Il discorso di Walter Tocci sulla Riforma dell’articolo 138 della Costituzione

Questo ha detto Walter Tocci, stamane al Senato. Un discorso condivisibile, che mette l’accento non su generici allarmi di ‘attacco alla Carta Costituzionale’ ma al contrario mette in discussione tutto l’impianto argomentativo che ha indotto il governo a procedere con una riforma dell’articolo 138. Per Tocci, “si ricorre all’ingegneria istituzionale per obbligare il politico a fare ciò che non gli riesce spontaneamente”, ergo la modifica istituzionale è un paravento che nasconde la reale intenzione di non far niente.

Su questo blog ho avuto parole di critica verso gli allarmisti, verso i professionisti dell’indignazione. Il progetto di legge costituzionale n. 813 è pura scena. Istituisce un comitato fatto di parlamentari (una ‘bicamerale’ a tutti gli effetti) che dovrà preparare dei pacchetti di riforme istituzionali non meglio precisate entro diciotto mesi da quando lo stesso entrerà in funzione. Tutte le riforme istituzionali che il Comitato riuscirà a produrre (quale è il minimo sindacale? Due? Tre riforme?) attraverseranno il Parlamento ad una velocità sinora sconosciuta (1 mese di intervallo fra le due votazioni nello stesso testo) e però dovranno passare il vaglio del referendum popolare anche se validate dal voto dei due terzi. Ebbene, mai queste leggi avranno il voto dei due terzi; mai potranno passare lo scoglio del referendum in una situazione politica così precaria e frammentata (il governo delle larghe intese non sopravviverà a lungo, soprattutto dopo l’accelerazione della deriva giudiziaria per Berlusconi). Questo progetto di legge non è osceno perché sbagliato; è osceno poiché politicamente insostenibile e senza futuro. E’ osceno poiché reca in sé la pretesa di essere rappresentanza di una volontà popolare ma è invece frutto dell’opera di partiti sostenuti da meno della metà del corpo elettorale. 

Leggete bene questo eccezionale discorso.

Vorrei ribaltare un famoso incipit dicendo che tutto, fuorché la cortesia, mi porta contro questa proposta di legge. Il mio dissenso comincia dal titolo, si alimenta dal testo e diventa totale sull’idea stessa di toccare la Costituzione.

Per rispetto del mio partito non voterò contro, ma, nel rispetto dell’articolo 67, non posso votare a favore. D’altronde, c’è già troppo unanimismo: si propagano luoghi comuni che sembrano veri solo perché ripetuti con sicumera dall’inizio, trent’anni fa. Il mondo è cambiato, ma l’agenda è rimasta sempre la stessa.

L’entusiasmo iniziale delle bicamerali si è tramutato in una vera ossessione a modificare le istituzioni, una malattia solo italiana, che non trova paragoni in nessun altro Paese occidentale. È difficile credere che la nostra Carta costituzionale sia tanto più difettosa delle altre da meritare questo accanimento terapeutico. È più probabile che il malanno dipenda dagli improbabili costituenti.

Siamo chiamati a dichiarare che la revisione della Costituzione è oggi una suprema esigenza nazionale. Mi chiedo perché, per che cosa e in nome di chi.

La domanda sul perché riguarda la decisione. Si ricorre all’ingegneria istituzionale per obbligare il politico a fare ciò che non gli riesce spontaneamente, ma questo cadornismo applicato all’ordinamento è sempre fallito: il bipolarismo doveva eliminare la corruzione; il federalismo doveva promuovere lo sviluppo locale; il maggioritario doveva garantire la stabilità. Per dirla con don Abbondio, chi non ha la volontà politica, non se la può dare con gli artifici istituzionali.

Eppure questa illusione è dura a morire. Ha sostenuto strategie politiche, ha animato i talk show, ha creato perfino il nuovo ordine professionale degli ingegneri istituzionali, costituito dai parlamentari esperti del tema – ai quali va comunque la mia stima personale – dai giuristi, che ne hanno fatto una carriera accademica, e dagli editorialisti, che ne hanno fatto una fortuna mediatica.

L’ordine degli ingegneri si pone solo domande tecniche, ma il dato saliente del trentennio è la crisi dei partiti. La causa politica dell’ingovernabilità è stata trasferita in capo alle istituzioni. Se non si decide, non è colpa mia, ma dello Stato che non funziona: questo è il motto del politico, a tutti i livelli. Lo sviamento, però, non è stato innocuo: è servito come alibi alla politica per non affrontare i suoi problemi, che si sono di molto aggravati. Le istituzioni sono state stravolte per finalità di parte, invece di essere curate nella loro essenza.

La promessa era di riformare lo Stato per migliorare i partiti, ma sono peggiorati entrambi; mai erano giunti tanto in basso nella stima dei cittadini.

È tempo di fare sobriamente la nostra parte, lasciando in pace le istituzioni. L’unica riforma veramente necessaria è cambiare i nostri partiti per renderli adeguati al compito di governo del Paese.

La domanda sul che cosa si è ridotta ad un mantra: il mondo cambia e bisogna decidere in fretta. Ma in quest’Aula sappiamo bene che le leggi più brutte sono proprio quelle più frettolose: il “porcellum” fu approvato in poche settimane; le leggi ad personam di gran carriera; diversi decreti di Monti, approvati con lo squillar di trombe, sono oggi smontati dal Governo Letta. Il decisionismo senza idee ha prodotto un’alluvione normativa che soffoca l’economia e la vita quotidiana dei cittadini.

Aveva ragione Luigi Einaudi a fare l’elogio della lentezza parlamentare come antidoto all’ipertrofia normativa. Non è la velocità ma la qualità che manca al procedimento legislativo.

La causa è nello strapotere dei governi che da tanti anni propongono solo leggi omnibus, con centinaia di commi disorganici, improvvisati, spesso modificati prima di essere applicati. Questa peste normativa distrugge l’amministrazione dello Stato, crea i contenziosi, le interpretazioni fantasiose e la paralisi attuativa. Bisognerebbe restituire al Parlamento la piena sovranità legislativa, ma questa autoriforma dovremmo farla noi, cari colleghi, senza delegarla all’ordine professionale degli ingegneri istituzionali, dovremmo attuarla con l’orgoglio di parlamentari: poche leggi l’anno, in forma di codici unitari, delegando funzioni al Governo e aumentando i poteri di controllo. Stabilire che non si legiferi senza prima valutare i risultati delle leggi precedenti. Dare alle Commissioni parlamentari poteri di inchiesta: un dirigente di Finmeccanica deve temere un’audizione come un manageramericano quando va in Senato.

Alla terza domanda (in nome di chi?) si risponde: nell’interesse nazionale. Eppure, ogni volta che abbiamo modificato la Costituzione ce ne siamo dovuti pentire: il Titolo V ha creato conflitti permanenti tra Stato e Regioni; dopo lo ius sanguinis del voto all’estero oggi si passa ad invocare lo ius soli per i figli degli immigrati; prima si blocca il pareggio di bilancio e poi si esulta per la deroga concessa dall’Europa.

D’altro canto, basta leggere il testo per notare la differenza. La bella lingua italiana, con le parole semplici e intense dei Padri costituenti, viene improvvisamente interrotta da un lessico nevrotico e tecnicistico, scandito dai rinvii a commi, come un regolamento di condominio. Sono queste le parti aggiunte da noi.

Fortunatamente i cittadini hanno evitato i guai peggiori bocciando la legge costituzionale ideata dagli stessi autori del “porcellum”. L’unico baluardo è venuto dai presidenti di garanzia come Scalfaro, Ciampi e Napolitano. Mi sconcerta la leggerezza con la quale si ritiene possibile demolire questo ultimo bastione. In Italia la personalizzazione si è sempre presentata come patologia e non come responsabilità delle leadership. Non scherziamo col fuoco: il presidenzialismo non sarebbe un emendamento, ma un’altra Costituzione.

Dovremmo avere un senso del limite. I nostri partiti rappresentano oggi a malapena la metà del corpo elettorale, l’altra metà ha manifestato in tutti i modi il disagio e la sfiducia. Noi non siamo quindi in grado, in questo momento, di rappresentare l’unità nazionale. Non è saggio usare la revisione costituzionale per santificare un Governo privo del mandato elettorale. Questo è il vulnus che segna la modifica del 138. Il procedimento lega la sorte del Governo ai tempi e ai modi della revisione costituzionale. Porre un vincolo di maggioranza come inizio e come fine nella della riforma è una forzatura politico-costituzionale senza precedenti in Italia e in Europa. I Governi passano, le Costituzioni rimangono, non dimentichiamolo.

Dovremmo prendere atto che la nostra generazione non è capace di fare queste riforme, che possa farlo oggi al minimo storico del consenso elettorale è un ardimento senza responsabilità, è una dismisura contro lo spirito costituzionale. Lasciamo alle generazioni successive il compito di rielaborare l’eredità ricevuta dai Padri costituenti. Non tutte le generazioni hanno l’autorevolezza per cambiare la Costituzione.

Dovremmo prenderne atto con umiltà, con l’umiltà di cui parla Papa Francesco, che dovrebbe sempre accompagnare l’esercizio del potere. La nostra umiltà è il migliore contributo che possiamo portare oggi alla Carta costituzionale. (Applausi dai Gruppi PD, M5S e Misto-SEL e della senatrice De Pin).

OCSE chiede di riformare la legge sulla Prescrizione

A leggere il report OECD sulla situazione economica dell’Italia, specie le pagine che contengono le conclusioni dell’organismo internazionale, ci si stropiccia gli occhi in quanto ci si aspetterebbe ben altro che un invito – inequivocabile – a spingere sulle riforme anticicliche e pro-crescita. E invece, le due pagine di raccomandazioni sembrano un vero e proprio programma di governo: un programma al cui cospetto i discorsi del governo Letta paiono essere più una lista disordinata di (buoni) propositi che mai vedranno la luce.

Dico questo anche un po’ provocatoriamente, ma saprete meglio di me che una delle principali obiezioni sollevate durante la stagione economicamente depressiva del governo Monti rispetto a politiche anticicliche era che i vincoli europei sul bilancio pubblico non potevano essere violati. In realtà non era affatto vietato che il governo prendesse provvedimenti volti ad una generale deregulation, specie nel settore delle professioni. Ma voi saprete che la nostra rivoluzione liberale si è dimostrata una bolla di sapone e la parte politica che storicamente se ne è fatta carico, è stata presto infiltrata da lobbisti e dai piccoli feudatari delle rendite di posizione. Quindi, la nostra interpretazione del dettato europeo è stato: maggiore tassazione erga omnes, conseguente compressione salariale, riduzione dei consumi, riduzione degli ordinativi, riduzione delle produzioni industriali e così via in una spirale negativa che ci ha fatto perdere quasi il 3% di Pil lo scorso anno e – stando alle previsioni OECD aggiornate – il 1.5% nel corso del 2013.

L’OECD ha suddiviso le raccomandazioni in tre parti: la prima dedicata alla politica fiscale e finanziaria; la seconda circa il mondo della produzione della regolamentazione del mercato del lavoro e altre politiche strutturali; la terza e ultima relativa alla riforma della Pubblica amministrazione e della giustizia civile. E’ da leggere la parte relativa al mercato del lavoro, in cui l’organizzazione internazionale suggerisce al governo di rovesciare l’impostazione attuale, che vede garantiti i lavoratori che un lavoro ce l’hanno, mediante le varie forme della cassa integrazione, estendendo una sorta di assicurazione sociale a tutti, compresi disoccupati e quelli che un lavoro non lo cercano più. In materia di controllo della spesa pubblica, l’OECD chiede di proseguire la strada intrapresa con la spending review, stabilendo per la selezione delle politiche di spesa un criterio basato sulla priorità dell’intervento.

E’ molto interessante il capoverso sulla Giustizia. Sarei curioso di sapere cosa ne pensa la dolce metà della maggioranza PD-Pdl poiché in esso si cita la necessità di prevenire e risolvere i conflitti di interesse. Inoltre, per l’OECD il ricorso ai decreti lege andrebbe limitato e il governo dovrebbe legiferare per mezzo di codici o di testi unici. Ma soprattutto colpisce l’ultimo punto, il numero tre, laddove viene prescritto di rivedere la legge sulla ‘Prescrizione’ dei processi, che andrebbe rivista onde evitare ‘manovre dilatorie’, permettendo lo svolgimento sia del processo che dell’appello nei limiti delle prescrizione medesima. Qualcosa di indigesto per i peones di Berlusconi e pertanto non verrà mai raccontato sui giornali.

Quello che segue è il testo delle pagine 13 e 14 del documento pubblicato a questo link: http://www.keepeek.com/Digital-Asset-Management/oecd/economics/oecd-economic-surveys-italy-2013_eco_surveys-ita-2013-en

In corsivo i miei commenti e le parti che, a mio avviso, sono degne di essere confrontate con le dichiarazioni alle Camere (decisamente soft) del presidente del Consiglio Enrico Letta.

La politica fiscale e finanziaria.

  1. Proseguire gli sforzi per arrestare e invertire la tendenza al rialzo del rapporto debito-PIL. Ciò potrebbe essere realizzato sia con un bilancio in pareggio o con un piccolo surplus fiscale, sostenuto da una forte implementazione di riforme strutturali che agiscano sulla crescita.
  2. Mettere a fuoco il consolidamento di bilancio sul controllo della spesa [spending review], con un processo di revisione della politica della selezione delle priorità, una delle quali è un regime di assicurazione contro la disoccupazione ancor più completo, già legiferato [salario minimo?].
  3. Se le condizioni macroeconomiche si deteriorano, ancora una volta, consentire agli stabilizzatori automatici di funzionare [doppio aumento IVA]
  4. Creare il cosiddetto Consiglio fiscale appena legiferato, dandogli piena indipendenza, personale altamente qualificato, garanzia di accesso ai dati, un bilancio adeguato e la libertà di investigare come ritiene necessario.
  5. Incoraggiare le banche ad aumentare ulteriormente le disposizioni contro le perdite, e continuano a sollecitarle nel soddisfare le loro esigenze di capitale con ricapitalizzazioni o vendita di attività non-core. Incoraggiare la concorrenza nel settore finanziario.

La produzione e la regolamentazione del mercato del lavoro; altre politiche strutturali.
Proeguire le riforme del 2012:

  1. Completare l’attuazione delle riforme chiave, assicurando che la regolazione del settore Trasporti venga istituita rapidamente e che l’Autorità garante della concorrenza utilizzi i suoi nuovi poteri attivamente.

Estendere le riforme:

  1. Rimuovere normative restanti che limitano la capacità nei servizi di vendita al dettaglio e professionali; riconsiderare alcuni passi indietro, in particolare quelli che hanno limitato l’espansione della concorrenza tra avvocati.
  2. Promuovere un mercato del lavoro più inclusivo, migliorare l’occupabilità, con un maggiore sostegno per la ricerca di lavoro e della formazione, collegato con una più ampia rete di sicurezza sociale, anziché salvaguardare posti di lavoro esistenti.
  3. Promuovere l’ampliamento dell’attuale accordo tra le parti sociali in modo da allineare meglio i salari rispetto alla produttività, per contribuire a ripristinare la competitività.
  4. Ampliare la base imponibile [lotta all’evasione] riducendo l’imposizione fiscale completa, consentendo riduzioni di aliquote fiscali marginali sul lavoro, in particolare sulla seconda fonte di reddito.

Pubblica amministrazione e della giustizia civile
Segui attraverso le riforme 2012:

  1. Incoraggiare l’uso delle disposizioni di trasparenza della riforma della pubblica amministrazione e la legge anti-corruzione, agendo con decisione sulle inefficienze, sui conflitti di interesse o la corruzione.
  2. Completare la riorganizzazione territoriale dei tribunali, ottimizzando i processi giudiziari, migliorando l’uso delle tecnologie dell’informazione e allargando gli incentivi per un maggiore utilizzo di meccanismi di risoluzione alternativa delle controversie. Continuare razionalizzazione del governo sub-nazionale [abolizione delle province].

Estendere le riforme.

  1. Limitare l’uso di decreti legge, lavorare per codici (“Testo Unico”) della legislazione, garantire la valutazione dell’impatto effettivo di leggi e regolamenti, e aumentare l’uso di clausole transitorie.
  2. Costruire intorno alle disposizioni di legge anti-corruzione sviluppando a tutti gli effetti una Legge sulla libera Informazione [nel testo ‘freedom of information act‘].
  3. Rivedere la legge sulle limitazioni (“prescrizione”) nei procedimenti per crimini di corruzione per ridurre gli incentivi a manovre dilatorie, come includere lo svolgimento del processo in primo grado e d’appello nei termini della prescrizione.

Il Grande Papocchio non è un inciucio, è un accordo. Che però nessuno conosce


Insomma, l’incontro fra Violante, Zanda e Bressa da una parte e Quagliarello, (udite, udite) La Russa e tale Bruno Donato dall’altra, sembra aver avuto l’effetto sperato per il PD. Pazienza se non si è capito affatto in nome di chi e sulla base di quale proposta politica i tre delegati democratici stessero trattando, pazienza se la proposta politica del PD in fatto di legge elettorale si è modificata nel tempo, passando da un ritorno al Mattarellum sostenuto coi denti stetti durante il periodo referendario a una proposta di maggioritario a turno unico con correzione proporzionale di difficile comprensione. Alla fine, dicono le cronache, la sintesi con la proposta del PdL è compiuta: un coacervo di sistemi elettorali che qualcuno stamane – forse sul moribondo Manifesto – ha ribattezzato Italiesco, un format tedesco in salsa italiana, una porcata meno evidente della precedente, ma pur sempre porcata.
Quindi? Una vittoria per il PD? Violante avrebbe detto che il risultato dell’incontro è andato “oltre le più rosee aspettative”. Il che vuol dire: si aspettavano di raccogliere zero, hanno raccolto uno. Tutto questo incessante trattare con l’ex nemico è stato poi riassunto in un comunicato che dice più o meno nulla, ovvero “siamo d’accordo sul fatto di fare le riforme istituzionali” – bicameralismo, numero dei parlamentari, ridefinizione dei poteri del governo, riforma dei regolamenti parlamentari, roba grossa che questo Parlamento non farà mai in tempo a votare, visto che sono necessarie riforme di portata costituzionale e il clima del pacifismo pro-Monti non può durare troppo, causa campagna elettorale imminente. Ergo, è necessario stabilizzare la Casta con un ritocco alla fase di ingresso: una sforbiciata all’indecente premio di maggioranza, una alzatina alla soglia di sbarramento, per far tremare gli alleati riottosi – leggasi Di Pietro e Lega ed ex alleati come FLI – e per tener lontani vecchi e nuovi guastafeste come i reduci di Rifondazione e i nuovi del M5S (ma questo ce lo siamo già detti – la lista degli indesiderabili l’ha compilata lo stesso Berlusconi) in barba a qualsiasi criterio di rappresentanza.
E le preferenze? Troppo costose, sentenzia Violante. La soluzione un finto maggioritario a turno unico, il che vuol dire che ogni collegio, magari ridotto al solo territorio provinciale, potrà scegliere fra tre/quattro nomi, rigorosamente imposti dai partiti. Tutto risolto. Con buona pace dei referendari, quelli veri, quelli che avevano a cuore la democrazia italiana e il buon funzionamento del parlamento. Non un cenno sul limite di mandati elettorali, né sulla questione del parlamento pulito. Potremo scegliere fra il meno corrotto, questo è un successo. Alzate i calici.

Legge elettorale, Violante: il milione del referendum? Sono firme, non cittadini

 

Legge elettorale. Si aprono prospettive positive, dice Luciano Violante dalle colonne del Corriere della Sera. La spiegazione di questa affermazione è molto semplice: il PdL si sta convincendo a cedere sulla questione del premio di maggioranza, uno degli aspetti più deleteri del Porcellum. Non c’è da stupirsi che proprio ora il PdL voglia fare a meno del bonus aggiuntivo di seggi: se venisse meno l’alleanza con Bossi, non sarebbe più in grado di vincere le elezioni e rischierebbe di essere confinato in una nicchia dell’opposizione, ridotto a comparsa in un parlamento prossimo venturo diviso sul duopolio PD-Udc. Anzi, sembra proprio che la tendenza sarà quella di una saldatura al centro fra due dei partiti sostenitori di Monti, con isolamento a destra di PdL e Lega divisi, in collera fra di loro e dentro di loro, e con isolamento a sinistra dei vendoliani e di Di Pietro. Eccolo il futuro. Si presenta con il volto mascherato di una nuova/vecchia Democrazia Cristiana.

La prospettiva deve proprio piacere a Violante, al punto da lanciarsi in una previsione: la Lega senza PdL non trarrà alcun beneficio dal Porcellum. Idem il PdL senza Lega non trarrà nessun beneficio dal Porcellum. Se ne deduce che, a meno di successive redenzioni del popolo leghista, essendo impraticabile il vecchio legame dei leghisti con i berlusconiani, i tempi per la revisione del Porcellum sono più che mai maturi. Strano, poiché solo una settimana fa tutto taceva, in attesa del giudizio della Consulta sui quesiti referendari.

E che dire, la formula proposta sarà quella del doppio turno di collegio, come afferma Violante? ” Se si volesse invece il sistema proporzionale”, dice Violante, “bisognerebbe correggerlo con due misure fondamentali” (Corsera, 16.01.12, p. 21). Quali? La soglia di sbarramento al 5% e una norma costituzionale sulla sfiducia costruttiva. Per quei partiti che si trovano sotto la soglia minima del 5% ma che superano il 3%, verrebbe assegnato loro un ‘diritto di tribuna’ pari a tre seggi ciascuno.

E il bipolarismo? E il maggioritario? E soprattutto quel milione e duecentomila firme? “Sono firme, non cittadini”. Firme. Non cittadini.

Superato lo sgomento dinanzi a una frase del genere, apprendiamo che Violante è pure contro al reintegro delle preferenze per adottare un sistema come quello ‘spagnolo’ (che funziona con restrizioni al numero di candidati per collegio – 2, 3 – e con collegi dalle dimensioni molto piccole) oppure con primarie per la scelta del candidato da proporre nel singolo collegio.

Il PdL non vorrebbe che venisse meno l’opportunità per gli elettori di scegliere il candidato premier. Cosa che di fatto non avviene nemmeno ora. Alfano ha le idee confuse dallo stereotipo berlusconiano della elezione diretta del premier. Il Porcellum non prevede esattamente questo. La vulgata dell’indicazione del premier nasce dall’incapacità della classe politica di riformare il sistema istituzionale. Questi politici non hanno mai avuto il coraggio di riformare davvero, e si sono accontentati di una parvenza di riforma come quella che si è prodotta con la modifica della legge elettorale del ’93.

E’ pur chiaro che senza una vera riforma dei regolamenti parlamentari, una qualsivoglia riforma elettorale avrebbe ben pochi effetti sui fenomeni del trasformismo e del micropartitismo. Nemmeno agevolerebbe la governabilità del paese e la stabilità dei governi. Dalle parole di Violante emerge che allo studio ci sarebbero delle modifiche dei regolamenti parlamentari. In particolare, l’ex magistrato del PD prevede:

  1. abolire alcune fasi inutili della fase legislativa, come la discussione generale;
  2. fissare l’obbligo delle Camere di discutere le leggi di iniziativa popolare entro 90 giorni;
  3. diritto del premier di chiedere il voto in una data fissa per taluni provvedimenti del governo;
  4. fissare un range dei senatori fra 200 e 250; dei deputati fra 400 e 450.

Sul Corsera danno per certo l’avvio di una riforma triplice: modifiche dei regolamenti parlamentari; riduzione del numero dei parlamentari; superamento del bicameralismo perfetto. Ancora non si sa come, ma – come sembra dire Gasparri (Corsera, 16.01.12, p. 21, “è un complesso di leggi che vanno fatte”) – queste riforme sono inderogabili. Viene chiaramente da ridere poiché tutto ciò sembrava impossibile fino alla scorsa settimana, e ora viene dato per imminente. Sarà la solita strategia usata più volte in passato affinché non cambi assolutamente nulla.

Inciucio, il vecchio originario vizietto del PD.

Ricorderete tutti questa immagine. Era il 30 Novembre 2007, circa due anni fa. Solo due anni fa.

Allora Berlusconi non era ancora al governo. Forse anche grazie a quella stagione veltroniana della “distensione” lo divenne facilmente a inizio 2008. Così scrivevano all’epoca dell’incontro fra l’allora sindaco di Roma e Mr b:

  • “Non sono d’accordo, non siamo d’accordo.

    Non si può accettare il principio del male minore, nè avallare la teoria dell’inciucio positivo. Non ci sono inciuci positivi e non siamo disponibili ad accettare alcuna deroga. Non siamo disponibili ad accettare di sminuire il valore di uno dei capisaldi della nostra democrazia: la legge è uguale per tutti.

    Ribadiamo il nostro NO a qualunque legge ad personam, senza alcun compromesso: chiunque è accusato di un reato ha il dovere di presentarsi davanti al giudice e di difendersi nel processo, mai dal processo.

    C’è poi un altro nodo da affrontare con chiarezza e tempestività e riguarda le alleanze in vista delle elezioni regionali. Ho già detto che non ho nulla di personale contro l’UDC, ma sono convinto che non potremo vincere se ci presenteremo deboli e confusi, alleati ad un partito che non condivide i nostri valori e le nostre proposte, dal nucleare alle unioni civili al testamento biologico. Anche Casini, d’altra parte, chiede che il PD faccia chiarezza su questi temi scottanti. Quale è la posizione del PD? Vogliamo ricominciare con le ambiguità rispetto al principio dei diritti uguali per tutti?

    La mia posizione è netta:

    • no ad alleanze basate sul tatticismo
    • si ad alleanze sulla base di principi e programmi condivisi per il governo delle regioni
    • no alla conferma di gruppi dirigenti regionali che non abbiano raggiunto risultati positivi
    • si al rinnovamento in regioni come la Campania e la Calabria
    • si alle primarie nelle regioni, come la Puglia, dove ci sono state esperienze di governo positive.

    Questi sono alcuni dei principi che voglio ribadire con chiarezza e che ripeterò con voce forte e chiara in Parlamento e in ogni altra occasione di discussione e di confronto. Per evitare che tanti si allontanino dal PD, come già qualcuno purtroppo ha fatto.

    Facciamoci sentire, facciamo contare le nostre idee, rendiamo forte il PD.”

    IRM

Posted from Diigo. The rest of my favorite links are here.

    Il 23 luglio 2009, sentito dai magistrati di Palermo, ha confermato le dichiarazioni di Massimo Ciancimino circa la proposta di incontrare “in modo riservato, a quattr’occhi” Vito Ciancimino, avanzata da Mario Mori nel settembre del 1992 quando Violante era ancora Presidente della Commissione parlamentare Antimafia. L’incontro avrebbe dovuto inserirsi nell’ambito della “garanzie politiche” richieste da Ciancimino per portare avanti la trattativa fra Cosa Nostra e pezzi delle istituzioni durante la stagione delle stragi del 1992. In passato Violante non aveva mai fatto cenno a tale richiesta.