C’è sempre un piano B

C’è sempre un piano B

E’ super segreto, tanto che ne parla pure Repubblica. Ma Renzi avrebbe in tasca, ah no – nel cassetto, la soluzione all’impasse creatasi sulla riforma del Senato dopo le dichiarazioni di Berlusconi di qualche giorno fa. Quindi, riassumendo: stavate dicendo che una riforma elettorale, ancorché pasticciata, poteva essere approvata solo e soltanto dopo la riforma del Senato, ovvero la sua cancellazione, ovvero la sua trasformazione in Assemblea dei sindaci, o in Senato delle autonomie, rigorosamente non elettivo ma avente funzioni di camera di controllo sia sull’iter legislativo ordinario che su quello costituzionale, pieno zeppo di nominati (dalle Regioni; dal Presidente della Repubblica), spacciando tutto ciò come doveroso ammodernamento – in nessun sistema parlamentare moderno vige un bicameralismo paritario come il nostro –  e ora, dopo aver tentato di minacciare elezioni anticipate, o di proseguire per proprio conto (e con che numeri?) con la riforma Italicum, dinanzi ai presunti alleati (che non sono) pronti a defilarsi man mano che si avvicinano le elezioni europee, ecco spuntare l’alternativa: un piano B, che sta a significare, sì stavo per fallire e dal momento che ho promesso di ritirarmi se dovesse succedere tale evenienza, allora estendiamo l’applicabilità della nuova legge elettorale (e tutto il pacchetto di distorsioni della rappresentanza che contiene) al Senato. Bella idea: ricordo che il testo originario già conteneva tale proposito e un emendamento a firma D’Attorre l’aveva proditoriamente cancellato, aprendo la strada per l’aggancio della modifica della legge elettorale alla riforma del bicameralismo paritario. Tutto questo perché il 2018 non può essere anticipato. Questione di credibilità. O presunta tale.

[Ecco, sarà colpa dei gufi]

L’annessione

Doveva trattarsi di una scissione, di stracci che volano, di insulti fra sodali. Si è svolta come un’annessione: quel corpo politico che era già separato è stato letteralmente invaso da truppe un tempo amiche. Lo straniamento che è visibile negli occhi di Cicchitto, di Alfano, è quello di chi credeva di liberarsi finalmente dal giogo del Padrone. Più o meno questo stesso straniamento devono averlo vissuto coloro che sono rimasti fedeli alla linea del fondatore del Pdl. Diventati, nel passo breve di una giornata, da pedine dell’opposizione, a pedine da collocare in ogni dove di questa rinnovata coalizione delle larghe intese.

E ancora, lo stesso straniamento è visibile come un’ombra fra i democratici, divisi fra chi festeggia la prosecuzione del governo Letta, fra chi festeggia il ritrovamento di un leader politico che sembrava una chimera, e chi invece si trova nuovamente fianco a fianco di chi pensava di non veder più, almeno nel prosieguo di questa maledetta XVII Legislatura. Ha vinto Letta, scrivono certi; ha vinto per l’ennesima volta il Caimano, scrivono delusi gli altri. E appunto, il dilemma risiede in questo: se sia appunto Berlusconi ad essersi inchinato a Enrico Letta, oppure se sia Berlusconi ad essersi insinuato in Enrico Letta. In ogni caso, dove pensavamo di trovare la frattura, l’arrivo definitivo del futuro, dell’epoca post-berlusconiana, ora troviamo gendarmi in divisa a presidiare la fortezza.

Lo schiaffo di Palazzo Grazioli

Così Alfano non c’era alla riunione del PdL. E’ arrivato a Palazzo Grazioli ben dopo la mezzanotte. L’incontro con Berlusconi è durato non più di venti minuti. Una visita, null’altro, per comunicare che un manipolo di senatori farà la scissione. Silvio, Dudù, Francesca, l’aria improvvisamente impietrita. Alfano, e quella spocchia da azzeccagarbugli abbronzato. Abbiamo dirazzato, Silvio.

E’ la prima volta forse che la trama di relazioni di Silvio Berlusconi trova un limite, anzi, la prima volta che viene lentamente sgretolata ai bordi. L’ex Cavaliere ha scoperto che un’altra affinità, un’affinità rimasta sommersa per quasi venti anni, lega questi uomini al Presidente Letta. Fabrizio Cicchitto, Maurizio Lupi, Carlo Giovanardi, lo stesso Alfano, hanno percepito il ritorno di un comune sentire. E così tradiscono il padre padrone del loro partito, l’ormai vecchio avvizzito e degenerato fondatore del Predellino, in vista forse di una qualche ricompensa politica: avere un ruolo da protagonista nell’epoca post-berlusconiana. Che poi questo coincida con il ritorno del Grande Centro, o della Balena Bianca, poco importa. In fondo – questo è il loro segreto – sono sempre stati, intimamente, duplici e democristiani.

In tutto questo scenario, il Partito Democratico è arrivato al capolinea: ora il PD dovrà scegliere se essere la carne sacrificale per il risorgimento della DC o scegliersi la propria parte e una identità, risolvendo per sempre quell’ambiguità di fondo che lo ha contraddistinto sin dalla prima ora. Sarebbe bello che, ad operare questa scelta, fossero non i gerarchi chiusi in una riunione stile ‘caminetto’, ma gli iscritti e gli elettori, e non necessariamente in questo ordine. Sarebbe bello, ma potrebbe non accadere. E’ appunto per tale ragione che occorre esserci. C’è una differenza sostanziale fra i Democratici e Alfano, Giovanardi, Lupi, Cicchitto. E non serve che ve la spieghi. Bisogna solo farla rispettare.

Videomessaggio, o la persistenza della decadenza

ImmagineNon cade. Rimane in sospensione, come una minaccia. Lui, Berlusconi, ha rievocato la belle époque del 1994. Il mezzo con cui l’ha fatto è sempre il medesimo: un prodotto televisivo, un videomessaggio. L’antichità tecnologica del metodo non deve indurvi in errore. L’uomo è sempre attuale con il suo inganno, sempre presente, in ogni istante, a modificare o correggere la realtà. La sua colpevolezza è camuffata, mascherata con lo stesso cerume impiegato per andare in onda. I denari sottratti al fisco sono solo lo zero virgola. il rischio, quello di consegnare il paese nelle mani della mitologica Sinistra, quel mostro informe, senza volto, che risiede in ogni spicchio della macchina statale, come una sorta di società segreta tesa a far soggiacere l’individuo indifeso sotto il peso della burocrazia e delle tasse. Lui, il portatore della Rivoluzione Liberale, promette sempre che vi libererà, dalla Sinistra, che mai s’è vista, mai s’è incontrata. Con gli occhi che sono poco più che fessure, vi promette che non vi lascerà soli, vi accompagnerà, giù nel gorgo a cui è destinato. E poi vi invita, vi invita a reagire, a protestare (contro chi? contro cosa? ah la Sinistra, la Sinistra, la Sinistra), a prendere la tessera del suo nuovo vecchio vecchissimo partito. Ecco, l’ha fatto di nuovo. Vi ha venduto il set di pentole, il letto pieghevole, il materasso in gommapiuma, tutto pagabile in comode rate mensili che sono già tutte addebitate sul vostro conto corrente. Mentre siete ancora intenti a raccogliere le evidenze dell’ennesimo raggiro, un trasferimento di denaro passa da un isola off-shore all’altra. Così, come un soffio di vento che spazza un po’ di foglie, che non ci fai più caso, il diciannovesimo autunno è cominciato sempre uguale.

I titoli della Crisi 3 – L’Unità

I titoli della Crisi 3 - L'Unità

Due indizi diventano un sospetto: ‘Alfano minaccia sull’Imu’. Appunto.

I titoli della Crisi 2 – Libero

I titoli della Crisi 2 - Libero

Annuntio vobis. Che significa: il 30 Agosto, il CdM sull’Imu sarà disertato dai ministri PdL. Si aprirà la crisi con verifica parlamentare già prima del 9 Settembre.

I titoli della Crisi 1 – Il Giornale

I titoli della Crisi 1 - Il Giornale

Notevole, il sottotitolo.

Fallita la mediazione di Alfano, non resta che il baratro

L’incontro Alfano-Letta di ieri, ovvero fra presidente del Consiglio e vicepresidente (paradossale questo cortocircuito), è stato nefasto per Berlusconi. Alfano si era auto-incaricato per questa missione impossibile. Si era convinto di avere possibilità e argomenti per far propendere l’indomito Letta e il PD per l’allungamento dei tempi e il rinvio alla Consulta della legge Severino sull’incandidabilità e la decadenza, altrimenti nota come Decreto Monti. Ha fallito e probabilmente con questo vano tentativo svaniranno anche i suoi sogni di futura leadership del PdL.

Ma non è questo il punto. All’ex Cavaliere è rimasta la sola carta, la carta che voleva giocarsi già ieri, quando si è frapposto Alfano fra lui e il ‘bottone rosso’. La carta è questa: entro il 30 Agosto il governo dovrà trovare due miliardi per cancellare la rata Imu di Giugno. Basterà far dimettere i ministri prima, o in conseguenza della decisione del governo sull’Imu ed aprire la crisi non già sul voto in Giunta per le autorizzazioni, previsto per il 9 Settembre e già in odore di rinvio, bensì proprio sull’odiata tassa. Poi sarà battaglia mediatica. Videomessaggi. Telegiornali viziati dalla visione del padrone. E’ abbastanza tutto prevedibile. Letta ha tradito l’accordo del governissimo. Letta non ha cancellato l’Imu. Letta di qua, Letta di là. In realtà, il battage propagandistico è già in atto. Si svolge da teleschermi e dalle rotative con un perpetuo capovolgimento della verità, per cui uno che ha frodato il fisco viene dipinto come una vittima di ingiustizia.

In ogni caso, gli scenari in Parlamento potrebbero essere i seguenti:

ipotesi 1) il PD resta fermo nelle sue posizioni, viene votata la decadenza già il 9 Settembre, si apre la crisi, Napolitano rinvia alle Camere un Letta bis senza i berlusconiani e con qualche ministro che possa intercettare il voto radicale dei 5 Stelle, che a loro volta avranno perso una trentina fra deputati e senatori, numero minimo ma sufficiente per il PD e Letta a ricucire la crisi;

ipotesi 2) gli incappucciati (cfr. Puppato) del PD aiutano Berlusconi e la Giunta vota per il rinvio; il PD si spacca ma non del tutto, Letta può continuare a governare per alcuni mesi;

ipotesi 3) la linea dura di Berlusconi e dei falchi del PdL genera una rottura nel partito del predellino e Letta può beneficiare di venti senatori di centrodestra, passati al nemico; Letta può far valere la sua rete relazionale, vastissima e sotterranea;

ipotesi 4) le minacce di B. impediscono ai venti senatori traditori di fuoriuscire; la crisi mette al tappeto Letta e il PD che si divide di nuovo fra chi cerca un dialogo con i 5 Stelle e chi no; entra in campo Renzi, che chiama le primarie e di conseguenza le urne;

ipotesi 5) il M5S resta unito; Napolitano rifiuta di sciogliere le Camere e si dimette; caos istituzionale; il PD si divide in aula in due gruppi, i letto-franceschiniani, per responsabilità verso il paese, diventano sostenitori dell’incostituzionalità del decreto Monti; un berlusconiano viene eletto al Colle e viene predisposto un governo con il centro destra, la Lega, i letto-franceschiniani, Casini, i resti di Scelta Civica, che come primo provvedimento emetterà un decreto salvacondotto finendo per violare definitivamente lo Stato di Diritto.

Questo è un racconto fantasioso, anche se non esaustivo, delle possibili evoluzioni della crisi di governo (che vive e lotta in mezzo a noi) ricostruite attraverso le elucubrazioni giornalistiche di questi giorni. Sarà poi tanto lontano dal vero?

Ancora in campo

Ancora in campo

Paesaggio ferragostano a Milano (foto La Stampa)

Ancora sull’incandidabilità di Berlusconi e la decadenza da senatore

Il consiglio di Stato, con la sentenza n. 695/2013, ha – come riferisce Vito Crimi su Facebook – messo “una pietra sopra” alla teoria della inapplicabilità del decreto Monti (n. 253/2012) alla fattispecie berlusconiana (la cosiddetta “linea Guzzetta” che farebbe leva sullo jus superveniens e l’irretroattività delle leggi). La sentenza è datata 06/02/2013 e riferisce al caso di Marcello Miniscalco, candidato nella lista regionale del candidato Presidente Paolo Di Laura Frattura per l’elezione del Presidente della Giunta Regionale e del Consiglio Regionale del Molise, avvenuta nei fatidici giorni 24 e 25 febbraio 2013. il ricorso di Miniscalco era rivolto contro la decisione dell’Ufficio Centrale Regionale con la quale – cito dal testo della sentenza –  “è stata disposta la cancellazione del nominativo del candidato Miniscalco Marcello dalla lista regionale a supporto del candidato Presidente Paolo Di Laura Frattura”.

Miniscalco fu condannato nel 2001 per abuso d’ufficio. Sentenza definitiva ma, per la durata della condanna, rientra nella casistica prevista dal decreto legislativo 253/2012. L’Ufficio Centrale Regionale ha correttamente applicato la legge e il 28 Gennaio, un mese prima del voto, mise Miniscalco fuori partita.

Il ricorrente sosteneva:

  1. che “la normativa inibitoria di cui al citato D.Lgs. n. 235/2012 sarebbe applicabile solo con riferimento alle sentenze successive alla sua entrata in vigore”;
  2. che il provvedimento avesse profili di incostituzionalità.

Il Consiglio di Stato ha smentito il Miniscalco, per due ordini di ragioni:

  1. fine primario perseguito è quello di allontanare dallo svolgimento del rilevante munus pubblico i soggetti la cui radicale inidoneità sia conclamata da irrevocabili pronunzie di giustizia. In questo quadro la condanna penale irrevocabile è presa in considerazione come mero presupposto oggettivo cui è ricollegato un giudizio di “indegnità morale” a ricoprire determinate cariche elettive […]; ’applicazione della richiamata disciplina ai procedimenti elettorali successivi alla sua entrata in vigore, pur se con riferimento a requisiti soggettivi collegati a fatti storici precedenti, non dà la stura ad una situazione di retroattività ma costituisce applicazione del principio generale tempus regit actum che impone, in assenza di deroghe, l’applicazione della normativa sostanziale vigente al momento dell’esercizio del potere amministrativo;
  2. l’art. 16, comma primo, del decreto legislativo n. 235/2012, in deroga al regime che sarebbe stato altrimenti applicabile in ossequio all’art. 11 cit. delle preleggi, esclude la rilevanza ostativa delle sole sentenze di patteggiamento anteriori alla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 235/2012;
  3. non appare irragionevole l’incandidabilità di chi abbia riportato una condanna precedente all’entrata in vigore dello jus superveniens : costituisce, infatti, frutto di una scelta discrezionale del legislatore, certamente non irrazionale, l’aver attribuito all’elemento della condanna irrevocabile per determinati reati una rilevanza così intensa, sul piano del giudizio di indegnità morale del soggetto, da esigere, al fine del miglior perseguimento delle richiamate finalità di rilievo costituzionale della legge in esame – connesse ai valori dell’imparzialità, del buon andamento dell’amministrazione e del prestigio delle cariche elettive – l’incidenza negativa sulle procedure successive anche con riguardo alle sentenze di condanna anteriori alla data di entrata in vigore della legge stessa (così Corte Cost., sent. n. 118/1994 cit.) – sentenza 695/2013 Consiglio di Stato.

Tornando al caso di Berlusconi:

  • la sentenza definitiva è sopraggiunta in data posteriore all’entrata in vigore del decreto legislativo 253/2012 – vi ricordo il comma 1 dell’articolo 1 del decreto Monti: “Non possono essere candidati e non possono comunque ricoprire”, equivale a dire che l’eletto, se condannato definitivamente, decade dalla sua funzione;
  • le elezioni politiche di Febbraio si sono svolte quando la disciplina sull’incandidabilità dei condannati era già in vigore.

Non credo ci sia altro da aggiungere.

 

Ius superveniens [diritto o legge successiva] (teoria gen.)
Espressione adoperata in relazione al fenomeno della successione delle leggi nel tempo.
Il principale problema posto dallo (—) è quello relativo alla normativa applicabile ai rapporti giuridici nati nel vigore della vecchia normativa e destinati ad esaurirsi nell’ambito della normativa nuova. A tal proposito vige il principio dellairretroattività delle leggi, in forza del quale i rapporti sorti nel vigore della precedente normativa continuano ad essere da essa disciplinati (

Incandidabilità di Berlusconi, spunta la “linea Guzzetta”

Giovanni [Giuseppe nel testo] Guzzetta viene definito dal Giornale come un “giurista assai lontano dal Pdl”. Avrebbe partorito l’idea secondo la quale il decreto Monti, che stabilisce l’incandidabilità alla carica di deputato o di senatore per i condannati a pene maggiori di due anni non sarebbe applicabile alla fattispecie berlusconiana poiché le leggi “non sono retroattive” (ilgiornale.it). Il decreto Monti è stato, secondo il professore, il casus belli della sfiducia (solo minacciata) dichiarata da Alfano alle Camere lo scorso Dicembre, fatto che fece deflagrare la maggioranza che sosteneva il governo dei Tecnici.

Secondo l’autore dell’articolo sopra citato, che a sua volta interpreta il pensiero di Guzzetta, “è ben vero che il decreto stabilisce la decadenza automatica dalle cariche per i condannati: ma il decreto è dell’anno scorso mentre i reati del Cavaliere risalgono invece a dieci anni fa. E le leggi non possono essere retroattive”.

Una teoria più bislacca non s’è mai sentita e sono pronto a giurare che – consideratane l’assurdità – verrà fatta propria dai parlamentari del Pdl e impiegata come colonna d’appoggio per sostenere l’inapplicabilità del decreto Monti al momento della discussione in Senato. Secondo Guzzetta la legge non è retroattiva ma la medesima legge, a differenza di quanto scrivono sul Giornale, non parla di reati ma di condanne:

Art. 1

1. Non possono essere candidati e non possono comunque ricoprire la carica di deputato e di senatore:
a) coloro che hanno riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione per i delitti, consumati o tentati, previsti dall’articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale;
b) coloro che hanno riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione per i delitti, consumati o tentati, previsti nel libro II, titolo II, capo I, del codice penale;
c) coloro che hanno riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione, per delitti non colposi, consumati o tentati, per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni, determinata ai sensi dell’articolo 278 del codice di procedura penale (D. Lgs. 235/2012, Gazzetta Ufficiale).

Tutti voi, persino se siete lettori de Il Giornale, concorderete che la condanna definitiva è giunta almeno sei mesi dalla data di entrata in vigore del decreto Monti:

Art. 18  – Entrata in vigore
1. Le disposizioni del presente testo unico entrano in vigore il giorno successivo alla loro pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale  [05/01/2013] della Repubblica italiana.

Molto importante, infine, la durata di tale ‘divieto’ di candidarsi, che è contenuta nell’articolo 13:

Art. 13 – Durata dell’incandidabilità

1. L’incandidabilità alla carica di deputato, senatore e membro del Parlamento europeo spettante all’Italia, derivante da sentenza definitiva di condanna per i delitti indicati all’articolo 1, decorre dalla data del passaggio in giudicato della sentenza stessa ed ha effetto per un periodo corrispondente al doppio della durata della pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici comminata dal giudice [che nel caso di Berlusconi è da rideterminare ma non sarà superiore a tre anni]. In ogni caso l’incandidabilità, anche in assenza della pena accessoria, non e’ inferiore a sei anni.

Per la cronaca, il giurista ‘assai lontano’ dal Pdl, Giovanni (non Giuseppe) Guzzetta, è stato capo di Gabinetto, dal giugno 2011, del ministero della Funzione Pubblica del IV Governo Berlusconi, scelto – pensate – da Renato Brunetta (“Una scelta fatta in casa, quella di Brunetta, visto che Guzzetta dal maggio del 2010 è tra i consulenti del ministro”, Italia Oggi).

Guzzetta è noto per essere uno dei promotori dei referendum elettorali del 2009. E’ un costituzionalista ed è docente ordinario di Diritto pubblico presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata. Non sarà vicino al Pdl ma certamente è di estrazione liberale e cattolica. In gioventù, fu presidente del FUCI. Federazione Universitaria Cattolica Italiana. Nel 2010 ha fondato un movimento politico di stampo liberale, con il nome di ‘Scelgo l’Italia’ (wikipedia).

Nel 2012, insieme ad Arturo Parisi, si fece promotore di una petizione al Parlamento Italiano affinché fosse indetto un “referendum costituzionale sulla forma di governo” (ricordo che i referendum in Italia sono solo di tipo abrogativo). Secondo il giurista, “la crisi ha colpito di più l’Italia perché il suo sistema istituzionale è fatiscente. L’Italia non ha la più bella Costituzione del mondo”. L’iniziativa di un referendum propositivo sarebbe fattibile poiché “ci sono precedenti visto che la prima Repubblica è nata dal referendum su monarchia repubblica del 1946 e la seconda dal referendum del 1993 sul sistema elettorale maggioritario” (Comitato Referendum Elettorale). Evidentemente, l’ingegneria costituzionale di cui si fa portavoce, è la medesima che vorrebbe trasformare la nostra Repubblica da Parlamentare a Presidenziale. La medesima che, nel segreto del foro interiore, crede che vi sia un solo Presidente. E che una sentenza della Cassazione sia un atto contrario alla democrazia.

Mai più candido

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La sentenza è definitiva. Lo spazio per le opinioni e le interpretazioni è finalmente ridotto a zero. Ci fu evasione fiscale con frode, organizzata da Berlusconi Silvio e messa in opera per il tramite dell’Avvocato David Mills e di un sistema di società off-shore che drenavano denari dalla medesima Mediaset verso conti in nero in banche estere. L’aggravante – tutta politica – risiede nel fatto che quanto sopra veniva definito e condotto mentre Berlusconi era presidente del Consiglio. Mentre, cioè, doveva mettere in atto politiche per combattere l’evasione fiscale.

La condanna di quattro anni passata in giudicato, rimasta integra lungo i tre gradi di giudizio (a parte la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici, che dovrà essere rideterminata secondo la disciplina fiscale contenuta in una legge del 2000), dovrebbe, a questo punto, costituire impedimento perpetuo alla ricandidabilità di Berlusconi. La legge Severino, n. 190/2012, conversione del cosiddetto Decreto Anticorruzione, conteneva all’articolo 1, comma 63, una delega al Governo per la pubblicazione di un decreto legislativo recante testo unico della normativa in tema di incandidabilità, fra l’altro, alle cariche di deputato e di senatore. La delega, ricorderete, era stata soddisfatta dal governo Monti per il rotto della cuffia alla fine del 2012 con il decreto legislativo n. 235/2012.

L’articolo 1, comma 1, lettera c, prevede infatti che siano incandidabili:

c)  coloro  che  hanno  riportato  condanne  definitive  a   pene superiori  a  due  anni  di  reclusione,  per  delitti  non  colposi, consumati  o  tentati,  per  i  quali  sia  prevista  la  pena  della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni,  determinata  ai sensi dell’articolo 278 del codice di procedura penale (D. Lgs. 235/2012, Gazzetta Ufficiale).

E’ sufficiente questa norma per stabilire l’esclusione dalla politica in maniera definitiva di Berlusconi? Sarà probabilmente il dibattito che il paese subirà nei prossimi mesi, nel tempo che ci separa dalla ridefinizione della pena accessoria e l’approvazione della nuova legge elettorale, il cui iter è improvvisamente passato dal binario morto alla procedura d’urgenza in un batter d’ali.

Il governo Letta conosce sin da oggi la sua data di scadenza, che coinciderà – grosso modo – con il Congresso Nazionale del Partito Democratico. La stagione congressuale si aprirà mentre Berlusconi preparerà l’esilio. E Letta, oggi più che mai con le valigie pronte, molto probabilmente diventerà attore in campo, o personalmente o per mezzo di un suo candidato forte, nella battaglia congressuale.

Per dirla con un eufemismo: ne vedremo delle belle. Restate connessi (e democratici).

Il contropiede dalemiano/berlusconiano in salsa cattolica

Mi sbaglierò, ma ormai la disfatta è totale. L’intransigenza dei 5 Stelle sommata alle divisioni interne al PD, all’opportunismo montiano, al cinismo di Berlusconi, ha partorito il suo topolino: con l’asticella posta a 504 voti, domani, se il PD non riuscirà a compattarsi e a convergere unito sul nome di Rodotà, ipotesi che ha tante probabilità quanto la caduta di un asteroide, si realizzerà il piano perfetto per Silvio Berlusconi. L’elezione di Massimo D’Alema.

Prodi è stato bruciato sull’altare sacro delle Larghe Intese. E così il Partito Democratico. Che stando all’attuale situazione, vivrà certamente la stagione congressuale come l’atto finale della propria esistenza. La resistenza dell’élite dirigenziale del Partito Democratico è senza senso, nasconde una volontà di distruggere tutto pur di conservarsi. Sappiano, questi signori, che il loro tempo è scaduto e che questo inutile abbarbicamento sulla cresta del Quirinale renderà solo più veloce la caduta.

I cento che hanno tradito Prodi non sono giustificati dalla libertà di mandato. Essi hanno mentito. Hanno dichiarato pubblicamente al Capranica il voto per il fondatore dell’Ulivo. Nel segreto dell’urna, invece, si sono fatti guidare dall’interesse malevolo di distruggere per conservare. E dall’altra parte, consapevole dell’esito, Berlusconi si farà passare per un grande statista responsabile verso la Nazione. Un paradosso.

-.-.-

In serata, Berlusconi si è recato a Palazzo Chigi per incontrare Mario Monti. Il disegno, grosso modo, è questo: proporranno Anna Maria Cancellieri, ora ministro dell’Interno, la quale verrà votata in blocco dal centrodestra, dai montiani e dai popolari del PD. Il trapasso è compiuto.

Alle ore 22, la riunione del gruppo del PD. Senza Sel. Brutta abitudine.

Il settennato di Re Giorgio alla ricerca di una pace impossibile

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Articolo scritto per Giovine Europa Now su Linkiesta: leggi qui http://www.linkiesta.it/blogs/giovine-europa-now/giorgio-napolitano-sette-anni-senza-pace

La rosa quirinalizia a 5 Stelle

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I 5 Stelle hanno selezionato dieci nomi per il Quirinale. A prescindere dai difetti del mezzo (la prima votazione è stata annullata per irregolarità), la notizia è che le preferenze degli iscritti non sono tanto diverse, per esempio, da quelle dei lettori de Il Corriere.it. Anche nella rosa a 5 Stelle c’è il nome di Emma Bonino, quello di Stefano Rodotà, quello di Gustavo Zagrebelsky, di Gino Strada e così via. L’idea che mi sono fatto è che, in fondo, le due platee di votanti si somiglino molto fra di loro, o per meglio dire le due votazioni chiamino a sé il medesimo ‘sentimento’, che è un sentimento di dignità. La domanda che emergerebbe da queste consultazioni più o meno affidabili sarebbe una domanda di dignità. La gente, sia essa parte della platea ristretta del Movimento 5 Stelle, sia invece quella più volatile dei frequentatori di un giornale online, si aspetta dalle operazioni di voto del Parlamento un nome di una personalità politica presentabile.

Sono arciconvinto che se anche il PD mettesse in opera un meccanismo del genere, il risultato sarebbe quanto di più simile a quelli presentati dai 5 Stelle o dal Corriere.

Romano Prodi si è chiamato fuori dalla competizione. E’ chiaro che la sua dichiarazione sia più che altro un rifiuto della candidatura pentastellata. Ma la sua presenza nel listino è propedeutica alla strategia dei 5 Stelle. Che sarà quella di arrivare in aula e sostenere un candidato non eleggibile almeno sino alla quarta votazione, quando sarà sufficiente la maggioranza assoluta delle Camere (505 voti). Sarà in quel preciso momento che uscirà il nome del Professore. Non è uno scenario tanto remoto. Ciò è dimostrato dai toni feroci che Berlusconi ha riservato oggi, dal palco allestito in piazza a Bari, all’ex Presidente della Commissione Europea. Lui attacca Prodi avendolo disarcionato nel 2008 con una compravendita indecente, la cosiddetta Spallata, che si tradusse con l’acquisto di De Gregorio e altri peones. Da un lato, le parole di Berlusconi, volte a minacciare il voto, apparire vincente in una piazza stracolma. Ha voluto spaventare la destra del PD, i popolari di Fioroni, la corrente di Franceschini, più propense al governissimo. Parafrasando: attenti, se non vi accordate con me, voteremo a Giugno e io sarò candidato premier. Dall’altro lato, Bersani, chiuso all’interno di un circolo PD, senza pubblico, con una mimica lamentosa, perso nell’autoreferenzialità e incapace di concludere una sola frase. Sarà un caso, ma l’assistenza a 5 Stelle potrebbe arrivare quando le chance del segretario sono oramai ridotte al minimo.