#AssembleaPd | Prima la borsa

Alla prima in Assemblea Nazionale Pd da segretario, Matteo Renzi non ha sprecato tempo e, messa da parte per ora la rivalità con Enrico Letta, ha puntato tutta la sua ars retorica contro il nemico numero uno alias Beppe Grillo, il Comico. L’operazione in sé contiene una serie di aspetti che definire critici è dir poco. Lo saprete tutti: il sindaco-segretario ha proposto al Comico una sorta di ‘scambio di prigionieri’: Renzi riconsegna i denari dei rimborsi elettorali previsti sui conti del Pd per il 2014 mentre Grillo accetta la proposta di riforma della legge elettorale e istituzionale del Pd. Lanciata in pompa magna sui social con l’hashtag #Beppefirmaqui, facendo il verso a quelli usati dagli influencer a 5 Stelle, la strategia renziana diventa immediatamente l’apertura di tutti i giornali. D’altronde Renzi, dal palco, ha usato parole forti, parole che simulano il lessico del Comico. Se non accetti sei un buffone. Quel ‘buffone’ viene rimbalzato dalle agenzie, dalla comunicazione ufficiale del Pd (tramite gli account twitter di @youdem e @pdnetwork). Chi l’ha ideata avrebbe dovuto però accorgersi di due aspetti.

Il primo, quello più serio. Ancor oggi non è chiaro se la proposta congressuale di Renzi (per la parte in cui si scrive della legge elettorale del sindaco d’Italia e dell’eliminazione del bicameralismo perfetto) sia stata assunta a programma di governo da parte di Letta. Tanto più che, se le due riforme dovessero procedere di pari passo, ci ritroveremmo nell’alveo di una riforma costituzionale ai sensi dell’articolo 138 (che tuttora è vigente nel testo storico). Ma la riforma del bicameralismo ha implicazioni profonde su buona parte del dettato costituzionale in quanto impatta almeno sui Titoli I, II, III e VI della Parte II. Andrebbero riviste e modificate le procedure legislative, di elezione del Capo dello Stato, di controllo di legittimità costituzionale delle leggi, questo a seconda del ruolo che verrà attribuito al Senato. Se sarà, come detto, Senato delle Autonomie (quindi con una composizione fissa a seconda del potere costituitosi localmente nelle Regioni), molto probabilmente non avrà più la caratura democratica per poter eleggere i membri della Corte Costituzionale, per esempio, o piuttosto per poter eleggere il Capo dello Stato. Certamente, il mancato passaggio delle proposte di legge in Senato, renderebbe più facile l’approvazione di norme non congrue con i principi fondamentali: tutto il sistema di controllo e verifica (checks & balances, direbbe un costituzionalista) andrebbe perciò rivisto dando – per esempio – al Presidente della Repubblica maggior potere di filtro attraverso il potere di rinvio alle Camere; o facilitando il ricorso alla Consulta da parte delle Regioni, o quello al referendum da parte dei cittadini. Potete comprendere che quest’opera di revisione costituzionale non potrebbe esser completata in un anno, specie da questo Parlamento, praticamente bloccato al Senato. Spiegatemi la differenza fra quanto proposto da Renzi oggi e la strategia lettiana delle riforme futuribili contenute in quel temuto attacco al 138.

Inoltre non è ben chiara la figura del cosiddetto ‘sindaco d’Italia’: se si tratti cioè del Presidente del Consiglio o del Presidente della Repubblica. Una implicazione non da poco, poiché nel primo caso, si porrebbe in essere uno sbilancio grave fra la figura del Presidente del Consiglio (nel nostro ordinamento, un primus inter pares, un primo fra pari – non ha infatti potere di licenziare i ministri), così eletto dal popolo, e quella del Presidente della Repubblica, eletto indirettamente dalle Camere (o da una sola). Andrebbe così rafforzato il potere del Presidente del Consiglio, poiché sarebbe inammissibile che un eletto dal popolo fosse costretto a far nominare i propri ministri da un ‘eletto’ dalle Camere. La figura del Presidente della Repubblica sarebbe viceversa fortemente svilita: e si tratta proprio dell’istituzione che rappresenta l’Unità della Nazione.

Nel secondo caso, ovvero quello in cui si eleggesse direttamente il Presidente della Repubblica, si procederebbe, in maniera sproporzionata solo con una riforma della legge elettorale, a modificare la forma di governo, trasformando di fatto la nostra Repubblica da parlamentare in presidenziale. Sarebbe una riforma con profili di incostituzionalità non di poco conto che dovrebbero, sin da ora, suggerire maggiore riflessività. La nuova legge elettorale potrebbe esser approvata già domattina e dovrebbe consistere nel reviviscenza (con modifiche) della legge Mattarella, la via più breve per il ripristino della legalità costituzionale. Poiché se si dovesse anche solo ipotizzare di riformulare un progetto di legge, di dover riscrivere la mappa dei collegi, allora sono da mettere in conto almeno sei mesi di dibattito in Commissione Affari Costituzionali, con slittamento per l’approvazione finale in aula a Maggio-Giugno 2014, periodo di inizio del Semestre di Presidenza Europea per Enrico Letta. Ergo, le elezioni si potrebbero svolgere solo nella tarda primavera del 2015.

La seconda parte di questa critica è relativa ad aspetti comunicativi. I riflessi di carattere costituzionali della proposta di Renzi sono ben chiari a Beppe Grillo, il quale reagirà al gioco di ‘o la borsa o la vita’ intimando a Renzi ‘prima la borsa’. E la borsa consiste nella restituzione dei rimborsi elettorali percepiti sinora dal Partito Democratico in seguito alle elezioni di Febbraio, una somma intorno ai 25-30 milioni di euro. Al di là della restituzione, che mai avverrà perché a Grillo conviene così (e a Renzi conviene che Grillo non accetti la proposta), gli strateghi del sindaco-segretario avrebbero dovuto ponderare meglio. Mi chiedo che differenza c’è fra questo aut-aut e quello rivolto ad Aprile da Bersani circa la formazione del nuovo governo? Pensateci: Renzi oggi fa il medesimo errore di Bersani ieri. Perché, fra dire ‘o me o il caos’ (Bersani) e dire ‘o i rimborsi o niente legge elettorale’ (Renzi), la via è strettissima.

Appello per la trasparenza del bilancio M5S: #Beppefirmaqui

Ieri Beppe Grillo, con la provocazione rivolta a Bersani di firmare un documento contenente una sorta di rifiuto dei rimborsi elettorali, lanciava l’hashtag #Bersanifirmaqui diventato immediatamente popolare poiché è molto popolare l’argomentazione secondo cui i partiti non debbano ricevere neanche un euro di denari pubblici.

E’ ammirevole come quelli dello Staff (Grillo, Casaleggio, ecc.) seguitino a indirizzare la discussione politica sul medesimo terreno che ha alimentato il loro consenso elettorale, ovvero l’indignazione verso i privilegi della Casta. Peccato che, in materia di bilancio e di finanziamenti, neanche loro brillino per trasparenza. In rete potete trovare i bilanci pubblici dei 5 Stelle, ma solo dei gruppi consiliari comunali, o regionali, o delle singole formazioni territoriali. Non esiste una struttura nazionale, o così sembra. Pertanto non esiste nemmeno un bilancio nazionale. E io mi chiedo, per esempio, con quali denari è stato finanziato lo Tsunami Tour? Chi ha pagato piazza S. Giovanni?

E chiedo direttamente al signor Beppe Grillo di firmare la seguente dichiarazione:

Il sottoscritto Giuseppe Piero Grillo, detto Beppe, nella fattispecie co-fondatore del Movimento 5 Stelle e legale proprietario del logo che lo rappresenta, si impegna, entro una settimana dalla presente, a rendere pubblici:

a. L’elenco dei finanziatori del M5S (piccoli e grandi, con indicazione della somma versata);

b. La rendicontazione delle spese dello Tsunami Tour, e più precisamente,

i. La rendicontazione delle spese per la manifestazione di Piazza S. Giovanni.

c. Nomi e funzioni delle persone appartenenti al gruppo che gestisce tali finanziamenti;

d. Nomi e funzioni delle persone che verranno coinvolte nella formazione delle società editoriali private preposte alla gestione dei fondi dei gruppi parlamentari

Firma

Sì, è una provocazione. Chi di spada ferisce.

Finanziamento partiti, 66 firme per sprofondare

Alla fine sono in sessantasei. Sessantasei parlamentari che si oppongono alla presentazione del ddl sul finanziamento dei partiti della triade #ABC, Alfano, Bersani, Casini, in sede legislativa alla Camera.

Secondo AdnKronos, la Lega Nord avrebbe raccolto ben 66 firme per appellarsi al regolamento di Montecitorio. Il provvedimento, partorito in tutta fretta dalla Triade inciucista, doveva seguire l’iter accelerato passando in sede legislativa in Commissione Affari Costituzionali. Ebbene, i leghisti, proprio loro, boicottano l’intervento dell’ABC. Questa è opposizione? Il partito di Belsito e di Rosy Mauro (ex partito) non è nella posizione per ostacolare un provvedimento del genere, seppur incompleto e provvisorio. Ai leghisti si sono aggiunti i parlamentari di Popolo e Territorio – sì, a questo punto possiamo dirlo: Maroni, Bossi, Calderoli sono sulla stessa lunghezza d’onda di Scilipoti, Grassano, Calearo.

Queste sessantasei firme sono le fime di chi si è autocondannato alla propria fine (politica, s’intende). Dead Parlamentary Man Walking.

Quando Rosy Mauro trafficava in rifiuti: era il 1996, si poteva fermare ben prima

Rosy Mauro incastrata da un fax, La Stampa 1996

I critici di Roberto Maroni sostengono che ha dato sinora prova di scarsa, se non scarsissima, leadership. Eccolo infatti che attacca Rosy Mauro, che chiede “pulizia, pulizia, pulizia” alla maniera di una Toga Rossa, che fa la voce grossa e tende a spiegare il marciume leghista come limitato al temibile Cerchio Magico, quella specie di combriccola che raggira dei poveri malati anziani. In realtà nella Lega Nord tutti sapevano. Sapevano, e il massimo che sono riusciti ad organizzare come forma di protesta sono i timidi fischi di Pontida dello scorso autunno. Maroni si rifiutò poi di stringere la mano alla “Nera”, su quel palco, in Piazza Duomo. Il massimo della sua opposizione interna: togliere il saluto.

Sappiate però che i nostri Druidi del Rimborso Elettorale hanno un passato, un passato molto poco limpido. Un passato da arrampicatori sociali, da spregiudicati amministratori locali. Prendete Rosy Mauro, per esempio. Il Vicepresidente del Senato, prima di arrivare sin lì, ne ha fatta di gavetta. E non è vero che la Rosy vien fuori dalla mischia quando l’Umberto ha l’ictus. Rosy non è la badante di Bossi. E’ molto di più. E come una sorta di antitesi. L’antitesi del “buon amministratore padano”. Mi fa ridere sentir oggi dire che Rosy deve dimettersi. Dovevate pensarci anni prima, quando l’avete notata, cari leghisti, e le avete permesso di fare questa folgorante carriera. Rosy Mauro poteva essere fermata quindici anni fa. Se la Lega Nord avesse avuto maggiore trasparenza interna, maggiore democrazia, Rosy Mauro non sarebbe arrivata dove è arrivata. Ma ciò non è avvenuto.

Rosy Mauro, nel 1996, era già la pasionaria leghista. Non si sa bene perché. Può darsi perché era una delle fondatrici, una delle primissime militanti. Peccato che nel 1996 la Signora veniva pizzicata a raccomandare un suo socio in affari, tale Dalmerino Ovieni, anzi, Rosy Mauro pretese che l’Amsa, l’Azienda municipale servizi ambientali di Milano appaltasse la gestione dei rifiuti proprio ad una società di Ovieni, l’Astri. Sindaco di Milano era il leghista Formentini mentre Ovieni era anche sindaco Dc (Dc!) di un paese dell’hinterland milanese:

Peccato che Ovieni, allora sindaco de nell’hinterland, sia stato arrestato nel 1994 per tangenti. Peccato per Rosy e le sue pressioni in favore della «Astri». I fax risultano inviati dall’utenza della società «Ba.Co» e della «Cooperativa II Quartiere», quelle di Rosy, del sindacato leghista Sai e Dalmerino. In questo bel verminaio tanto basta, e da giovedì scorso Consiglio comunale e cronache non fanno altro che il loro dovere: discutere e raccontare. Forse, non ci fosse di mezzo Rosy, tutta questa vicenda sarebbe durata meno, e con minor spazio. Ma c’è di mezzo Rosy, mica una leghista qualsiasi. Rosy che passa le vacanze con Umberto Bossi, Rosy che si fa smanacciare in piscina e finisce in bella foto sulle copertine dei rotocalchi. Rosy che se Bossi è nel raggio di cento metri gli è subito a fianco. Rosy, già sindacalista della Uil, vulcanica corvina. Per farsi conoscere, nel ’90 debuttò con questa dichiarazione: «Non è vero che la Lega è razzista o discrimina le donne, io sono pugliese e dirigo il Sai». Si fece conoscere anche al congresso di Bologna, gennaio ’93, con le urla contro il sindaco Walter Vitali. Quella volta, a Bologna, era convinta d’aver inventato cosa gradita al Capo. Ma rischiò l’espulsione. E anche questa volta è malmessa. Sabato, a Mantova, Bossi era furibondo: «La Lega non deve farsi autogol. Per l’amor di Dio, tutti fuori dalle cooperative e dagli affari!». (Giovanni Cerruti, La Stampa, Archivio Storico, 13/02/1996).

Rosy Mauro era anche segretaria cittadina della Lega e si dimise per l’occasione. Bossi vedeva “in questa brutta storia l’occasione per «un attacco mafioso e fascista a Milano»”. Ripeteva che il piano rifiuti toccava interessi forti. E fece il nome della Compagnia delle Opere, citò gli interessi berlusconiani nelle discariche. “Da quando c’è la Lega le Mafie sono isolate”, tuonava il Senatùr, ancora in forze. E tutti noi gli credevamo, mentre avevamo dinanzi solo una banda di malfattori. L’hanno fatta franca sinora, sappiatelo.

Caos Lega Nord, Belsito si dimette – Il Secolo XIX scoprì le manovre sospette già a Febbraio

Gli articoli del Secolo XIX che inchiodano il tesoriere leghista Belsito

E’ stata una escalation. Dalle prime voci di perquisizioni circolate stamane alle dimissioni di Francesco Belsito, tesoriere leghista, accusato di aver distratto qualche milione di euro dai rimborsi elettorali leghisti, diciamo gonfiandoli un poco, forse distrattamente, e dirottandoli dal partito alla “famiglia” di Bossi. Si tratta di milioni di euro. Milioni. Soldi pubblici, sia chiaro.

Già stamane il sospetto era pesantissimo: solo qualche mese fa, proprio Belsito si rese protagonista di operazioni fimanziarie spregiudicate. La Lega, si scrisse, investiva denari, molti, troppi, in fondi esteri da tripla B (quindi rischiosi). Si coniò il termine Lega Tanzania, dal nome di un fondo di investimento del paese africano.

Qualcuno ha detto: Belsito indagato dal pm napoletano Woodcock, il pm delle cause perse. Berlusconi ha espresso solidarietà a Bossi. Zaia esprime tutto il suo sdegno: “mi sembra raccapricciante quello che sta accadendo”. Certamente è causa del fatto che ora la Lega Nord si trova all’opposizione. Lo dice @byoblu su Twitter. Lo pensano gli elettori leghisti che telefonano a Radio Padania. Quelli non censurati. Ma è lo stesso Roberto Maroni a dire che è necessario “fare pulizia e che Belsito si faccia da parte”. Nel pomeriggio la notizia delle perquisizioni e del capo d’accusa (appropriazione indebita e truffa ai danni dello Stato, si indaga inoltre per riciclaggio) aprono tutti i giornali sul web. Un altro tesoriere pescato ad operare sui bilanci di partito, soldi pubblici spostati come sacchetti di sabbia, a beneficio del padrone, pare.

Una breve rassegna stamap dal sito Gli Intoccabili:

Perquisizioni anche per la segretaria di Bossi
Zaia: “Mi sembra raccappricciante ciò che sta avvenendo: questa è un’agonia”
Solidarietà Berlusconi a Bossi: Impossibili sospetti su lui
Lega Nord, indagato il tesoriere Belsito «Fondi per pagare i conti di Bossi» Le ipotesi di reato: appropriazione indebita e truffa ai danni dello Stato. Si indaga inoltre per riciclaggio
Lega Nord: Belisario (Idv), nel Carroccio non solo poche mele
Radio Padania annuncia la fine della perquisizione a via Bellerio
Lega: Maroni, “fare pulizia e Belsito faccia passo indietro”
Lega Nord, carabinieri e finanza in sede Milano mandati dal pm di Napoli John Woodcook

Il PD vuol cambiare i partiti e istituzionalizzare le primarie

Oggi Bersani ha presentato in conferenza stampa la proposta del PD per riformare i partiti. Il segretario si è fatto avanti con un disegno di legge , somma di una lunga serie di proposte presentate in ordine sparso da deputati e senatori del Partito Democratico, che come di consueto si muovono in un ambito troppo ampio di indeterminatezza politica.

Non pensiamo di fare la democrazia solo in un partito, ma in un assetto condiviso” – ha detto Bersani. La notizia non ha di certo fatto il giro del mondo e neppure ha entusiasmato tanto i democrats. Innanzitutto, per anni i partiti che il PD dovrebbe aver sostituito, DS e Margherita, hanno intascato rimborsi elettorali per milioni di euro senza che dai vertici del partito emergessero necessità di chiarezza o di trasparenza sul loro impiego. Si può ben dire comunque “meglio tardi che mai”. Forse la prassi dei rimborsi elettorali è diventata talmente scomoda che è meglio far passare all’opinione pubblica l’immagine di un PD che vuol combattere il vizio e la corruttela piuttosto che commentare e chiarire quanto emerso sulla questione Lusi.

In ogni caso, secondo Bersani il PD è “l’unico partito che è uscito del tutto da curvature personalistiche“. Questa affermazione ha un fondo di verità ma anche di falsità: il PD è un intreccio di correnti, di presidenti di fondazioni, di notabili più o meno potenti. L’elemento personalistico è a malapena tenuto a bada dalla meccanica dell’investitura popolare derivante dalle primarie, che un giorno si contestano e l’altro vengono proposte come soluzione per il paludoso mondo dei partiti.

La bozza di disegno di legge contiene misure circa la democratizzazione dei partiti, la selezione della leadership di partito e di coalizione tramite metodo partecipativo degli elettori, certificazione dei bilanci e mancata erogazione dei rimborsi per quei partiti che non rispettano i precedenti tre principi. Vediamo meglio di che si tratta.

Art. 4 (Elezioni Primarie)

  1. Le primarie vengono istituzionalizzate: possono essere richieste dal partito all’ufficio elettorale competente;
  2. Viene istituito il collegio dei garanti che sovraintende alla regolarità della consultazione;
  3. Le elezioni primarie si svolgono in un solo giorno, anche non festivo, compreso tra il novantesimo e il sessantesimo giorno antecedente il termine per la presentazione delle candidature;
  4. Le spese dei candidati alle elezioni primarie non possono superare un quinto delle spese previste per la partecipazione alle elezioni stesse;
  5. Elettorato attivo, tutti i cittadini iscritti alle liste elettorali che al momento del voto dichiarano di essere elettori del partito politico o della coalizione di partiti che ha promosso la consultazione.

Art. 5 (Trasparenza)

  1. Ogni partito realizza un sito internet che rispetti i princìpi di accessibilità, nonché di elevata usabilità e reperibilità;
  2. Su tale sito, entro il 31 luglio di ogni anno sono pubblicati, anche in formato open data, il rendiconto di esercizio corredato dalla relazione sulla gestione e dalla nota integrativa, la relazione del Collegio sindacale, la relazione della società di revisione, i bilanci relativi alle imprese partecipate, il verbale di approvazione del rendiconto di esercizio nonché la situazione reddituale e patrimoniale dei titolari di cariche di governo ed elettive;
  3. Per i contributi che superano il tetto di 5.000 euro, deve essere redatta la dichiarazione congiunta di cui all’articolo 4, comma 3 della legge n. 659 del 1981.

Art. 6 (Accesso al finanziamento pubblico)

  1. Accedono ai rimborsi delle spese per le consultazioni elettorali e a qualsiasi ulteriore eventuale forma di finanziamento pubblico esclusivamente i partiti politici che rispettano i requisiti di democrazia interna e di trasparenza;
  2. I rimborsi per le spese elettorali riconosciuti dalla legislazione vigente sono ridotti del 25 per cento per i partiti politici che non prevedano nel loro statuto l’adozione in forma stabile delle elezioni primarie (art. 4) – è prevista comunque la possibilità di derogare a maggioranza di almeno i tre quinti dei componenti degli organismi dirigenti collegiali.

Art. 7 (Certificazione esterna del rendiconto di esercizio e controllo della Corte dei conti)

  1. Una società di revisione iscritta nell’albo speciale tenuto dalla Consob verifica nel corso dell’esercizio la regolare tenuta della contabilità del partito;
  2. Il controllo di conformità alla legge del rendiconto, della relazione e della nota integrativa nonché di ottemperanza agli obblighi di legge sono effettuati dal collegio istituito presso la Corte dei conti
  3. Per chi ha irregolarità nei conti, è prevista una sanzione amministrativa pecuniaria mediante una decurtazione dei rimborsi delle spese elettorali proporzionata alla gravità delle irregolarità riscontrate, fino a concorrenza dell’importo dei rimborsi dovuti per l’anno in corso.

Ecco il documento integrale: pd_riforma_partiti

Lusi il mariuolo e il PD, partito nato da una truffa

Esagerando, potremmo dire che della questione Lusi ciò che più sconcerta non è il ladrocinio (definizione di Lerner) messo in opera dall’ex tesoriere della Margherita. Per assurdo, ma neanche tanto, si può ben dire che siamo abituati ai politici corrotti, alle tangenti, ai furtarelli, ai raggiri, agli storni di denaro pubblico. E’ una storia fin troppo collaudata. Ora ci sarà un’inchiesta e Lusi, come Citaristi anni fa prima di lui, si prenderà tutta la colpa e ‘salverà’ il sedere a quelli che l’hanno chiamato per mettersi all’opera in questa impresa criminosa dei bilanci di partito col trucco e le società a scatole cinesi e le casa comprate a insaputa di tutti.

No, ciò che più sconcerta e addolora è la storia di un Partito, il PD, che si scopre oggi esser cominciata da una truffa. Una truffa ‘ideologica, sia chiaro. Sì, poiché il PD nasceva con la promessa di semplificare il quadro politico a centro-sinistra, di unire per sempre le forze politiche storiche che hanno dato origine all’Ulivo nel 1996, quelle forze eredi della tradizione comunista e di quella del cattolicesimo sociale, riunite nell’alveo del riformismo progressista. Una bella formula, non c’è che dire. Si veniva dalla esperienza tragicomica del secondo governo Prodi, e quella galassia postpartitica e postcomunista era divenuta insopportabile. L’ingegneria partitica ha prodotto così il PD, per fusione degli ex Ds e degli ex Dl. Secondo Sartori, una operazione con il trucco, poiché “storicamente una fusione di partiti non è mai avvenuta: è sempre un partito che soccombe all’altro”.

Sartori si sbagliava. Tutti noi ci sbagliavamo. Non c’era fusione. No. Nella realtà, al Partito Democratico, è stata applicata la pratica delle scatole cinesi. Ci hanno raccontato che Ds e Margherita scomparivano per diventare un partito solo. Questo partito si scopre oggi che ha al suo interno altri due partiti, gli stessi originali partiti dei Ds e della Margherita, che non sono sciolti – badate bene – ma si trovano soltanto in stato di ‘dormienza’:

In quei giorni di primavera del 2007, tra liti e qualche pianto, i Ds e la Margherita si sciolsero, confluendo con grande enfasi nel futuro Partito democratico. Nei trionfalistici documenti ufficiali dei due congressi però era omesso un piccolo dettaglio: i partiti optavano per la separazione dei beni e cioè non portavano nella nuova casa neppure uno spillo. I propri “redditi” li tenevano tutti per loro. I Ds trattenevano non solo l’ingente patrimonio immobiliare e artistico ereditato (assieme a molti debiti) dal Pci, ma soprattutto i cospicui rimborsi elettorali previsti per i successivi 4 anni; la giovane Margherita era senza debiti, disponeva di una ingente liquidità e anche lei non versava al Pd i finanziamenti pubblici fino al 2011. Una separazione dei beni che si accompagnava ad un’altra originalità: i due partiti confluivano nel Pd, ma lo facevano con una formulazione ambigua, in base alla quale la propria attività politica non era conclusa. Era «sospesa» (La Stampa.it).

Il patrimonio dei due partiti, che per i Ds è stato accumulato in anni di militanza, è stato di colpo “privatizzato”: il partito è diventato un’organizzazione spenta, oserei dire occulta, celata dietro il paravento moderno del Pd, che però continua a incassare i rimborsi elettorali e investe, compra immobili, li divide – come ha fatto il tesoriere dei Ds, Ugo Sposetti, fra 57 diverse fondazioni a guida strettamente personalistica. In altre parole, questa degenerazione è la conseguenza della privatizzazione della sfera pubblica che questo paese ha esperito negli anni successivi al 1992 e che coincidono con il ‘ventennio breve’ di Berlusconi. Le dinamiche sono state le stesse: a destra hanno creato il partito azienda, produttore di leggi ad personam, a sinistra il partito ‘corporation’, conclave di associati che lucrano sui mercati immobiliari – prevalentemente – per arricchimento proprio e degli amici attraverso la manipolazione del sistema dei rimborsi elettorali.

Questo è stato. Ora si dirà una cosa sola. Nessuno conosceva le attività di Lusi. Nessuno sapeva dei tredici milioni di euro sottratti al bilancio del partito ‘dormiente’. Lusi? Un mariuolo.

Referendum, IDV incassa un milione di euro di rimborsi?

Questa la notizia come l’ho letta. A voi il commento:

L’Italia dei valori incasserà un milione di euro di rimborsi elettorali per i referendum appena conclusi. Un altro milione di euro andrà invece ai comitati promotori dei due quesiti su l’acqua pubblica. E’ la legge a stabilire che una volta raggiunto il quorum, ai promotori vadano un euro per ogni firma depositata fino ad un massimo di 500 mila firme. Doppia la soddisfazione quindi per Di Pietro, che non solo ha rifilato l’ennesima sberla al governo, ma ha trovato anche l’occasione per rimpinguare le casse del partito (fonte).

IDV, De Magistris prepara la successione. La base ribelle presenta la mozione congressuale.

Ancora nuove voci di una tensione fra De Magistris e Di Pietro che si sta consumando nella scelta dei candidati per le liste: per la lista lombarda si è parlato anche di Piero Ricca, il blogger che appellò Mr b con un “buffone”, ma oggi è arrivata la smentita di Piero, con un post nel quale si felicita però per la candidatura dell’amico Giulio Cavalli, autore dello spettacolo teatrale contro la Mafia “Do ut Des”. Cavalli è proprio al centro di un dissidio, essendo lui uomo espressione della linea di De Magistris, di Di Pietro con il coordinatore regionale della Lombardia Sergio Piffari, il quale si è molto seccato per l’ostinazione di Cavalli a voler render conto della sua attività politica al solo De Magistris. L’articolo che segue – ripreso dal sito La Voce delle Voci – spiega tutta la vicenda. Secondo l’autore, Giulio Sansevero, De Magistris avrebbe messo all’opera due supervisori, uno per il nord ovest e uno per il nord est, con lo scopo di preparare la successione al monopolio dipietrista.
IDV è di fatto una associazione partitica con un plenipotenziario unico, Antonio Di Pietro. Da tempo sono conosciute le pratiche poco ortodosse del giro di rimborsi elettorali che vengono fatti migrare, attaverso l’affitto di immobili a carico di IDV, direttamente alla società di di Pietro, la Antocri (unico socio, Antonio Di Pietro; amministratore unico Claudio Bellotti, compagno o marito di Silvana Mura, tesoriere di IDV, nonché ex fiamma di Di Pietro, sua conoscente da vent’anni, oggi anche coordinatrice regionale IDV dell’Emilia Romagna).
Da circa due mesi la base ribelle, che si ostina a chiedere un congresso e primarie aperte per la selezione del segretario del partito, si è organizzata intorno al gruppo “La base IDV” – “Baraccano 2”, ed ha già all’attivo tre riunioni autoconvocate, l’ultima delle quali si è tenuta il 17 Gennaio scorso. Così si esprimono dalle pagine di Facebook:

Brescia – 17 gennaio 2010

Oggi si è tenuta a Brescia il 3° appuntamento degli autoconvocati IDV.
I lavori introdotti dal rappresentante locale Mario Bruno Belsito hanno riguardato la preparazione della mozione da presentare al congresso nazionale IDV.
Sono intervenuti: l’on. Franco Barbato, candidato alla presidenza del partito, ed il consigliere regionale del Trentino – Alto Adige Bruno Firmani.
I coordinatori de “La Base IDV” Alessandra Piva, Giuseppe Vatinno e Domenico Morace hanno illustrato i principi sui quali poggia la proposta politica: la centralità e la difesa della carta costituzionale, ed il rinnovamento culturale e politico nel segno della risoluzione della questione morale. In particolare l’accento è stato posto sull’esaurimento della spinta rinnovatrice che aveva caratterizzato l’IDV.
Il movimento di base, ampiamente radicato e strutturato su tutto il territorio italiano, si propone di proseguire la propria attività anche dopo la celebrazione del congresso nazionale.
Durante l’assemblea sono state esaminate situazioni di scarsa democrazia e casi di vera e propria prevaricazione all’interno della struttura organizzativa dell’IDV, troppo spesso in mano a personaggi che ricordano più il partito di Berlusconi che non quello di Di Pietro.
La mozione che La Base IDV porterà al congresso si può trovare su Facebook ed è aperta ai contributi di iscritti e simpatizzanti.

La notizia è che “La base IDV” sarà promotrice di una mozione al congresso che si terrà il 5-6-7 Febbraio prossimi. A questo link la bozza della mozione, con la quale la base vuole introdurre alcuni elementi di democrazia diretta nel partito, in una cornice complessiva di “spersonalizzazione”, rifondando interamente l’assetto gerarchico di IDV.

    • l’ex sostituto della Procura di Catanzaro sta tessendo la sua trama: ha diviso l’Italia in cinque circoscrizioni, che coincidono con quelle delle elezioni europee e in ognuna ha piazzato un suo fedelissimo per avviare i contatti con iscritti e militanti
    • due “colonnelli” di De Magistris: si tratta di Davide Pane, giovane ingegnere milanese e di Giada Oliva, 27 anni, bolognese, giornalista praticante e assistente parlamentare di De Magistris. Il primo si occupa del Nord Ovest, la seconda del Nord est
    • La strategia e’ quella indicata da Paolo Flores D’Arcais: fuori dal partito i “cacicchi” (ampiamente documentati nel reportage pubblicato a settembre da Micromega) e dentro la “societa’ civile”.
    • l’europarlamentare non sta a guardare e a Milano ha messo a segno un colpo eccezionale: ha sponsorizzato la candidatura alle prossime regionali dell’attore Giulio Cavalli. Di Pietro l’ha accettata e Cavalli sara’ il capolista in Lombardia dell’Italia dei Valori. Milanese doc, 32 anni, Cavalli e’ l’autore dello spettacolo sulla Mafia “Do ut des” che gli ha procurato gravi minacce da parte delle cosche costringendolo a vivere sotto scorta
    • pare che l’autore di “Do ut des” abbia ottenuto carta bianca dall’ex pm e che abbia gia’ manifestato la sua contrarieta’ alla candidatura di Alessandro Milani, coordinatore provinciale di Varese ed esponente tipico del familismo che impera nell’Idv, avendo piazzato sua moglie consigliera provinciale a Varese e sua figlia come segretaria personale di Silvana Mura nonche’ tesoriera dell’IdV dell’Emilia Romagna

    • Questi giri di valzer con la “societa’ civile” e le aperture a De Magistris, nonche’ la candidatura a Bologna del leader dell’ArciGay, Franco Grillini, non impediscono a Di Pietro e Piffari di proseguire le trattative per la candidatura in Lombardia dell’ex leghista Alessandro Ce’, segno che l’ex pm per ora intende continuare a far convivere nel suo partito l’anima girotondina e quella “dorotea”
    • l’emorragia al centro per Di Pietro sembra destinata a proseguire. Dopo Pino Pisicchio, Aurelio Misiti, Giacinto Russo e Giuseppe Astore, un altro parlamentare di estrazione centrista ha infatti rotto con Di Pietro: e’ il deputato torinese, Gaetano Porcino. L’ex esponente della Margherita ha deciso di lasciare l’Idv dopo che Di Pietro si e’ rimangiato l’impegno di candidare suo figlio di appena 21 anni (del tutto digiuno di politica) alle regionali in Piemonte.
    • forte dissenso interno che si sta organizzando parallelamente a De Magistris ma con contenuti assai piu’ radicali e potenzialmente dirompenti. I ribelli si sono dati un coordinamento nazionale che si chiama “La Base Idv” e nasce dalla confluenza di movimenti locali, l’emiliano “Parole civili”, il romano “Comitati per la glasnost” e il varesino “L’altra Italia dei valori”
    • circa 1200 iscritti dislocati quasi in tutta Italia

    • il 20 dicembre si sono di nuovo riuniti a Bologna per il cosiddetto “Baraccano 2” e hanno ribadito le loro richieste: primarie aperte per scegliere il leader del partito; vicepresidenza affidata alla mozione congressuale di minoranza; direzione nazionale di 100 delegati eletti dal congresso; tesoriere laureato e di comprovata professionalita’ (ovvero basta con Silvana Mura); regole certe sulle iscrizioni e fine delle diffuse pratiche truffaldine (spesso al partito puo’ iscriversi solo chi e’ gradito ai gerarchetti locali); immediato reintegro dei militanti sospesi o espulsi. Richieste forti, tali da minare alla base la leadership dipietrista

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