Shutdown della politica

La crisi del governo federale degli Stati Uniti nasconde un lunghissimo braccio di ferro che alcune parti del partito Repubblicano conducono sin dal 2010, anno di approvazione dell’Obamacare, la riforma sanitaria. Il New York Times racconta, in un resoconto a firma di Sheryl Gay Stolberg e Mike McIntire, che immediatamente dopo la conferma del secondo mandato di Barack Obama, un gruppo di attivisti conservatori, capeggiati da Edwin Meese III, politico e avvocato statunitense, 81 anni, si sono riuniti in Washigton per definire la strategia. Obiettivo: fare a pezzi la riforma sanitaria tramite il cosiddetto ‘defunding’, togliere i fondi all’Obamacare. Il mezzo per ottenere questo obiettivo è la minaccia. Che il gruppo di ultra-conservatori ha instillato poco a poco fra le file dei repubblicani più cauti: tagliare il finanziamento per l’intero governo federale.

Questa è l’origine dello shutdown. E’ un’origine pienamente politica. Per molti americani, lo shutdown è venuto fuori dal nulla. Ma diverse interviste con esponenti conservatori mostrano che il confronto che ha determinato la crisi è stata la conseguenza di uno sforzo di lunga durata per annullare la legge, l’Affordable Care Act, sin dal momento della sua approvazione, condotto da una galassia di gruppi conservatori, le cui interconnessioni sono comunemente note. La determinazione con la quale questi gruppi hanno operato va al di là di ciò che definiamo ‘opposizione’. Sebbene l’83% del governo federale sia ancora in opera (‘Where’s sense of crisis in a 17 percent government shutdown?’ @ByronYork) e Wall Street sia più attratta dall’ingresso sul mercato azionario di Twitter, lo scenario è preoccupante più per il metodo impiegato per affossare una legge osteggiata, piuttosto che per le reali conseguenze della crisi finanziaria. Non è la prima volta che negli Stati Uniti avviene uno shutdown (nel nostro ordinamento si parlerebbe di esercizio provvisorio).

Alla testa del gruppo di sabotatori troviamo al solito il Tea Party Patriots, il gruppo denominato Americans for Prosperity and FreedomWorks, il Club of Growth (una organizzazione no-profit); altre associazioni sono più defilate ma lo stesso partecipi dell’iniziativa e sono Generation Opportunity, Young Americans for Liberty e quella di più recente fondazione, Heritage Action. I miliardari fratelli Koch, Charles e David, sono stati profondamente coinvolti con un cospicuo finanziamento. Un gruppo legato ai Koch, Freedom Partners Chamber of Commerce, ha erogato più di 200 milioni di dollari l’anno scorso alle organizzazioni no profit impegnate nella lotta. Sono incluso i 5 milioni di dollari erogati a Opportunity Generation, che ha creato una propaganda, il mese scorso, con una pubblicità internet che mostrava un minaccioso zio Sam raffigurato mentre spuntava tra le gambe di una donna durante un esame ginecologico.

Questo pulviscolo di organizzazioni è riuscito a fare pressione sul Gop moderato e in definitiva a bloccare la macchina statale federale. Può la dialettica politica trasformarsi in una tale battaglia, con massimo dispregio del funzionamento dell’amministrazione pubblica? L’iniziativa politica di Obama è paralizzata. Il conflitto fra i Repubblicani e un partito Democratico non più così convinto della necessità dell’Obamacare, è la più coerente rappresentazione della crisi dei sistemi democratici, del tutto avulsi dalla realtà economica e sociale, divenuti teatro di uno sterile e distruttivo confronto fra lobbies.

Debito USA, Obama ha tre settimane per evitare il default

Il debito USA ha per legge un tetto massimo pari a 14.300 miliardi di dollari. Tetto che ha già superato. E’ ovvio che nessuno lo ha detto a Moody’s, tantomeno a Standard & Poor’s. Il governo USA ogni dannato mese deve finanziarsi rastrellando sul mercato 125 miliardi di dollari emettendo titoli di debito. Il 2 Agosto è la data discriminante: fino a quel giorno, infatti, il Governo ha liquidità sufficiente per rimborsare il debito in scadenza. Dopo il 2 Agosto, bye bye zio Sam. a meno che Obama non riesca nell’impresa di metter d’accordo Repubblicani e Democratici, divisi in congresso sulla scelta di aumentare il tetto massimo di debito. Ma i Repubblicani soffrono il pressing del Tea Party di Sarah Palin, contrari a un aumento della tassazione che si imporrebbe a causa delle extra emissioni di debito e tergiversano su un possibile accordo con i Democratici.

Risultato? Obama ha a disposizione tre scelte:

la prima è che l’amministrazione rinvii alcuni pagamenti. La seconda è che il presidente si appelli a un articolo della Costituzione (14esimo emendamento) per ignorare il Congresso e continuare ad emettere debito oltre il tetto consentito. La terza opzione prevede l’autorizzazione all’amministrazione di considerare alcuni pagamenti in via prioritaria (rassegna.it).

Recentemente il congresso ha bocciato un aumento del tetto del debito per 2.400 miliardi di dollari. Le ragioni dei Repubblicani erano chiare: niente aumento senza un piano di rientro dal deficit, che viaggia intorno all’11% (ah, se fossero in Europa scatterebbero le sanzioni per violazione del Patto di Stabilità…), una percentuale non dissimile da quello di Spagna e Gran Bretagna a fine 2009. Il provvedimento legislativo ha bisogno del voto a maggioranza qualificata dei due terzi. Senza un intervento del Congresso, gli USA vanno incontro al destino della Grecia: dovranno dichiarare lo stato di insolvenza, ovvero il Default finanziario. Una catastrofe, secondo Timothy Geithner, titolare del dipartimento del Tesoro.

Se c’era una certezza al mondo, questa era rappresentata dai Treasure, i titoli di stato federali. Lontano dal diventare spazzatura, poiché le varie agenzie di rating usualmente dormono sul tetto di un vulcano attivo, certamente i Treasure e il dollaro non sono più il faro della finanza mondiale. Un’altra faccia della crisi dell’Impero USA.