Siria, futuro plurale

Siria, futuro plurale – di Vanna Pisa

Il labirinto siriano è formato da numerosi percorsi che si intrecciano nello spazio e nel tempo. Questioni religiose, geopolitiche, economiche, sociali e culturali.
Come sappiamo USA e Russia stanno spostando ingenti forze militari nello scacchiere siriano: Assad per certi versi è un pretesto, lo scontro è mosso anche da potenti fattori economici.
Da una parte Russia e Iran, ambedue sponsor del regime di Assad. Nelle alleanze che coinvolgono gli attori del medio Oriente il rapporto tra SIRIA e IRAN rimane forte, hanno in comune l’interesse a depotenziare l’influenza delle monarchie del Golfo e dell’asse arabo – sunnita formato da Giordania, Egitto, Arabia Saudita.
Dall’altra gli Usa, che devono sostenere il primato del dollaro. Secondo questo dogma, le materie prime non devono essere commerciate in valute diverse ed è per questo che gli Stati Uniti hanno tutto l’interesse a mantenere la forza in questo senso e ad evitare che i commerci diventino sempre più indipendenti dal signoraggio del dollaro.
Le petromonarchie, dopo le cosiddette “primavere arabe”, sono assai preoccupate: la possibilità, seppur remota, di una democratizzazione dei loro paesi le sconcerta e mette in pericolo il monopolio da loro esercitato sulle fonti energetiche.
Non è il caso di fornire per l’ ennesima volta l’elenco delle ragioni della crisi siriana. In questo periodo sulla carta stampata, in rete, nelle televisioni è possibile trovare innumerevoli liste che dettagliatamente, in maniera più o meno approfondita, danno informazioni in proposito. Quello che però assai spesso manca è la profondità temporale, intendendo con ciò quello che lo storico francese F. Braudel chiamava “la lunga durata “: vanno esclusi, è chiaro, gli interventi di parte, in malafede o scritti per autocompiacimento.
Quello di cui non si vuole tenere conto nell’analisi condotta nei mass-media mainstream sulla crisi siriana sono dunque i fattori strutturali legati a durate temporali di lungo periodo. Le battaglie, i re e le imprese certo contano e per noi, la cui vita comunque passa in un soffio, sono decisivi, ma, considerati per sé stessi gli avvenimenti che vorticosamente si susseguono, rischiano di accecarci e di produrre un rumore bianco nel quale nessuna linea melodica è più distinguibile.
Che ci sia o meno un’intervento armato non è certo cosa senza importanza. Lo vediamo in questi giorni di frenetica attività diplomatica, l’abile proposta russa di consegnare le armi chimiche siriane a una terza parte neutrale , il solito ONU tanto per capirci. Ma non sarà un percorso facile .
Il direttore generale dell’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche, l’ambasciatore Ahmet Üzümcü, ha accolto come significativo l’accordo sulle armi chimiche in Siria, annunciato a seguito di colloqui a Ginevra tra il Ministro degli Esteri della Russia, Sergey V. Lavrov , e il Segretario di Stato John Kerry.
A seguito saranno adottate le misure necessarie per attuare un rapido programma per verificare la distruzione completa delle scorte di armi chimiche della Siria, impianti di produzione e altre funzionalità importanti. Della Opwc non fanno parte altri sei Paesi oltre la Siria: Israele, Birmania, Angola, Egitto, Corea del Nord, Sud Sudan (tratto da Organisation for the Prohibition of Chemical Weapons).
La proposta russa è rafforzata, poi, dall’opinione avversa alla guerra della maggioranza dei cittadini dei paesi che dovrebbero intervenire per sanzionare Assad. Ed è una cosa che conta in primis per la popolazione che, già massacrata e martoriata da entrambe le parti in lotta nella guerra civile siriana, vedrebbe aumentare le sue spaventose sofferenze. E’ utile ricordare un fatto: la resistenza siriana è quanto di più frammentato si possa immaginare.
Se per prendere una scorciatoia vogliamo suddividerla in democratica e jihadista, bisogna aver chiaro che tali termini forniscono solo delle etichette assai approssimative, comunque qualche barlume lo danno, si pensi all’appello diffuso in questi giorni da Al-Zawahiri, il capo di Al-Qaeda, alle formazioni jihadiste di non stringere assolutamente alleanze con le formazioni “miscredenti”.
Chi andrebbero a favorire allora gli USA e i suoi partner? Altri Stati stanno facendo giochi non lineari. Viene in evidenza il ruolo francese e tedesco. La Germania è in “lotta” con la Francia per la supremazia in Europa, Parigi e Berlino concorrono per diventare perno dell’UE. Sono inoltre significative le immagini apparse nei social network di soldati americani che espongono cartelli nei quali affermano di non voler combattere per far vincere Al-Qaeda. Non possiamo poi dimenticare che l’ ultimo intervento in ordine di tempo delle potenze occidentali, in Libia, si sta rivelando un vero e proprio disastro, il paese è in preda all’anarchia. Centinaia di formazioni armate basate sulle più svariare motivazioni clanite, tribali, religiose, cittadine, si combattono ogni giorno alle volte per questioni di mera sopravvivenza.
Un potere centrale ed unitario, uno Stato, non si scorge all’orizzonte.
Che dire d’altronde dei risultati ottenuti in Iraq e Afghanistan?
E perché gli Stati che giustamente prendono posizione contro un dittatore qual è, senza dubbio, Assad, non intervengono concretamente per soccorrere i milioni di profughi siriani che strabordano nei paesi limitrofi, per andare a vivere in condizioni allucinanti nei campi profughi che crescono senza sosta?
Oppure che dire del confronto tra Israele e l’ Iran? Quest’ultimo tiene sotto pressione Israele, impedendole , o almeno cercando di ritardare i programmati raid contro i suoi siti nucleari, attraverso i suoi alleati sciiti, la Siria, Hezbollah, Hamas, rifornendoli di armi, soprattutto missili.

Dunque, va ripetuto, non è indifferente se vi sarà un attacco o meno, ma, quello che rimane  indubitabile, è che non risolverà nessuna delle questioni alla base della crisi siriana, perché nelle vicende storiche, per citare il verso di Stephane Mallarmé: “giammai un colpo di dadi abolirà l’ azzardo”, ovvero assai difficilmente un’intervento modificherà nel profondo una situazione storica. I cambiamenti, ci piaccia o meno, avvengono lentamente, dolorosamente e non sono guidati da nessuna legge.

Siria: un gioco a somma zero

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Siria: un gioco a somma zero – di Vanna Pisa

“Edward Luttwak con la solita lucidità ha voluto dare un consiglio a Barack Obama: non intervenire, non ti conviene. Un’azione militare americana in Siria è contraria agli interessi strategici degli Usa” (dal Corriere della sera, 27 giugno 2011). Le considerazioni di Edward Luttwak possono anche essere tacciate di cinismo e facile machiavellismo, ma sono anche il segnale di una realpolitik che miscela impotenza e tracotanza: infatti neanche gli USA, ad oggi la maggior potenza militare, sono in grado di decidere i destini della Siria, anche se fossero convinti di avere come obbiettivo la trasformazione di quel paese medio orientale in una nuova terra della libertà e democrazia.

Ma USA e Siria non sono gli unici attori sulla scena mediorientale.

I regimi di polizia mediorientali sono travolti dalla contestazione, a sua volta incapace di costruire nuove architetture istituzionali negoziate, giacché le culture sociopolitiche dominanti nelle comunità in rivolta si fondano sulla delegittimazione reciproca . Inoltre gli unici veri Stati nella regione non sono arabi: Israele, Iran e Turchia (Limes marzo 2013).

Vi sono poi le potenze globali : oltre agli USA, Cina e Russia, schierate nel modo conosciuto, vale forse la pena di fare due brevi notazioni. Gli anglo – francesi, benché potenze nucleari, sono al più dei revenants, che, indipendentemente dalle iniziative assunte, non sono in grado di condurre una politica da potenza globale. Russia e Cina, nei confronti della Siria, sembrano al momento dalla stessa parte, ma fino a che punto? Solo in comune opposizione agli Usa?

Etnie, movimenti politici religiosi e militari, organizzazioni terroristiche, Stati, alleanze interstatali, potenze militari nucleari si fronteggiano o si alleano con obiettivi e forze diverse.

Inoltre vi è una stratificazione temporale di cause e motivi che si sono intrecciati fra loro e continuano a interagire anche a distanza di decine e decine di anni. Nel 1916, per esempio, a seguito della dissoluzione dell’Impero Ottomano, il medio oriente venne diviso in due zone d’influenza: britannica, comprendente gli attuali Israele, Giordania e Iraq; e francese, comprendente gli attuali Siria e Libano.

Altre alleanze risalgono alla guerra fredda, quando l’allora URSS ” dominava ” il Mediterraneo del Sud, dall’Algeria alla Siria passando all’Egitto di Nasser. Altre ancora risalgono alle guerre o campagne militari che hanno consentito la crescita di Israele come potenza regionale (nel 1948 l’URSS era schierata a fianco di Israele).

L’Iran, che è un’altra potenza della regione, non ha certo dimenticato che il colpo di Stato del 1953 contro il presidente Mossaeq era stato favorito dagli anglo-americani per difendere gli interessi delle loro società petrolifere minacciate di nazionalizzazione.

Le petromonarchie sunnite si trovano su una riva dello stretto di Hormuz, serratura del Golfo Persico da cui passa un quinto di tutto il petrolio prodotto nel mondo. Sull’altra riva, l’Iran. Come reagirebbero gli USA e suoi alleati se l’Iran decidesse di intervenire nello stretto per difendere la Siria sua alleata?

Dettare condizioni è in primis dettarle a sé stessi; nulla è più deleterio nella vita privata come in politica, di non essere in grado di mettere in atto ciò che si minaccia, per quanto vago sia, qualora le condizioni non siano rispettate.

Obama, con la linea rossa sull’uso delle armi chimiche, si è messo in un angolo: non fare nulla significherebbe perdere la faccia e indebolire ulteriormente un impero sempre più in bilico. Così, forse, verranno lanciati missili Tomahawk dalle navi schierate nel Mediterraneo, potrebbero essere utilizzati droni e bombardieri di alta quota. La morte dal cielo comunque: non un soldato USA metterà piede nelle infide terre siriane, e alla fine quella che risulterà – di fatto – vincente, sarà la” dottrina Luttwark”.

Siria, Mosca vs. Washington. E Israele prepara lo stato di guerra

Il quadro che si sta delineando sullo scenario mediorientale è decisamente poco rassicurante. Dopo la rivelazione dell’uso documentato delle armi chimiche da parte di Bashar Assad, il Congresso americano sta mettendo sotto pressione Barack Obama, il quale ha chiesto a Chuck Hagel, suo segretario alla Difesa, di preparare opzioni per tutte le situazioni possibili che si venissero a creare in Medioriente. Obama può contare sull’appoggio di David Cameron, ma anche della Francia. Lo scorso week-end, Laurent Fabius, ministro degli Esteri francese, si è incontrato con Netanyahu, il quale non ha mancato di affermare che quanto successo in Siria è solo una anticipazione di quel che accadrebbe se tali armi si diffondessero in Iran, di fatto legittimando l’intervento occidentale contro Assad.

Dall’altro lato vi è Mosca, apertamente contraria all’operazione armata di Washington. Il ministro degli Esteri russo ha detto che gli Usa non dovrebbero ripetere “gli errori del passato”: la notizia dello sterminio di 300 persone con le armi chimiche sarebbe un fake messo in circolazione dai ribelli e gli americani lo impiegherebbero al solo fine di giustificare l’opzione militare, travestendola in “intervento umanitario”. "Tutto questo dovrebbe ricordarvi gli eventi di 10 anni fa, quando, con informazioni false sul possesso da parte degli iracheni delle armi di distruzione di massa, gli Stati Uniti hanno scavalcato le Nazioni Unite ed hanno avviato un sistema le cui conseguenze sono ben noti a tutti", ha scritto il ministro in un post su Facebook. Per la verifica della veridicità del massacro, il governo siriano e rappresentanti delle Nazioni Unite si sono accordati per una visita del sito. “Ancora una volta”, ha detto il ministro russo, “dobbiamo metterli contro il ripetere degli errori del passato, contro azioni che contraddicono il diritto internazionale”. Ma Mosca, insieme a Pechino, non ha mai nascosto la sua affiliazione con Bashar Assad: ha votato contro risoluzioni di censura e condanna dell’operato del governo siriano per ben tre volte.

Laurent Fabius, per contro, si è detto “assolutamente certo” che Assad abbia usato le armi chimiche indiscriminatamente contro la popolazione. “Posso anche dirvi”, ha aggiunto, “che quando si tratta di un crimine come questo, è inconcepibile che si possa andare avanti senza una risposta forte”, una risposta che deve essere dura e determinata, ma non ha voluto precisarne i dettagli.

Netanyahu ha detto che Israele e Francia condividono un interesse al fatto che gli eventi "tragici" in Siria abbiano una fine. "Penso che ciò che sta accadendo è un crimine commesso dal regime siriano contro il proprio popolo. E che ciò sia veramente scioccante”. Secondo Netanyahu, il regime di Assad è stato attivamente aiutato ed incoraggiato da Iran e da Hezbollah: "in effetti, il regime di Assad è diventato in pieno un cliente iraniano e la Siria è una sorta di terreno di sperimentazione per Teheran”. Il presidente Shimon Peres, a margine dell’incontro con Fabius di ieri mattina, ha detto che le urla di una ragazza siriana "verso il padre per venire a salvarla, è un grido a cui non possiamo rimanere indifferenti.”

Ecco la nostra prossima guerra.

Moscow to Washington: No “Past Mistakes” in Syria – Ria Novosti

PM: Israel’s ‘finger on the pulse’ of Syria developments, if necessary will also be ‘on the trigger’ – The Jerusalem Post

Padre Dall’Oglio, confusione e cattiva informazione

Nella tarda mattinata di oggi si è diffusa una notizia negativa sulla sorte di Padre Paolo Dall’Oglio, il gesuita che è stato rapito in Siria da una milizia ribelle di matrice islamista. Il resoconto riportato dai media italiani era una ribattuta, senza ulteriori verifiche ed approfondimenti, di quanto scritto da un sito web di informazione, zamanalwsl.net. Quest’ultimo, a sua volta, affermava di aver raccolto le dichiarazioni di Lama al-Atassi, definita come Segretario Generale del Fronte Nazionale Siriano, una formazione minoritaria nel consesso generale delle forze di opposizione siriane (per una idea di massima, vedere alla voce ‘Syrian Opposition’, su wikipedia).

Vatican Insider, il portale vaticanista de La Stampa, parla della fonte primarie della notizia, Lama al-Atassi, come di “una esponente dell’ala laica dell’opposizione siriana ad Assad” ed afferma che la dichiarazione è stata fatta non direttamente al giornale bensì pubblicata su Facebook, sulla bacheca della donna. Ed infatti Lama Atassi afferma, con un post inviato tramite cellulare, di aver ricevuto la notizia della morte di Padre Dall’Oglio da “fonte affidabile”; se sono vere le informazioni presenti sulla bacheca, Lama vivrebbe a Parigi, non a Homs, quindi nel momento in cui scrive si troverebbe in Europa e le sue sono informazioni, per così dire, di seconda mano.

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Circa quattro ore fa ha risposto al polverone sollevato dalla sua dichiarazione con un altro post: “Si può mentire la notizia della morte di Padre Paolo o credergli”, scrive, sostenendo che la levata di scudi del ‘sistema’ – come lo chiama lei -era inaspettata. Perché nascondere la morte di padre Paolo?, si chiede. A chi giova? Lama dice che la notizia ha disturbato molto i francesi, “gli scagnozzi della coalizione, del Consiglio e dell’opposizione e il sistema e loro cani”. Lama paventa l’ipotesi che i ribelli qaedisti del gruppo Isis (Stato Islamico dell’Iraq e della Siria), rapitori di Dall’Oglio, siano infiltrati dal servizio segreto di Assad. Scrive: “ho molte domande circa il finanziamento dei gruppi e la fornitura di armi”.

Jad Bantha – l’attivista che sostiene di essere stato l’ultimo a vedere il gesuita prima dell’inizio della sua missione – ha diffuso un tweet molto duro sulle parole di Lama al Attasi: “Chi promuove la morte di padre Paolo – ha scritto – non ha moralità né responsabilità e sta solo cercando di attirare l’attenzione” (Vatican Insider, La Stampa.it).

Lama Atassi vuol forse mettere in discussione, a livello pubblico e su un piano internazionale, l’opportunità, forse seguita dai francesi e dagli arabi, di sostenere Isis finanziandola con risorse ed armi?

La Farnesina non ha commentato ufficialmente le notizie odierne.

Cover-up sullo scandalo Prism. Con una guerra alla Siria

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Improvvisamente il faccione serioso di David Cameron travalica le righe fitte del Guardian per dirci che “sì, il governo siriano ha impiegato armi chimiche (il sarin) contro i ribelli”. A dar manforte al Primo Ministro anche Tony Blair, secondo il quale il Regno Unito dovrebbe aiutare i ribelli mediante armi e favorendo l’istituzione di una no-fly zone per “evitare conseguenze catastrofiche”.

L’uscita di Cameron e Blair viene un giorno dopo quella di Barack Obama. As usual, Londra e Washington fanno gioco di sponda quando si tratta di preparare l’opinione pubblica ad una nuova guerra ‘contro il male’. Per Obama, spostare l’attenzione su Assad e l’uso ‘ripetuto’ (e non documentato) del sarin potrebbe essere una scelta ragionata per muoversi dall’arrocco dello scandalo NSA; una scelta a cui tutti i media si sono debitamente accodati. Mentre Bengasi esplode e la Libia è fuori controllo, mentre le spiegazioni addotte per giustificare l’uso di Prism sono ancor più imbarazzanti dello scandalo medesimo, mentre i ribelli islamisti siriani si preparano a perdere Aleppo, Obama apre ad un piano di armamento che dovrebbe prevedere il dispiegamento di forze speciali dedicate all’addestramento dei ribelli.

Parte del piano è svelato in un retroscena dal Wall Street Journal

armare i ribelli siriani e proteggerli con una limitata no-fly zone all’interno della Siria, che verrebbe applicata dal territorio giordano per proteggere

, nonché trasportarli via treno,

 i rifugiati siriani e i ribelli. Secondo i funzionari americani, 

la creazione di una zona di addestramento richiederebbe un ponte aereo siriano ben lontano dal confine con la Giordania. Per fare questo, i militari, prevedono la creazione di una no-fly zone che si estenderebbe per 25 miglia in Siria, che verrebbe però applicata utilizzando aerei dalle basi giordane.

La guerra per la “libertà dei siriani dalla feroce dittatura” di Bashar Assad dovrebbe quindi passare attraverso un pieno coinvolgimento degli USA nel territorio travagliatissimo del Medio Oriente. Ragionevole aspettarsi che una medesima mossa la compieranno anche Russia e Cina. Obama certamente riceverà i plausi dei repubblicani, specie di John McCain (“Siamo d’accordo con il Presidente che questo fatto deve influenzare la politica degli Stati Uniti verso la Siria. Ora non è il momento di meramente prendere il prossimo passo incrementale. Ora è il momento per le azioni più decisive”, ha detto alla CBS). Nessuno ha obiettato al presidente che, così facendo, fornirà sostegno – fra gli altri – a un gruppo organizzato denominato Jabhat al Nusra, “ossia “Fronte della vittoria del popolo di Siria” – formatosi alla fine del 2011, qualificato “terrorista” dagli Stati Uniti medesimi alla fine del 2012. Come potranno gli americani distinguere i terroristi del Fronte al Nusra dalla formazione ritenuta legittima dell’Armata libera siriana (ASL)?

Il Fronte al Nusra è il gruppo armato che più di ogni altro ha combattuto in prima linea. Si è però macchiato di crimini gravissimi, come il massacro in un villaggio di cristiani e l’esecuzione brutale di un quattordicenne, reo di aver insultato Maometto. Asl appare più disorganizzato, quasi inadatto a mettere in campo strategie efficaci, poco armato. Privo della ferocia dei qaedisti di al Nusra.

Obama e Cameron, se davvero vogliono indirizzare l’indignazione dell’opinione pubblica contro Assad, letteralmente spostandola dal caso NSA e Prism, dovranno portare qualcosa di più di una semplice rivelazione. Il rapporto costi/benefici di un eventuale intervento di supporto è talmente alto che è molto probabile l’attenzione sul caso sarin-Assad calerà vistosamente nell’arco di qualche giorno. Giusto il tempo di far scivolare le rivelazioni di Snowden fuori dalle prime pagine.

Siria: le guardie rivoluzionarie iraniane pronte a combattere per Assad

Revolutionary Guards

Revolutionary Guards (Photo credit: Wikipedia)

Via @Reuters.com (trad. propria).

I membri del Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche (IRGC) dell’Iran stanno fornendo assistenza non militare in Siria e potrebbero essere coinvolti militarmente se il governo di Assad verrà messo sotto attacco dai paesi occidentali, ha detto ieri il comandante in capo Mohammad Ali Jafari. La dichiarazione di Jafari è il primo riconoscimento ufficiale del fatto che l’Iran ha una presenza militare sul terreno in Siria, dove è in atto da circa 18 mesi una sanguinosa rivolta.

I paesi occidentali e i gruppi di opposizione siriani hanno a lungo sospettato che l’Iran avesse truppe in Siria. L’Iran ha sempre negato. “Un certo numero di membri della forza Qods sono presenti in Siria, ma non si tratta di una presenza militare“, avrebbe detto Isna Jafari durante la conferenza stampa, secondo l’agenzia di stampa iraniana. Qods è un’unità dell’IRGC istituita per esportare l’ideologia dell’Iran. E’ stata accusata di aver pianificato attentati in Iraq dopo la caduta di Saddam Hussein. Jafari non ha indicato quanti membri dell’IRGC siano in Siria, ma è stato detto che forniscono “aiuto intellettuale e di consulenza”. La Repubblica islamica ha sostenuto il presidente siriano Bashar al-Assad sin dall’inizio della crisi e considera il suo governo come una parte fondamentale del suo asse di resistenza contro Israele e gli Stati arabi sunniti. Jafari ha anche detto che l’Iran avrebbe cambiato la sua politica e che offriràe sostegno militare se la Siria sarà attaccata. “Io dico esplicitamente che se la Siria verrà messa sotto attacco militare, l’Iran potrebbe anche dare un sostegno militare, ma … ciò dipende totalmente dalle circostanze”, ha detto.

Funzionari degli Stati Uniti hanno accusato recentemente l’Iraq di facilitare il trasferimento di armi alla Siria, aprendo il proprio spazio aereo agli aerei iraniani. Baghdad ha negato l’accusa. Gli analisti dicono che l’eventuale perdita del suo alleato chiave siriano avrebbe indebolito la capacità della Repubblica islamica iraniana di minacciare Israele attraverso la Siria e gli Hezbollah, movimento di resistenza sciita sostenuto da Assad.

Jafari ha respinto le minacce di Israele di attaccare l’Iran, dicendo che Israele stava avendo problemi a convincere gli Stati Uniti a sostenere le sue azioni. “La nostra risposta a Israele è chiara. Di fronte a tali azioni da parte del regime sionista, niente di Israele potrebbe rimanere”, ha detto. Ha anche detto che un attacco israeliano contro l’Iran potrebbe scatenare ritorsioni sulle basi americane nella regione e che il commercio attraverso lo Stretto di Hormuz è a rischio.

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E-mail imbarazzanti fra la corrispondente di Repubblica in Siria e il regime di Assad?

Leggo dal blog Camillo, di Cristian Rocca sul Sole24Ore, che la giornalista di Repubblica, Alix Van Buren, corrispondente per il mondo arabo, avrebbe avuto rapporti “confidenziali” con un membro dello staff di Assad, più precisamente con “la consigliera per la comunicazione di Bashar al-Assad, la potentissima Bouthaina Shaaban” (Camillo). Cristian Rocca cita tre e-mail intercorse fra la Van Buren e Bouthaina trafugate da Anonymous durante un attacco hacker contro il Ministero degli Affari Presidenziali – qualche notte fa, infatti, sono stati violati 78 account di posta elettronica che adottavano una password tanto diffusa quanto inutile alla protezione dei dati, ovvero 12345.

Secondo Lee Smith, su Weekly Standard, fonte della notizia lanciata da Camillo, l’attacco hacker sarebbe un mini cablogate: come per i cablo delle ambasciate americane svelati da Wikileaks, anche queste e-mail rivelerebbero al mondo gli intrecci vergognosi delle diplomazie occidentali. Tanto più che si tratta ora dei rapporti con il regime di Assad, quello che oggi mette a morte la sua stessa popolazione e contro il quale gli USA, la Nato, l’ONU sembrano essere impotenti.

E’ bene chiarire che le e-mail che vedono protagonista la giornalista di Repubblica, e che a detta di Rocca sono da considerarsi motivo di imbarazzo per il quotidiano di Ezio Mauro, sono datate 2010. Rocca definisce in apertura del post la Van Buren una giornalista “specializzata in interviste-soffietto al dittatore alawita” e che le e-mail “svelano infatti un’aderenza totale della giornalista di Repubblica alle posizioni di Assad”. Tutto ciò pare un po’ affrettato ed esagerato. Il tono della Van Buren nelle e-mail è strettamente confidenziale e addirittura un po’ lusinghiero. Alix si complimenta con Bouthadina per la riuscita di alcune azioni propagandistiche esclamando «ma come ci riesci?», «un grande successo»; in altri passaggi le due si scambiano i complimenti per l’intervista ad Assad che ha permesso alla Van Buren di surclassare il collega americano Charlie Rose, celebre volto della CBS, il quale avrebbe “copiato da capo a piedi” il loro pezzo. In un’altra e-mail, Van Buren cerca di far ottenere a Gad Lerner il permesso di poter visitare il paese e condurre una ricerca sui propri genitori, originari di Aleppo. Alix tenta di convincere Bouthadina a soprassedere sulla religione di Lerner – che è ebreo – e di far notare che il suo atteggiamento è prettamente quello di un intellettuale indipendente, contrario alla politica di Netanyahu. In quel periodo Lerner aveva appunto firmato una petizione – l’Appello alla Ragione – al Parlamento Europeo affinché Israele non perdesse “la propria strada” (blog Il Bastardo, maggio 2010). Van Buren cerca di far capire l’importanza di un viaggio del genere – da parte di un ebreo seppur di sinistra: il risultato, scrive Van Buren, sarebbe eccezionale, e ciò è da intendersi come tornaconto visivo, mediatico, propagandistico per il regime di Assad.

La mia opinione è semplice: è normale che i rapporti fra giornalisti e esponenti di regimi siano così “borderline” (mi si passi il termine). E’ in genere il medesimo rapporto che essi hanno in patria con il potere in generale. Politico, economico, ecclesiale. Parallelamente, è inverosimile che un giornalista del calibro di Charlie Rose abbia invece rapporti di fredda ostilità con gli addetti alla comunicazione di Assad. D’altronde ottenere interviste con dittatori più o meno sanguinari è sempre un bel colpo giornalistico. Ed è necessario contestualizzare: le e-mail sono del 2010, la primavera araba è lontana, Assad è un osso duro per Washington ma in un certo qual senso la sua presenza è un freno contro l’integralismo islamico. Oggi Assad è un assassino. E molto probabilmente i rapporti fra Van Buren e Bouthadina non sono più quelli di prima. Potrei però essere smentito. E solo allora il caso di collateralità sarebbe effettivamente un problema.

Verso la guerra di Siria

Ci sono forti, fortissimi segnali che il mirino della Santa Alleanza Occidentale che passa sotto il nome della Nato, si sita dirigendo con molta più precisione verso Damasco. La Siria di Assad, dopo essere stata scomunicata dal consiglio della Lega Araba, succede alla Libia di Gheddafi e forse permetterà di aprire il fronte Israelo-Iraniano. Insomma, un bel guazzabuglio. Perché da un lato ci sono i massacri dei civili da parte dell’esercito di Assad, dall’altra c’è il rischio fortissimo di incentivare dinamiche belliche pericolosissime, come quelle turche o quelle iraniane o israeliane che dir si voglia.

In Sira si dice, si narra, sia un massacro da sei-sette mesi a questa parte. Al Jazeera evidentemente è tesa a enfatizzare gli scontri, seppur ridotti di numero rispetto al periodo della ‘Rivoluzioe dei Gelsomini’. Ad essa si sovrappone la grancassa dei media anglo-americani. Ci sono voci dissonanti, come ai tempi dell’intervento in Libia, sul reale stato delle cose. Stefano Vernole (cpeurasia) scrive che Damasco è una città tranquilla, che l’esercito è nelle caserme e non c’è traccia di scontri e che quelli della Lega Araba lo sanno, poiché “sono usciti dal Palazzo Presidenziale dopo i [recenti] colloqui ridendo e senza alcun tipo di scorta” (Vernole, cit.). Non so se questo fatto debba esser preso a misura dello stato delle cose in Siria. Quel che è certo è che la scomunica della Lega Araba apre i giochi per il sovvertimento del regime di Assad, ovviamente manu militari.

Il verdetto della Lega Araba ha dato una scossa a Erdogan, primo ministro turco, che non vede l’ora di valicare il confine e invadere, avete capito bene, invadere la Siria. Vi ricordo che la Turchia è una paese Nato. Detto questo, una invasione della Siria è un atto di guerra della Nato contro uno stato indipendente. Secondo la teoria della Guerra Giusta, le continue violazione dei diritti umani in quel paese da parte del potere pubblico, rendono legittimo l’intervento di una forza esterna, naturalmente dietro mandato Onu. Che non arriverà. I segnali sono sempre più chiari. La Russia non autorizzerà l’intervento, neppure la Cina darà l’avvallo. E’ escluso che il Consiglio di Sicurezza Onu si pronunci per una invasione della Siria. Sarà un atto deliberato della Turchia, in violazione del diritto internazionale.

La decisione adottata sabato scorso dalla Lega Araba di sospendere la Siria è “giusta”: lo ha affermato il ministro degli Esteri turco, Ahmet Davutoglu, in visita a Rabat dove domani si svolgerà un vertice ministeriale della Lega Araba alla quale parteciperà anche il capo della diplomazia turca. “Il regime siriano non ascolta il suo popolo e persiste nella sua strategia della repressione”, ha sottolineato Davutoglu, aggiungendo che il suo governo è “pronto ad incontrare e ascoltare tutti i rappresentanti dell’opposizione siriana” (TMNews).

Ma la domanda è: esiste un’opposizione siriana? Quale è la condizione reale del paese? Sembra che invece una parte del paese si sia schierata dalla parte di Assad: è il terrore di una invasione straniera che li avrebbe spinti a scendere in piazza a fianco del presidente ( e non solo la coercizione). L’immagine di uno scontro di civiltà disegnato da Al Jazeera e dai media USA contrasta con il fatto che il paese è ” un coacervo di etnie e culture tutte rispettate e ben rappresentate dalle moschee, dalle chiese cattoliche e da quelle cristiano-ortodosse, che convivono pacificamente l’una di fianco all’altra” (Vernole, cit.).

La Turchia ha in serbo una mossa strategica, il taglio della fornitura di corrente elettrica:

La Turchia potrebbe rivedere le proprie forniture di energia alla Siria qualora l’attuale ‘clima’ repressioni dovesse continuare: lo ha detto il ministro dell’Energia turco, Taner Yildiz. Tagli all’energia e alla fornitura di acqua informalmente erano considerati esclusi dal pacchetto di sanzioni contro la Siria che, da settembre, Ankara sta mettendo a punto di concerto con gli Usa per ottenere un ammorbidimento della repressione contro le proteste popolari anti-regime. (ANSA).

Sarebbe il primo atto di guerra, non contro Assad ma contro il popolo siriano.