Il #29s chi era costui

Colpisce lo spazio che le testate online hanno dato alla manifestazione di ieri a Madrid e a Lisbona. Due paesi si ribellano ai piani di austerity imposti da Bruxelles e la stampa sembra trattare qualche centinaio di migliaia di persone come fossero una triste e noiosa normalita’. Nessun giornale apre la propria home con i fatti di piazza Neptuno. Il #29s ha guadagnato appena un box fotografico, o qualcosa di simile.
Non parlo solo delle testate online italiane, ma anche di El Pais, che pure ha trasmesso la diretta streaming.  Anche se a loro discolpa bisogna aggiungere che il caos della secessione della Catalunya e’ evidentemente preminente rispetto anche al Rescate di Bankia.
Tutto il flusso di informazioni che passava attraverso twitter sembrava come una corrente a se’ stante, e il #29s e’ stato trattato dai media tradizionali come un mero problema di ordine pubblico. Chi ha seguito le dirette twitter avra’ certamente avuto l’impressione di partecipare ad un evento storico, un evento che cambiera’ le sorti della democrazia spagnola o piuttosto che fara’ intraprendere al suo governo decisioni restrittive in materia di liberta’ di manifestare. Piu’ volte la piazza ha chiesto le dimissioni di Mariano Rajoy, ma la piazza pare essere l’ultimo dei problemi per il primo ministro. Da un lato il caso Catalunya, dall’altro Bankia e l’esito negativo degli stress test; Rajoy sembra appeso per i capelli e l’eventuale caduta del suo governo aprirebbe la strada alla dissoluzione del paese.

Nel Mali l’Azawad indipendente è una polveriera jihadista

Il giornalista-scrittore Serge Daniel, in una intervista rilasciata al giornale online El watan, testata francofona algerina, racconta di AQMI e del suo ruolo nell’indipendenza dell’Azawad. Daniel è autore di un libro intitolato “AQMI, l’indusria dei sequestri di persona” ed è un profondo conoscitore del movimento islamico indipendentista che ha avuto ed ha tuttora un ruolo nella secessione del nord del Mali ad opera dei Tuareg del MNLA. Gruppi legati a AQMI e ad Ansar Edine occupano città come Gao e Timbuctu ed hanno imposto la Sharia. I Tuareg non sembrano avere la potenza economica dei jihadisti, arricchiti dai traffici di droga dalla Colombia e dalla pratica dei sequestri di persona.
Secondo Serge Daniel, AQMI ha modificato la propria ragion d’essere e da fabbrica di sequestri si sta trasformando in una organizzazione statuale di natura islamica. Questo è possibile perché “ha già dieci anni iniziato l’operazione sotto copertura installando cellule dormienti nel nord del Mali, e quindi, già cinque anni fa, installando strutture attive, pienamente calate nel tessuto di alleanze dell’organizzazione”.

All’entrata dei jihadisti in Timbuktu, gli indigeni sono stati sorpresi nel vedere tra gli assalitori, giovani provenienti da Timbuktu che avrebbero dovuto essere in Libia o altri paesi del Magreb, a lavorare per aiutare la famiglia rimasta fisicamente sul luogo. Ora sappiamo, questi bambini erano in rimasti nel Sahel, ed inviavano denaro alle famiglie in Timbuktu tramite AQIM. E poiché questi soldi molte volte erano in euro, si potrebbe pensare che si trattasse di una parte dei riscatti pagati dai paesi occidentali. E ‘molto interessante notare che il Mujoa (Movimento per l’unicità e la jihad in Africa Occidentale), si era stabilito a Gao e non a Timbuktu. Il capogruppo è, naturalmente, un mauritano, ma Mujoa è una cella composta principalmente da Arabi di Tilemsi, un’area geografica che corrisponde in parte alla regione di Gao (Remi Racine per El Watan).

Fra AQMI, Mujao e Ansar Edine c’è sempre un collegamento, una connessione. Sono comunque jihadisti e sanno da che parte stare. Il gruppo di Mujao è stato formato da giovani mauritani affiliati a AQMI che si stavano “annoiando” ed hanno voluto creare una organizzazione militare di secondo livello. Così, “per dimostrare che sono cresciuti e avrebbero potuto giocare in grandi campionati, hanno cominciato a rapire gli ostaggi (due spagnoli e uno italiano – parla di Rossella Urru, ndr), nel cuore del territorio rivendicato dal Fronte Polisario“. Il simbolismo è forte. Il Mujao ha fatto un debutto sensazionale, secondo Serge Daniel.  Dovrebbe essere costituito da almeno 70 membri permanenti.

AQMI è una società che dispone di diverse centinaia di combattenti ed ha molti complici nel Sahel. In termini di armi, afferma Daniel, non vi è alcun dubbio, l’AQMI è sovra-armata. Nel marzo scorso, per aiutare la rivolta dei Tuareg e di Ansar Edine, AQMI si è infiltrata nella rete di comunicazione dell’esercito del Mali. L’altro punto di forza di AQMI l’intelligence. Ha reclutato tutte le tribù locali. Ci sono una serie di fazioni di Tuareg, ma vi sono essenzialmente sei tribù nel nord del Mali: il Iforas i Imrades i Idnanes le Imouchars, e la Kel Essouks Daoussak. AQMI ha reclutato tutte queste tribù (El watan, cit.).

AQMI funzionerebbe quindi da organizzazione di raccordo di tutte queste tribù, di Mujao e di Ansar Edine.  Ha giurato fedeltà ad Al Qaeda, mentre il Mujao non l’ha ancora fatto. Questo è importante. Il Mujao ha, per ora, è come”un fascio di elettroni liberi” nel Sahel, e sta cercando una direzione. In fondo, ha gli stessi obiettivi di AQMI. E AQMI si è arricchito grazie ai sequestri: “la Spagna ha pagato 8 a 9 milioni di euro per ottenere la liberazione degli ostaggi; il Canada pagato qualche milione di euro, l’Austria ha pagato tra i 2 e 3,5 milioni di euro per il rilascio di due austriaci; l’Italia ha pagato 3 milioni di euro per liberare i suoi cittadini; nel 2002/2003, la Germania pagò 5 milioni di euro per la liberazione degli ostaggi europei, la Svizzera è stata anche generosa con i rapitori”, sostiene Daniel.

Paesi come la Gran Bretagna non è pagano mai riscatti. Questa è la linea da difender (peccato che poi tentino dei blitz infelici, come nel caso Lamolinara, ndr). Attualmente, per il rilascio degli ostaggi europei, l’Europa è disposti a mettere circa 200 milioni di euro sul tavolo. E’ una somma enorme che consentirà a AQMI di reclutare uomini, comprare armi, compiere attacchi.

Secondo Daniel, il MNLA non sarà in grado di controllare la zona, né Ansar Edine, il cui scopo è solo quello di organizzare distribuzioni di cibo per le popolazioni indigen e ridistribuire le proprietà. Solo AQMI ha le risorse per proseguire la secessione e resistere ad eventuali azioni repressive (è di ieri la notizia che Ecowas manderà un contingente nel Mali per ripristinare lo status quo precedente all’insurrezione Tuareg).

Il leader del islamista di Ansar Dine, Iyad Ag Ghaly, è molto conosciuto in Algeria. Nel 1990, poi nel 2006 divenne capo della ribellione tuareg nel nord del Mali. Ma se era sempre il primo a fare la guerra, era sempre il primo a fare la pace. Il 10 Aprile 2012, Iyad Ag Ghaly, chi era contro la secessione del Mali, ha preso contatti con il Consiglio superiore islamico del Mali e chiese di raccogliere i soldati dell’esercito del Mali arrestati durante i combattimenti. Iyad Ag Ghaly sarà fondamentale nei futuri negoziati. Si comincerà sulla linea mediana tra AQIM e il ribelle MNLA, se è “l’opzione della pace” che sarà finalmente scelta dal governo del Mali.

Dal Mali in guerra fuoriescono tre civili spagnoli

Saharamedia.net rivela che oggi un’auto, una (pick up?) Toyota carica di armi, ha raggiunto la frontiera con la Mauritania. A bordo di essa vi erano tre militari maliani e – a quanto pare – tre civili spagnoli. La loro identità è finora sconosciuta. I tre militari si sono arresi alle autorità mauritane. Nulla è dato a sapere dei tre spagnoli. L’auto era per l’appunto carica di armi e munizioni. La notizia è stata divulgata stamane dal sito di informazione online, Sahara Media. Sia chiaro, è solo una supposizione: ovvero che due di questi tre spagnoli siano i cooperanti rapiti insieme a Rossella Urru.

Ho cercato conferme a questa notizia su Internet, senza successo.

Intanto la Giunta militare golpista capeggiata da Sanogo ha preso accordi con l’ECOWAS, una sorta di Comunità Economica dei Paesi dell’Africa Occidentale: in cambio della cessione del potere al presidente del parlamento e alla tenuta di nuove elezioni presidenziali fra due mesi circa, l’ECOWAS procederà ad una azione militare repressiva nei confronti dei ribelli del nord del Mali. Si parla pertanto di un intervento di truppe militari algerine, marocchine, mauritane e forse nigeriane. La situazione, insomma, si complica.

Stragi del 1993: quando il Viminale preparava la guerra contro lo Stato Bordello

La cartina d’Europa che vedete era stata pubblicata un po’ provocatoriamente qualche mese fa da The Economist. Era posta a corredo di un articolo in cui si prefigurava la futura divisione dell’Europa. Spicca la divisione dell’Italia in due paesi, uno a Nord con capitale Venezia; l’altro a sud con capitale Roma. A dividerli, i due neo-stati, addirittura un canale, non si sa se soltanto politico o addirittura geografico. Da notare che lo stato del Nord conserva il nome Italia. Significa che a Nord rimarrebbe l’autorità legittima, quella che si è creata con il referendum del 1946 e la costituzione del 1948. Per intenderci, gli espertoni dell’Economist non prevedono la secessione della Padania, bensì di quella del Meridione, nella cartina chiamato Bordello. Qualcosa di simile girava su un volantino negli anni ottanta. Qualcosa di simile era stato ipotizzato nel 1993 dalle Forze Armate. Era il 9 o l’11 di Novembre 1993, giorni di scandali, di tensione politica con la Lega Nord, di terremoti istituzionali che rischiavano di far decapitare la Repubblica con le dimissioni sfiorate di Scalfaro, bersagliato dalle rivelazioni sconvolgenti dei funzionari corrotti del Sisde, come l’ex Malpica:

in questo scenario di Italia divisa “Il Corriere della Sera” pubblica la notizia dell’esercitazione che tenne impegnati tra il 9 e l’ 11 novembre scorso prefetture e questure di Lombardia, Piemonte e Liguria e il comando della Regione militare di Nord Ovest. Poco più di un mese fa, in un clima politico arroventato, nei giorni in cui la Lega predicava ipotesi di secessione, qualcuno fra il Viminale e via XX Settembre pensò di mettere alla prova, non sul campo, ma a tavolino, una ipotesi di guerra civile. Col Nord regione ricca e stabile, attaccata dal Sud, coacervo di forze instabili e povere. Il Nord resiste all’attacco, i cattivi sono respinti oltre “confine” (Il Viminale e la Guerra Civile – Archivio Repubblica.it).

Era la prima volta che l’Esercito simulò uno scenario di guerra civile. L’evento diventò pietra d’appoggio nel teorema contenuto in un’inchiesta della Procura di Palermo, condotta dai pm Antonino Ingroia e Roberto Scarpinato, intitolata “Sistemi Criminali”. E’ l’analisi alla base dei procedimenti contro il generale Mori e il capitano De Donno dell’Arma dei Carabinieri, accusati di aver trattato con Cosa Nostra. L’ipotesi di fondo del dossier «Sistemi Criminali» è che “negli anni ’91, ’92 e ’93 sia stato messo in atto un tentativo di destabilizzare l’Italia, una sorta di «golpe» proveniente dal Sud senza carri armati, attraverso la strategia stragista di Cosa Nostra che sarebbe andata a «perfezionare» lo squasso istituzionale provocato dalle inchieste sulla corruzione del pool di Milano” (La Licata – Archivio La Stampa.it). Questo blog ha già trattato l’argomento qualche tempo fa riflettendo sulle parole dello stesso Scarpinato rilasciate a Luglio a Il Fatto Quotidiano. Successivamente in un altro post si prendeva in esame la devianza del Sisde e si definiva il quadro politico-istituzionale di quegli anni. Si accennava, in coda al post, allo scandalo dei Fondi Neri del Sisde. Sul web si trova una riduzione di un documento opera di Carlo Bonini, giornalista di La Repubblica, il quale, attaverso le parole di  Francesco Misiani, magistrato e fondatore di Magistratura Democratica, morto nel 2009 a 73 anni, mette in chiaro il ruolo dei magistrati “rossi” nel salvataggio di Scalfaro e Mancino, secondo l’interpretazione che prevalse, al centro di un attacco istituzionale volto a decapitare l’ordine democratico. Ecco il documento:

Fondi Neri del Sisde, perché non si è mai fatta davvero chiarezza

Si opponeva il fronte che aveva alla sua testa Magistratura democratica e i suoi esponenti di spicco all’interno del Palazzo, come Giovanni Salvi e Pietro Saviotti. Non saprei dire se numericamente maggioritario, ma certo dal forte peso specifico ai fini della decisione. La convinzione “pregiuridica” era che i cinque del Sisde fossero iscritti a un’operazione diretta a pilotare gli esiti dell’inchiesta verso un approdo politico che avrebbe trascinato le istituzioni e il paese nel marasma e nel discredito. E che pertanto l’operazione andava soffocata sul nascere.

Pensate cosa sarebbe accaduto se nella procura fosse prevalso l’orientamento deciso a voler andare a fondo nell’inchiesta: Scalfaro si sarebbe dovuto dimettere, con lui Mancino; il governo Ciampi e la sua maggioranza precaria, avrebbe dovuto gestire la campagna elettorale senza un presidente della Repubblica e fra Novembre 1993 e Gennaio 1994, Cosa Nostra (così afferma Spatuzza) era in procinto di far esplodere una bomba allo stadio Olimpico di Roma, per “ammazzare un po’ di carabinieri”. A quel punto, per la mafia che era in trattativa con lo Stato, non ci sarebbe stata più alcuna controparte con cui mettersi d’accordo: di fatto, avrebbe avuto lo Stato ai suoi piedi.

Più tardi, nel 1997, Angelo Siino, conosciuto come il Ministro dei Lavori Pubblici di Cosa Nostra, viene arrestato e così comincia il suo rapporto di collaborazione con la giustizia. Le sue dichiarazioni aprono uno squarcio sull’operato del Ros del generale Mori. Il teorema che emerge dalle sue dichiarazioni può essere così riassunto:

  • I Mandanti Esterni: l’avversione di cosa nostra nei confronti di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino era condivisa da politici e imprenditori che erano in contatto o avevano interessi comuni con l’associazione criminale
  • Rapporti con la Politica: alla fine degli anni ’80 il gruppo Ferruzzi-Gardini aveva rilevato tutte le imprese di cosa nostra in Sicilia che avevano difficoltà economiche o che rischiavano il sequestro giudiziale. Nel 1987 cosa nostra avrebbe deciso di convogliare i propri voti verso il PSI in ragione dell’avvicinamento con quel gruppo imprenditoriale
  • Martelli, il traditore: Claudio Martelli era considerato da cosa nostra come un traditore per il suo appoggio a Giovanni Falcone. Il trasferimento di Falcone agli uffici ministeriali era visto dai vertici di cosa nostra, come potenzialmente assai nocivo per gli interessi mafiosi
  • Cosa Nostra Secessionista: Siino riferisce inoltre di suoi colloqui con Antonino Gioè, sui nuovi assetti di cosa nostra. Gli disse che Leoluca Bagarella avrebbe dovuto incontrare Massimo Berruti, ex ufficiale della Guardia di Finanza che sarebbe stato in contatto con Totò Di Ganci (rappresentante della famiglia di Sciacca), per avviare dei contatti con Craxi […] Gioè avrebbe detto che Bagarella, che stava salendo nella gerarchia di cosa nostra dopo la cattura di Riina creando preoccupazioni anche a Bernardo Provenzano, pensava ad azioni dimostrative eclatanti, come danneggiare la Torre di Pisa. Il Bagarella si sarebbe mosso in accordo con i fratelli Graviano e mantenendo contatti e coperture con i servizi segreti. Berruti avrebbe indicato i possibili obiettivi dinamitardi al Bagarella, lo scopo sarebbe stato quello di favorire il movimento indipendentista siculo “Sicilia Libera” e indirizzare l’opinione pubblica verso la richiesta di un governo forte retto, direttamente o indirettamente, da Craxi.
  • Il cambio di politica della mafia: secondo Siino, Giovanni Brusca nel 1994 avrebbe dato inizialmente direttiva di sostenere elettoralmente “Sicilia Libera”, per poi passare ad indicare “Forza Italia”.

Nel 1992-93 l’Italia ha rischiato la secessione dello Stato Bordello

Ieri***(vedi note a fine post) su Il Fatto Quotidiano è comparsa una intervista a Roberto Scarpinato, neo procuratore generale di Caltanissetta, una intervista che sarebbe dovuta comparire a caratteri cubitali su tutti i quotidiani. E invece no. Nessun titolo. Che cosa ha detto Scarpinato? Nell’intervista, il PG ha tentato una vera e propria sistematizzazione storica dei fatti che anticiparono e seguirono le stragi del 1992-93. Scarpinato parla proprio di un progetto politico secessionista da parte di un “sistema criminale”. C’era un circuito separato e parallelo, soprastante la mafia, la quale era delegata a eseguire la parte militare del piano. Un piano che poi mutò, per “una serie di eventi sopravvenuti”, diventando da militare a “politico”.

Scarpinato cita, a suffragio della sua ricostruzione, che è poi la ricostruzione in voga negli ambienti giornalistici più intransigenti (più volte ripresa su questo blog sotto l’etichetta Join the dots), le cosiddette “cassandre” che previdero la strategia delle destabilizzazione:

  • Vittorio Sbardella e l’agenzia di stampa Repubblica;
  • Elio Ciolini, ex neofascista;
  • a cui si aggiunge la denuncia di Vincenzo Scotti, ministro dell’Interno nel 1992;
    • su Yes, political! se ne è paralto qui:
  • La destabilizzazione, il progetto politico all’origine della trattativa.

  • le rivelazioni di Brusca quando ancora non si era pentito ufficialmente; a ciò si ricollega l’avvicendamento fra Scotti-Mancino nel 1992 come ministro dell’Interno;
    • su Yes, political!:
  • Join the dots. Unisci i puntini. Retrospettiva della destabilizzazione. Quando parlava Brusca

  • La Falange Armata, misteriosa organizzazione terroristica, la quale avvisò Martelli, l’allora ministro della Giustizia, dimissionario per lo scandalo Tangentopoli, che era stato graziato, che per lui prevalse la soluzione “politica” e non quella cruenta; oggi si sa che Martelli era obiettivo degli stragisti; lui e Vincenzo Scotti formavano la coppia di ministri (Interni e Giustizia) più scomoda per l’organizzazione massonico-mafiosa, ed entrambi furono defenestrati, in un modo o nell’altro;
  • lo scandalo SISDE, 1992: ricordate, vero, il presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, dire durante un messaggio in diretta Tv quella famosa frase: “io non ci sto!”? Qualcuno voleva farlo precipitare nella polvere, insieme al capo della polizia Vincenzo Parisi (nominato tale dallo stesso Scalfaro nel 1987, a testimonianza del sodalizio fra i due); già allora si sospettavano strani rapporti fra il servizio segreto e la mafia:
    • da La Repubblica, 29 Dicembre 1992:
      Non c’ è solo un “caso Contrada”, c’ è anche un “caso Parisi”, c’ è anche un “caso Servizi segreti”. Se il primo è un capitolo giudiziario e il secondo questione istituzionale, il terzo è l’ uno e l’ altro: caso investigativo-giudiziario e caso politico-istituzionale.
      E allora, in questo caso, che ruolo ha svolto e svolge il Sisde nella lotta alla mafia? E’ intorno a queste domande che si sta sviluppando un dibattito ad alta tensione che scuote il Viminale, la strategia del pentitismo, i rapporti tra polizia e magistratura, tra parlamento e servizi segreti.
      Sono sicuro che è in atto nel nostro Paese una strategia della destabilizzazione estremamente preoccupante (parole del sen. Umberto Capuzzo, ex capo di Stato Maggiore).
      Il capo della polizia (Parisi), con il direttore del Sisde, Angelo Finocchiaro, è stato ieri convocato d’ urgenza dal presidente del comitato di controllo dei servizi segreti, Gerardo Chiaromonte. Colloquio di due ore. “Informativo”, lo ha definito Chiaromonte. Interlocutorio, in ogni caso, perché sembra a molti – nel Parlamento e nel Governo – che sia necessario capire, meglio e subito, se il Sisde è stato dalla parte dello Stato o proprio nel Sisde si sono nascosti coloro che quella battaglia volevano attardare, intiepidire, “deviare” (TEMPESTA SUL VIMINALE ‘ PARISI ORA CI SPIEGHI’ – Repubblica.it Ricerca).
  • le dichiarazioni di Gianfranco Miglio:
    • il professor Miglio, ex teorico della Lega Nord, dichiarò parlando dei fatti dei primi anni ‘90: “Io sono per il mantenimento anche della mafia e della ‘ndrangheta. Il Sud deve darsi uno statuto poggiante sulla personalità del comando. Che cos’è la mafia? Potere personale, spinto fino al delitto. Io non voglio ridurre il Meridione al modello europeo, sarebbe un’assurdità. C’è anche un clientelismo buono che determina crescita economica. Insomma, bisogna partire dal concetto che alcune manifestazioni tipiche del Sud hanno bisogno di essere costituzionalizzate”
  • la misteriosa Lega Meridionale, o Sicilia Libera, il partito indipendentista forse ispirato da Gelli; ovvero l’idea che alla base della destabilizzazione ci sia un piano di smantellamento della nazione che doveva trovare le due forze centrifughe nella Lega Nord di Bossi e in un analogo partito del Sud. Così dice Scarpinato: “Paradossalmente il federalismo del Nord avrebbe tutto l’interesse a lasciare sviluppare un’analoga forma organizzativa al Sud lasciando che si configuri come paradiso fiscale e crocevia di ogni forma di traffici e di impieghi produttivi, privi delle usuali forme di controllo, responsabili della compressione del reddito deriva-bile dalla diversificazione degli impieghi di capitale disponibile”; lo Stato Bordello, per l’appunto;
    • su Yes, political! se ne è parlato qui:
  • Join the dots. Unisci i puntini. Lo strano caso della Lega Meridionale.

Come detto, il piano militare fu accantonato. Il vertice massonico-mafioso, tutt’ora sconosciuto, ha preferito la via politica, e così il partito del Sud, quella Lega Meridionale, o forse Sicilia Libera che sorse da un’idea di Marcello Dell’Utri, diventò un’altra cosa, non più un partito secessionista bensì un partito nazionale, ma chiaramente portatore dell’istanza criminale. Un partito nato dal patto fra Stato e Mafia, che esiste finché esisterà il patto, ma che se smette di esistere romperà irrimediabillmente quel patto.

L’intervista a Scarpinato la potete rileggere qui:

***correggo: l’intervista è datata 24 Luglio 2010, ma tant’è, campeggiava come testata del sito de Il Fatto proprio ieri, per qualche ora, salvo poi sparire. In ogni caso, l’intervista, oggi come il 24 Luglio scorso, non ha prodotto alcuna scossa nel mondo politico occupato com’era a contare i voti di Berlusconi e dei finiani e a polemizzare sulla casa a Montecarlo del cognato di Fini. Insomma, per la prima volta un giudice ha parlato di un progetto secessionista massonico-mafioso e nessuno ha fiatato. Di fatto, Scarpinato ha fornito la prima primissima sistematizzazione storica dei fatti del 1992: ha unito i puntini di un disegno criminoso ancor oggi segreto e custodito gelosamente da qualche centinaio di persone.

Pensate che i soggetti di allora si siano volatilizzati e che oggi la nostra democrazia, pur malata, non corra più rischi del genere? Osservate quel che sta accadendo in Sicilia: il PdL è all’opposizione, il governo regionale che poggiava sull’asse Lombardo-Micciché è fallito; Micciché ha fondato uno strano Partito Popolare della Sicilia, proprio ora che si è aperta la crisi del PdL a livello nazionale. Ci sono strani movimenti: la Lega al governo spinge per approvare i decreti del federalismo fiscale, Berlusconi dal par suo cerca di restare in sella a tutti i costi; no, io credo che gli agenti primari di quel progetto – prima militare e poi politico – siano tutti ancora in azione, e sospingono lo Stato verso la sua decomposizione. La verità è lì: siamo a un passo.

Per concludere, un articolo comparso il 19 Marzo 1992, su La Repubblica, le cui parole, rilette a distanza di tempo, suonano alquanto sinistre. Leggete:

Il ministro dell’ Interno (Scotti) riferirà  venerdì mattina alla Commissione affari costituzionali del Senato i fatti e le informazioni che lo hanno spinto ad allertare con una circolare tutte le prefetture d’ Italia intorno alla possibile esistenza di un “piano di destabilizzazione” del Paese.
Non da oggi giudico la situazione molto grave – ha spiegato Spadolini -. Il quadro che deriva dalla direttiva del ministero dell’ Interno è un quadro che tende a sottolineare il pericolo di un nuovo terrorismo che punta a destabilizzare le istituzioni ed a delegittimarle […]
Chi invece pare dare più credito all’ allarme lanciato dal ministero dell’ Interno è Achille Occhetto […] Tutto ciò mi rafforza nella convinzione che il delitto Lima va ben al di là  della vicenda mafiosa siciliana. Le ultime notizie su un piano di destabilizzazione sono ancora più gravi e preoccupanti: ci interroghiamo perché tali notizie non siano state rese note prima […] La conclusione cui giunge il segretario del Pds è netta: “Si vuole creare il panico e la tensione nel Paese. In tutti i momenti in cui i cittadini sono chiamati a decidere, riemerge un potere che non è mai venuto meno: quello che ha accompagnato la strategia della tensione e le stragi impunite […] questa circolare getta una luce inquietante sull’ interpretazione, che in un primo momento sembrava inverosimile, dell’omicidio Lima, come un omicidio politico dettato da una regia di servizi segreti e avente per bersaglio politico il presidente del Consiglio [Andreotti], probabile futuro presidente della Repubblica (‘ TORNANO I POTERI OCCULTI’ – Repubblica.it Ricerca).

Bossi, alleanza Lega-PdL è finita. Alle porte di una crisi di governo?

Crollo verticale, ha detto stamane Bossi. “Siamo davanti a un crollo verticale del governo e probabilmente di un’alleanza, quella di Pdl e Lega”. Più chiaro di così. Il Senatur teme le imboscate dei finiani sui regolamenti attuativi del federalismo. E alza la cresta. Un disastro per B. che ora pensa seriamente di rovesciare il tavolo e a mandare tutti a nuove elezioni.

Fini, secondo Bossi, avrebbe rinnegato il ‘patto iniziale’. E’ un gattopardo democristiano, tuona il leader della Lega. Sebbene dica di essere per la mediazione, con le sue parole annienta ogni possibilità di dialogo. La gente del Nord, dice, è stufa, vuole le riforme, non se ne può più di rinvii e tentennamenti. Le riforme vanno fatte subito. Chiaro che si riferisce al federalismo, per lui l’unica riforma fattibile. Fini finge di costruire, ma in realtà demolisce, affinché nulla cambi. “In questo modo ha aiutato la sinistra”, tuona. “E’ pazzesco. Anzi, penso che sarà proprio la sinistra a vincere le prossime elezioni, grazie a lui”. Fini è contro il popolo del Nord. Sarebbe a favore di quello meridionale. E se sei contro il Nord, per Bossi, sei contro il federalismo. Sei un centralista e meridionalista, usurpatore di denari pubblici. Berlusconi? Avrebbe fatto meglio a “sbatterlo fuori subito”. Capite, il dialogo?

L’alternativa? Se il governo va in crisi, per Bossi esiste una sola via, che passa per il superamento del federalismo, “un concetto abbandonato” dal quale non si potrà che ricominciare una nuova e diversa stagione, in cui la Lega farà da sola: “oggi non ha più senso parlare di federalismo alla nostra gente che potrebbe sentirsi tradita da ciò che non siamo riusciti a fare […] Saremo soli […] senza Berlusconi [e] dovremo comportarci di conseguenza”. Un ritorno alla strategia secessionista? Magari, in previsione dei 150 anni dall’Unità d’Italia, visto che hanno messo le mani sui festeggiamenti rimaneggiando tutta la Storia come la si è conosciuta sinora, al fine di esaltare l’origine padana della nazione, potrebbe anche venir bene una dichiarazione di secessione in diretta tv. A parte l’ironia, Bossi ha ragione: la rottura del PdL è rottura di un patto, ma non quello fra Bossi e Fini, che non c’è mai stato, bensì quello datato 1992-’93, il patto segreto con i secessionisti del sud, quelli che misero le bombe al Velabro a Roma, in via dei Georgofili a Firenze e in via Palestro a Milano. Loro, lo Stato nello Stato, la lega del Sud, che lavora nell’occulto, sanno bene che se Bossi fa tanto di tornare a parlare di secessione, si riapriranno i termini di negoziazione di quel vecchio patto, e allora forse sarà un vero grosso guaio per tutti.