Senato, la spada e la riforma

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Quando la narrazione politica è così semplificata al livello della eterna lotta fra bene e male, forse non c’è più niente da fare. Bene e Male sono immediatamente popolari, ci si immedesima. Allora il Bene è chi vuole il cambiamento, perché il passato è da dimenticare e di esso non si può conservare alcunché, nemmeno le forme consolidate delle istituzioni. Si tifa per il successo delle forze del Bene, ed è tutto un fiorir di metafore bellicose: le minoranze – maligne – devono essere stanate, passate per la spada – ma “ogni riferimento al Senato è casuale” – perché il Bene è inarrestabile e non puoi metterti di traverso. Il Bene non può che far bene, non può che far cose giuste, a che serve discuterle e criticarle? Se critichi, tu sei il Male. Vuoi riportare il paese nel caos, tu che ti permetti di commentare.

Rottamare il passato, le vecchie mal funzionanti istituzioni del 1948, è inderogabile: agli oppositori è concesso solo un ultimatum, prima che la tagliola cada come una scure decapitando gli emendamenti. Lui è Uno contro tutti e non molla di un millimetro, stoico, indeformabile come l’acciaio dei cannoni. Sono tutte sceneggiate, quelle degli oppositori. Pavidi, temono di perdere la poltrona, mentre il guerriero delle riforme no, ed è pronto ad andare al martirio delle elezioni anticipate. Non ci faremo mai ricattare da nessuno, dice l’Integerrimo Capo delle riforme, “la nostra determinazione è più forte dei loro giochetti”. Sì, gli oppositori sono quegli esseri meschini, che tramano nell’ombra dei lampioni la sera. Intenti a mettere trappoloni lungo il sentiero della riforma, non fermeranno il passo celere del cambiamento. No, ci rassicura la ministra Boschi: noi andiamo avanti con il sorriso, e ripete che non “cederemo al ricatto”. Stoicamente, come singoli soldatini di ferro.

Peccato che tutta questa risolutezza servirà solo ad abolire il diritto di voto per il Senato. Ma per il Bene (di chi?) si fa questo ed altro.

Dead Senato Walking

“Giorgio Napolitano lo sa.” Secondo Menichini(1) ci sono due parti in gioco, nell’opinione pubblica, e quella che è contraria alla riforma costituzionale governativa del Senato è giocoforza una minoranza. Gente a cui sta sulle palle Renzi. Gente troppo politicizzata da non capire il clima che si respira fuori. Scrive ancora Menichini che l’obbiettivo storico sarebbe quello di “modernizzare le istituzioni”. Stiamo parlando della creazione di una Camera di nominati, non controllati da nessuno se non dai partiti. Incidenza sui costi della politica? I notabili non prenderebbero alcuna diaria, ma i rimborsi, i rimborsi son tutti da verificare ancora. Pagheranno – si immagina – le Regioni.

Giorgio Napolitano avrebbe il polso del paese. Un paese che rimanda ancora l’appuntamento con la crescita economica, che vede un giovane su due disoccupato e il suo sistema produttivo andare in pezzi – e all’estero – poco alla volta, silenziosamente. La riforma del Senato è imprescindibile, secondo la vulgata del turborenzismo. Chi ostacola, ce l’ha con il Capo.

Ma solo in pochi pesano esattamente le parole. Una camera non elettiva riduce lo spazio della rappresentanza, rende ancor meno significative e rilevanti le istante dei cittadini, relegati – esattamente come durante la videocrazia berlusconiana – in una sfera pubblica acclamativa. La Critica è messa alla Ghigliottina. È l’epoca del Terrore renziano? Voi senatori siete tutti morti. E se vi rifiutaste di morire, allora voi senatori e deputati siete tutti morti.

Neanche troppo implicita la minaccia del ricorso al voto anticipato.

(1) http://www.europaquotidiano.it/2014/07/24/cosi-lo-ammazzate-davvero-il-senato/

Riforma Senato | Mineo: “referendum Segni mai più possibile”

Oggi Corradino Mineo è intervenuto al Senato. Nel suo discorso, di critica alla riforma del Senato proposta dal governo con il DdL costituzionale Boschi, è presente un cenno alla questione del cosiddetto referendum manipolativo che un emendamento, approvato dalla 1a Commissione Affari Costituzionali al Senato, renderebbe non più ammissibile. Come scrivevo l’altro giorno, se da un lato già la Consulta ha da alcuni anni adottato l’orientamento di escludere quei quesiti che intervenissero in maniera manipolativa, su singole parole o porzioni di frasi, specie in quei casi in cui l’abrogazione rendesse la norma irrazionale o incompleta, dall’altro i referendum in materia elettorale non possono che essere parziali e manipolativi, dato che la legge elettorale è una legge costituzionalmente necessaria alla corretta formazione degli organi dello Stato.

Così Mineo, stamane, in aula al Senato:

spero si rifletta sulle norme che riguardano i referendum, che al di là delle intenzioni sicuramente buone – conosco e stimo la senatrice Finocchiaro – hanno un sapore amaro. Non sarebbe oggi possibile il referendum Segni da cui è nata – bello o brutta che sia – la Seconda Repubblica, perché quel referendum era manipolativo. L’innalzamento delle firme sembra voler punire un istituto di democrazia diretta, mentre si torna non alla democrazia delegata com’era in Costituzione, ma ad una democrazia delegata in cui i partiti hanno troppo potere (Resoconto stenografico Seduta n. 280 de 17/07/14).

Lo cito qui, anche perché è l’unico ad averne parlato. 

Riforma Senato | Che fine farà il referendum abrogativo elettorale?

Leggo dal Dossier n. 155 allegato dal disegno di legge costituzionale Atto Senato n. 1429 che l’emendamento relativo all’articolo 75 della costituzione, approvato in 1a Commissione Affari Costituzionali al Senato e diventato quindi parte della riforma Boschi, pur apparendo “meramente riproduttivo” della formulazione esistente, in realtà introduce, nella costituzione vigente, parte della giurisprudenza consolidata in diverse pronunce della Corte Costituzionale in sede di esame sull’ammissibilità dei quesiti, forse addirittura forzandola. Vediamo il confronto fra il testo attuale e quello proposto:

Testo vigente:

E’ indetto referendum popolare per deliberare la abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge, quando lo richiedono cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali.

Testo proposto:

E’ indetto referendum popolare per deliberare l’abrogazione, di una legge o di un atto avente valore di legge, oppure di articoli o parti di essi con autonomo valore normativo, quando lo richiedono ottocentomila elettori o cinque Consigli regionali.

L’aggiunta della frase “articoli o parti di essi con autonomo valore normativo”, è elemento ostativo all’approvazione dei cosiddetti quesiti referendari “per ritaglio”, ovvero quei quesiti che non abrogano in toto un articolo o una legge ma si limitano a proporre l’emendamento di singole parti di frasi, cambiandone . Per intenderci, il referendum come quello sulla legge elettorale del 1993, o quelli in tema di commercio e di televisione del 1995, o quello sull’aborto del 1981, o ancora quello in materia ambientale del 1993, non sarebbe più possibile. Va da sé che la tecnica cosiddetta manipolativa è stata cassata più volte nel giudizio di ammissibilità (es. 2011), proprio per il rischio della creazione di norme che, non solo siano non autonome, ma persino in contrasto con lo spirito della legge originaria approvata dal Parlamento (abrogare la parola “non” dovrebbe capovolgere il senso di un testo normativo). Così spiegano i tecnici del Senato:

potrebbe ritenersi che la nuova formulazione possa innovare anche alla costituzione vivente, nel circoscrivere l’ammissibilità del quesito referendario che non abbia per oggetto un’intera legge, ma articoli o anche loro parti. La condizione neointrodotta per cui questi devono avere “autonomo valore normativo”, tenderebbe ad escludere la figura del referendum c.d “per ritaglio”, quando non sia riscontrabile “autonomo valore normativo” di ciascun singolo “ritaglio”, pur emergendo il valore normativo del ritaglio nel suo insieme. Il referendum parziale, in altre parole, potrebbe ritenersi non ammissibile se ciascuna parte di cui si propone l’abrogazione non abbia “autonomo valore normativo”, cioè esprima di per sé un precetto (di cui si chiede, appunto, l’abrogazione).

Non si avrebbe invece tale effetto, qualora si ritenesse che l’autonomo valore normativo possa risultare dagli “articoli o parti di essi” nel loro insieme (Dossier n. 155).

Notoriamente la materia è spinosa ed oggetto di contrasto fra giuristi. Se nel tempo il modello del ritaglio è stato censurato, resta il fatto che il referendum abrogativo parziale è pur sempre di per sé manipolativo:

 il quesito viene formulato allo scopo di imprimere all’esistente testo legislativo – attraverso più o meno ardite operazioni di ritaglio di singole parole – un significato diverso, eliminando certi significati ovvero riducendone la portata o addirittura ribaltando il significato della norma ricavabile dal testo. Questa operazione di ritaglio è effettuata avendo presente un certo obiettivo, leggendo il testo da abrogare alla luce di esso e “piegando” il risultato dell’abrogazione rispetto a quell’obiettivo (Di Toritto, www.ideazione.com).

Vista la contemporanea inammissibilità di referendum abrogativi secchi, il referendum di una legge elettorale non può che essere parziale e non può che intervenire per emendare singole parole o frasi che non possono avere – da sole – “autonomo valore normativo”. Ecco perché credo che la norma, come è stata scritta, ecceda i paletti definiti dalla Consulta in materia di referendum abrogativi e renda, di fatto, impossibile un quesito in materia elettorale.

E’ curioso che, nel loro insieme, tutti questi piccoli cambiamenti dell’articolo 75 contengono la medesima ratio, ovvero tendono a depotenziare lo strumento referendario sino a spingersi a castrare le formule innovative che nel tempo la medesima Corte Costituzionale ha ammesso. Lo spazio della democrazia diretta, anziché ampliarsi, viene irrimediabilmente ridotto. Possiamo accettare tutto questo?

Dodici milioni

In breve:

dodici milioni di elettori hanno votato per la vittoria del Brasile. Chi ha segnato l’autogol è un inutile perditempo passatista. Deve essere subito rimosso.

 

C’è sempre un piano B

C’è sempre un piano B

E’ super segreto, tanto che ne parla pure Repubblica. Ma Renzi avrebbe in tasca, ah no – nel cassetto, la soluzione all’impasse creatasi sulla riforma del Senato dopo le dichiarazioni di Berlusconi di qualche giorno fa. Quindi, riassumendo: stavate dicendo che una riforma elettorale, ancorché pasticciata, poteva essere approvata solo e soltanto dopo la riforma del Senato, ovvero la sua cancellazione, ovvero la sua trasformazione in Assemblea dei sindaci, o in Senato delle autonomie, rigorosamente non elettivo ma avente funzioni di camera di controllo sia sull’iter legislativo ordinario che su quello costituzionale, pieno zeppo di nominati (dalle Regioni; dal Presidente della Repubblica), spacciando tutto ciò come doveroso ammodernamento – in nessun sistema parlamentare moderno vige un bicameralismo paritario come il nostro –  e ora, dopo aver tentato di minacciare elezioni anticipate, o di proseguire per proprio conto (e con che numeri?) con la riforma Italicum, dinanzi ai presunti alleati (che non sono) pronti a defilarsi man mano che si avvicinano le elezioni europee, ecco spuntare l’alternativa: un piano B, che sta a significare, sì stavo per fallire e dal momento che ho promesso di ritirarmi se dovesse succedere tale evenienza, allora estendiamo l’applicabilità della nuova legge elettorale (e tutto il pacchetto di distorsioni della rappresentanza che contiene) al Senato. Bella idea: ricordo che il testo originario già conteneva tale proposito e un emendamento a firma D’Attorre l’aveva proditoriamente cancellato, aprendo la strada per l’aggancio della modifica della legge elettorale alla riforma del bicameralismo paritario. Tutto questo perché il 2018 non può essere anticipato. Questione di credibilità. O presunta tale.

[Ecco, sarà colpa dei gufi]