Bomba a Riyadh, la notizia fantasma

Segnalata da @ItalianPolitics e da @crislomb

In Arabia Saudita un’esplosione avrebbe devastato la sede dell’intelligence del paese e ucciso il vice capo dell’intelligence saudita.

Al-Fajr, un sito di notizie arabo segnala dall’Arabia Saudita che il vice capo dei servizi segreti dell’Arabia Saudita è stato ucciso nell’esplosione. Nessun rapporto ufficiale è stato ancora rilasciato sull’incidente. Giovedì sera il principe Bandar bin Sultan è stato nominato capo dei servizi di sicurezza dell’Arabia Saudita. Il principe Bandar, 63 anni, scomparso dalla vista del pubblico quando è stato richiamato da Washington dal re Abdullah nel 2005, dopo esser stato per 22 anni ambasciatore del regno, è stato immediatamente spinto in una crisi del Medio Oriente.

Viene indicato come uno “stretto alleato arabo degli Stati Uniti”, come “un sostenitore dei ribelli siriani”  e il suo ruolo dovrebbe essere quello di riparare le relazioni con Washington dopo il disaccordo sulle rivolte arabe.

Vedi http://english.farsnews.com/newstext.php?nn=9104250954

Spidertruman, il precario della Casta, è un’invenzione dei Servizi Segreti

Il nostro eroe mascherato, tale Spider Truman o il licenziato dalla Casta, sta stimolando una tale ridda di voci sulla sua reale identità tanto che l’inchiostro versato per la vicenda supera di gran lunga quello utilizzato per raccontare dello spread del Btp, ieri sopra quota 330 punti base, un nuovo record storico.

Stamane è l’ora dei complottisti. E’ troppo facile pensare a Spider Truman come ad un fake, o ad un troll. Troppo semplice. E dire che ci farebbe risparmiare del tempo. E invece no: giù a scrivere e a ragionare su chi si stia celando dietro quella abusata maschera (sul blog il nostro eroe compare con l’avatar di “V per Vendetta”).

Qualcuno ipotizza invece il coinvolgimento di Gianfranco Mascia, leader autoproclamatosi del Popolo Viola, o di quello che ne resta (ovvero la Colonna Romana). A far convergere i sospetti su Mascia sono state alcune coincidenze di date:

1) Lettera Viola è stato il primo blog-magazine a rilanciare la notizia del precario anti-casta su Facebook (ma questo è spiegato dal fatto che la pagina Facebook del Popolo Viola è un ottimo palcoscenico per pubblicare le proprie faccende e così deve aver fatto la nostra Rotellina Rotta, alias Spider Truman, il primo giorno di esternazioni in cui a seguirlo erano quattro gatti;

2) Il Popolo Viola ha annunciato una mobilitazione autunnale, tema annunciato “Piazza Pulita”, con il chiaro intento di contestare i privilegi degli onorevoli; una manifestazione che si svolgerà a Roma il 10 e 11 settembre;

3) La retorica di Spider Truman assomiglia molto a quella di PrecarioSan, “un clone del collettivo di San Precario alla vigilia del NoBDay del 2009. A scoprire le analogie è stato Pasquale Videtta che sul suo profilo Facebook ha messo a confronto i due testi” (Il Nichilista e Il Fatto Q).

Oggi l’armamentario complottista si arricchisce di una nuova interpretazione e – tenetevi forte – questa fa un po’ tremare la pancia dal ridere e un po’ pensare seriamente. Il fantasioso artefice – che risponde al nome di Ruggero Capone (mi perdoni l’ingenerosa critica!) – scrive su il giornale “L’Opinione della Libertà”, direttore Arturo Diaconale, quotidiano che ospita, fra gli altri, gli scritti di Paolo Pillitteri, ex sindaco socialista di Milano (tutti se lo ricordano…). Ebbene, secondo R. Capone, “il licenziato della Casta”, sarebbe “l’ennesimo escamotage dei servizi”. “Abbiamo incontrato l’uomo nero”, racconta Capone, un “alto dirigente dello Stato in congedo, un militare che per decenni ha lavorato per i Servizi”. E costui ha confidato l’amara verità: Spider Truman non esiste, è un’invenzione del Servizio Segreto. Le indagini della Polizia Postale, scrive Capone, sono assolutamente finte. La dimostrazione di quanto sopra? Il blog dell’indignato speciale è stato pompato da Sky, Corsera e Repubblica: ciò dà prova che dietro vi è “un progetto”.

Il blog sui “segreti della Casta” permette di monitorare l’indignazione, di dare un valore all’intolleranza sociale verso l’alta dirigenza statale: valore che abbinato ad altri indici di sicurezza permette di prevedere (seppur con qualche margine d’errore) emergenze terroristiche endogene. Un esempio? Rammentate i blog dei No-Global e dei No-Tav? Sono stati esaminati dagli organi di polizia negli scorsi mesi per quantificare l’impiego di forze dell’ordine in Val di Susa. Così l’Assange italiano serve anche per stabilire se politici e alti dirigenti necessitano di più protezione (R. Capone, L’Opinione, 19/07/2011, p. 3).

Altro elemento di incontrovertibile verità: le informazioni che Spider Truman sta rivelando su Fb sono “tutti dati notoriamente appuntati dagli 007 nei dossier, particolari che certo non colleziona un portaborse”. Eh no, naturalmente gli 007 nostrani sono intrinsecamente dei ragionieri, mica fanno le extraordinary renditions. No, tengono i conti agli onorevoli.

Kossiga, buon’anima

Cossiga Francesco, ex Ministro degli Interni, ex Presidente Picconatore della Repubblica (la Prima), è in ospedale, in fin di vita. O quasi. O forse no. In ogni caso, come ciascuno di noi, dinanzi all’Estremo Giudizio che è la Morte, si guadagna l’appellativo di buon’anima. Il tempo per un’analisi storiografica sul politico Kossiga verrà poi, con gli anni. Certamente, il Presidente si porta con sé un bel po’ di segreti, a cominciare da Gladio. Se potesse vivere ancora qualche giorno, almeno ci dicesse quel che accadde nei giorni del sequestro Moro, o perché e su mandato di chi nel 1977 inviò gli M113, i blindati, per reprimere le proteste studentesche. Repressione che causò la morte di una giovane militante di sinistra, Giogiana Masi. Fu allora che comiciarono a scrivere il suo nome con la K e la SS nazista.

Un signore tanto illuminato, Cossiga, da prevedere il crollo della Prima Repubblica già nell’89, quando il muro di Berlino veniva fatto a pezzi. Lui già sapeva che PCI e DC avrebbero subito ‘gravi conseguenze’ a causa della fine della contrapposizione dei due blocchi. Fu sua la definizione del giudice ragazzino affibiata a Rosario Livatino, poi mandato a morte dalla mafia.

Il picconatore ha/aveva il pallino dei servizi segreti: tendeva a motivare tutte le fasi della politica italiana con scelte dalla CIA. Se Andreotti non divenne Presidente del Consiglio nel 1989, era dovuto alle interferenze degli agenti segreti americani. D’altronde il nome di Cossiga si associa a Gladio, la sezione italiana di ‘Stay behind the net’, una organizzazione paramilitare segreta della NATO che aveva lo scopo di prevenire invasioni comuniste in Italia, ma anche e forse di impedire che il PCI divenisse partito di governo. Lui e solo lui, Kossiga, era l’unico referente politico di Gladio (ma Andreotti sapeva). La rivelazione dell’esistenza di questa organizzazione segreta gli valse anche una messa in stato di accusa, un impeachment, poi negato dalla Commissione Parlamentare.

Negli ultimi anni le sue dichiarazioni parevano alquanto disconnesse. In una lettera al capo della Polizia Antonio Manganelli, nel 2008, suggeriva come creare consenso contro i manifestanti:

”Un’efficace politica dell’ordine pubblico deve basarsi su un vasto consenso popolare, e il consenso si forma sulla paura, non verso le forze di polizia, ma verso i manifestanti” […] ”Un lancio di bottiglie contro le forze di polizia, insulti rivolti a poliziotti e carabinieri, l’occupazione di stazioni ferroviarie, qualche automobile bruciata non è cosa poi tanto grave” […] ”Il mio consiglio è che in attesa di tempi peggiori, che certamente verranno, Lei disponga che al minimo cenno di violenze di questo tipo, le forze di polizia si ritirino, in modo che qualche commerciante, qualche proprietario di automobili, e anche qualche passante, meglio se donna, vecchio o bambino, siano danneggiati” […] in modo tale che ”cresca nella gente comune la paura dei manifestanti e con la paura l’odio verso di essi e i loro mandanti, o chi da qualche loft o da qualche redazione, ad esempio quella de L’Unità, li sorregge”.
”Aspetterei ancora un po’ adottando straordinarie misure di protezione nei confronti delle sedi di organizzazioni di sinistra. E solo dopo che la situazione si aggravasse e colonne di studenti con militanti dei centri sociali, al canto di ‘Bella ciao’, devastassero strade, negozi, infrastrutture pubbliche e aggredissero forze di polizia in tenuta ordinaria e non antisommossa e ferissero qualcuno di loro, anche uccidendolo, farei intervenire massicciamente e pesantemente le forze dell’ordine contro i manifestanti, ma senza arrestare nessuno” […] ”Il comunicato del Viminale dovrebbe dire che si è intervenuto contro manifestazioni violente del Blocco Studentesco, di Casa Pound e di altri manifestanti di estrema destra, compresi gruppi di naziskin che manifestavano al grido di ‘Hitler! Hitler!’. Questo il mio consiglio”.

Naturalmente verrà anche il suo giorno, e per quell’istante, che sarà il trapasso, le sue colpe (i suoi meriti) non varranno un accidente. Sarà ignominioso colui che giorirà della sua dipartita, poiché dinanzi alla morte anche la verità fa un passo indietro. Lui e i suoi sassi nelle scarpe e sulla coscienza passeranno in secondo piano. C’è da giurarci che le tv italiane impazziranno. Del resto, di quel passato in bianco e nero in cui morì una ragazza, nulla resterà. Per opposizione all’oblio, ricordare Giorgiana di quel terribile 1977:

La notizia che non c’è: il mistero della foto del ‘Signor Franco’

Ecco, la foto di quest’uomo non esiste, anzi, errata corrige: quest’uomo non esiste. Non fate caso alla sua presenza su queste pagine: esso non c’è. Questa la verità istituzionale.

il Signor Franco c'è e ti vede

Il mondo dell’informazione ha una sorta di sussulto, di fibrillazione: Repubblica.it mostra la foto del ‘Signor Franco’, la spia del Sisde che, tramite Don Vito Ciancimino, trattava con la mafia. Un corto circuito e la foto fa il giro del web. Rimbalza sui blog. Ma nel giro di un paio d’ore, sbam!, sparita. La notizia non c’è più. Non è quello il ritaglio di giornale su cui Ciancimino ha dichiarato di aver riconosciuto ‘faccia da mostro’. Repubblica cancella tutto, i magistrati imprecano contro la fuga di notizie, certamente notizie false messe in circolo solo per intorpidire le indagini. Come in una puntata di Lost, il passato è cancellato e sostituito da un presente alternativo nel quale non c’è nessun segno dell’accaduto. O quasi.

Perché sul web ne è rimasta traccia. Ne parla il Post Viola: “E’ stata resa nota da Repubblica la foto del cosiddetto ‘signor Franco’, l’uomo dei Servizi segreti che, secondo Massimo Ciancimino, avrebbe tenuto i rapporti tra Stato e mafia nella cosiddetta trattativa subito dopo le stragi del ’92 in cui vennero uccisi i giudici Falcone e eBorsellino e gli agenti della scorta”. Ne parla infoquotidinane: “Ha un volto, un nome e un numero di matricola il famigerato “signor Franco”, il personaggio, presunto appartenente all’intelligence, che nei racconti di Massimo Ciancimino ha fatto da trait d’union fra Cosa nostra e le istituzioni. E’ un agente di alto grado dei servizi ed è ancora in servizio. Lo scrive il quotidiano “La Repubblica” in articolo di Attilio Bolzoni”.

La smentita dei giudici di Caltanissetta giunge via ANSA: “Il misterioso signor Franco non è stato né identificato dagli inquirenti, né, tantomeno, iscritto nel registro degli indagati. Il testimone non ha ancora consegnato ai pm il giornale, che conserva in una casa all’estero. Nei giorni scorsi gli investigatori hanno acquisito una copia della rivista che hanno esibito a Ciancimino. Non si tratterebbe però della stessa indicata dal testimone. Secondo indiscrezioni, Ciancimino non sarebbe stato in grado di riconoscere il signor Franco nella foto mostratagli dagli inquirenti, che peraltro non era chiara. Tra molte incertezze il figlio dell’ex sindaco ha detto che si potrebbe trattare dello 007, ma di non esserne affatto sicuro” (LiveSicilia >> Cronaca > Fughe di notizie sul “signor Franco” la foto sparisce dal sito di Repubblica).

Il suo volto non è il vero volto. Ciancimino lo rivelerà quando saremo pronti. La sagoma del Signor Franco si smaterializza e come un fumo nero si aggira furibonda per gli intricati circuiti mediatici.

L’agente CarloFranco. La teledipendenza di Ciancimino.

Il TG3 delle 19.00 di oggi raccontava che i magistrati già sanno il nome e il numero dell’agente del Sisde che archittettava le trame per la trattativa Stato-Mafia. Non l’ha detto nessun altro telegiornale della tv di stato. Da Nicola Mancino nessun segno di risveglio. La memoria latita. Oppure sta stringendo le chiappe. Forse Ciancimino jr. non vivrà a lungo. Lui dice di temere di essere ucciso. Eppure va in tv e parla alle telecamere. Tutti conoscono il suo volto. Quale pentito rischia la vita andando sempre in tv?

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    • Sono più di una le sim di telefono cellulare ritrovate dai magistrati di Palermo, sequestrate a Massimo Ciancimino il giorno del suo arresto avvenuto nel giugno 2006.

    • I sostituti Roberto Scarpinato e Nino Di Matteo stanno accertando, con l’aiuto del dichiarante, quale dei numeri registrati si riferisce all’agente dei servizi "Carlo-Franco", che era in contatto con i Ciancimino, padre e figlio. Le schede non erano nella disponibilità della Corte d’appello, davanti alla quale si svolge il processo per riciclaggio a Massimo Ciancimino, ma i sostituti sono riusciti ad acquisirle dopo aver avviato una ricerca fra i documenti che erano stati sequestrati all’indagato il giorno in cui è finito in cella.
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    • stando all’annuncio di Rutelli, il Copasir avrebbe intenzione di convocare il procuratore di Caltanissetta, Sergio Lari, e il premier Silvio Berlusconi
    • Quanto al primo, non si capisce quale contributo potrebbe fornire, visto che l’inchiesta appena riaperta su depistaggi e possibili mandanti esterni delle stragi è in pieno svolgimento ed è improbabile che si concluda prima di molti mesi.
    • Quanto al secondo, nel 1992-’93 non era in politica, essendovi entrato l’anno seguente, a stragi concluse: sarebbero molte le domande da porgli sui rapporti suoi e del fido Dell’Utri con la mafia. Ma la sede ideale non è il Copasir, bensì l’Antimafia
    • Il Copasir dovrebbe invece concentrarsi sui rappresentanti di quello scorcio di Prima Repubblica. Per esempio mettendo a confronto Nicola Mancino e Giuseppe Ayala. Mancino, all’epoca ministro dell’Interno, ha sempre negato di aver incontrato Borsellino, che invece annotò un incontro con lui al Viminale il 1° luglio ‘92, 16 giorni prima di essere assassinato in via d’Amelio. Ayala l’ha smentito a distanza di 17 anni, salvo poi tentare di smentire la smentita (ma, purtroppo per lui, a confermarla c’è la registrazione della sua intervista sul sito Affaritaliani.it).
    • Il Copasir potrebbe poi convocare il generale Mario Mori, all’epoca vicecomandante del Ros impegnato in una sconcertante trattativa con la mafia tramite Vito Ciancimino, dopo Capaci e via d’Amelio. Trattativa di cui Violante, sempre con 17 anni di ritardo, ricorda di essere stato in qualche modo informato dallo stesso Mori

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Join the dots. Unisci i puntini. Retrospettiva della destabilizzazione: telefoni e piramidi.

Il presidente emerito Carlo Azeglio Ciampi e il 1993: allora era alla presidenza del consiglio, lo stesso governo con Mancino Ministro dell’Interno. Racconta del 1993 e delle stragi di mafia cosiddette sul Continente: Roma, Firenze, Milano. Racconta del telefono di Palazzo Chigi isolato. Per tre o quattro ore. Di mafiosi, così gli è steto detto, “al largo della sua casa”. Della P2 e della Commissione Anselmi. La quale mise nero su bianco un’evidenza: e cioè che Gelli non era che la punta di una piramide, una piramide rovesciata. Esisteva quindi qualcuno, un gruppo, una organizzazione, a cui Gelli faceva riferimento. Da cui – presumibilmente – prendeva ordini.

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    • “Non sono in grado di entrare nei particolari delle indagini. Quella cerimonia è capitata in un periodo davvero speciale. Ricordo l’entusiasmo del ’93 per l’accordo sul costo del lavoro. Poi la lunga serie di attentati in nottata. Ero a Santa Severa, rientrai con urgenza a Roma, di notte. Accadevano strane cose. Io parlavo al telefono con un mio collaboratore a Roma e cadeva la linea. Poi trovarono a Palazzo Chigi il mio apparecchio manomesso, mancava una piastra. Al largo dalla mia casa di Santa Severa, a pochi chilometri da Roma incrociavano strane imbarcazioni. Mi fu detto che erano mafiosi allarmati dalla legge che istituiva per loro il carcere duro. Chissà, forse lo volevano morbido, il carcere”.
    • Avvertiva anche lei l’ombra di qualcosa, di qualcuno nei palazzi del potere che remava contro l’Italia?
      “Certo anch’io mi chiedo come mai la grande, lunga complessa inchiesta della commissione parlamentare sulla loggia P2 guidata da Tina Anselmi a Palazzo San Macuto abbia avuto così poco seguito. Ricordo quei giorni, ricordo che l’onorevole Anselmi era davvero sconvolta. Mi chiamò alla Banca d’Italia (ero ancora governatore) e mi disse “lei non sa quel che sta venendo a galla”. Lei, la Anselmi, il suo dovere lo compì. Non credo però che molti uomini della comunicazione siano andati a fondo a leggere quelle carte. Il procuratore Vigna sapeva quel che faceva”.
    • Che cosa le è rimasto di quei giorni, a distanza di tanto tempo?
      “E’ una materia vissuta molto dolorosamente e con grande partecipazione, mentre resta forte il desiderio di conoscere tutta la verità. In quelle settimane davvero si temeva anche un colpo di Stato. I treni non funzionavano, i telefoni erano spesso scollegati. Lo ammetto: io temetti il peggio dopo tre o quattro ore a Palazzo Chigi col telefono isolato. Di quelle giornate, quel che ricordo ancora molto bene furono i sospetti diffusi di collegamento con la P2”.

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    • La prima è in ordine all’ampiezza ed alla gravità del fenomeno che coinvolge, ad ogni livello di responsabilità, gli aspetti più qualificati della vita nazionale. Abbiamo infatti riscontrato che la Loggia P2 entra come elemento di peso decisivo in vicende finanziarie, quella Sindona e quella Calvi, che hanno interessato il mondo economico italiano in modo determinante.
      Non si è trattato, in tali casi, soltanto del tracollo di due istituti di credito privati di interesse nazionale, ma di due situazioni finanziariamente rilevanti in un contesto internazionale, che hanno sollevato – con particolare riferimento al gruppo Ambrosiano – serie difficoltà di ordine politico non meno che economico allo Stato italiano. In entrambe queste vicende, la Loggia P2 si è posta come luogo privilegiato di incontro e centro di intersecazione di una serie di relazioni, di protezioni e di omertà che ne hanno consentito lo sviluppo secondo gli aspetti patologici che alla fine non è stato più possibile contenere. In questo contesto finanziario la Loggia P2 ha altresì acquisito il controllo del maggiore gruppo editoriale italiano, mettendo in atto, nel settore di primaria importanza della stampa quotidiana, una operazione di concentrazione di testate non confrontabile ad altre analoghe situazioni, pur riconducibili a preminenti centri di potere economico. Queste operazioni infine, come abbiamo visto, si sono accompagnate ad una ragionata e massiccia infiltrazione nei centri decisionali di maggior rilievo, sia civili che militari e ad una costante pressione sulle forze politiche. Da ultimo, non certo per importanza, va infine ricordato che la Loggia P2 è entrata in contatto con ambienti protagonisti di vicende che hanno segnato in modo tragico momenti determinanti della storia del Paese.
    • La seconda conclusione alla quale siamo pervenuti è che in questa vasta e complessa operazione può essere riconosciuto un disegno generale di innegabile valore politico; un disegno cioè che non solo ha in se stesso intrinsecamente valore politico – ed altrimenti non potrebbe essere, per il livello al quale si pone – ma risponde, nella sua genesi come nelle sue finalità ultime, a criteri
      obiettivamente politici.
    • Le due conclusioni alle quali siamo pervenuti ci pongono pertanto di fronte ad un ultimo concludente interrogativo: è ragionevole chiedersi se non esista sproporzione tra l’operazione complessiva ed il personaggio che di essa appare interprete principale. E’ questa una sorta di quadratura del cerchio tra l’uomo in sé considerato ed il frutto della sua attività, che ci mostra come la vera sproporzione stia non nel comparare il fenomeno della Loggia P2 a Licio Gelli, storicamente considerato, ma nel riportarlo ad un solo individuo, nell’interpretare il disegno che ad esso è sotteso, e la sua completa e dettagliata attuazione, ad una sola mente.
    • Abbiamo visto come Licio Gelli si sia valso di una tecnica di approccio strumentale rispetto a tutto ciò che ha avvicinato nel corso della sua carriera. Strumentale è il suo rapporto con la massoneria, strumentale è il suo rapporto con gli ambienti militari, strumentale il suo rapporto con gli ambienti eversivi, strumentale insomma è il contatto che egli stabilisce con uomini ed istituzioni
      con i quali entra in contatto, perché strumentale al massimo è la filosofia di fondo che si cela al fondo della concezione politica del controllo, che tutto usa ed a nessuno risponde se non a se stesso, contrapposto al governo che esercita il potere, ma è al contempo al servizio di chi vi è sottoposto.
      Ma allora, se tutto ciò deve avere un rinvenibile significato, questo altro non può essere che quello di riconoscere che chi tutto strumentalizza, in realtà è egli stesso strumento.
    • Questa infatti è nella logica della sua concezione teorica e della sua pratica costruzione la Loggia Propaganda 2: uno strumento neutro di intervento per operazioni di controllo e di condizionamento. Quando si voglia ricorrere ad una metafora per rappresentare questa situazione, possiamo pensare ad una piramide il cui vertice è costituito da Licio Gelli; quando però si voglia a questa piramide dare un significato è giocoforza ammettere l’esistenza sopra di essa, per restare nella metafora, di un’altra piramide che, rovesciata, vede il suo vertice inferiore appunto nella figura di Licio Gelli.

Mancino e la trattativa che può esserci stata.

Mancino non ricorda di aver incontrato Borsellino, quel giorno, diciannove giorni prima della strage. O forse sì, l’ha incontrato ma di sfuggita, nei corridoi. E della trattativa? La trattativa? Quale trattativa? Non c’è stata alcuna trattativa. Ah, quella fra stato e mafia, quella no, quella trattativa – se c’era- l’abbiamo respinta.

Ulteriori approfondimenti:

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    • Il Comitato parlamentare che vigila sui servizi segreti ha chiesto gli atti dell’omicidio Borsellino
    • Il primo a parlare di una presunta trattiva tra Stato e mafia, è stato un protagonista illustre di quell’estate di 17 anni fa, Nicola Mancino, oggi vice presidente del Consiglio superiore della magistratura e al tempo – dal 1992 al 1994 – ministro dell’Interno.
    • Mancino fece capire che la “trattativa” c’è stata o, comunque, qualcuno l’avrebbe voluta. Però, l’ex ministro precisa: “Noi l’abbiamo sempre respinta. L’abbiamo respinta anche come semplice ipotesi di alleggerimento dello scontro con lo Stato portato avanti dalla mafia”
    • L’ex ministro non va oltre, conferma il tentativo fatto da Cosa Nostra di scendere a patti – fermare le stragi in cambio dell’abolizione del carcere duro e della legge sui pentiti – ma sostiene che lo Stato non ha accettato quel ricatto.
    • L’ex capo di Cosa nostra Totò Riina, dal carcere di Opera, dice di non saperne niente del patto, ma il suo legale, riferendo parole del boss, aveva detto: “Riina è stato oggetto e non soggetto della trattativa”
    • Ora che i sospetti sono diventati pubblici, il comitato parlamentare dei servizi segreti vuole metterci il naso. Ma Rutelli chiede che al Copasir venga anche Berlusconi a parlare
    • Le audizioni periodiche del premier davanti al Copasir sono previste, tra l’altro, dalla legge di riforma dei servizi del 2007. “Un incontro ancora più importante – ha aggiunto Rutelli – perchè spetta al presidente del Consiglio dare le indicazioni generali sul lavoro da svolgere”.

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Le mani del Copasir

Il Copasir, nella persona del suo Presidente, Francesco Rutelli, lo stesso Rutelli delle accuse infamanti a Gioacchino Genchi – sì, il Genchi che intercettò gli agenti segreti al Castello Utveggio, lo stesso Genchi la cui indagine è parte provante del ruolo dei servizi segreti nella strage di Via D’amelio – dichiara oggi di volersi occupare dell’inchiesta di Caltanissetta che sta mettendo subbuglio nei Palazzi. L’intento? Mettere a tacere. Insabbiare. Quale altro allora? Perché occuparsi solo ora – solo ora! – del ruolo dei servizi nelle stragi del ’92-’93? L’ombra del Copasir si allunga su Caltanissetta e mette a pregiudizio il lavoro della magistratura, come già successo per Catanzaro. Caltanissetta e Catanzaro: un nome che li accomuna, Nicola Mancino. Mancino è colui che nega di aver incontrato Borsellino il giorno del suo insediamento al Viminale. Mancino è lo stesso uomo che durante il caso della guerra fra procure, affossa Salerno e premia Catanzaro, lo stesso che intima a De Magistriis di lasciare la toga se entra in politica. Lo stesso che paventa trame destabilizzanti mesi prima degli attentati del ’93. Che occupa il Viminale in uno strano – all’epoca dei fatti un cambio ritenuto controproducente – avvicendamento con l’allora ministro Scotti. Lo stesso che giudica un errore storico il solo pensare a qualche coinvolgimento dei servizi segreti nelle stragi.
Si dirà: è un caso.
E intanto a Palermo spariscono le prove.

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    • L’ultimo mistero siciliano è una carta sim, una scheda telefonica scomparsa nelle stanze della Corte di Appello di Palermo. La cercano da molto tempo e non la trovano. Dentro c’è anche il numero del cellulare di “Carlo”, l’agente segreto che ha trattato con Vito Ciancimino prima e dopo le stragi del 1992.
    • Il suo nome è sconosciuto agli investigatori, la sola via per identificarlo era quella carta sim requisita nel giugno del 2006 a Massimo, il figlio di don Vito, al momento dell’arresto. C’è il verbale di sequestro di uno dei suoi telefonini, c’è anche il verbale di sequestro della scheda ma la carta è sparita.
    • Dalla procura di Palermo sono partite più richieste e “sollecitazioni” alla Corte di Appello
    • O qualcuno l’ha sottratta o qualcun altro l’ha infilata in un posto sbagliato.
    • E “Carlo”, se non ci sarà nessuno che dirà chi è, resterà nell’ombra.
    • E’ il personaggio centrale di tutta l’inchiesta siciliana sugli avvenimenti di quell’estate del 1992. Più dello sfregiato, quell’altro agente segreto con la “faccia da mostro” che i magistrati di Palermo e di Caltanissetta stanno inseguendo da mesi.
    • E’ “Carlo” l’uomo cerniera di più “alto livello” fra Mafia e Stato prima e dopo le stragi di diciassette anni fa. E’ lui – lo racconta Massimo Ciancimino – che aveva materialmente in mano il famigerato “papello” alla vigilia del massacro di via D’Amelio mentre discuteva con suo padre sulle prossime mosse per far contento Totò Riina.
    • Ha fra i sessanta e i sessantacinque anni, Vito Ciancimino aveva una frequentazione con lui dal 1980. Un vero “intermediario” fra pezzi dello Stato e poteri criminali. Uno che poteva entrare e uscire dalle carceri italiane quando voleva. Uno che ha fatto avere a Vito Ciancimino anche un passaporto turco subito dopo l’uccisione di Salvo Lima, all’inizio del 1992. E’ stato “Carlo” a portarglielo a casa sua, a Roma in via San Sebastianello. “Se dovesse averne bisogno, se avesse necessità di allontanarsi in fretta dall’Italia”, gli disse “Carlo”. La foto che servì per quel passaporto, don Vito l’ha fatta in uno studio a pochi passi dalla sua abitazione. Si è messo in posa con una barba finta.
    • E’ un potente “Carlo”. Con “licenza” di fare scorribande dappertutto. Quando andava da don Vito arrivava sempre in auto blu e chaffeur.
    • Capita anche che “Carlo” prova a usare come “postini” i figli di Vito Ciancimino per mandargli a dire: “Dite a vostro padre di stare tranquillo e di non lasciarsi andare perché ci siamo noi che teniamo a cuore la sua vicenda”.
    • dopo la morte di don Vito e dopo le disavventure del figlio Massimo arrestato per riciclaggio, “Carlo” non ha mai voluto abbandonare i contatti con i Ciancimino. Soprattutto con Massimo. E’ stato lui a fargli avere le aragoste vive il giorno di Ferragosto del 2007, quando Massimo era agli arresti domiciliari.
    • E’ stato lui a presentarsi come “un carabiniere” sotto la sua casa di Palermo qualche mese fa. E’ stato sempre lui il 10 luglio scorso, nel primo pomeriggio, a entrare segretamente nell’appartamento bolognese di Ciancimino jr per lasciare un messaggio: “Ma chi te lo fa fare? Perché ti sei messo in questa situazione? Non pensi alla tua famiglia?”
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    • Il Comitato di controllo sull’ attività dei Servizi segreti (Copasir) si occuperà delle novità che stanno emergendo dall’inchiesta della Procura di Caltanissetta sulla strage di via d’Amelio in cui morì il giudice Paolo Borsellino.
    • Lo ha annunciato il presidente del Copasir Francesco Rutelli sottolineando di aver già incontrato il presidente della Commissione Antimafia Giuseppe Pisanu per coordinare i lavori.
    • ho concordato che una volta completata l’analisi della documentazione che ha nei suoi uffici, per la quale ci vorranno alcune settimane, tutte le eventuali informazioni riguardanti nel passato funzionari dei Servizi segreti, saranno oggetto di una sua informativa e di una sua audizione al Copasir

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Join the dots. Unisci i puntini. Lo strano caso della Lega Meridionale.

La Lega del Sud che il Governatore della Sicilia Lombardo, con la cooperazione di Micciché, minaccia di costituire, non è una novità nel panorama politico italiano. C’era una volta, nel lontano 1990, una Lega Meridionale che addirittura voleva candidare Gelli e Ciancimino. Un partitino che però possedeva una televisione e un giornale. Fatto che fece insospettire Bossi, il ruspante Bossi anni novanta, il quale in una interpellanza alla Camera chiedeva se non vi fossero legami fra quel sedicente partito e i servizi segreti deviati.
Si vociferava anche di incontri fra Gelli e Boss mafiosi. Quali legami con la destabilizzazione messa poi in atto dal 1992 con lo stragismo para-mafioso?
(Articoli di Concita Di Gregorio e Giorgio Bocca).

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    • SE NON fosse, come temiamo, un avvertimento di sapore mafioso, ci sarebbe da ridere. Dico dell’ eletto stuolo di avanzi di galera, piduisti, prìncipi siciliani, picchiatori fascisti riunitosi domenica in un albergo romano per lanciare verso sicure fortune elettorali la Lega meridionale di unità nazionale.
    • C’ era anche e qui la sfacciataggine ha raggiunto vette abissali il buon Ciancimino, l’ ex sindaco di Palermo condannato, rarissima avis, per traffici malavitosi, l’ onorevole del pignatone cioè del pentolone finanziario in cui finivano i miliardi delle speculazioni politico-mafiose di cui era l’ amministratore, anzi di cui pare sia ancora l’ addetto al mestolo.
    • si chiamavano fratelli e giustamente finalmente chiedevano a gran voce il siluramento del giudice Falcone, l’ allontanamento dell’ alto commissario all’ Antimafia Sica, l’ abolizione della iniqua legge La Torre che prevede il sequestro dei beni mafiosi
    • è un brutto segno, il segno che la politica del sottosuolo, la politica delle trame, dei finti golpe e dei veri attentati, del fumo e del terrore, dei ricatti e delle manovre ricattatorie, sta ricominciando
    • Sembra piuttosto curioso che personaggi come Gelli e come Ciancimino, che in negativo non sono certo dei dilettanti e degli stupidi, si siano uniti alla pittoresca compagnia. Sì, sembra strano.
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    • Gelli accetta la candidatura, e al telefono espone il suo programma da parlamentare: si occuperà di giustizia, scuola, sanità. Il Venerabile è estusiasta perché questo movimento politico troverà la sua forza negli affiliati alla massoneria. Tutti finalmente di nuovo fratelli, visto che chi gli propone un seggio al Senato è colui che un tempo lo mise al bando per via ricorda di quell’ equivoco della P2:
    • Ha avuto fiuto Ciancimino, che prima della bufera si è defilato in silenzio.
    • per quella platea in doppiopetto scuro che lo ha accolto urlando Giustizia per Ciancimino, sia fatta giustizia. Si è guardato attorno con disagio, poi ha declinato l’ invito a salire sul palco
    • L’ ex sindaco di Palermo ha poi gentilmente rifiutato la candidatura al Parlamento che la Lega gli ha proposto.
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    • Licio Gelli, ex Gran Maestro della loggia massonica P2, ha in mente di impiegare diversamente il suo tempo. In politica, per esempio: il suo esordio lo farà oggi pomeriggio ad un’ assemblea della Lega meridionale, alla quale parteciperà anche Vito Ciancimino. Sarà il primo passo di una corsa che punta ad una poltrona di senatore.
    • Lega meridionale mi ha proposto di presentarmi nelle sue liste garantendomi un seggio al Senato
    • Ma cosa c’ entra Gelli con la Lega meridionale? C’ entra, eccome se c’ entra. Badi bene, non facciamo confusione: noi non siamo quelli della Lega Sud, con Bossi non abbiamo niente a che fare. Siamo altro, siamo diversi. La nostra lega è nata un anno e mezzo fa ed ha già trentamila tesserati: il nostro motto è Libertà, uguaglianza, fratellanza e giustizia.
    • Licio Gelli è, nel bene e nel male, il simbolo dell’ ingiustizia in Italia: lo Stato non ha saputo dirci quali sono le sue colpe.
    • E Ciancimino? Ciancimino è un grande uomo, un grande meridionale: abbiamo invitato un grande meridionale ad un grande appuntamento con la storia. I nostri fratelli ne saranno entusiasti.
    • Fratelli? Si, abbiamo scelto di chiamarci fratelli
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    • parla Vincenzo Serraino, direttore di un giornale sindacale, uno dei fondatori della Lega Meridionale che aveva in mente di candidare l’ ex Gran Maestro della Loggia P2
    • Serraino, conferma di aver fatto da tramite ma giura che a quell’ incontro non c’ è andato
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    • Chi finanzia la Lega meridionale? Lo chiede, in una interrogazione al presidente del Consiglio, il senatore Umberto Bossi, leader della Lega lombarda.
    • si chiede se sia ipotizzabile un collegamento tra servizi segreti, Ciancimino, Gelli e la stessa Lega meridionale.

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Retrospettiva della destabilizzazione: la ricostruzione di Genchi

Il ruolo dei servizi segreti nelle stragi del 1992; le ricostruzioni dei contatti telefonici fatte da Gioacchino Genchi all’epoca delle prime indagini; quale ruolo per Contrada?

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    • «Andate a vedere là, al castello Utveggio, quella è roba vostra» ha detto Totò Riina venerdì parlando per la prima volta dopo 17 anni con i magistrati di Caltanissetta e accreditando l’ipotesi che sulla strage di via D’Amelio ci sia, anche, la mano dei servizi segreti.
    • «Le testimonianze del dottor Gioacchino Genchi e della dottoressa Rita Borsellino hanno offerto contributi determinanti su quello che realisticamente potrebbe essere stato l’intervento di soggetti esterni su Cosa Nostra (nella realizzazione delle stragi, ndr)» si legge nella sentenza di condanna per la strage di via d’Amelio.
    • «Il dottor Genchi ha chiarito che l’ipotesi che il commando stragista potesse essere appostato nel castello Utveggio, ipotesi utile per ulteriori sviluppi, era stata lasciata cadere da chi conduceva le indagini».
    • Riina e le indagini dicono la stessa cosa e puntano sui servizi segreti.
    • il riscontro alle mie indagini non arriva oggi da Riina ma da tracce telefoniche inequivocabili acquisite alle inchieste
    • quel processo sia da rifare dopo che il boss Gaspare Spatuzza ha smentito Scarantino
    • Genchi, esperto di telefonia, chiamato in causa di recente per eccessi nell’acquisizione di tabulati seppur come consulente delle procure, era all’epoca uomo di punta nel pool investigativo creato per la strage di Capaci e poi per via d’Amelio.
    • Scoprì, ad esempio, che, si legge in sentenza, «nel castello Utveggio (costruzione che domina Palermo e via d’Amelio, ndr) aveva sede il Cerisdi, ente regionale dietro il quale trovava copertura un organo del Sisde»
    • questo luogo divenne crocevia di utenze clonate, telefonate intercettate e, soprattutto, «il possibile punto di osservazione per cogliere il momento in cui dare impulso all’esplosivo» caricato sotto la 126 parcheggiata davanti all’abitazione della madre di Paolo Borsellino
    • Le indagini hanno individuato Pietro Scotto (condannato e poi assolto) come «autore di lavori non autorizzati sulla linea telefonica del palazzo di via d’Amelio
    • Scotto è stato riconosciuto da due testimoni; era dipendente della società telefonica Sielte che lavorava con gli 007; soprattutto è fratello di Gaspare Scotto, boss del mandamento dove è avvenuta la strage.
    • L’analisi delle telefonate di Gaetano Scotto – si legge in sentenza – evidenzia contatti con le utenze di castello Utveggio fino al febbraio 1992».
    • Genchi, trova la prova che «un’utenza telefonica clonata (di una signora napoletana ignara di tutto, ndr) era in possesso dei boss fin dall’autunno 1991» . E che quell’utenza, «in prossimità del 19 luglio (giorno della strage, ndr) chiama una serie di villini che si trovano lungo il percorso che l’auto di Borsellino aveva percorso quella domenica»
    • contatti telefonici con probabili punti di osservazione lungo il tragitto.
    • Era di uno 007 anche il numero di telefono trovato sulla montagnola di Capaci da dove fu fatta saltare l’auto di Falcone. Infine Bruno Contrada, lo 007 poi condannato per mafia. Il pomeriggio del 19 luglio era in barca con un altro funzionario, lo stesso il cui numero è stato trovato a Capaci. Ottanta secondi dopo l’esplosione, quando nessuno ancora sapeva, dal cellulare di Contrada partì una telefonata. Era diretta, ancora una volta, al Sisde. Ne aveva ricevuta anche un’altra, due minuti prima dell’attentato.

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