Lettura preliminare: http://www.repubblica.it/politica/2013/08/17/news/piras_isinbayeva-64884863/?rss
Attenti. Qualunque associazione fra il caso di Gianluigi Piras e i vari Calderoli che perseguitano il nostro mondo è fuorviante nonché inutile. Gianluigi Piras è un politico del PD. Ha solo sbagliato a pubblicare uno status su Facebook. Uno status in cui paradossalmente replicava la dinamica comunicativa della Isinbayeva circa le leggi anti-gay in vigore in Russia. Ovvero quel meccanismo per cui uno un giorno dichiara di essere a favore di norme che rendono illegale una identità sessuale e l’altro giorno afferma di esser stata fraintesa. Gianluigi non si augurava lo stupro della Isinbayeva, come taluni giornalisti (poco propensi alle verifiche delle notizie e molto propensi invece a gettarsi pancia a terra sulle polemiche che notoriamente generano click e visualizzazioni) hanno scritto. Gianluigi ha provato, con il suo modo paradossale, di spiegarvi che affermare che “noi russi siamo normali, le donne stanno con gli uomini e viceversa”, è devastante. E’ devastante poiché la normalità non esiste, è una costruzione che non trova verifica nella realtà. L’omosessualità non è fuori del normale, come la Isinbayeva crede (e come molti di voi, credo, pensano). L’omosessualità è normale perché è parte del nostro mondo di vita, un mondo che qualcuno vorrebbe ridurre ad una sola dimensione. La brutalità dell’intenzione di normalizzare la vita, eliminando le anomalie, le eterodossie, le diversità – ricordatevelo – è proprio di un modello totalitario. Tenetelo bene a mente.
Gianluigi ha spiegato in una lunga lettera le sue motivazioni. Non si è giustificato. Si è dimesso da tutte le cariche che ricopre nel Partito Democratico e nelle amministrazioni. Nessuno glielo aveva ancora chiesto, ma la sua coscienza è grande. Peraltro, nessuno (nel partito, nella vita) ha cercato di difenderlo. E per me questo è grave. La sua bacheca, su Facebook, è stata trasformata in una cloaca. Migliaia di commenti in cui gli sono state augurate le più tremende punizioni corporali. Vedete, la violenza è così facile, così a portata di mano. Molti festeggiano per il killeraggio di un avversario politico. Ma sbagliano: questa gogna che si apre ogni volta che si sbaglia la comunicazione è frutto anche dell’atteggiamento semplificatorio dell’informazione che traduce uno status di Facebook, un non-fatto, in una narrazione generatrice di indignazione di massa. Un meccanismo che ci trasforma tutti in criceti nella grande ruota di Internet.
Quella che segue è la lettera di Gianluigi. Che si scusa e lascia.
Lo stupro è inaudita violenza. Ma il danno è enorme e quando si sbaglia, in politica come nella vita, si paga un prezzo.
Lo stupro è inaudita violenza. Ma il danno è enorme e quando si sbaglia, in politica come nella vita, c’è sempre un prezzo da pagare, e io intendo pagare.
Lo stupro e lo stupro di una donna in particolare, è uno dei più violenti, efferati e raccapriccianti crimini che la storia dell’umanità abbia mai conosciuto. Dietro lo stupro c’è quasi sempre il bisogno di umiliare qualcuno e nel caso di un donna, la cinica volontà di predominare e sottomettere questa creatura che evidentemente in troppi, continuano a considerare “inferiore”.
“Lo stupro è peggio dell’omicidio perché almeno quando sei morta è tutto finito e basta” raccontò a Franca Rame una donna di 58 anni, che di questa efferatezza è stata vittima; proprio vero, perché lo stupro è qualcosa che ti mangia dentro, ti divora umiliandoti, dove le ferite peggiori sono quelle che non si vedono, che non si possono rimarginare, sono le ferite dell’anima.
A giugno 2013, in Russia, Putin firma la legge che vieta la propaganda omosessualeo, ancora peggio, più generiche “relazioni sessuali non tradizionali”, lasciando mano libera alle autorità di applicarla in maniera arbitraria. Le conseguenze non sono state solo normative ma l’approvazione di questa legge ha scatenato un’ondata di attacchi violenti ai danni di persone gay, lesbiche, bisessuali e transessuali in un paese già di per sé altamente omofobo: casi di ragazzi gay sequestrati, torturati e seviziati fino alla morte e casi di ragazze lesbiche persino stuprate. Tra il 7 e il 23 febbraio 2014 si terranno le olimpiadi invernali a Sochi, sul mar Nero, e gli organizzatori hanno espresso forte preoccupazione per le ricadute che questa legge possa avere nei confronti degli atleti omosessuali e nei confronti di tutti quegli atleti che intendano esercitare la libertà di espressione contro la stessa norma e in favore dei diritti LGBT.
Ieri, Yelena Isinbayeva, campionessa russa dell’asta, si è schierata al fianco del governo russo dichiarando: “Io sono a favore delle regole sui gay. Forse siamo un popolo diverso da quello di altri paesi ma abbiamo le nostre leggi e vogliamo che gli altri le rispettino, perché noi all’estero lo facciamo”.
Su di me, queste dichiarazioni, amplificate a mezzo stampa in tutto il mondo, perché pronunciate da un personaggio pubblico, hanno avuto un impatto violento e, non so perché, ancor più poiché pronunciate da un atleta e da una donna. Una violenza che ha riacceso nella mia mente quelle che nel nazismo sarebbero diventate le premesse per le leggi razziali, tese a creare nell’opinione pubblica una sorta di legittimazione culturale nei confronti dell’oppressione e dello sterminio del popolo ebreo.
La stessa Isinbayeva, il giorno dopo e pressata dalle polemiche che ne sono conseguite porta i media di tutto il mondo a titolare “Isinbayeva ci ripensa: sono stata fraintesa”.
Pensare contestualmente alle recenti conseguenze di questa legge, tra le quali i casi di stupro su alcune ragazze lesbiche e le affermazioni in difesa della stessa norma da parte di una donna e atleta di fama come la Isinbayeva mi hanno portato ad utilizzare quello che in letteratura si chiama un paradosso scrivendo sul mio profilo facebook e testualmente“Isinbayeva, per me possono anche prenderti e stuprarti in piazza. Poi magari domani ci ripenso. Magari mi fraintendono”. Un paradosso, nella sua più generale accezione, è un’affermazione che, per il suo significato o per la forma in cui è espressa, appare contraria alla comune opinione o alla verosimiglianza e riesce perciò a sorprendere, anche suscitando un immediato senso di indignazione. Per essere molto più chiari: il significato del mio post non è neanche lontanamente da intendersi come un augurio o un auspicio a che la Isinbayeva ( e chicchessia )possa essere stuprata ne in piazza ne altrove. Il paradosso da me utilizzato è semmai da intendersi in questo senso: talmente sono gravi le affermazioni della Isinbayeva che, indirettamente e in virtù di quelle affermazioni, arriva a giustificare una legge tra le quali conseguenze registriamo casi di stupro di donne lesbiche; e siccome a poco valgono, al fine di dimenticare la violenza di quella affermazioni, le successive dichiarazioni quali “Isinbayeva ci ripensa: sono stata fraintesa” , è come se io, paradossalmente, dichiarassi :“Isinbayeva, per me possono anche prenderti e stuprarti in piazza. Poi magari domani ci ripenso. Magari mi fraintendono”.
Questo l’unico e solo significato di questo post.
Purtroppo però, io non ho scritto un post il quale significato e senso fosse immediatamente comprensibile, e non intendo e non posso permettermi di liquidare il tutto con un “non avete capito e mi avete frainteso” perché quando sono in tanti e in troppi a non aver capito, allora la responsabilità è in capo a chi, evidentemente, non si è fatto comprendere. E ora non m’importa che sia chiaro il significato di quelle parole e ancor meno m’importa l’imminente destino che la mia dignità e la mia reputazione possa trarne da questo episodio. M’importa invece delle conseguenze che la violenza di quelle parole possano aver rappresentato per anche solo una vittima di stupro che le mie parole è arrivata a leggere.
Girando sul web ho trovato pure questo titolo: “Presidente Pd: stuprate la isinbayeva, è contro i gay”. Ommetto di raccontarvi della mia reazione di fronte ad una tale notizia e delle strumentalizzazioni che ne sono conseguite; non sono alla ricerca di commiserazione, di pietà, ne di comprensione, ma solo di verità.
Se una donna vittima di uno stupro in queste ore si sia trovata di fronte alla lettura di un simile titolo, non è certo in capo a se la responsabilità dell’onere sulla veridicità della notizia, ne ha il dovere di conoscere nulla della mia vita privata e pubblica in difesa dei diritti civili, siano essi legati alle discriminazioni razziali, alla lotta contro la violenza alle donne o in difesa dei diritti degli omosessuali o contro l’omofobia.
Non è in capo a se alcun dovere ma certamente un diritto alle scuse e un diritto a che, qualsiasi persona si impegni in politica nella difesa di questi stessi diritti civili, abbia l’autorevolezza e la credibilità necessaria per farlo. E comunque la si voglia mettere, io in questo momento ho perso questa autorevolezza e questa credibilità, che andrà riconquistata pazientemente e faticosamente.
A tal proposito e irrevocabilmente rassegno le dimissioni dalla Presidenza del Forum Regionale sui Diritti civili del Partito Democratico della sardegna e dalla Direzione Regionale; rassegno irrevocabilmente le dimissioni dal Consiglio comunale di Jerzu; rassegno irrevocabilmente le dimissioni dal coordinamento regionale di Anci giovane; rimetto nelle mani del Segretario Regionale e Nazionale del Partito Democratico la mia tessera di iscritto e rassegno irrevocabilmente le dimissioni da coordinatore provinciale di Prossima Italia, associazione impegnata da sempre con grande determinazione nelle battaglie in difesa dei diritti civili e che in questa fase sta sostenendo la candidatura di Giuseppe Civati alla Segreteria Nazionale del Pd. In questo momento e da sardo, mi viene in mente la storia dei nostri boschi, di quanti decenni impieghino a crescere utili e rigogliosi e di quanto poco ci voglia, con un solo fiammifero ad appiccare un incendio e a distruggere in poche ore il lavoro di una vita. Nel mio caso, in questo momento, sono bosco ma anche causa del suo stesso incendio.
Una volta, una mia amica mi prese in giro per questa storia: eravamo alla Rinascente, salivamo in ascensore con una coppia sposata con una bambina di circa due anni nel passeggino. Il passeggino era praticamente accostato a me; la bambina ad un certo punto allungò la mano e mi toccò sul pantalone appena sotto la cinghia; istintivamente feci uno scatto e allontanai la mano di quella bambina, sentendomi per certi versi un idiota. La mia amica rise e risero anche i genitori. Ma io da quell’ascensore uscii un tantino perplesso e davanti alla richiesta di chiarimenti della mia amica spiegai le mie “ossessive” ragioni. Le dissi di immaginarsi questa scena: immaginati che non fossimo in ascensore ma dietro uno scaffale del negozio; immaginati poi che quel passeggino fosse stato lasciato un attimo incustodito da quei genitori; immaginati ora la scena che è accaduta in ascensore e che, nel momento in cui io avessi allontanato quella mano, fosse spuntata fuori da dietro lo scaffale la madre e che l’unica fotografia visiva di quella stessa madre fosse stata la mia mano, sulla mano della figlia che poggiava la sua mano sui miei pantaloni. E le chiesi ancora di immaginare quali sarebbero stati gli effetti se quella madre, presa dal panico e dall’equivoco avesse cominciato a gridare terrorizzata della presenza di un pedofilo. La mia amica scoppio in una incontenibile risata, che non potè che coinvolgere anche me. Terminato il momento di euforia, quando la riaccompagnai a casa e la lasciai sotto casa la invitai ad andare su internet e a fare una ricerca su una serie di errori giudiziari inerenti presunti casi di pedofilia o molestie sui bambini; le dissi che sarebbe rimasta allibita dall’esito di quella paziente ricerca. E purtroppo in quei casi, che sia chiaro, neanche minimamente sono paragonabili al mio, la notizia e la verità, anche quelle false, anche quelle figlie di un equivoco, anche quelle frutto di un paradosso imperdonabilmente mal spiegato, lascia una macchia indelebile e poco importa se si è colpevoli o innocenti o se si è colpevoli di violazione dei limiti di velocità piuttosto che di omicidio. Purtroppo accade anche che l’uomo “crede più facilmente vero ciò che preferisce sia vero.” Ho una sola preghiera e cioè quella che non necessariamente questa mia lettera e le mie decisioni trovino altrettanta diffusione mediatica, ma che almeno le prime righe di questa lettera siano diffuse con la stessa solerzia e velocità con la quale è stato diffuso il mio precedente post. E non per me, per la mia reputazione o per dovere di verità verso il mio impegno di una vita in difesa dei diritti civili e contro ogni discriminazione; non per me ma perché a tutte le vittime di uno stupro che hanno letto quel post, e che hanno associato al mio nome quelle parole, possa arrivare una sola ed inequivoca verità: e cioè che in questo mondo troppo spesso crudele, semmai, c’è una persona in più e non in meno che pensa che lo stupro sia uno dei più imperdonabili crimini contro l’umanità. E mi perdoneranno, quando sarà il momento, se continuerò in questo impegno un po più silenziosamente e in attesa di recuperare la giusta credibilità e autorevolezza. Per ora non trovo altre parole se non di umile richiesta di perdono. Con sincerità.
Gianluigi Piras