Bárcenas e i fondi neri del PP

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foto El Pais

Lo scandalo dei fondi neri. Non si tratta di Penati, né di Lusi, né di Belsito, né di Batman Fiorito. Avviene in Spagna e interessa direttamente il partito del capo del governo Rajoy. Alvaro La Puerta e  Bárcenas Luis sono stati tesorieri del Partito Popolare fra il 1990 e il 2009, un termine di tempo lunghissimo durante il quale il partito ha accettato “donazioni” in nero da parte soprattutto di importanti costruttori. Rajoy avrebbe incassato 25.200 euro all’anno, per undici anni. Uno scandalo senza eguali, in Spagna. In Italia, no, qualche esempio ce lo abbiamo.

El Pais online stasera è un insieme di racconti terribili che forse riscriveranno la storia di Madrid dell’ultimo decennio. Come per esempio l’acquisto del Banco de Vitoria, assorbita da Banesto nel 2003, per il quale i vertici del PP hanno ricevuto una super tangente. I documenti sono stati tutti pubblicati e rivelano che il PP di José Maria Aznar prese finanziamenti in nero sin dal 1997, fino all’anno successivo, quando Aznar medesimo vinse le elezioni e divenne primo ministro. Dal 1997 non c’è stato un solo segretario generale o un sottosegretario del partito che non abbia preso denari.

Tra di loro c’è l’attuale primo ministro e presidente di partito, allora vice segretario generale, Mariano Rajoy , i vicesegretari Rodrigo Rato e Jaime Mayor Oreja , e i segretari generali Francisco Alvarez-Cascos , Javier Arenas , Angelo Acebes e Dolores Cospedal . Alvarez-Cascos era l’unico, in base alle note, che continuava a ricevere denari anche dopo aver lasciato la segreteria generale (El Pais).

La contabilità di Bárcenas non ha nulla a che vedere con il finanziamento pubblico dei partiti. Sono a tutti gli effetti finanziamenti illeciti. Fra i finanziatori occulti figurano Alfonso Garcia Pozuelo, proprietario di Constructora Hispánica, e Juan Cotino, proprietario della impresa valenciana Sedesa, una società di servizi. Il bottino attuale, che ammonta a 22 milioni di euro, viene custoditi in una Banca svizzera. Uno schema antico. E collaudatissimo. Bárcenas ha fatto sinora questo ‘sporco’ lavoro per 200.000 euro annui. Con tutti questi soldi, perché mai avrebbe dovuto parlare? Era anche il suo businness.

BCE, al l via il piano Monetary Outright Transaction – il “salva spread”

International Monetary Fund's Managing Directo...

International Monetary Fund’s Managing Director Dominique Strauss-Kahn (L) talks with , European Central Bank President Jean-Claude Trichet (C) and Italy’s Governor Mario Draghi (R) prior to the start of their G-7 meeting at the Istanbul Congress Center (Photo credit: Wikipedia)

Dal palazzo della BCE in queste ore è tutto un proliferare di indiscrezioni sul nuovo Quantitative Easing di Mario Draghi. Il Financial Times riporta che il piano, avente il nome molto tecnico e un po’ sinistro di “Transazioni monetarie definitive” (MOT), sarà rivelato Giovedì dopo la riunione del Board. L’intervento è stato largamente sponsorizzato da diverse corporations di Francia, Italia e Spagna, oltre che dai relativi governi. Sembra che questa insolita unione di pubblico e privato abbia momentaneamente piegato la resistenza dei falchi della Buba, alias la Bundesbank, “custode della dottrina della stabilità dei prezzi”.

“Il denaro fuoriuscito dai paesi periferici ha causato una disfunzione del sistema monetario, che non è qualcosa che una banca centrale può permettere.”, ha detto Ewen Cameron Watt,  gestore senior dei fondi BlackRock. Il rischio più grande è che i paesi che beneficeranno degli aiuti della BCE rinneghino i propri impegni in materia di risanamento dei bilanci pubblici. Non è ancora chiaro come Mario Draghi intenda evitare questa eventualità. Draghi sembra anche non intenzionato a rivelare in pubblico gli eventuali limiti oltre i quali la BCE potrà intervenire. Potrebbe innescarsi una perversa speculazione da parte dei mercati, i quali saranno quindi motivati a cercare questo limite, gettandosi pancia a terra sul bund tedesco e vendendo titoli italiani o spagnoli. Il programma si concentrerà sull’acquisto di debito sul mercato secondario con una scadenza fino a circa tre anni e gli acquisti saranno “sterilizzati” per mantenere un effetto neutro sulla massa monetaria. Questa neutralizzazione avverrà con vendita di valuta estera, molto probabilmente dollari e sterline, rastrellando sul mercato tanti euro quanti ne saranno emessi con il programma MOT.

Continua a leggere su http://www.ft.com/intl/cms/s/0/1966ebe8-f77b-11e1-ba54-00144feabdc0.html#axzz25cllFlMo

Trattato MES, le contestazioni della Germania

Articolo parzialmente estratto da: http://www.faz.net/aktuell/wirtschaft/europas-schuldenkrise/schuldenkrise-retten-ohne-ende-11832561.html

La Corte costituzionale federale tedesca deve pronunciarsi sui ricorsi contro il meccanismo europeo di stabilità (ESM), il salva-stati permanente. Un articolo pubblicato sulla FAZ ne elenca gli aspetti occulti, anche se il testo del MES è pubblico ed è facilmente reperibile in rete. Scrivono sulla FAZ che questa ambiguità di fondo è strettamente derivata dalla natura medesima del Trattato MES, che ricorda, nella stampa a caratteri piccoli e nei formalismi da studio legale anglosassone, taluni prodotti finanziari, con alcune parti in grassetto, per catturare la vista, ed altre disposizioni egualmente cogenti relegate ai paragrafi subordinati.

Davvero, si domandano sulla FAZ, la responsabilità della Germania è limitata ai 190 miliardi di euro? Il Ministro delle Finanze non si stancherà mai di sottolineare questo limite, ma la sua affermazione non troverebbe sostegno in quanto scritto nel trattato. In particolare, all’articolo 8, paragrafo 5, si parla della responsabilità limitata non al capitale, che ammonta a 700 miliardi di euro, ma al “prezzo di emissione del capitale”. Questo è estremamente importante, perché il consiglio dei governatori può decidere che il prezzo di emissione superi il valore nominale (cfr. articolo 8, comma 2). Ad esempio, “raddoppiando il tasso di emissione del MES, potrebbe aumentare la quota di responsabilità a quasi € 1400 miliardi, senza la necessità di una modifica del trattato e nemmeno di un aumento di capitale”.

Art. 8 comma 2

E’ abbastanza chiaro l’ultimo capoverso: “le altre quote sono emesse alla pari, salvo se in particolari circostanze il consiglio dei governatori decida di emetterle a differenti condizioni“. Questa è la classica clausola capestro che permette all’organizzazione finanziaria di modificare i termini di un contratto senza per questo doverlo ridiscutere con il contraente. Tipico dei Banksters.

I tedeschi hanno il timore, stando alla insolvenza della Grecia, alla condizione di pregiudizialità delle finanze del Portogallo, dell’Irlanda e oggi pure della Spagna, che la propria quota di capitale da versare per rendere solvibile il MES sia sempre e costantemente più alta rispetto a quanto pattuito. Infatti, il meccanismo di finanziamento del MES prevede che se uno stato membro non versa la propria quota di capitale, la medesima debba essere ripartita fra gli altri paesi partecipanti.

I timori sono fondati sulla presunta ambiguità insita nel disposto coordinato dell’articolo 9, commi 2 e 3, e dell’articolo 25, comma 2:

Articolo 9 comma 2

Articolo 9 comma 3

Articolo 25 comma 2

Grazie ai contributi aggiuntivi, l’onere per la Germania potrebbe aumentare ben oltre i 190 miliardi di euro indicati come limite nella parte iniziale del testo. L’aver “relegato” all’articolo 25 la clausola che rende il MES un fondo senza limiti, estensibile all’infinito, fa nascere il sospetto che nel trattato si celi l’inganno. Perché non mettere in chiaro che l’esposizione tedesca, così come quella di qualsiasi altro paese “solvibile”, può essere estesa a piacere, senza che i medesimi paesi siamo chiamati a discuterne?

Per giorni, l’opinione pubblica tedesca e il Parlamento sono stati intrattenuti a dibattere intorno alla questione se dare o meno al MES una licenza bancaria. Ma all’articolo 32, paragrafo 9, l’ESM viene esentato da qualsiasi obbligo di regolamentazione e di concessione di licenza in qualità di istituto finanziario. La licenza bancaria non è pertanto necessaria, e ciò è scritto palesemente.

Inoltre, l’articolo 21 attribuisce al MES la facoltà di finanziarsi anche sul mercato secondario, attraverso emissioni obbligazionarie sui mercati dei capitali. L’ipocrisia del non usare la parola “Euro Bonds” è evidente a chiunque, poiché tutti gli Stati membri sono responsabili in solido per le emissioni obbligazionarie del MES. L’affermazione della Cancelliera federale, Frau Merkel, gli Euro Bonds non verranno mai fatti almeno finché vivrò, contrasta stranamente con quanto emerge all’evidenza di chi legge il testo del Trattato MES.

Il MES si prefigura come uno strumento emergenziale. I parlamenti nazionali sono esautorati in quanto un eventuale loro intervento in forma di controllo o di preventiva approvazione delle deliberazioni del suo ‘Board’, renderebbero il sistema decisionale alquanto inefficace. Stesso discorso vale per il Parlamento Europeo. Ne consegue che sul MES non vi è alcun bilanciamento dei poteri, elemento imprescindibile di un sistema istituzionale democratico. Nessuno controlla il MES. Il Board del MES decide sulla base di emergenze e su richiesta dello Stato membro in difficoltà.  I membri del MES sono soggetti a immunità e le loro azioni sono coperte dal segreto (artt. 34-35):

Le camere e gli archivi sono inviolabili, tutte le attività del MES sono escluse dal controllo amministrativo, giudiziario o legislativo (articolo 32). Secondo la FAZ, viene così favorita l’insorgenza di un sistema finanziario/politico fortemente corrotto.

Abbiamo lasciato ai tedeschi la responsabilità storica di bocciare il Trattato MES come incostituzionale, condannandoli alla sentenza del “popolo che ha ucciso la Moneta Unica”. Ne pagheremo le durissime conseguenze.

https://yespolitical.files.wordpress.com/2012/06/trattato_mes.pdf

La crisi dell’Euro usata per demolire lo Stato sociale

English: Paul Krugman at the 2010 Brooklyn Boo...

English: Paul Krugman at the 2010 Brooklyn Book Festival. (Photo credit: Wikipedia)

Signori, questa è la stessa strategia seguita dal Fondo Monetario Internazionale. Il FMI risponde a logiche ultraliberiste dettate dagli Stati Uniti d’America, che ne è il principale azionista. E’ così che fanno: cancellano i diritti acquisiti per aprire i mercati alle loro corporations. E’ colonialismo. O imperialismo che dir si voglia. Viene da credere seriamente al fatto che il sud Europa liberalizzato sia un toccasana per le aziende tedesche ed olandesi. Un’ottima area entro la quale produrre a minor costo e rivendere – il tutto seduti comodamente al centro del mercato unico. Che ve ne pare? Con questo non si vuol negare che i bilanci pubblici dei cosiddetti PIIGS fossero alquanto malmessi. In realtà, se volete, la crisi finanziaria del dopo Lehman ha spaventato i fautori della new economy. E la crisi dell’euro è lo strumento più utile per rivedere i propri assets finanziari e trasformarli in comode attività manufatturiere “fuori porta”.

Leggi il resto: http://www.linkiesta.it/blogs/giovine-europa-now/cittadini-non-sudditi#ixzz221D9Lv00

Ora lo dice anche Paul Krugman:

L’AGENDA DELL’AUSTERITY

“Il tempo giusto per le misure di austerità è durante un boom, non durante la depressione”. Questo dichiarava John Maynard Keynes 75 anni fa, ed aveva ragione. Anche in presenza di un problema di deficit a lungo termine (e chi non ce l’ha?), tagliare le spese quando l’economia è profondamente depressa è una strategia di auto-sconfitta, perché non fa altro che ingrandire la depressione.

Allora come mai la Gran Bretagna (e l’Italia, la Grecia, la Spagna, ecc. NDR) sta facendo esattamente quello che non dovrebbe fare? Al contrario di paesi come la Spagna, o la California, il governo britannico può indebitarsi liberamente, a tassi storicamente bassi. Allora come mai sta riducendo drasticamente gli investimenti, ed eliminando centinaia di migliaia di lavori nel settore pubblico, invece di aspettare che l’economia recuperi?

Nei giorni scorsi, ho fatto questa domanda a vari sostenitori del governo del primo ministro David Cameron. A volte in privato, a volte in TV. Tutte queste conversazioni hanno seguito la stessa parabola: sono cominciate con una metafora sbagliata, e sono terminate con la rivelazione di motivi ulteriori (alla ripresa economica NDR).

La cattiva metafora – che avrete sicuramente ascoltato molte volte – equipara i problemi di debito di un’economia nazionale, a quelli di una famiglia individuale. La storia, pressappoco è questa: Una famiglia che ha fatto troppi debiti deve stringere la cinghia, ed allo stesso modo, se la Gran Bretagna ha accumulato troppi debiti – cosa che ha fatto, anche se per la maggior parte si tratta di debito privato e non pubblico – dovrebbe fare altrettanto!

Cosa c’è di sbagliato in questo paragone?

La risposta è che un’economia non è come una famiglia indebitata. Il nostro debito è composto in maggioranza di soldi che ci dobbiamo l’un l’altro; cosa ancora più importante: il nostro reddito viene principalmente dal venderci cose a vicenda. La tua spesa è il mio introito, e la mia spesa è il tuo introito.

E allora cosa succede quando tutti, simultaneamente, diminuiscono le proprie spese nel tentativo di pagare il debito? La risposta è che il reddito di tutti cala – il mio perché tu spendi meno, il tuo perché io spendo meno.- E mentre il nostro reddito cala, il nostro problema di debito peggiora, non migliora.

Questo meccanismo non è di recente comprensione. Il grande economista americano Irving Fisher spiegò già tutto nel lontano 1933, e descrisse sommariamente quello che lui chiamava “deflazione da debito” con lo slogan:”Più i debitori pagano, più aumenta il debito”. Gli eventi recenti, e soprattutto la spirale di morte da austerity in Europa, illustrano drammaticamente la veridicità del pensiero di Fisher.

Questa storia ha una morale ben chiara: quando il settore privato sta cercando disperatamente di diminuire il debito, il settore pubblico dovrebbe fare l’opposto, spendendo proprio quando il settore privato non vuole, o non può. Per carità, una volta che l’economia avrà recuperato si dovrà sicuramente pensare al pareggio di bilancio, ma non ora. Il momento giusto per l’austerity è il boom, non la depressione.

Come ho già detto, non si tratta di una novità. Allora come mai così tanti politici insistono con misure di austerity durante la depressione? E come mai non cambiano piani, anche se l’esperienza diretta conferma le lezioni di teoria e della storia?

Beh, qui è dove le cose si fanno interessanti. Infatti, quando gli “austeri” vengono pressati sulla fallacità della loro metafora, quasi sempre ripiegano su asserzioni del tipo: “Ma è essenziale ridurre la grandezza dello Stato”.

Queste asserzioni spesso vengono accompagnate da affermazioni che la crisi stessa dimostra il bisogno di ridurre il settore pubblico. Ciò e manifestamente falso. Basta guardare la lista delle nazioni che stanno affrontando meglio la crisi. In cima alla lista troviamo nazioni con grandissimi settori pubblici, come la Svezia e l’Austria.

Invece, se guardiamo alle nazioni così ammirate dai conservatori prima della crisi, troveremo che George Osborne, ministro dello scacchiere britannico e principale architetto delle attuali politiche economiche inglesi, descriveva l’Irlanda come “un fulgido esempio del possibile”. Allo stesso modo l’istituto CATO (think tank libertario americano) tesseva le lodi del basso livello di tassazione in Islanda, sperando che le altre nazioni industriali “imparino dal successo islandese”.

Dunque, la corsa all’austerity in Gran Bretagna, in realtà non ha nulla a che vedere col debito e con il deficit; si tratta dell’uso del panico da deficit come scusa per smantellare i programmi sociali. Naturalmente, la stessa cosa sta succedendo negli Stati Uniti.

In tutta onestà occorre ammettere che i conservatori inglesi non sono gretti come le loro controparti americane. Non ragliano contro i mali del deficit nello stesso respiro con cui chiedono enormi tagli alle tasse dei ricchi (anche se il governo Cameron ha tagliato l’aliquota più alta in maniera significativa). E generalmente sembrano meno determinati della destra americana ad aiutare i ricchi ed a punire i poveri. Comunque, la direzione delle loro politiche è la stessa, e fondamentalmente mentono alla stessa maniera con i loro richiami all’austerity.

Ora, la grande domanda è se il fallimento evidente delle politiche di austerità porterà alla formulazione di un “piano B”. Forse. La mia previsione è che se anche venissero annunciati piani di rilancio, si tratterà per lo più di aria fritta. Poiché il recupero dell’economia non è mai stato l’obiettivo; la spinta all’austerity è per usare la crisi, non per risolverla. E lo è tutt’ora.

Paul Krugman

via @violapost

Qui l’articolo originale

Il governo taglia del 20% il finanziamento a partiti e sindacati. In Spagna

Il giorno nero della Spagna: il governo di Mariano Rajoy ha annunciato misure draconiane per un totale di 65 miliardi di euro. Saranno approvate venerdì, dal Consiglio dei Mnistri, e saranno applicate immediatamente. Questo è il risultato del bailout del EFSF, per salvare le banche spagnole.

Ecco le misure prese:

  1. aumento dell’IVA agevolata dall’8% al 10%;
  2. aumento dell’IVA normale dal 18% al 21%;
  3. aumento delle accise;
  4. riduzione delle detrazioni per l’abitazione principale;
  5. eliminazione della tredicesima per i dipendenti pubblici e riduzione dei giorni di ferie;
  6. riduzione della indennità di disoccupazione a partire dal settimo mese;
  7. riforma delle pensioni;
  8. riduzione del 30% delle consulenze esterne ;
  9. riduzione di 600 milioni della spesa dei ministeri;
  10. ma soprattutto: taglio del 20% al finanziamento pubblico a partiti e sindacati.

    Che dire: Rajoy non è ancora stato linciato dai partiti spagnoli, ma dinanzi alla eliminazione della tredicesima il 20% di taglio ai soldi destinati ai partiti era doveroso.

El rescate delle Banche spagnole: le severe condizioni dell’Eurogruppo

El rescate, “salvataggio”, in termini tecnici “bailout”: il Fondo salva Stati fa il suo debutto come salva-banche e si propone come un alter ego del Fondo Monetario Internazionale. Ovvero: fornisce aiuti in cambio di politiche. Politiche generalmente punitive contro il bilancio statale. Si era discettato a lungo sul fatto che il EFSF (che presto diventerà MES, Meccanismo Europeo di Stabilità) nell’ultima variante decisa nell’ultimo Consiglio Europeo a Bruxelles, quello della vittoria dei Mario’s, non avrebbe dovuto prevedere l’assoggettamento dei governi nazionali alla Troika, Commissione, BCE, FMI, la triade del fallimento greco. Lo aveva affermato lo stesso Monti, nell’intervista conclusiva del vertice. Ma la chiusura della riunione dell’Eurogruppo, avvenuta oggi pomeriggio, ha stabilito con la formula del “Memorandum od Understanding” le dure condizioni (o imposizioni) al governo spagnolo per ottenere il fatidico bailout, il maxi prestito per salvare il proprio sistema finanziario. E la Troika è ancora là.

“Terapia de choque”, scrivono su El Pais. La Spagna ha ottenuto una dilazione di un anno nei termini per il riallineamento del rapporto deficit/PIL al 3%, dal 2013 al 2014, oltre ai 30 miliardi di euro del EFSF. Ma a quale prezzo?

Innanzitutto si tratta di un prestito: i 30 miliardi dovranno essere restituiti con un interesse del 4% (è il tasso di interesse al quale si finanzia il Fondo europeo di salvataggio EFSF maggiorato di uno spread compreso tra mezzo punto e un punto); il fondo di salvataggio europeo inietta queste obbligazioni – con una scadenza media di 12,5 anni – nel fondo di salvataggio spagnolo (FROB), e questo nel bilancio delle istituzioni bancarie che ne hanno bisogno. La banca può mantenere tali titoli nel proprio bilancio o bussare alla porta della BCE per ottenere denaro sonante. Non vi è alcun “periodo di grazia”, la principale delle obbligazioni è pagata alla scadenza (10 a 15 anni), mentre gli interessi sono pagati annualmente.

Le banche spagnole verranno suddivise in tre gruppi. Un primo gruppo dovrà operare una forte ristrutturazione dei propri assets già a partire dal 20 Luglio, giorno in cui EFSF verserà i 30 miliardi al FROB. I piani delle ristrutturazioni saranno esaminati fra Ottobre e Novembre dalla BCE, che potrà respingerli, chiedere integrazioni o approvarli senza modifiche. I piani per le ricapitalizzazioni dovranno essere presentati ad Ottobre.

La Spagna ha ricevuto il prestito in cambio di una rigorosa politica fiscale, e riforme della vigilanza bancaria: in pratica dovranno formalizzare mediante leggi nazionali la possibilità per le autorità europee di effettuare la vigilanza sul sistema bancario spagnolo: di fatto un esproprio di sovranità anche se meno intenso rispetto a quanto fatto con Grecia, Portogallo e Irlanda. Bruxelles chiede nuove misure fiscali immediatamente. Il governo ha annunciato un aumento dell’IVA. Forse non basterà. Forse la Spagna dovrà rimetter mano alla previdenza sociale. La Troika invierà le missioni in Spagna ogni tre mesi, e si assume di fatto potere sulla vigilanza finanziaria delle banche.

Non è chiaro però se le ristrutturazioni bancarie impediranno del tutto ai banksters spagnoli di poter operare liberamente sui titoli tossici, o su assets molto rischiosi. Ristrutturazione significa ridurre l’esposizione attuale ma non di certo impedire ai traders di fare il loro “sporco mestiere”. Il bailout spagnolo rischia di essere quello che non dovrebbe: un salva-banche, affinché queste ultime proseguano a far crescere quel mostro bruto del giro d’affari dei Derivati.

Allegato:

Memorandum_of_Understanding

Italia verso la crisi, Financial Times: “mamma mia, ci risiamo”. E la colpa è dei Partiti

Ci risiamo, la crisi torna a bussare alla porta dell’Italia, sebbene essa “non sia sulla stessa barca della Spagna”, i mercati – scrivono sul The Financial Times, sono psicologicamente orientati a considerare l’Italia come il “prossimo bersaglio”. Il governo Monti sta perdendo credibilità, si sente vulnerabile: l’indice di popolarità di Monti è crollato rispetto ai picchi dello scorso autunno mentre lo spirito riformista dei primi cento giorni ha lasciato il passo a un eccesso di prudenza ministeriale, che ora sta sfociando in totale inerzia.

Così siamo percepiti all’estero. Un governo inerte, incapace di far fronte al brusco rallentamento dell’economia dovuto alle misure di austerità. Ma Monti farebbe meglio a recuperare il suo zelo riformista. A cominciare dalla spending review, di cui si sono perse le traccia – a quando il primo intervento di Bondi sulla sanità con una centralizzazione del sistema degli acquisti? – per passare dalla legge anticorruzione, che in verità il governo sta spingendo con grossi sforzi dentro a un parlamento riluttante per concludere con una riforma della giustizia civile, finora un “vero e proprio freno agli investimenti”. Ma per far ciò i partiti politici devono smetterla di “trascinare i piedi”. E quei ministri, “distratti dal crollo dei partiti politici”, possono certamente coltivare le proprie ambizioni di futuro politico ma dovrebbero lasciare immediatamente il governo (a chi si riferisce l’autore del pezzo? A Barca? A Passera? A Grilli?).

Però finalmente un fatto è chiaro, anche all’estero: i partiti politici hanno la responsabilità di questo stallo. Non hanno la percezione del precipizio che si sta avvicinando (e che qualcuno, alla Ragioneria di Stato o al MEF, sta pensando di evitare con misure estreme e pericolose).

Questo post fa riferimento ad un articolo del Financial Times.

Crisi del Debito: Der Spiegel senza mezze misure sull’Italia

Con questo titolo,

Euro-Krise Italiens Wirtschaft bricht massiv ein (l’Economia crolla in maniera massiccia in Italia)

accoppiato a un’immagine di un negozio che promette grandi saldi ma con la saracinesca chiusa, con un sottotitolo beffardo “Affari a Roma, i consumatori si stanno trattenendo”:

(AP Photo/Gregorio Borgia)

Der Spiegel annuncia che il nostro paese sarà messo nuovamente sotto il fuoco della speculazione perché il governo Monti non sembra più in grado di cambiare le cose, in Italia. “L’economia è guasta e la volontà di riformare la politica italiana è già evidentemente paralizzata”, ha detto Ralph Solveen economista di Commerzbank, una banca che a novembre ha rischiato la bancarotta e che è stata graziata dal LTRO di Mario Draghi. Il signor Solveen ha affermato che è solo una questione di tempo, quindi l’Italia dovrà chiedere aiuti all’Esm.

Lo Spiegel non è nuovo in fatto di esagerate analisi sul nostro paese. Solo dieci giorni fa, dopo i ripetuti sismi in Emilia-romagna, prevedeva,

Terremoti, Der Spiegel: “Italia presto spaccata e frantumata”.

Dobbiamo credergli? Dobbiamo credere a Commerzbank? E’ più PIGS il nostro paese o il signor Solveen e la sua banca, Commerzbank?

Moody’s taglia Commerzbank Rating al ribasso per 7 banche – La Repubblica – 5 giorni fa

Servono 5 miliardi di euro entro giugno. – ECONOMIA – Lettera43 – ‎Nov 23, 2011‎

Commerzbank, necessità capitale per Eba stimata in 5 mld -… – Reuters Italia – ‎Nov 22, 2011‎

Commerzbank cerca soldi – ECONOMIA – Lettera43 – ‎Nov 23, 2011‎

Presto sarà #Spanic – il panico da banche

L’annuncio del Financial Times di ieri circa l’ansia da default che ha colpito i greci, accorsi in massa a ritirare agli sportelli, sommata alla isteria odierna che ha interessato Bankia, la banca spagnola nazionalizzata in fretta e furia dal governo Rajoy, prima assalita dai correntisti e poi no (ma nel frattempo questa “indiscrezione” è costata moltissimo, a tutti, in fatto di crolli in borsa e di spread) non fanno altro che alimentare la spirale del gorgo muto in cui siamo finiti tutti, accompagnati per manina dalla inflessibile accoppiata Sarkozy-Merkel. Per analogia, più si parla dei suicidi più gente si suicida; più si parla del panico da default, più aumenta il panico per tutti. Gli psicologi la chiamano “spirale suicidogena” ed è quel fenomeno che passa sotto il nome di “effetto Werther”, dal nome del protagonista del libro “I dolori del Giovane Werther”, di Goethe.

L’effetto Werther (che per la cronaca, alla fine del libro si suicida) si sta diffondendo sui mercati e nei comportamenti di noi singoli individui: il panico significa fuga dalla banche, significa suicidio sociale. Di fatto equivale a dire che il sistema è prossimo al collasso, che siamo a un mese dall’Armageddon. La fine dell’Euro. Caduta la Grecia, sarà la volta di Spagna, Italia, Portogallo. Alla fine dell’estate, al più tardi nel primo autunno, ci ritroveremo con la Lira in tasca: una Lira deprezzatissima, il cui valore cambia dalla notte al giorno.

Lo schema argomentativo è sempre il medesimo: la Grecia esce dall’euro a Giugno e l’Italia assisterà ad una fuga di capitali, tanto che il governo Monti sarà obbligato a bloccare i conti correnti (vulgata dello scenario evocato da Paul Krugman sul New York Times). Insomma, ci suicideremo uno ad uno, fino ad arrivare alla Germania. Detto ciò, nessuno ci dice che dinanzi all’Armageddon dell’Euro, i governanti europei non diventino improvvisamente federalisti e creino nell’arco di qualche mese una cooperazione rafforzata in materia economico-finanziaria. Lo scenario è favorevole? Con Monti, Hollande, Cameron, Merkel non si potrà mai dire. Solo Washington può effettivamente esercitare una pressione affinché si reagisca al disfacimento totale dell’Unione. Non avete idea del gigantesco, iperbolico bubbone dei derivati che è cresciuto “sotto le palle del Toro”. Travolgerà Wall Street senza che quest’ultima abbia il tempo di accorgersene. Il mercato dei derivati ha decuplicato il Pil mondiale e il crac della Grecia potrebbe condurre Wall Street anch’essa al suicidio. Sì, si tratta di un bing bang pericolosissimo, che se innescato distruggerà questo porco mondo (e non so dirvi dove finisca la dannazione e dove cominci la liberazione).

Lo #Spanic è l’hashtag che descrive i fatti di oggi: Spagna e panico. E un terribile profondissimo vuoto politico, sia a livello europeo che a livello nazionale. Lo #Spanic è una forma di isteria prodotta dalla sfiducia totale. Siamo al totalitarismo della sfiducia. La sfiducia produce altra sfiducia e i governi, qualunque cosa faranno, sbaglieranno. Per bloccare il diffondersi del panico, i governi bloccheranno il flusso di denaro. E sarà – involontariamente e comicamente – la fine. Poiché, mentre accade tutto ciò, noi disquisiamo di paghette da 5.000 euro.

Elezioni Spagna, vince Rajoy, socialisti al 30%

Diretta dello spoglio ufficiale sulla pagina Facebook di Yes, political!

Dato exit poll, sondaggio di RTVE, maggioranza assoluta al PP di Rajoy con 181 seggi. La somma di PP e PSOE sarebbe inferiore di dieci punti rispetto al 2008 fermandosi al 73%: su El Pais titolano “Meno Bipolarismo”.

Rajoy è stato criticato per la vacuità del suo programma politico. In realtà ciò che aspetta gli spagnoli è una ricetta di riforme scritta altrove: riforma del lavoro con 12 giorni di compensazione e di licenziamento, probabilmente, riforma finanziaria, e tutti i tipi di tagli: il prossimo governo taglierà almeno altri 18.000 milioni di euro nel 2012. Piove, diluvia: i tagli sui tagli sono ancora più difficili, scrive Claudì Perez, El Pais.

Ore 21.10, primi dati ufficiali, 10% seggi scrutinati:

Maggioranza assoluta per un soffio? I dati iniziali dello spoglio per il 12% sono un po ‘peggiori di quelle dei sondaggi per Rajoy e catastrofici Rubalcaba.

Questo il nuovo parlamento spagnolo, 23% dei seggi scrutinati:

Da oggi online i redditi dei parlamentari spagnoli. Mentre in Italia Paniz teme di finire sul lastrico

Accade in Spagna. Dove il capo del governo, Zapatero, riceva la cospicua somma di euro 142.467 annui, di cui 67.427  come capo dell’esecutivo e 75.040 come deputato. Gli indignados spagnoli del gruppo 15M assediano le piazze e invocano una politica onesta e orientata alla difesa dei diritti della nuova generazione. E attaccano a ripetizione i privilegi e le retribuzioni dei parlamentari.

Peccato, essi non sanno che il primo ministro italiano ha guadagnato nel 2009 la bellezza di  23.057.981 euro – certamente più grazie alle sue attività editoriali e affini che al reddito miserevole da parlamentare. Sempre citando un vecchio articolo di Repubblica, “Gianfranco Fini nel 2009 ha dichiarato 142.243 euro di  imponibile, contro i 105.633 euro dell’anno precedente. Per il presidente del Senato, Renato Schifani, 190.643 euro con un aumento di circa 31 mila euro […] tra i leader di partito, dopo Berlusconi c’è Antonio Di Pietro con 193.211 euro. Tuttavia, rispetto alla dichiarazione del 2008, l’ex pm ne ha persi circa 25 mila (ne denunciava 218.080). Al terzo posto Umberto Bossi con 156.405 euro: un “guadagno” di circa 22 mila euro nel confronto con i 134.450 dichiarati un anno prima. Segue a ruota il leader del Pd Pier Luigi Bersani con 150.450 contro i 163.551 della denuncia del 2008. Il reddito più basso è quello del leader dell’Udc Pier Ferdinando Casini, in “ribasso” da 142.130  a 123.005″ (La Repubblica.it).

Questi redditi sono troppo datati, direste voi. La vostra personalissima percezione è confermata da una dichiarazione di questa sera di Maurizio Paniz, deputato ed avvocato in pectore del premier, l’uomo che crede alla nipote di Mubarak (e a Babbo Natale):

“E’ ingiusto il trattamento economico nei confronti dei parlamentari. Dalla mia attività di parlamentare, con gli ultimi tagli che sono stati disposti, se va bene riesco a prendere 300 euro al mese”. Ad affermarlo è il parlamentare del Pdl Maurizio Paniz alla Zanzara su Radio 24 (Giornalettismo.com).

Leggete attentamente le parole di Paniz: “I conti sono matematici: prendo 4500 euro di indennità che, ridotte al 40% perché ho un’altra attività, arrivano a 2.700 euro – spiega Paniz -. Questi vanno ridotti del 20% dell’emolumento originario come contributo di solidarietà, cioe’ 900 euro, e arriviamo a 1900 dai quali vanno tolte le imposte e arriviamo a circa alla metà. Togliamo infine il contributo per tutti i parlamentari del Pdl di 800 euro e come vede io ci perdo a fare il parlamentare. E’ un semplice conto matematico. Se i giornalisti controllassero e si informassero meglio non si sarebbe sollevato un polverone inutile” (ibidem).

Paniz è semplicemente e candidamente osceno. Egli non vi ha detto, poiché suppone che voi lo sappiate già o suppone piuttosto che voialtri siete del tutto rimbambiti, che “il taglio delle retribuzioni o delle indennità di carica dei componenti degli organi costituzionali (il 10% per la parte eccedente i 90 mila euro, il 20% su quella che supera i 150 mila), non si applicherà più da domani e per sempre, ma solo per quest’anno, il prossimo, e il 2013, fatti salvi «la presidenza della Repubblica e la Corte costituzionale» che però pagheranno il contributo di solidarietà previsto per la pubblica amministrazione (Corriere.it).

Sappiate che alla diaria di 4.500 euro, come riferito da Paniz, si sommano l’indennità, pari a 5.486 euro non più sottoposta al taglio del 50% e altri rimborsi per altri 3.000 euro circa. Che dite, diamo asilo politico a Zapatero?