Alfano che siede alla destra dell’ndrangheta

Angelino Alfano è segretario di quel partito che si è visto azzerare una giunta comunale per collusione con l’ndrangheta. Ma è anche segretario di quel partito che governa al Palazzo della Lombardia per mezzo del governatore seriale, alias Roberto Formigoni, che annovera fra i propri assessori un tale di nome Zambetti, eletto con i voti ‘ndranghetisti. Oggi, il segretario ha avuto il coraggio di commentare la scelta del governo di sciogliere il Consiglio Comunale di Reggio Calabria. E a sorpresa ha espresso la propria solidarietà agli amministratori del capoluogo reggino. Vale a dire si è detto solidale con alcuni signori ritenuti, da una attenta e scrupolosa indagine del Viminale, collusi con l’ndrangheta. Ignorati dieci anni di progressi, ha tuonato.

Lo scioglimento di Reggio è direttamente correlato con quanto si sta scoprendo a Milano. E la linea rossa che connette i due capoluoghi di regione, attraversa come una ferita il partito dell’ex presidente del Consiglio Berlusconi. La relazione del Viminale accenna a un collegamento fra la società ‘mista’ Multiservizi del Comune di Reggio Calabria e un ufficio di Milano, sito in via Durini  14. La Multiservizi fu sciolta a Luglio poiché la Prefettura le revocò il certificato antimafia e il Comune, guidato dal pidiellino Demetrio Arena, ha dovuto giocoforza prendere tale decisione. L’impresa era infiltrata dalla cosca guidata dal boss ex latitante Giovanni Tegano. Gli Interni hanno evidenziato come la direzione di questa società, posseduta per il 51% dal Comune, fossero collegate all’ufficio di via Durini. Che è anche sede delle attività di tale Bruno Mafrici, avvocato, già noto alle cronache per esser stato il consulente finanziario del tesoriere della Lega Nord, Francesco Belsito.

Trentasette anni e un bigliettino da visita sul quale c’è scritto avvocato, anche se Mafrici, calabrese di Condofuri, non si è mai abilitato alla professione. Il suo quartier generale è nella centralissima via Durini a Milano. Qui si incontravano tutti. Leghisti, affaristi, uomini fortemente in “odore” di ‘ndrangheta come Romolo Girardelli, l’ammiraglio, vecchi arnesi dell’estremismo di destra riciclati e diventati pezzi grossi della Milano da bere. […] Entra nelle grazie di Francesco Belsito, il tesoriere della Lega, che lo fa nominare consulente del ministero per la Semplificazione di Roberto Calderoli, ma cura anche i rapporti con esponenti del Pdl (Malitalia.it).

Il nome di Mafrici entra più volte nella relazione del Viminale, spesso in relazione con tale Pasquale Guaglianone. Guaglianone è un commercialista ed è titolare dello studio Mgimi. E’ sempre stato legato ad ambienti di estrema destra (“nel 1992 è stato condannato per associazione sovversiva e banda armata per il suo ruolo nei Nar”, Il Fatto Quotidiano, 13 Aprile 2012). Dopo la condanna, si è reinserito in società aprendo bar e palestre, ma è indicato come un uomo molto vicino all’ex ministro della Difesa, Ignazio La Russa. Si è anche candidato con Alleanza Nazionale per le elezioni comunali di Milano del 2005.

Ritrovare il nome di Mafrici nell’inchieste su Belsito e ora nella relazione del Viminale fa un po’ specie. E solleva un sospetto: che il gruppo di potere che è passato sotto il nome di centro-destra sia stato in realtà un canale relazionale che ha permesso alla criminalità organizzata calabrese (ma non solo) di insediarsi stabilmente nelle regioni del Nord. E’ solo un sospetto che però le parole di Umberto Bossi di oggi tendono a tramutare in indizio. La sua difesa della poltrona di Formigoni, ora che è emerso il sistema di compravendita di voti all’ndrangheta, fa a pugni con lo spirito giustizialista che ha (o avrebbe) sempre animato la Lega Nord.

Volo di Stato a domicilio per Calderoli

Il Moralista Calderoli (#cotechinoelenticchie) è accusato di truffa e peculato dalla Procura di Roma per uso personale di voli di Stato. Che memoria corta, quella di Calderoli: ha chiesto spiegazioni a Monti con una interrogazione parlamentare per il presunto festino di Capodanno del Presidente del Consiglio. Non solo è stato sbertucciato da Monti con il famoso comunicato del Cotechino e delle Lenticchie, ma deliberatamente dimenticava di quando lui medesimo utilizzava l’aereo di Stato per spostarsi da e per Cuneo, per tornare dalla sua compagna.

Ad accusare (senza citarlo) il ministro della Semplificazione Roberto Calderoli e’ il consigliere regionale Fabrio Biole’, eletto con il Movimento 5 Stelle. «Questa e’ la storia DI un VOLO – scrive in una lettera inviata a giornali e tv -.  E’ il 19 gennaio 2011. Al mattino decolla, presumibilmente dall’aeroporto Ciampino, un massiccio Airbus A319-115 CJ dell’Aeronautica militare, contrassegnato ”Repubblica Italiana”. A bordo: un ministro della Repubblica. Destinazione: l’aeroporto di Cuneo Levaldigi. Scopo della missione: non pervenuto» . E aggiunge: «Il ministro, che ha forti legami con la Granda ha utilizzato, vista la palese assenza di agenda istituzionale sul territorio interessato, un Airbus di Stato da 140 posti per scopi strettamente personali. Lo ritengo vergognoso». Biole’ allega anche fotografia dell’Airbus a Levaldigi, per verificarne modello e capienza. Il ministro non replica direttamente. Lo fanno gli uomini dell’entourage. «Intanto si tratta di un Airbus da 40 posti. Non e’ partito da Roma con a bordo il ministro che si trovava a Bergamo per altri impegni ma, invece di andarlo a prendere a Milano Linate, lo ha preso a bordo a Levaldigi. Quindi nessuno spreco di denaro dei cittadini». Per capire. Al ministro leghista Roberto Calderoli, compagno della presidente della Provincia Gianna Gancia, da anni e’ imposta una scorta di «alto livello». Tutto inizio’ con le magliette sull’Islam e alcune DIchiarazioni che lo hanno messo al centro di una serie di minacce di morte. Di qui, per lui, l’obbligo di muoversi sempre sotto scorta «di livello 2»: piu’ agenti, tragitti concordati. Il 19 gennaio si trovava a Bergamo «e di qui, in auto, ha raggiunto la compagna Gianna Gancia a Cuneo», raccontano al ministero. Sempre il 19 doveva essere a Roma per la Commissione sul Federalismo fiscale. «Ha comunicato alla scorta che invece di imbarcarsi a Milano-Linate sarebbe partito dall’aeroporto Cuneo-Levaldigi. Quindi l’Airbus, che non sceglie lui, e che doveva potarlo a Roma e’ decollato da Roma Ciampino come sempre: anziche’ accoglierlo all’aeroporto di Milano-Linato e’ atterrato a Levaldigi e lo ha portato a destinazione dove lo attendevano compiti istituzionali. Una questione di routine, un polverone demagogico». (Archivio Storico La Stampa.it).

Capite? Il Moralista Calderoli si faceva venire a prendere sotto casa da un Airbus di Stato. Neanche lo sforzo di spostarsi a Milano-Linate. No. Piuttosto facciamo atterrare un Airbus – un Airbus per una persona sola! – nel trafficatissimo aeroporto di Cuneo. Lega Tanzania? No, è sempre la stessa Lega Nord. Quella di sempre. Quella che vi ha buggerato con la storiella del federalismo.

Legge elettorale, così la maggioranza vuole blindare il Senato

Parliamoci chiaro: l’unico ostacolo fra le elezioni anticipate e Berlusconi è il Senato. Secondo molte delle proiezioni statistiche realizzate nel periodo agosto-settembre 2010, il voto anticipato comporterebbe un rischio molto elevato di maggioranze disomogenee fra Camera e Senato. Mentre la Camera Bassa è messa al sicuro dal Porcellum tramite il premio di maggioranza (assegnazione d’ufficio della maggioranza relativa dei 340 seggi), al Senato il premio è ripartito regionalmente, conformemente al dettato costituzionale (art. 57). Ovvero, “la suddivisione dei seggi avviene in base al numero di scranni, costituzionalmente immodificabile, assegnato a ciascuna Regione, mentre il premio di maggioranza regionale è fissato al 55% dei seggi” (Wikipedia). Ne consegue che una coalizione – o una lista – può avere la maggioranza di voti ma non quella dei seggi, di fatto perché non guadagna il premio di maggioranza in tutte le Regioni.

Che fare per evitare il pericolo della ingovernabilità? Vi siete chiesti perché Schifani contenda a Fini la riforma del Porcellum? Al Senato sono stati depositati diversi disegni di legge che riformano la 270/2005, la vigente legge elettorale. Molti sono documenti prodotti dall’opposizione e sono volti o a restaurare il Mattarellum, o a ripristinare le preferenze di lista, oggi bloccate, fattore che pregiudica parecchio la democrazia in Italia. In Commissione Affari Costituzionali, tutti questi progetti di legge sono stati accorpati in un malloppo unico che è stato discusso di recente e per brevi sedute. Per dire, in esso sono contenute anche le leggi di iniziative popolare per il Parlamento Pulito e per il ripristino delle Preferenze di Beppe Grillo. Poi, scorrendo l’elenco, si scorge un testo a firma di Quagliarello (PdL): il Disegno di legge N. 2356.

Si tratta, ci avvisa Quagliarello nella relazione allegata, di un provvedimento che reca in sé “una modifica urgente e necessaria anche solo in via cautelare e provvisoria, qualora si determinassero condizioni tali da rendere inevitabile il ricorso anticipato alle urne”. Cioè, si modifica la legge – urgentemente – per cautelarsi da un evento possibile, probabile, che si può verificare con il ricorso anticipato alle urne. Quale? Lo dicevo prima: che non si realizzi una maggioranza al Senato. Allora si deve correggere il Porcellum per scacciare l’ipotesi:

qualora la coalizione di liste (o la lista singola) che ha conseguito il maggior numero di seggi nell’ambito di tutte le circoscrizioni regionali (incluse quelle della Valle d’Aosta e del Trentino-Alto Adige, il cui sistema di elezione rimane peraltro immutato), abbia conseguito meno di 170 seggi, ad essa sia attribuito un premio di governabilità sino alla concorrenza di tale consistenza, e comunque in misura mai superiore a 45 seggi (Disegno di legge N. 2356).

Tradotto: il premio di maggioranza resta regionale, ma qualora la coalizione maggioritaria in tutte circoscrizioni non raggiungesse la quota fissata a 170 seggi, si provvede all’assegnazione del premio di governabilità, con riparto regionale, che consta di “un numero ulteriore di seggi sino alla concorrenza di 170 seggi e comunque in misura non superiore a 45 seggi” (Disegno di legge N. 2356). E’ facile comprendere come questa norma sia un efficace stratagemma per correggere un risultato elettorale che non premiasse la maggioranza attuale di governo. Il Porcellum attribuisce il 55% dei seggi regione per regione, secondo questa tabella:

Regioni Seggi 55%
Piemonte 22 12
Lombardia 47 26
Veneto 24 13
Valle d’Aosta 1
Trentino Alto Adige 7
Friuli Venezia Giulia 7 4
Liguria 8 5
Emilia-Romagna 21 12
Toscana 18 10
Marche 8 5
Umbria 7 4
Abruzzo 7 4
Lazio 27 15
Campania 30 17
Molise 2
Basilicata 7 4
Puglia 21 12
Calabria 10 6
Sicilia 26 14
Sardegna 9 5
Estero 6

Invece, Quagliarello pone la soglia di 170 seggi come “risultato finale”: la quota di seggi da attribuire come premio è ripartita sui 170 seggi e viene assegnata alla coalizione/lista che ha complessivamente la maggiore “cifra elettorale”, ovvero a quella che ha preso più voti a livello nazionale:

Qualora il maggior numero di seggi sia stato conseguito da più di una coalizione di liste o singola lista, l’ufficio assegna il premio di governabilità alla coalizione di liste o alla singola lista che abbia ottenuto la maggiore cifra elettorale complessiva, calcolata, per ciascuna coalizione o singola lista, sommando le cifre elettorali delle liste ammesse al riparto in ogni circoscrizione, ai sensi dell’articolo 16, comma 1, lettera b) (ibidem).

Quindi, “l’ufficio [centrale nazionale] individua un coefficiente di incremento dato dal rapporto tra il numero 170 e il numero dei seggi ottenuti dalla coalizione di liste o dalla singola lista vincente”: di fatto si spalmano i 170 seggi per tutte le regioni anche se la coalizione/lista non è maggioritaria in ognuna di esse. Un bel modo di aggirare il dettato costituzionale di cui all’art. 57. Ora capite benissimo perché Schifani si è inalberato e pretende di portare avanti i ddl sulla legge elettorale in Commissione al Senato. Non c’è – in questo caso –  una vera e propria intenzione di risolvere l’anomalia del bicameralismo perfetto italiano, l’avere due camere con le medesime funzioni ma con sistemi elettivi diversi, ma solo evitare l’empasse al Senato. Proprio il Senato, dalla riforma del 1993 – il referendum che introdusse l’uninominale, poi assorbito nella Mattarellum – è sempre stata l’aula più critica per i governi. Il governo Prodi II si reggeva, per esempio, sul voto dei senatori a vita. Il minor effetto maggioritario del premio di maggioranza del Porcellum al Senato, causato dalla sua frammentazione regionale che implica il dover vincere tutte le regioni per poterlo acquisire nella sua totalità (55% dei seggi), era stato corretto da soglie di sbarramento molto alte (20% per le coalizioni, 8% per le liste), soglie che chiusero la porta del parlamento a Sinistra Arcobaleno, tanto per citare il caso più clamoroso. Quagliarello, dinanzi alla prospettiva di maggioranze diverse per le due Camere, introduce un premio di “governabilità” che aggira il riparto regionale. Ma è costituzionale? Dubito che questa riforma possa procedere oltre. E’ un dato di fatto che la maggioranza stia cercando di cambiare le regole non già per garantire la governabilità del paese, qualunque sia il partito o la coalizione di maggioranza, bensì per garantirsi il governo per un’altra legislatura e con un margine di sicurezza ampio sulle opposizioni – 170 seggi significano il 54% del Senato, una maggioranza “qualificata” per poter affrontare le riforme costituzionali, in primis la riforma della giustizia. La legge elettorale è la leva che B. userà per scardinare l’impianto costituzionale di questo paese, andando al voto con liste di servitori e camerieri pronti a votargli la riforma ad hoc, o l’elezione a presidente della Repubblica, a scelta.

Calderoli: Bossi sapeva tutto. I festeggiamenti insieme a Brancher

Calderoli, è vero, è uscito dall’inchiesta AntonVeneta senza esserne coinvolto. La sua posizione era stata archiviata. Restano i verbali del 2006 in cui Fiorani fa i nomi: Brancher, Romani (sì, proprio lui, il viceministro con delega alla telecomunicazioni), Calderoli e Giorgetti della Lega. Ci sono anche le dichiarazioni di Donato Patrini, ex funzionario BPL (Banca Popolare di Lodi, poi BPI). Poi entra in scena il Gip Clementina Forleo, e la storia più o meno la conosciamo tutti. Le intercettazioni disposte dal Gip finiscono sui giornali – ovvero su Il Giornale; tutti possono ascoltare la voce di Fassino dire a Consorte (UNIPOL) “allora abbiamo una banca?”. Tutti si indignano e la sinistra diventa casta, esattamente come il resto della truppa. Peccato che quel nastro fu offerto in dono a Berlusconi la notte di Natale del 2005, fatto che cambierà le sorti delle elezioni del 2006, che dovevano essere vinte da Prodi a manbassa. Sappiamo come è finita. Ne parla oggi Travaglio su Passaparola, con dovizia di particolari. Vi invito a leggere il suo commento.

Calderoli ne esce a testa alta? Bé, la sua unica fortuna è stata quella di essere prudente. Sempre secondo quanto disse Fiorani, Calderoli ha preferito il contante. Niente tracce. Così il pm Eugenio Fusco, dopo averlo ascoltato, non avendo sufficienti prove a suo carico, ne ha archiviato la posizione:

Denaro puntualmente consegnato, «durante un convegno a Lodi» nelle mani dell’ attuale sottosegretario. Se poi, metà di quella somma sia effettivamente arrivata nelle mani di Calderoli, non c’ è conferma. Ascoltato a verbale a fine maggio, il ministro leghista ha respinto ogni accusa, circostanziando quell’ incontro avvenuto a Lodi, ormai 4 anni fa. Una tesi, quest’ ultima, che ha spinto il pm Fusco a chiedere al gip l’ archiviazione del ministro (Archivio Repubblica.it – 3 ottobre 2009).

Leggete ora il Calderoli di stamane su il Corriere: «La sera prima del giuramento [di Brancher a ministro] festeggiammo insieme io, Bossi, Tremonti e Brancher» (Calderoli: Bossi sapeva tutto Festa prima del giuramento – Corriere della Sera). Ci racconta anche che Berlusconi e Bossi erano entrambi d’accordo alla nomina di Brancher. Che il legittimo impedimento era preferibile farlo per via legge costituzionale, “per evitare conflitti”. E soprattutto che “da tempo si lavorava a far diventare ministro Brancher”. Le mancate deleghe? “Un errore”. E sul fatto che fosse indagato nel processo AntonVeneta proprio insieme al suo amico Brancher? “Io sono incensurato e da indagato sono andato a farmi interrogare e mi sono fatto fare tutti gli accertamenti personali e patrimoniali”. Certo, lui prendeva i contanti. Mica pirla. Mentre sull’ipotesi che nella Lega si sia levata una fronda contro di lui, risponde, candido: «La Lega è un partito leninista, come dice Maroni: ma c’è un ampio confronto interno. Tutte le cose importanti non sono mai condivise solo da me e Bossi ma da tante altre persone». Certo, il leninismo è fondato sulla discussione.

Infine, date un’occhiata al comunicato della Presidenza del Consiglio dello scorso 18 Giugno:

18 Giugno 2010 –  La Presidenza del Consiglio dei Ministri comunica:
il Consiglio dei Ministri si è riunito oggi, alle ore 12,30 a Palazzo Chigi, sotto la presidenza del Presidente, Silvio Berlusconi. Segretario, il Sottosegretario di Stato alla Presidenza, Gianni Letta.
Il Presidente Berlusconi ha annunciato al Consiglio di voler proporre al capo dello Stato la nomina a Ministro senza portafoglio dell’onorevole dottor Aldo BRANCHER, già Sottosegretario alla semplificazione normativa. Dopo l’esame dei provvedimenti all’ordine del giorno, il Consiglio si è interrotto alle ore 13,05. Il Presidente Berlusconi, il Sottosegretario Letta e l’onorevole Brancher si sono quindi recati al Quirinale, dove il neonominato Ministro ha giurato innanzi al Capo dello Stato.

Ripresi i lavori alle 13,50, il Presidente Berlusconi ha informato il Consiglio delle sue intenzioni di conferire al neoministro Brancher la delega per tutti gli adempimenti relativi alla pratica e concreta attuazione del Federalismo amministrativo e fiscale. il Consiglio ha condiviso l’iniziativa e gli ha espresso le più vive felicitazione ed auguri. (Governo Italiano – Comunicati stampa del Consiglio dei Ministri)

La sera prima festeggiano fra di loro: Bossi, Tremonti, Calderoli e Brancher. Il giorno dopo, all’ora di pranzo, brunch da Napolitano che manda giù il groppone con un buon bicchiere di Sauvignon del 2008. Allegria!

Sitografia:

Brancher, il ministero è un regalo di Lega e Berlusconi. L’ombra di Fiorani fa tremare il Carroccio

Aldo Brancher: favorì la Finivest con De Lorenzo per gli spot anti AIDS

Così Bossi da Pontida: io l’unico ministro per il federalismo. Poi c’è anche Calderoli. Sembra a parole molto seccato per la nomina di Brancher a ministro senza portafoglio del federalismo. Napolitano, in una nota del Quirinale, oggi, ha fatto sapere che essendo ministro senza portafoglio, Brancher non ha alcun ministero da organizzare. Contrariamente a quello che Brancher avrebbe detto ai giudici per potersi avvalere del legittimo impedimento. Precedentemente Bossi era stato ricevuto al Quirinale, ufficialmente per mostrare la sua contrarietà a tale nomina.

Contrarietà? Siete sicuri? Brancher è riconosciuto unanimemente come l’ambasciatore di ‘Forza Italia’ nella Lega. Brancher è l’uomo che ha ricucito i legami fra Bossi e Berlusconi dopo il ‘ribaltone’ del ’94. Sì, se non ci fosse Brancher, la Lega sarebbe all’opposizione. Brancher, insomma, è il gate dell’entourage berlusconiano nel Carroccio. E’ un fedele al (finto) premier sin dalla prima ora; da ex prete se ne intende, di fede.

Nel 1993, Di Pietro lo sbatte in carcere per questioni di mazzette: coinvolti lui, l’ex ministro della Sanità De Lorenzo e il segretario di De Lorenzo, tale Giovanni Marone.

Brancher finisce a San Vittore perché è coinvolto almeno in due episodi: uno, ormai noto, è quello di aver consegnato 300 milioni al segretario dell’ ex ministro della Sanità Francesco De Lorenzo per far ottenere alla Fininvest un maggior numero di spot anti-Aids da trasmettere […] l’ altro, di aver dato soldi al Psi (TOCCA ALLA FININVEST – Repubblica.it » Ricerca).

Brancher era l’assistente di Confalonieri. Dal 1983 si occupava per Publitalia dei rapporti con i partiti (e perché mai? – fonte, archivio storico di Repubblica). La questione dei soldi al PSI non è mai confluita in una condanna. Ci fu solo l’indagine del pool di Mani Pulite. Brancher diede soldi a Vincenzo Balzamo, tesoriere PSI, per gli stand al 45° Congresso del PSI all’Ansaldo nel 1989, e come forma di ‘contributo’:

Balzamo chiede a Brancher 300 milioni iva esclusa, il prezzo di sei stand. Confalonieri acconsente ancora, Brancher assicura il ritorno d’ immagine per gruppo, parla di prezzo congruo per lo spazio occupato. Ma non si ferma qui: sostiene che aggiungeva un contributo al congresso, alle mostre e alle altre iniziative organizzate in quella sede (ibidem).

Nel corso degli interrogatori per le due vicende, Brancher ammise di “aver acquisito clienti non solo per la “Nea” socialista [Nuova Editrice Avanti], ma anche per la Edit della Dc, la Sop del Pri, l’ Eipu del Pci, l’ Alfa uno del Pli, il Secolo d’ Italia del Msi. Insomma, Brancher ha contatti con numerosi partiti, ma vi collaborava in nome della sua società, la Promogolden” (ibidem). Un vero ambasciatore delle segreterie di partito. Naturalmente, i pm di Mani Pulite cercavano il legame con Confalonieri, e con Berlusconi. Ma Brancher, da “eroe” (alla Mangano) resiste, si fa il carcere preventivo, si becca la condanna (non più di tre anni), aspetta in silenzio. Si narra che, durante la detenzione, Berlusconi e Confalonieri giravano in Mercedes intorno a San Vittore per “far sentire la loro presenza a Brancher” (Tra Silvio, Fedele e San Vittore le cento vite di Aldo l’ ex seminarista – Repubblica.it » Ricerca).

Poi arrivano la candidatura con Forza Italia, le riduzioni di pena, le depenalizzazioni di reato. Egli è sempre presente sin dal 1999 negli organismi di Forza Italia. E nel 2001 diventa finalmente parlamentare. Questo il suo pedigree parlamentare:

Incarichi parlamentari

XIV Legislatura

  • Sottosegretario di Stato per le riforme istituzionali e la devoluzione (Governo Berlusconi II, Governo Berlusconi III)
  • Membro della I Commissione (Affari costituzionali della Presidenza del Consiglio e Interni)

XV Legislatura

  • Membro della VI Commissione (Finanze)

XVI Legislatura

  • Ministro per la Sussidiarietà e il Decentramento (Governo Berlusconi IV)
  • Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, con delega alle riforme (Governo Berlusconi IV)
  • Membro della XIV Commissione (Politiche dell’Unione Europea) (sostituito da Isidoro Gottardo)

Il suo silenzio con i magistrati del 1993 gli ha permesso di guadagnarsi il “paradiso” del legittimo impedimento. Pensate ancora che la Lega non abbai acconsentito a tale regalia? Brancher è inquisito per la vicenda di Antonveneta e della scalata fallita del fallito banchiere Fiorani. Fiorani avrebbe dovuto deporre al Tribunale di Milano proprio domani, 26 Giungo, se Brancher non avesse reclamato il legittimo impedimento (forse il processo proseguirà ugualmente nei confronti della moglie di Brancher, con lo stralcio della posizione del neo-ministro). Cosa avrebbe detto di tanto interessante al giudice?

«Fiorani, spiega Patrini nel verbale del 10 gennaio 2006 – d’ accordo con Brancher, mi diede disposizioni di provvedere ad istruire pratiche di fido. Preciso, però, che il fido di 150 milioni di vecchie lire al Calderoli non fu erogato in quanto il Brancher comunicò al Fiorani che il Calderoli preferiva contanti. Dopo alcuni giorni andai, verso marzoe aprile 2000, su incarico di Fiorani da Spinelli (funzionario di Bpl, ndr) a ritirare una busta e con quella, accompagnato da un autista, di cui non ricordo il nome, la portai al Brancher che mi attendeva all’ autogrill di San Donato Milanese. In quell’ occasione consegnai la busta al Brancher il quale senza scendere dalla sua autovettura la prese salutandomi» (Inchiesta politici-Antonveneta stretta su Brancher e Calderoli – Repubblica.it » Ricerca).

Calderoli? Il deus ex machina del federalismo fiscale? Il ministro per la semplificazione? Sono due gli episodi in cui Calderoli fa la sua comparsa al capezzale di Fiorani, accompagnato da Brancher, che per lui interloquisce con la “banca”. E sempre, stando ai riassunti dei verbali pubblicati nel 2008, Calderoli preferisce il ‘contante’:

Il secondo episodio avviene tra febbraio e marzo del 2005 e lo racconta Fiorani nel verbale del 19 giugno 2007 reso ai pm di Lodi. «Brancher nel corso di un incontro a Roma, mi aveva detto che lui e Calderoli avevano bisogno della somma di 200 mila euro per le spese della campagna elettorale». Fiorani fa preparare i contanti sempre a Spinelli. «Brancher – prosegue Fiorani mi comunicò la data in cui lui e Calderoli sarebbero stati a Lodi per un convegno. Nella tarda mattinata del giorno comunicatomi dal Brancher, lui e il Calderoli si sono presentati nel mio ufficio. Spinelli che io avevo preavvertito era anche lui nei pressi del mio ufficio con una busta gialla contenente la somma di 200mila euro. Quindi vi è stato un dialogo tra me Spinelli e Brancher nel corso del quale Spinelli ha consegnato la busta a Brancher senza dire nulla al riguardo. Ricevuta la busta, Brancher ha raggiunto Calderoli che si trovava in un’ altra sala. Non ho assistito alla divisione della somma tra di loro ma ho potuto notare che il Calderoli era visibilmente entusiasta, tenendo in seguito un accalorato discorso in favore di Bpl» (ibidem).

Credete ancora alla favola di Bossi indignato contro la nomina di Brancher?

Io no. E soprattutto, attenti a Fiorani.

Sitografia:

Federalismo Demaniale, come ti smonto lo Stato

Demolizioni

La neonata commissione Bicamerale per l’attuazione del Federalismo Fiscale è entrata in opera e sta preparando il primo provvedimento di attuazione della legge delega sul federalismo fiscale approvata lo scorso anno, volta a dare una compiuta attuazione all’art. 119 della Costituzione, che dovrebbe introdurre la storica riforma della forma di Stato italiana. Da che cosa comincia il presidente Calderoli, il ministro incendiario alla semplificazione? Dallo smontare lo Stato Italiano, ovvero il suo patrimonio demaniale. Un vero e proprio numero di prestidigitazione del mago Calderoli. Passare dal Federalismo Fiscale a quello Patrimoniale è un bel salto semantico. Vediamo cosa bolle in pentola:

Il primo provvedimento di attuazione della legge delega n. 42 del 2009 sul federalismo fiscale è attualmente all’esame, ai sensi della legge 5 maggio 2009, n. 42, della neo istituita Commissione bicamerale per l’attuazione del federalismo fiscale. Ne è al contempo iniziato l’esame presso le Commissioni Bilancio e Finanze (Camera.it – Documenti – Temi dell’Attività parlamentare).

Primo passo: individuazione dei beni statali che possono essere attribuiti a comuni, province, città metropolitane e regioni, operata attraverso uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, e la successiva attribuzione dei beni su richiesta degli enti medesimi:

L’attribuzione di un patrimonio alle regioni e agli enti locali (Comuni, Province e Città metropolitane) trova il suo fondamento nell’articolo 119, sesto comma, della Costituzione come modificato dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, recante riforma del Titolo V della Costituzione. [Il decreto è] emanato in attuazione della delega contenuta nell’articolo 19 della legge 5 maggio 2009, n. 42, che reca i principi e criteri direttivi finalizzati all’attribuzione alle regioni e agli enti locali di un proprio patrimonio […] La disposizione va ricollegata a quanto previsto dall’articolo 1, comma 1, della stessa legge n. 42, che, nell’indicarne l’ambito di intervento, prevede che essa rechi la disciplina dell’attribuzione di un proprio patrimonio agli enti territoriali (Camera.it – Documenti – Temi dell’Attività parlamentare).
I criteri direttivi sono i seguenti:
a) attribuzione, a titolo non oneroso, a ciascun livello di governo di distinte tipologie di beni, commisurate all’estensione territoriale, alle capacità finanziarie, alle competenze e alle funzioni effettivamente esercitate dalle diverse regioni ed enti locali […]
b) attribuzione dei beni immobili secondo il criterio di territorialità
c) ricorso alla concertazione in sede di Conferenza unificata ai fini dell’attribuzione dei beni alle autonomie territoriali
d) individuazione di tipologie di beni di rilevanza nazionale che non possono essere trasferiti, inclusi quelli rientranti nel patrimonio culturale nazionale.
Certo, gli enti territoriali sono tenuti ad assicurare la massima valorizzazione funzionale dei beni loro assegnati, ma questi hanno la facoltà di inserire gli stessi “in processi di alienazione e dismissione secondo le procedure di cui all’articolo 58 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112″. Quindi, prima ancora che il potere di imposizione fiscale, ovvero del potere di batter cassa, il governo, nella mente fervida di Calderoli, dovrebbe assegnare agli enti locali il proprio patrimonio demaniale, i quali devono prendersene cura, accollandosene gli eventuali costi degli interventi di manutenzione e di “valorizzazione funzionale”. Va da sé che gli enti locali, nella condizione di perdurante mancanza di trasferimento di risorse dal centro alla periferia, si troveranno quasi certamente a vendere il patrimonio per rientrare dal debito crescente – divenuto oramai per alcuni comuni talmente elevato da far concorrenza a quello di piccoli stati come le Hawaii, o come grandi metropoli come Madrid e Valencia (vedi caso Recanati).
La situazione debitoria di comuni e regioni italiane, accompagnata dalla irresponsabilità degli stessi nella spesa pubblica, incentiverà il trasferimento patrimoniale verso la periferia come surrogato dei trasferimenti erariali e delle imposte locali precedentemente abolite (ICI). E la periferia cosa ne farà? Spenderà soldi e risorse o preferirà vendere il patrimonio ricevuto in dote? L’articolo 7 del decreto in esame prevede infatti che “con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri siano determinati i criteri e i tempi per la riduzione delle risorse spettanti alle regioni e agli enti locali in misura corrispondente alla riduzione delle entrate erariali conseguente al processo di trasferimento dei beni statali“. Tradotto: lo Stato vi cede il patrimonio, ne consegue una riduzione dell’entrate all’erario, ergo le risorse spettanti alle regioni diminuiranno. Le regioni ricevono un bene che rappresenta un costo certo e immediato e che richiede investimenti affinché mantenga la sua funzionalità e la sua produttività erariale. Qualcuno ancora pensa che l’idea del federalismo fiscale sia una riforma semplice semplice da mettere in atto?