Ho visto un Caimano

maroni_2

La Superballa choc non sarà mai realtà come nemmeno la maggioranza di centrodestra. Perderanno anche in Lombardia. No, dico, se lo volete, si può. Basta fare una cosa semplice. Una cosa che abbiamo già fatto quel giorno di Novembre del 2011. Voltare pagina.

La paura del pareggio deve esser messa fra le cose che furono. Come il processo per Ruby, per esempio. Il Caimano è soltanto un uomo anziano truccato, un uomo che blatera e non sa più cosa dice. Parla di Consigli dei Ministri e di decisioni da prendere, ma non sa o non vuole accorgersi o piuttosto vuol far credere un’altra cosa. La sua coalizione è destinata a finire il giorno dopo le elezioni. Non governeranno mai più. Non tanto perché non vinceranno le elezioni – mancano venti giorni e devono recuperare otto punti percentuali alla Camera (Mentana La7/ EMG, 04/02/13), non saprei al Senato – ma piuttosto perché sono divisi su tutto, leghisti e pidiellini. La XVI Legislatura ha segnato una frattura insanabile nel centrodestra. Non è più tempo di scambi di favori. Berlusconi è in realtà molto debole e sta nascondendo questa debolezza ‘sparandole grosse’. Non sono stati in grado di definire il leader della coalizione; le ricette economiche di Berlusconi vengono smentite nottetempo da Tremonti; il ‘carnevale’ nel PdL è solo sospeso, appena passerà il periodo elettorale, torneranno a farsi le scarpe l’un l’altro e i vari capi bastone esclusi dalle liste avranno modo di rifarsi con lo scalpo di qualche intoccabile vicino a B. o ad Alfano. E’ fango, un fango nerissimo che puzza e che trasborda dagli schermi tv. Ad ogni ora.

Nella Lega, l’epurazione di Maroni ha messo fuori gioco i bossiani e il Cerchio Magico, eppure i conti non sono stati tutti ‘saldati’. Maroni ha impiegato la ramazza, si è mascherato da moralizzatore ma era seduto insieme a chi ha estromesso, era seduto insieme a Berlusconi, insieme a Formigoni. Ha permesso il salvataggio di Cosentino, esattamente come gli altri. Ha collaborato fino all’ultimo istante. Ha poi finto la scissione dal PdL, ha accettato una nuova alleanza al solo scopo di ottenere il Pirellone (O Palazzo Lombardia). La sua idea, quella del 75% di tasse trattenute in Regione, durerà come le sedi dei ministeri a Monza, le cui targhe furono presentate nel Giugno 2011, a Pontida, alla presenza di Bossi, Calderoli, Roberto Cota e da un sorridente Roberto Maroni. Giusto per ricordare.

Maroni e il finto rinnovamento della Lega Nord

maroni-scopa-2

Una furbizia. A parte l’epurazione dei fedeli al Cerchio Magico (ovvero l’esclusione dei Bricolo, Lussana e co.), le liste elettorali della Lega Nord apportano solo apparentemente un rinnovamento della pattuglia dei deputati e dei senatori del Carroccio. Con una furbizia, appunto, che nel prosieguo di questo post vi svelerò.

Innanzitutto vediamo la composizione per genere e per età delle liste elettorali:

Liste Senato    
Uomini 116 72%
Donne 45 28%
161
Età media 55,0  
Uomini 55,3
Donne 54,1
Liste Camera    
Uomini 225 66%
Donne 117 34%
342
Età media 44,8  
Uomini 44,5
Donne 45,2

Le donne in lista superano di poco il 30% alla Camera mentre al Senato in proporzione sono ancora meno. L’età media è più alta per le donne alla Camera. Si direbbe che, rispetto alla XVI Legislatura, la percentuale di donne aumenterà: fra i parlamentari uscenti, le donne erano il 13% della delegazione al Senato e il 17% alla Camera. Si devono però considerare le posizioni in lista che – come sappiamo – non sono tutte ‘eleggibili’. Raggruppando per categorie di posizionamenti, si verifica quanto segue:

Posizione in lista delle Donne al Senato    
1-5 12/46 26,1%
6-15 17/60 28,3%
16-25 9/36 25,0%
26-35 5/10 50,0%
36-45 2/9 22,2%
Posizione in lista delle Donne al Camera    
1-5 12/70 17,1%
6-15 48/128 37,5%
16-25 34/73 46,6%
26-35 18/46 39,1%
36-45 5/25 20,0%

Ammesso che le posizioni eleggibili per la Lega Nord non andranno molto oltre la quinta/decima posizione, si comprende come la percentuale di donne alla Camera è destinata a rimanere quella attuale, mentre ci sono alcune possibilità di incremento per il Senato. E’ necessario rimarcare che due sole donne sono state designate capolista (Viale Sonia, capolista alla Camera in Liguria; Sergio Divina, capolista ma anche unica candidata al Senato per il Trentino AA). La modalità di selezione dei capilista è quella che conoscete. Al Senato, per esempio, il nome di Giulio Tremonti è primo in sei liste su dieci (più che doppia candidatura, in questo caso parlerei di sestupla); alla Camera è il nome di Roberto Cota a comparire capolista ben due volte (oltre alla doppia candidatura, dietro al suo nome si cela la fregatura che Cota, un giorno dopo al voto, rinuncerà al seggio alla Camera per poter continuare a fare il governatore del Piemonte – più che candidatura civetta si tratta di un vero e proprio raggiro).

Rispetto alla composizione della delegazione al Senato e alla Camera, le liste apporterebbero un certo grado di rinnovamento poiché non tutti gli attuali senatori sono stati ricandidati, e così non tutti gli attuali deputati. Senza ulteriore approfondimento, potrei dirvi che:

Senato    
Senatori in carica 22
Riproposti in lista 9
candidati alla Camera 1
Posizione in lista dei senatori ricandidati    
1-5 3/9 33,3%
6-15 3/9 33,3%
16-25 3/9 33,3%
26-35 0 0,0%
36-45 0 0,0%
Tasso di sostituzione Senato   54,55%
Camera    
Deputati in carica 58
Riproposti in lista 20
candidati al Senato 14
Posizione in lista dei deputati ricandidati    
1-5 18/20 90,0%
6-15 2/20 10,0%
16-25 0  
26-35 0  
36-45 0  
Tasso di sostituzione Camera   58,62%

In realtà, le posizioni eleggibili al Senato sono state riempite degli attuali deputati: dei 58 deputati in carica, ben 20 vengono ricandidati alla camera, ma altri 14 vengono dirottati al Senato. Ne consegue che, se la Lega dovesse difendere tutti gli attuali 22 posti al Senato (fatto ipotetico e attualmente poco probabile), circa 6 sarebbero certamente gli ex senatori ricandidati e collocati in posizione eleggibile;  tutti gli altri sarebbero ex deputati della XVI Legislatura. Cioè, il Carroccio rinnova al Senato praticamente con un trucchetto: infatti, dei 14 ex deputati ricandidati al Senato, almeno una decina sono collocati in posizione eleggibile:

Posizione in lista dei ricandidati al Senato    
1-5 9/14 64,3%
6-15 4/14 28,6%
16-25 1/14 7,1%
26-35 0  
36-45 0  

Ne consegue pertanto che il gruppo parlamentare leghista al Senato sarà fatto tutto di senatori e deputati dell’ultima tremenda XVI Legislatura. Praticamente il tasso di sostituzione è pari a zero. Questo mentre alla Camera, prevedendo una forte riduzione della numerosità del gruppo, gli artefici delle liste della Lega hanno ben pensato di sistemare tutti gli ex deputati in posizione eleggibile (1-5, 90%).

Attenti, quindi, a quanti vi parlano delle ramazze di Maroni. Esse sono state impiegate per eliminare l’avversario interno, nulla di più.

Quando Rosy Mauro trafficava in rifiuti: era il 1996, si poteva fermare ben prima

Rosy Mauro incastrata da un fax, La Stampa 1996

I critici di Roberto Maroni sostengono che ha dato sinora prova di scarsa, se non scarsissima, leadership. Eccolo infatti che attacca Rosy Mauro, che chiede “pulizia, pulizia, pulizia” alla maniera di una Toga Rossa, che fa la voce grossa e tende a spiegare il marciume leghista come limitato al temibile Cerchio Magico, quella specie di combriccola che raggira dei poveri malati anziani. In realtà nella Lega Nord tutti sapevano. Sapevano, e il massimo che sono riusciti ad organizzare come forma di protesta sono i timidi fischi di Pontida dello scorso autunno. Maroni si rifiutò poi di stringere la mano alla “Nera”, su quel palco, in Piazza Duomo. Il massimo della sua opposizione interna: togliere il saluto.

Sappiate però che i nostri Druidi del Rimborso Elettorale hanno un passato, un passato molto poco limpido. Un passato da arrampicatori sociali, da spregiudicati amministratori locali. Prendete Rosy Mauro, per esempio. Il Vicepresidente del Senato, prima di arrivare sin lì, ne ha fatta di gavetta. E non è vero che la Rosy vien fuori dalla mischia quando l’Umberto ha l’ictus. Rosy non è la badante di Bossi. E’ molto di più. E come una sorta di antitesi. L’antitesi del “buon amministratore padano”. Mi fa ridere sentir oggi dire che Rosy deve dimettersi. Dovevate pensarci anni prima, quando l’avete notata, cari leghisti, e le avete permesso di fare questa folgorante carriera. Rosy Mauro poteva essere fermata quindici anni fa. Se la Lega Nord avesse avuto maggiore trasparenza interna, maggiore democrazia, Rosy Mauro non sarebbe arrivata dove è arrivata. Ma ciò non è avvenuto.

Rosy Mauro, nel 1996, era già la pasionaria leghista. Non si sa bene perché. Può darsi perché era una delle fondatrici, una delle primissime militanti. Peccato che nel 1996 la Signora veniva pizzicata a raccomandare un suo socio in affari, tale Dalmerino Ovieni, anzi, Rosy Mauro pretese che l’Amsa, l’Azienda municipale servizi ambientali di Milano appaltasse la gestione dei rifiuti proprio ad una società di Ovieni, l’Astri. Sindaco di Milano era il leghista Formentini mentre Ovieni era anche sindaco Dc (Dc!) di un paese dell’hinterland milanese:

Peccato che Ovieni, allora sindaco de nell’hinterland, sia stato arrestato nel 1994 per tangenti. Peccato per Rosy e le sue pressioni in favore della «Astri». I fax risultano inviati dall’utenza della società «Ba.Co» e della «Cooperativa II Quartiere», quelle di Rosy, del sindacato leghista Sai e Dalmerino. In questo bel verminaio tanto basta, e da giovedì scorso Consiglio comunale e cronache non fanno altro che il loro dovere: discutere e raccontare. Forse, non ci fosse di mezzo Rosy, tutta questa vicenda sarebbe durata meno, e con minor spazio. Ma c’è di mezzo Rosy, mica una leghista qualsiasi. Rosy che passa le vacanze con Umberto Bossi, Rosy che si fa smanacciare in piscina e finisce in bella foto sulle copertine dei rotocalchi. Rosy che se Bossi è nel raggio di cento metri gli è subito a fianco. Rosy, già sindacalista della Uil, vulcanica corvina. Per farsi conoscere, nel ’90 debuttò con questa dichiarazione: «Non è vero che la Lega è razzista o discrimina le donne, io sono pugliese e dirigo il Sai». Si fece conoscere anche al congresso di Bologna, gennaio ’93, con le urla contro il sindaco Walter Vitali. Quella volta, a Bologna, era convinta d’aver inventato cosa gradita al Capo. Ma rischiò l’espulsione. E anche questa volta è malmessa. Sabato, a Mantova, Bossi era furibondo: «La Lega non deve farsi autogol. Per l’amor di Dio, tutti fuori dalle cooperative e dagli affari!». (Giovanni Cerruti, La Stampa, Archivio Storico, 13/02/1996).

Rosy Mauro era anche segretaria cittadina della Lega e si dimise per l’occasione. Bossi vedeva “in questa brutta storia l’occasione per «un attacco mafioso e fascista a Milano»”. Ripeteva che il piano rifiuti toccava interessi forti. E fece il nome della Compagnia delle Opere, citò gli interessi berlusconiani nelle discariche. “Da quando c’è la Lega le Mafie sono isolate”, tuonava il Senatùr, ancora in forze. E tutti noi gli credevamo, mentre avevamo dinanzi solo una banda di malfattori. L’hanno fatta franca sinora, sappiatelo.

Caos Lega Nord, Belsito si dimette – Il Secolo XIX scoprì le manovre sospette già a Febbraio

Gli articoli del Secolo XIX che inchiodano il tesoriere leghista Belsito

E’ stata una escalation. Dalle prime voci di perquisizioni circolate stamane alle dimissioni di Francesco Belsito, tesoriere leghista, accusato di aver distratto qualche milione di euro dai rimborsi elettorali leghisti, diciamo gonfiandoli un poco, forse distrattamente, e dirottandoli dal partito alla “famiglia” di Bossi. Si tratta di milioni di euro. Milioni. Soldi pubblici, sia chiaro.

Già stamane il sospetto era pesantissimo: solo qualche mese fa, proprio Belsito si rese protagonista di operazioni fimanziarie spregiudicate. La Lega, si scrisse, investiva denari, molti, troppi, in fondi esteri da tripla B (quindi rischiosi). Si coniò il termine Lega Tanzania, dal nome di un fondo di investimento del paese africano.

Qualcuno ha detto: Belsito indagato dal pm napoletano Woodcock, il pm delle cause perse. Berlusconi ha espresso solidarietà a Bossi. Zaia esprime tutto il suo sdegno: “mi sembra raccapricciante quello che sta accadendo”. Certamente è causa del fatto che ora la Lega Nord si trova all’opposizione. Lo dice @byoblu su Twitter. Lo pensano gli elettori leghisti che telefonano a Radio Padania. Quelli non censurati. Ma è lo stesso Roberto Maroni a dire che è necessario “fare pulizia e che Belsito si faccia da parte”. Nel pomeriggio la notizia delle perquisizioni e del capo d’accusa (appropriazione indebita e truffa ai danni dello Stato, si indaga inoltre per riciclaggio) aprono tutti i giornali sul web. Un altro tesoriere pescato ad operare sui bilanci di partito, soldi pubblici spostati come sacchetti di sabbia, a beneficio del padrone, pare.

Una breve rassegna stamap dal sito Gli Intoccabili:

Perquisizioni anche per la segretaria di Bossi
Zaia: “Mi sembra raccappricciante ciò che sta avvenendo: questa è un’agonia”
Solidarietà Berlusconi a Bossi: Impossibili sospetti su lui
Lega Nord, indagato il tesoriere Belsito «Fondi per pagare i conti di Bossi» Le ipotesi di reato: appropriazione indebita e truffa ai danni dello Stato. Si indaga inoltre per riciclaggio
Lega Nord: Belisario (Idv), nel Carroccio non solo poche mele
Radio Padania annuncia la fine della perquisizione a via Bellerio
Lega: Maroni, “fare pulizia e Belsito faccia passo indietro”
Lega Nord, carabinieri e finanza in sede Milano mandati dal pm di Napoli John Woodcook

Ora il bavaglio è per Maroni. Per lui un nuovo partito?

Eccola, la pantomima sentimentale del divorzio Bossi-Maroni. “Non possono cacciare Bobo”, dice Tosi dalla fatal Verona, ma appunto proprio perché Bossi non lo può mandar via, gli mette la mordaccia (antica maschera di tortura che bloccava la bocca, impendendo di parlare). Saranno cancellati tutti gli incontri di Maroni nelle sedi della Lega. Cosentino è divenuto il punto di non ritorno fra maroniani e il Cerchio Magico. La Lega Tanzania è uguale uguale alla vecchia Lega Nord: il dissenso è impossibile, se dissenti sei fuori. Quale democrazia di partito? Nessuna. Non soprendetevi, non è cambiato nulla. L’unica differenza rispetto al passato è che è terminata la stagione dell’unanimismo. Qualcuno sta pensando con la propria testa. E questo è male, nel partito del Capo.

In fondo la Lega Nord è sempre stato questo: non un partito territoriale, come vi hanno fatto credere, ma un partito personalistico fondato sul carisma del leader. Ora il leader è una specie di Forrest Gump padano (cfr. imitazione di Crozza) e il partito va in pezzi. Normale. La Lega è un partito come gli altri, figlio della stagione del ’89, della fine delle ideologie e dell’avvento del partito-persona (come lo sono stati e lo sono tuttora Forza Italia/PdL, Idv, Udc (ex DC, è vero, ma è innegabile che quello sia il partito di proprietà di Casini e della famiglia che lui rappresenta). Non a caso il PD è rimasto nell’anomia, unico partito a non essere identificabile con una persona.

Intanto Maroni è sempre più ai margini e presumibilmente seguirà la medesima sorte di Fini. Ovvero, fonderà un partito-persona pure lui, naturalmente focalizzato sulla sua leadership. A questo si è ridotta la politica italiana: alla competizione fra personalismi. Non ci sono più le politiche per la società, sintetizzate dalle ideologie, bensì solo dei gruppi, dei cartelli, dei trust politici. O delle cosche, se preferite.

A sentire le voci dei leghisti in carriera, «nella Lega non c’è nessuna spaccatura». Lo dice Roberto Cota, governatore del Piemonte. Lo dicono tutti i parlamentari che chiamano la Radio e danno la colpa al Nemico, ai Poteri Forti, alle Massonerie. Lo dice perfino Marco Reguzzoni, il più noto dei Capetti, il capogruppo che, o almeno così sembra, parla con Maroni solo via messaggi indiretti su Facebook. Bobo è deluso e amareggiato? «Chi è causa del suo mal pianga se stesso». E in ogni caso la Lega è unita, Bossi è il Capo, si fa solo quel che dice il Capo (La Stampa.it).

Come in una configurazione classica medievale, anche il Medioevo partitico vede attorno al Feudatario una pletora di Vassalli e Valvassori, più o meno fedeli, in cerca di prestigio e visibilità al solo scopo di incrementare il proprio potere personale. Questo sono i vari Cota e Reguzzoni e Calderoli eccetera. Maroni ha ricordato in questi giorni la Lega delle origini. Si fa sempre ritorno alle Origini. Della serie, era meglio quando si stava peggio: “la Lega degli onesti, la Lega senza intrallazzi nè conti all’estero, la Lega che mi ha conquistato per i suoi ideali trasparenza, per i suoi valori etici e per i suoi meravigliosi militanti”. Tutto questo fa parte della leggenda. Non della Storia. Gli agiografi potranno sbizzarrirsi sulla vita e le opere di Bossi, ma quel che resta è la parabola di un partito che contestava i corrotti della Prima Repubblica al solo fine di sostituirsi ad essi. Nella corruzione (e nella vergogna).

Nicola Cosentino salvo ancora grazie alla Lega

Tratto da il Fatto Quotidiano

Con 298 sì e 309 no, la Camera dei deputati ha negato l’autorizzazione all’arresto di Nicola Cosentino, ex sottosegretario all’economia dell’ultimo governo Berlusconi e attuale coordinatore regionale del Pdl in Campania. Il deputato di Casal di Principe è accusato dai pm napoletani di concorso esterno in associazione mafiosa, per i legami intrattenuti con i clan dei Casalesi.

Il voto è avvenuto a scrutinio segreto, ma determinanti per salvare Cosentino sono stati i voti della Lega, che sulla questione si è spaccata al suo interno. Dopo la divisione tra Maroni (che voleva votare sì all’arresto) e Bossi (“Non c’è nulla nelle carte, ciacuno voti secvondo coscienza” ha detto il Senatur), stamane la spaccatura è stata la riunione del Carroccio alla Camera, dove ci sono stati attimi di vera tensione. Ad un certo punto – viene raccontato – Roberto Paolini ha citato Enzo Carra e il caso delle ‘manette spettacolo’. Un riferimento storico (il portavoce di Arnaldo Forlani fu arrestato per falsa testimonianza e quelle immagini delle manette fecero il giro del mondo) per avvalorare la tesi della necessità di respingere gli ‘arresti facili’ che ha provocato la reazione di un gruppo di leghisti. A venire quasi alle mani Giampaolo Dozzo e Roberto Paolini. I due esponenti del Carroccio sono stati divisi dopo qualche momento di tensione. “Ma è vero che ti ha chiamato Berlusconi?” è stata la ‘risposta’ di alcuni deputati. E’ così che si è sfiorata la rissa tra i due, con alcuni esponenti del partito di via Bellerio, come Davide Caparini, intervenuti per dividere i ‘duellanti’. La discussione è stata molto animata. Umberto Bossi – riferiscono fonti parlamentari del Carroccio – ha preso inizialmente la parola spiegando che dalle carte non si evince nulla nei confronti del coordinatore campano del Pdl. Il ‘Senatur’ ha premesso che la gente del nord è per l’arresto, ma che occorre lasciare libertà di coscienza, proprio perché a suo dire non c’è alcuna prova di colpevolezza. Poi a prendere la parola è stato Roberto Maroni che, spiegano fonti del Carroccio, si è limitato a raccontare gli esiti della segreteria della Lega di lunedì, sottolineando di non essere stato l’unico a voler votare sì all’arresto del deputato Pdl. Bossi ha tirato le somme, evidenziando che non c’è alcun ‘fumus persecutionis’ ma ribadendo che ogni parlamentare potrà decidere autonomamente in Aula. “Si gioca sul filo dei voti, abbiamo recuperato più di trenta parlamentari”, dicono dal Pdl.

Storia della Lega Nord: quando Berlusconi comprò lo spadone

Undici marzo 2004. Il giorno degli attentati di Al Qaeda a Madrid. Umberto Bossi ebbe l’ictus che lo ridusse nello stato in cui lo vediamo oggi. Giunse all’ospedale di Cittiglio, in provincia di Varese. Era cianotico. Chi lo vide in quel frangente, giurò che fosse morto. I telefonini delle prime linee leghisti si passarono un messaggio del genere: “Umberto sta morendo, ci vediamo su a Varese”. Seguirono invece venti giorni di coma farmacologico e alcune menzogne dei leghisti alla base, come quando alla festa di Berghem dissero che Bossi stava ascoltando alla radio quand’invece era immobile in un letto.

Il 2004 fu un anno ad alto rischio, per la Lega. Rischio fallimento. Ad Agosto sulla Padania comparve una lettera (a firma Michele Calvi, Milano) in cui era scritto che per «la continuità e la crescita», e in nome dell’«impegno e della speranza», veniva segnalata ai lettori la necessità di fare donazioni e predisporre lasciti testamentari per la Lega Nord. Qualcosa, un male oscuro, stava trascinando il Carroccio in cattive acque. Acque limacciose, dalle quali non è più riemerso. Negli stessi giorni, Libero annunciò la liquidazione della cooperativa Made in Padania, una catena di negozi e discount che offrivano prodotti marchiati con il sole delle Alpi. L’affare non funzionò, la gente non sentiva il bisogno del made in Padania e le perdite superano i due milioni di euro (F. Ceccarelli, Archivio Storico La Stampa, 02.08.04). Due milioni. Da sommarsi agli altri fallimenti: quello della cooperativa “era il terzo o il quarto disastro economico, finanziario, affaristico e in fondo anche culturale ed esistenziale della Lega dopo l’incauta, ma pervicace apertura di sale da gioco, finanziarie, villaggi-vacanza, giornali, radio e tv” (Ceccarelli, cit.). L’inaugurazione del primo supermercato coop leghista, che avvenne a Paderno Dugnano nel 1998, ad opera di Calderoli, somiglia alla ben più ridicola inaugurazione dei ministeri leghisti a Monza, o alla Scuola leghista di Adro.

Ma l’affare più infruttuoso, l’affare che causò un buco enorme di alcuni milioni di euro si chiama Credieuronord. La Banca disegnata intorno alla Padania. Che fu edificata con i soldi dei soci raccattati fra i sostenitori leghisti, a Pontida o alle feste di partito.

Il 28 ottobre 1998  si costituisce a Samarate in provincia di Varese, il comitato Promotore  per la costituzione della Banca Credieuronord […] Le quote sono raccolte battendo a tappeto le sezioni della Lega Nord di  Piemonte, Lombardia e Veneto. Sono coinvolti i segretari di sezione e di  circoscrizione che – raccogliendo l’appello del Segretario Federale  Umberto Bossi – organizzano apposite riunioni tra militanti e  simpatizzanti del partito […] Il 21 febbraio 2000, con atto notarile, si costituisce la Banca Popolare  CredieuroNord, società cooperativa per azioni a responsabilità  limitata. Con l’adesione di circa 2600 soci è sottoscritto un  capitale nominale di 17 miliardi e 76 milioni di lire (Un po’ di verità sulla Banca Popolare Credieuronord).

Si narra che Bossi non credeva molto nell’operazione, che investì in essa solo 20 milioni di lire. Ma la perdita, alla fine della vicenda superò gli otto milioni di euro, ovvero la totalità del capitale societario. Soldi padani. Persi in spericolate operazioni immobiliari in Croazia  ma anche e soprattutto in “intermediazioni fittizie con le coooperative di allevatori create per nascondere la truffa delle quote latte non pagate“, scrive su Repubblica del 27 luglio 2010 Paolo Griseri.

Dal momento in cui gli allevatori fatturavano il latte che eccedeva le quote loro assegnate, venivano effettuate tre registrazioni. La prima estingueva il debito nei confronti del fornitore del latte facendo sorgere contemporaneamente un debito nei confronti degli organismi competenti per il superprelievo. La seconda registrazione registrava lo spostamento del denaro dal conto della banca utilizzata dalle cooperative per incassare i pagamenti a un conto acceso presso la Credieuronord. La terza registrazione, che seguiva di pochi giorni le altre due, veniva effettuata in corrispondenza dell’uscita del denaro dal conto della banca Credieuronord“. Il denaro tornava così agli allevatori, chiosa Griseri, che non pagavano la multa (Finanza&Potere – La banca leghista Credieuronord copriva le truffe sulle quote latte, ecco perché Bossi difende gli allevatori che non pagano le multe).

Molta parte di questa vicenda è stata svelata da Rosanna Sapori, ex giornalista di Radio Padania e oggi semplice tabaccaia. Testimone della Lega delle origini, del Bossi che fu, quello della sigaretta sempre accesa e dell’immancabile completo grigio, fu epurata proprio nel 2004, quando il Senatur era messo fuori gioco dall’ictus, proprio perché si permise di commentare alla radio le strane operazioni di Credieuronord. La Banca della Lega fu poi oggetto di un tentativo di salvataggio da parte di Fiorani, allora AD di Banca Popolare di Lodi, poi Banca Popolare Italiana, coinvolto nel crac Parmalat e condannato per aggiotaggio nell’affaire Antonveneta.

Sapori sostiene che l’operazione di salvataggio di Fiorani fu concessa dalla Banca d’Italia e dall’allora governatore Antonio Fazio, su intercessione dello stesso Berlusconi:

 Nel 2005, la Banca Popolare di Lodi di Gianpiero Fiorani interviene per rilevare Credieuronord. E Silvio Berlusconi cosa c’entra in tutta questa storia? «Fu lui a permettere l’intervento di Fiorani – spiega la Sapori -. In ogni caso i conti dissestati della Lega non derivavano mica solo dalla banca. C’erano già i problemi finanziari dell’Editoriale Nord, l’azienda cui facevano capo la radio, la tv e il giornale di partito. Il primo creditore di Bossi, poi, era proprio il presidente Berlusconi. Le innumerevoli querele per diffamazione che gli aveva fatto dopo il ribaltone del ’94, le aveva vinte quasi tutte. La Lega era piena di debiti. Si era imbarcata in un’interminabile serie di fantasiosi e poco redditizi progetti come il circo padano, l’orchestra padana. Non riuscivano a pagare i fornitori delle manifestazioni. Ricordo che allora erano sotto sequestro le rotative del giornale e i mobili di via Bellerio» (Berlusconi possiede il simbolo della Lega – Attualità, cronaca e politica).

Il racconto della Sapori prosegue poi con la rivelazione che Bossi abbia dovuto vendere a Berlusconi il simbolo della Lega (Giussano o la Stella Padana? i riferimenti cambiano a seconda degli articoli e degli anni in cui sono stati scritti); inoltre già da tempo esisterebbe un contratto fra i due – del cui valore legale ci sono ampie e divergenti discussioni in rete – con il quale B. si impegnerebbe a ripianare i debiti leghisti in cambio di fedeltà assoluta. Secondo Sapori “il Cavaliere tolse le querele, si preoccupò di salvare la banca. Ma non saldò tutto con un unico versamento. Non gli conveniva. Decise di pagare a rate”.

Glielo suggerì Aldo Brancher – ricorda la Sapori. La titolarità del logo di Alberto da Giussano era di Umberto Bossi, della moglie Manuela Marrone e del senatore Giuseppe Leoni. Furono loro a firmare la cessione del simbolo. È tutto ratificato da un notaio (Berlusconi possiede il simbolo della Lega – Attualità, cronaca e politica).

E’ una storia vecchia, già emersa lo scorso anno, quando le dichiarazioni della Sapori furono pubblicate in alcuni libri (uno su tutti, Umberto Magno, la vera storia dell’Imperatore della Padania, di Leonardo Facco, Alberti Editore). Credieuronord fu messa in liquidazione nel 2006; 1060 soci su 1800 furono rimborsati, ciò che rimase della Banca fu acquisito solo nel 2008 dal Banco Popolare (l’acquirente altro non è che il risultato della fusione fra Popolare di Novara e Verona e Popolare di Lodi) che beneficiò di un Tremonti bond da 1.45 milioni di euro. Per certi versi potete capire lo stretto legame che ha sinora legato Tremonti e i leghisti, legame oggi in crisi per ragioni ancora tutte da chiarire. e se sono vere le affermazioni della Sapori, potete anche capire perché la Lega difende Roma Ladrona (voto su Milanese, in primis, ma chi lo ricorda il voto sull’arresto di Previti?) e persino i collusi con la mafia (Romano). La risposta è perché non può fare altrimenti. Perché il partito è a libro paga di B. Molti dei giovani rampanti leghisti lo sanno e cercano una posizione di visibilità per poter rimanere in sella quando il vecchio si spegnerà. Nulla può Maroni, che è al corrente di tutto e non può che rimanere accodato alle disposizioni del cerchio magico – il capogruppo alla Camera Marco Reguzzoni, il capogruppo al Senato Federico Brigolo, e la vicepresidente al Senato Rosi Mauro fedelissima della moglie Manuela Marrone.

 

Su Milanese la Lega si spacca

Domani il voto in Giunta per le Autorizzazioni sulla richiesta di arresto per l’ex collaboratore di Tremonti e parlamentare Marco Milanese, uno dei presunti sgherri di Bisignani e della sua centrale occulta di spionaggio e dossieraggio. In Giunta la Lega può contare sull’operato di Paolini e Follegot. I due hanno già avvalorato le tesi – bislacche – del fumus persecutionis, non già da parte dei giudici bensì da quelli dell’accusatore di Milanese, tale Paolo Viscione, imprenditore.

Follegot ha dichiarato di esser “venuto qui a Montecitorio anche durante le vacanze per studiare le carte. L’indagine è complessa, è stata anticipata dalla stampa ampiamente ma molte cose che vengono affermate non sono state riscontrate”. Paolini e Follegot voteranno allineati a quanto deciso dai vertici del PdL – Alfano, Verdini, Gasparri. Giovedì, il giorno dopo la scontatissima approvazione della Manovra-bis, la questione verrà portata al voto dell’aula. E qui si impone la domanda: davvero Bossi e i soci del cerchio magico detengono il controllo del partito? Paolini medesimo avverte: “prima del voto in Aula ci sarà certamente una riunione in cui spiegherò ai colleghi le nostre convinzioni poi ogni deputato si fa la sua idea ed esprimerà un voto secondo coscienza“. In questo caso si potrebbe riproporre la spaccatura dei maroniani, già avvenuta sul caso di Alfonso Papa. Se ciò avvenisse, sarebbe il tramonto della leadership di Bossi sulla Lega. La Lega potrebbe esser il prossimo partito politico a dividersi sul confine dell’antiberlusconismo.

Giallo al Senato: chi ha salvato Tedesco?

AGGIORNAMENTO: leggete i commenti. I fatti non sono andati come racconto in questo post – scritto troppo a ridosso degli eventi… Pare che fra l’altro la tastiera per il voto al Senato sia diversa da quella della Camera e quindi non si potesse in alcun modo rendere evidente la votazione nonostante il segreto imposto – parola di Legnini, segretario d’aula del gruppo PD.

Se fosse vera le tesi del Pd secondo cui i 23 voti che hanno salvato Tedesco provengono dagli scranni leghisti, perché la Lega, dopo aver defenestrato Papa, ha salvato Tedesco?

Anna Finocchiaro, capogruppo PD al Senato, la pensa così:

(Corriere della Sera, 21/07/11, p. 6)

Riassumendo l’ipotesi del PD: la Lega scarica Papa approfittando del voto segreto poi mette in scena il salvataggio di Tedesco per far ricadere sul PD la responsabilità del primo voto. E’ logico, secondo voi?

E Tedesco come l’ha presa? Con gioia e letizia, direi:

In coda all’intervista Tedesco confida al giornalista del Messaggero la sua nuova mission:

Bè, certo, di tutti i mali meglio cancellare la cura che pure fa star male. Via la custodia cautelare! Cosa ne pensano i leghisti?

[seguito del post di ieri, parzialmente errato]

Così Paniz stasera: la sinistra ha avuto due pesi e due misure. La sinistra ha salvato Tedesco. Così ci raccontano. Al Senato, nel derby delle autorizzazioni all’arresto, Tedesco è stato salvato da 151 voti contro l’arresto vs. 127 a favore.

Senatori presenti 290; Senatori votanti 289; Maggioranza 145; Favorevoli 127; Contrari 151; Astenuti 11.

Nonostante l’esplicita richiesta del senatore Tedesco, l’aula ha deciso di mantenere segreto il voto. Tedesco ha anche chiesto ai colleghi senatori di votare all’unanimità per il suo arresto per “sgomberare il campo da tutti gli inceppi” e per “arrivare rapidamente al processo”, ribadendo comunque la propria “estraneità ai fatti che mi vengono contestati”. Insomma, quella furbizia tutta del PD di accoppiare la votazione su Tedesco a quella di Papa alla Camera, ha creato il presupposto per salvare il senatore pugliese con le “mani degli altri”. Dico questo perché i numeri non sono diversi dalle votazioni consuete del Senato: qui la maggioranza il governo ce l’ha e vota quasi sempre compatta. Ecco, allora: è il PdL ad aver salvato Tedesco, auspicando il soccorso del PD alla Camera per Papa. Soccorso che non c’è stato. Alla Camera il PD ha votato in maniera palese ad alzata di mano. Al Senato è rimasto nei ranghi. Una difformità inspiegabile se non con l’ipotesi che i senatori guidati dalla Finocchiaro abbiano “simulato” l’interesse allo scambio di prigionieri – Tedesco per Papa – per far maturare l’idea a qualche leghista dissidente di votare contro l’indicazione di Bossi – non quella esternata in pubblico, “la galera”, bensì quella confidata in gran segreto che si è poi consolidata nella formula della libertà di coscienza, tradotta dai più in “votare conformemente al PdL”.

Leggete il Resoconto in Corso di Seduta del Senato (qui). In coda alle votazioni, è riportato quanto segue:

Con votazione a scrutinio segreto, ai sensi dell’articolo 113, comma secondo, del Regolamento, il Senato respinge la domanda di autorizzazione all’esecuzione della misura della custodia agli arresti domiciliari decisa dal tribunale del riesame nei confronti del senatore Alberto Tedesco. (Applausi dal Gruppo PdL).

Sono le 18,45 di oggi e il Senato ha già deliberato su Tedesco mentre alla Camera la seduta è sospesa.

Applausi del PdL. Per il salvataggio di Tedesco. E’ fin troppo chiaro. Il PdL è caduto nel trappolone del PD, che incassa anche il salvataggio di un suo ex (mai dimenticarsi degli amici). Poi accade quello che sapete alla Camera: il dibattito riprende alle 19, si chiama il voto e… La richiesta per Papa è passata grazie a 30 voti di 30 leghisti che non la pensano come Bossi e i soci del cerchio magico. La Lega, scriveva ieri La Padania, sta dalla parte del popolo (e di Papa). Oggi si può dire che la Lega è finita. Insieme alla sua maggioranza. La corrente dei Maroniani è oramai un partito a se stante. Domani si voterà il rifinanziamento delle missioni all’Estero e Castelli ha già preannunciato il suo – personale – voto contrario. La disciplina di partito è saltata. La maggioranza è al capolinea.

Permessi di soggiorno, Malmstrom bacchetta Maroni e lui: non c’è niente di nuovo

Lei, Cecilia Malmstrom, è la commissaria europea agli Affari Interni. Ha inviato una lettera a Maroni, venerdì scorso, il cui contenuto è emerso solo in serata. La Malmstrom ha avvisato che Schengen non scatta in maniera automatica con il decreto legge del governo italiano sul permesso temporaneo. La normativa europea parla chiaro:

Direttiva 2001/55/CE: (14) L’esistenza di un afflusso massiccio di sfollati dovrebbe essere accertata con decisione del Consiglio, obbligatoria in tutti gli Stati membri nei confronti degli sfollati cui si riferisce. È altresì opportuno stabilire i casi e modi in cui cessano gli effetti della decisione stessa.

Regolamento CE 56/2006 (Schengen): punto 4.c  – i cittadini di paesi terzi che non soddisfano una o più delle condizioni di cui al paragrafo 1 possono essere autorizzati da uno Stato membro ad entrare nel suo territorio per motivi umanitari o di interesse nazionale o in virtù di obblighi internazionali.

Quindi: 1. è dirimente la decisione del Consiglio, il quale attesta la presenza di questo “massiccio” flusso migratorio; 2. l’autorizzazione “ad entrare” vale per lo Stato che la emette e non per gli altri (cito testuale “entrare nel suo territorio” che è diverso dal dire “entrare nel territorio dell’Unione Europea”).

Bastano questi due commi per spiegare che il nostro paese da solo non può decidere, assegnando il permesso temporaneo, di attribuire i privilegi di Schenghen ai migranti. In primis deve ottemperare ai doveri umanitari di ospitalità. Poi dovrà sollevare la questione all’interno delle istituzioni europee, ovvero nel Consiglio, in cui si accerta la presenza di una crisi umanitaria, di una “massiccio” numero di sfollati. La Germania, infatti, ci contesta proprio questo: il numero dei migranti non è tale da prevedere un intervento normativo ‘speciale’. Non c’è l’emergenza, che semmai è causata dalla impreparazione italiana (il CIE di Lampedusa era chiuso ed ha comuque un numero di posti insufficiente a contenere il principale afflusso di migranti in Italia). Insomma, è una questione di numeri. I migranti sono troppo pochi. Non per i media italiani, secondo cui il canale di Sicilia è invece un crocevia di barconi e zattere. Questione di realtà percepita: in Germania evidentemente possono contare su fonti – diciamo così – autentiche.

Il clima generatosi con le dichiarazioni di Berlusconi di ieri – l’Europa? Meglio dividersi se non c’è solidarietà – nonché la furbata maroniana del permesso temporaneo, rischiano di far saltare lo spazio europeo – infatti i lander tedeschi, dinanzi al lassismo italiano nel concedere diritti di circolazione poco giustificabili secondo le norme, già minacciano la sospensione di Schengen. La Merkel lamenta il fatto che l’Italia è abbastanza restia a concedere asilo politico. Alla base del guasto odierno c’è, ancora una volta, la scarsa armonizzazione delle politiche dell’immigrazione e delle procedure di concessione dell’asilo. Esiste un piano della Commissione diretto a modificare sostanzialmente la disciplina in merito al fine di armonizzare le politiche di asilo:

  • modifica della direttiva sulle condizioni di accoglienza (ES) (DE) (EN) (FR), occupandosi dell’elevato livello di discrezionalità degli Stati membri. La direttiva modificata dovrebbe permettere di ottenere una maggiore armonizzazione e migliori norme sull’accoglienza, tra cui quelle sulle garanzie procedurali per la detenzione;
  • modifica della direttiva sulle procedure d’asilo (ES) (DE) (EN) (FR), al fine di eliminare regimi procedurali eccessivamente disparati negli Stati membri. L’armonizzazione di queste garanzie permetterà di assicurare parità di condizioni di accesso alla protezione nell’Unione europea (UE);
  • modifica della direttiva sulla qualifica di rifugiato, per risolvere il problema delle diverse interpretazioni della direttiva da parte degli Stati membri causato dalla formulazione di alcune disposizioni. La modifica della direttiva permetterebbe inoltre di promuovere l’introduzione di status uniformi (Commissione UE).

Non è vero che l’Europa non è solidale in materia di immigrazione: la Commissione lavora per questo. Sono invece i governi nazionali, e in special modo il nostro, a essere reticenti in fatto di armonizzazione delle normative in merito. La ragione è politica: così come Sarkozy deve fronteggiare Le Pen sul piano del fenomeno migratorio, così Berlusconi deve pagare pegno ai leghisti ben sapendo che l’istigazione alla paura del diverso è un’arma molto redditizia in periodo elettorale (ricordate le elezioni del 2008?).

Invece di adottare un nuovo strumento globale per promuovere la solidarietà tra gli Stati membri, la Commissione intende stabilire una serie di meccanismi di solidarietà. A tal fine, la Commissione proporrà di:

  • lanciare uno studio per valutare le possibilità di trattamento congiunto a livello UE delle domande di asilo;
  • creare gli strumenti per sospendere temporaneamente l’applicazione delle norme di Dublino per il trasferimento dei richiedenti asilo;
  • creare un gruppo di esperti sull’asilo nell’ambito dell’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo, per assistere gli Stati membri nel trattamento delle richieste;
  • elargire finanziamenti per il reinserimento all’interno dell’UE di eventuali beneficiari di protezione internazionale (Commissione UE).

Una più stretta cooperazione europea si fa all’interno delle istituzioni europee, non minacciando fuoriuscite clamorose e dannose per il paese. A Berlusconi, domani a Bruxelles, non basteranno le barzellette per cavarsi d’impiccio. L’Italia è già ai margini della politica europea, ora rischia persino di causare una crisi delle istituzioni dell’Unione, già prima non proprio in buona salute.

Vieni via con me: la vera lista di Maroni

Stamane, Claudia Fusani, su l’Unità, ha rivelato la vera, innominabile lista di Maroni sulla criminalità organizzata:

  1. Le anomalie nel comune di Fondi (Latina)
  2. L’autoriciclaggio non è punito
  3. Lo scudo fiscale e i soldi sporchi
  4. In senato spieghi i voti di Dell’Utri e di Totò Cuffaro
  5. Il taglio dei fondi alle forze dell’ordine
  6. La sanatoria per gli immigrati che ha lasciato fuori gli onesti
  7. Su Ruby, nessuna critica
  8. In Lombardia avvii gli Accessi per i comuni
  9. Chi ha ordinato le cariche a Brescia e Terzigno?
  10. Zitto sullo scontro a fuoco dei libici

fonte l’Unità

La testa di Iovine sul tavolo di Maroni, la risposta ad orologeria a Saviano

Saviano critica la Lega Nord, troppo silenziosa sulle infiltrazioni dell’ndrangheta in Lombardia e i suoi presunti rapporti con il mondo politico? Non c’è problema, pronto un arresto a orologeria. Antonino Iovine, “primula rossa” del clan dei Casalesi, come ci tiene a ribadire Il Giornale. La notizia è senz’altro di buon auspicio, se non fosse che arriva dopo l’invettiva di Saviano in tv, lunedì sera. Pensate: l’introvabile Iovine, un vero rebus per la Polizia e il Ministero degli Interni durante tutti questi anni, è stato “preso in casa di un amico in via Cavour, proprio a Casal di Principe” (Il Giornale). Guarda come è beffarda, a volte, la vita: cerchi per anni un super-latitante dei tremendissimi Casalesi, camorristi sanguinari, lo cerchi in tutta Italia, e dvoe lo trovi? A casa sua.

Se non fosse vero, ci sarebbe da riderne.

Il pm Fiorillo sul caso Ruby lotta per la verità, Maroni no

Ad avercene di servitori dello Stato come la pm del Tribunale dei Minori di Milano. Annamaria Fiorillo è una donna delle sitituzioni. Oggi è comparsa dinanzi alle telecamere per smentire le affermazioni del Ministro dell’Interno, Roberto Maroni, chiamato ieri e oggi a riferire alle aule del Parlamento sul caso Ruby e il presunto abuso d’ufficio del presidente del Consiglio sulla procedura di affidamento della minore. Maroni ha confermato ai parlamentari che quella notte la polizia si comportò correttamente e che il verbale di affidamento di Ruby era stato redatto anche “sulla base delle indicazioni del pubblico ministero di turno presso il tribunale dei minorenni”.

Fiorillo non si è piegata alla “verità istituzionale”. Rivendicando con orgoglio il suo ruolo nelle istituzioni e il suo giuramento di fedeltà, si è rivolta con una lettera al Consiglio Superiore della Magistratura perché “verità e giustizia sono state calpestate”. Ha proseguito affermando che il CSM deve farsi carico di accertare l’origine della “discrepanza” tra i “dati di realtà a mia conoscenza” e quanto affermato dal ministro Maroni, il quale “ha tenuto a rimarcare che il corretto comportamento degli agenti è stato confermato anche dalla autorità giudiziaria per voce del procuratore Edmondo Bruti Liberati all’esito di specifica istruttoria” (così nella lettera).

Fiorillo è una donna di coraggio. Ad avercene.

Tg1 ore 20: scontri provocati dai manifestanti aquilani

La pagina web del Tg1 apre con la notizia degli scontri, "causati dai manifestanti"

Ore 20. Il Tg1 rende conto degli scontri a Roma fra manifestanti aquilani e polizia. Secondo il tg diretto da Minzolini, gli scontri sarebbero stati causati da manifestanti di area ‘antagonista’, estranei ai manifestanti veri e propri.

Le immagini che seguono sono da diffondersi il più possibile. Poiché è quasi totale l’oscurità sulla vicenda visto che il Tg1 delle 13.30 non ne ha fatto nemmeno menzione. E le proteste sono ancora in corso. In questi istanti si sta svolgendo un sit-in dinanzi a Palazzo Grazioli, proprio mentre il Presidente del Consiglio è in riunione con la direzione del PdL. Tutto questo viene pubblicato come reazione al silenzio del più importante telegiornale italiano, il tg della tv pubblica.

La testimonianza di un ferito:

Vodpod videos no longer available.

E il vergognoso silenzio del Tg1:

Dalle pagine di Repubblica.it si legge che Maroni è corso al Ministero dell’Interno per essere relazionato sui fatti. “Io giudico sui fatti, non sulle opinioni”. Poi aggiunge:

Maroni ha quindi riferito di “essere favorevole alle manifestazioni quando si svolgono pacificamente, senza violenze. E voglio capire perché questa non si è svolta in questo modo, voglio capire se ci sono responsabilità e da che parte” (Repubblica.it).

Il non violento Maroni? Ve lo ricordate nel 1996, resistere agli agenti della polizia mandati dall’allora pm Papalia a perquisire la loro sede? Badate bene che il ministro dell’Interno non ha atribuito la responsabilità degli scontri ai manifestanti: almeno, non ancora. Si è però lasciato andare a questa battuta, come se oggi la manifestazione SoS per L’Aquila fosse una manifestazione violenza e organizzata da violenti. Proprio lui: uno condannato a otto mesi di reclusione per resistenza a pubblico ufficiale.