referendario del 2 Ottobre in Irlanda resta l’ultima chance per i federalisti europei per bloccare questo mostro politico e far riprendere il processo di integrazione su basi democratiche.

(Gli articoli citati sono di chiara ispirazione euroscettica, laddove invece questo post vuol ribadire la necessità di costruire una comune casa europea, ma non nell’ottica adottata dai governi con il Trattato di Lisbona bensì in una rinnovata prospettiva federalista e democratica).

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    • mentre tutti guardano da quella parte, da quell’altra accade il nostro destino, ma non c’è nessuno a osservare
    • stiamo tutti per diventare cittadini di un enorme Paese che non è l’Italia, governati da gente non direttamente eletta da noi, sotto leggi pensate da misteriosi burocrati a noi sconosciuti, secondo principi sociali, politici ed economici che non abbiamo scelto, e veniamo privati nella sostanza di tutto ciò che conoscevamo come patria, parlamento, nazionalità, autodeterminazione, e molto altro ancora
    • E’ il Trattato di Lisbona, vi sta accadendo sotto al naso, qualcuno vi ha detto nulla?
    • fra poco Montecitorio potrebbe essere un palazzo dove qualche centinaio di burocrati dimenticati si aggirano fingendo di contare ancora qualcosina; fra poco la Costituzione italiana potrebbe essere un poemetto che viene ricordato agli alunni delle scuole come un pezzo di una vecchia storia; fra poco una maggioranza politica che non sa neppure cosa significa la parola calzino potrebbe trovarsi a decidere come noi italiani ci curiamo, se avremo le pensioni, cosa insegneremo a scuola, come invecchieremo, o se dobbiamo entrare in guerra, e così per tutto il resto della nostra vita.
    • Altro che Cavaliere, altro che Brunetta o Emilio Fede.
    • E’ un impianto di regole europee raccolte in un Trattato che non è così come ce lo immagineremmo (un unico testo), ma è formato da migliaia di emendamenti a centinaia di regole già in essere per un totale di 2800 pagine.
    • Se ratificato da tutti gli Stati, esso diventerà di fatto una Costituzione che formerà la struttura per la nascita di un super Stato d’Europa, come gli Stati Uniti d’America, con una Presidenza, con un governo centrale, un Parlamento, un sistema giudiziario.
    • Questo super Stato diventerà più forte e vincolante di qualsiasi odierna nazione europea
    • Tutti noi europei diverremo cittadini di quello Stato e soggetti più alle sue leggi che a quelle dei Parlamenti nazionali, pur mantenendo la cittadinanza presente
    • le leggi fatte da questo super Stato d’Europa saranno vincolanti sulle nostre leggi nazionali, e saranno persino più forti della nostra Costituzione
    • Ma al contrario degli Stati Uniti, tali leggi verranno scritte da burocrati che noi non eleggiamo (es. Commissione Europea), mentre l’attuale Parlamento Europeo, dove risiedono i nostri veri rappresentanti da noi votati, non potrà proporre le leggi, né adottarle o bocciarle da solo.
    • Potrà solo contestarle ma con procedure talmente complesse da renderlo di fatto secondario.
    • Il Trattato di Lisbona infatti offrirà poteri enormi a istituzioni che nessun cittadino elegge direttamente (Consiglio Europeo che sarà la presidenza – Commissione Europea e Consiglio dei Ministri che sarà l’esecutivo – Corte di Giustizia Europea, che sarà il sistema giudiziario), le quali avranno persino la facoltà di far entrare in guerra l’Europa senza il voto dell’ONU.
    • Tutto il cosiddetto Capitolo Sociale del Trattato di Lisbona (lavoro, salute, scioperi, tutele, leggi sociali, impiego…) è miserrimo, con gravi limitazioni e omissioni, mentre sono sanciti con forza i principi del Libero Mercato pro mondo degli affari.
    • Dovete ricordare mentre leggete queste righe, che stiamo parlando di un Trattato che potrebbe molto presto ribaltare la vostra vita come nulla da 60 anni a questa parte: nuovo Stato, nuova cittadinanza, nuove leggi, nuovi indirizzi di vita nella quotidianità anche più banale, sicuramente meno democrazia, e nessuno che ci abbia interpellati. Come sarà questa nuova esistenza?
    • Saremo più liberi o più schiavi degli interessi delle elite di potere?
    • Anche nel Capitolo Giustizia il Trattato pone seri problemi. Ci sarà un organo superpotente, la Corte di Giustizia Europea, che emetterà sentenze vincolanti sui nostri diritti fondamentali e sulle leggi che ci regolano; la Corte sarà superiore in potere alla nostra Cassazione, al nostro Ministero di Giustizia, ma di nuovo sarà condotta da giudici nominati da burocrati che nessuno di noi ha scelto.
    • Un Trattato col potere di ribaltare tutta la nostra vita di comunità di cittadini, viene scritto in modo da essere illeggibile ed è stato già ratificato (manca solo la firma dell’Irlanda, che terrà un referendum il 2 ottobre) dai nostri governi completamente di nascosto da noi, e volutamente di nascosto.
    • una versione simile di questo Trattato (la Costituzione Europea) e con simili scopi fu bocciato da Francia e Olanda nel 2005, proprio perché scandalosamente sbilanciato a favore delle lobby di potere europee e negligente verso i cittadini
    • Scottati da quell’umiliante esperienza, i pochi politici europei che contano (il 90% non ne sa nulla e firma senza capirci nulla) hanno architettato una riedizione di quelle Costituzione bocciata chiamandola Trattato di Lisbona, e la stanno facendo passare in segreto dietro le nostre spalle.
    • Il Trattato di Lisbona contiene anche clausole di valore, che come ogni altra sua regola sarebbero vincolanti su tutti gli Stati, dunque anche su questa arretrata e cialtrona Italia, e limitatamente a ciò per noi non sarebbe un male. Tuttavia, la mole dei cambiamenti cruciali che porterebbe è tale e di tale potenza per la nostra vita di tutti i giorni e per i nostri diritti vitali, da obbligare chi vi scrive a lanciare un allarme: il Trattato di Lisbona va divulgato alle persone d’Europa e da queste giudicato con i referendum.
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    • Ancora una volta i cittadini del Vecchio Continente potrebbero essere salvati dal popolo irlandese. L’apparato politico al soldo dell’Europa delle banche, prosegue i processi di ratifica del trattato di Lisbona nell’assoluta disinformazione mediatica.
    • dieci giorni fa in silenzio è stato riconfermato alla presidenza della commissione europea il portoghese José Manuel Barroso, con l’obiettivo di portare a termine il definitivo sacco d’Europa
    • Per scardinare completamente quel che resta della sovranità delle nazioni europee, ormai mancano all’appello soltanto tre Stati membri: Irlanda, Polonia e Repubblica Ceca. Ed è proprio a Dublino che si gioca la partita fondamentale.
    • La massiccia campagna d’informazione a favore del trattato di Lisbona dava quasi per scontata la “redenzione” dei ribelli irlandesi che un anno fa avevano bocciato con un referendum il monstrum in via d’approvazione in tutti gli Stati membri dell’Ue, senza neanche consultare i cittadini. L’Italia ne è l’esempio più eclatante.
    • gli ultimi sondaggi in Irlanda – pubblicati il 5 settembre – mostravano che a un mese dal secondo referendum sul trattato, il prossimo 2 ottobre, il fronte a favore di Lisbona aveva perso la maggioranza, precipitando di 8 punti dal 54 per cento dello scorso maggio al 46 per cento. Suppergiù quanto avvenuto poche settimane prima del referendum del giugno 2008, quando il popolo irlandese – unico in Europa ad essere consultato – aveva bocciato senza possibilità d’appello il trattato di Lisbona
    • gli eurocrati adottano l’ormai ben nota strategia del silenzio, se non quella della disinformazione
    • In Irlanda le manovre per scongiurare quella che sarebbe la tomba del trattato si susseguono a ritmo vertiginoso, tanto che l’amministratore delegato della Ryan Air, Michael O’Leary, ha annunciato di voler stanziare mezzo milione di euro a favore del “sì”, da impiegare anche in annunci sui velivoli della flotta.
    • Il modello industriale Ryanair si sposa perfettamente con il liberismo sponsorizzato dall’Europa delle banche: competizione e profitti, salari da fame e condizioni di lavoro miserabili.

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