La stretta via fra Indulto e Amnistia

Perché tradurre il messaggio alle Camere di Napolitano nella scelta secca fra un provvedimento di clemenza e lasciare la situazione così com’è? Viene detto: che c’è di male se un politico intercetta il sentimento comune in materia. Tale uomo politico è tanto sensibile verso il sentimento quanto distratto sulle conseguenze che la latitanza della Politica ha sulle sorti del paese in merito alle sanzioni che la Corte europea dei diritti dell’uomo emetterà fra circa sette mesi, alla fine di Maggio 2014.

Perché la situazione carceraria è stata oggetto di giudizio lo scorso Gennaio 2013. I giudici di Strasburgo condannarono l’Italia per aver sottoposto sette detenuti del carcere di Busto Arsizio e di Piacenza a condizioni inumane e degradanti. Si tratta della sentenza Torreggiani. La Corte europea ha riconosciuto il nostro Stato colpevole di aver violato la Carta Europea dei Diritti dell’Uomo, articolo 3 (proibizione di trattamenti inumani e degradanti). Ma, senza chiamare in causa la giurisprudenza europea, lo Stato Italiano ha violato la sua stessa legge. Infatti, l’articolo 6 della Legge 354/75 recita chiaramente che i detenuti devono poter avere a disposizione locali “di ampiezza sufficiente, illuminati con luce naturale e artificiale in modo da permettere il lavoro e la lettura; aerati, riscaldati ove le condizioni climatiche lo esigono, e dotati di servizi igienici riservati, decenti e di tipo razionale. I detti locali devono essere tenuti in buono stato di conservazione e di pulizia”. Nel carcere di Piacenza mancava l’acqua calda, il riscaldamento, la luce, l’aerazione; persino i letti non erano sufficienti.

Questa sentenza ha obbligato lo Stato a pagare i danni ai sette ex detenuti (novantamila euro). Non solo, entro Maggio 2014 dovrà essere data dimostrazione che sono stati presi tutti i provvedimenti necessari a sanare la situazione oramai in totale emergenza. A Maggio 2013, lo Stato ha perso il processo d’Appello. La Corte Europea, non solo ha stabilito la scadenza di un anno, ma ha criticato duramente il cosiddetto piano carceri (2010), e ha invitato le autorità italiane a mettere in atto misure alternative al carcere e a ridurre al minimo il ricorso al carcere preventivo. Se non ve ne siete accorti, sono le medesime parole di Giorgio Napolitano. Quindi, se riusciamo ad andare al di là del mero “essere in sintonia con il popolo” (che è tratto caratteristico del capo carismatico,), chi intendesse parlare di carceri non può prescindere dal considerare 1) la condizione inumane, degradante, a cui lo Stato sottopone cittadini detenuti; 2) la non trascurabilità di una sentenza della giurisprudenza europea.

Va da sé che, in questo caso, l’opinione pubblica è formata in maniera frettolosa e superficiale intorno allo spettro di una amnistia di massa che metta in circolazione qualsivoglia categoria di delinquenti. Come ha ricordato Civati, “stiamo parlando di chi è in carcere per reati legati agli stupefacenti. E spesso si tratta di stranieri” (http://www.ciwati.it/2013/10/13/indulto-insulto-o-insulso/). Sono categorie di detenuti create da una legge che porta per metà un cognome altresì noto in materia di clandestinità – la Fini-Giovanardi. Ben 26.000 detenuti su 65.000, 2 su 5, sono finiti dentro per violazione della legge antidroga Fini-Giovanardi, una vera e propria fucina di pregiudicati. Chi finisce in carcere per droga spesso è un tossicodipendente: dovrebbe essere seguito da strutture adeguate, invece viene abbandonato in celle sovraffollate.