Civati il parresiastes, o della rivincita sul Konduttore

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Durante la #direttacivati, ieri sera, molti di noi, molti di quelli che agivano su twitter per raccontare in 140 caratteri la partecipazione di Giuseppe Civati a Ballarò, fatto più unico che raro, hanno scritto che guardare un talk-show tutto intero per sole tre domande fosse una fregatura, o una seccatura almeno. Cose così, buttate giù di pancia.

Devo ammettere di esser stato fra quelli che hanno istintivamente pensato che Civati fosse un pesce fuor d’acqua in quella circostanza, come spesso gli capita quando si trova in trasmissioni tv in cui la regola è non far capire nulla a chi sta a casa. La critica, ovvia e automatica, è stata più o meno questa: un leader deve sapere impiegare questi mezzi di comunicazione. Deve saper parlare in tv, come parlare alla radio, come stare sui social network, e via discorrendo. Un leader politico è oggi soprattutto un personaggio televisivo; ha cioè un suo carattere, una sua figura televisiva. Parla la lingua della televisione. E’, di fatto, un campione della mimesis del piccolo schermo. Non necessariamente il suo personaggio è autentico. Nella televisione questo non importa: si è finché si rimane in onda, fuori dallo schermo si è qualcos’altro.

Dal post moderno in poi, con la nascita della società dello spettacolo, è tornato in auge il personalismo. Il personalismo è quel fenomeno che fa sì che non sia tanto un’idea o un concetto o una visione di vita ad emozionare il pubblico e gli elettori, quanto il personaggio che veicola tali contenuti (Barbara Collevecchio, il Fatto Q).

Ora per chi pretende di cambiare il paese iniziando da un partito, cosa che qualifica Civati come ‘folle’ bastian contrario (i partiti sono m..da, dice il Capo Comico, facendosi interprete del comune sentire in virtù del suo carisma), si impone la necessità di rompere il campo dell’avanspettacolo politico portando la scomodità della verità addosso. Chi fa ciò non è meno leader di chi si pavoneggia bene davanti al Konduttore, abile maître della retorica da talk show. Il konduttore non sa che farsene di un parresiastes. La banalità del reale in tv non funziona. Il parresiastes ha il coraggio di dire la verità a discapito di sé stesso: non va incontro all’opinione pubblica, ma la conduce verso il vero (l’esatto opposto del leader populista, che invece guida la propria mimesis in virtù dell’opinione generale). Se in una discussione politica, un oratore rischia di perdere la sua popolarità perché la sua opinione è contraria a quella della maggioranza, egli sta usando la parresia. Il leader televisivo, invece, cerca di accrescere la propria popolarità, cavalca l’onda del sentimento, fa vivere al telespettatore l’esperienza della condivisione d’intenti che è effimera poiché dipendente dallo schermo.

Dopo venti anni di berlusconismo, non abbiamo bisogno di palcoscenici, né di teatri di posa, né di studi televisivi. Il leader è tale poiché si fa carico del cambiamento, perché mette sé stesso, la propria carne, la propria voce al servizio di un movimento fatto di persone oramai disilluse. L’incantesimo è finito. E allora, restare in silenzio aspettando che il konduttore ti dia la parola, non è sinonimo di sconfitta bensì di alterità. Perché se anche Landini alza la voce per togliere la battuta all’avversario politico, allora dobbiamo renderci conto che qualcosa non funziona più in noi. Se riteniamo che questo sia il modo giusto, se lo riteniamo vincente, scopriamo inorriditi di essere definitivamente cambiati, in questi venti anni.

Ecco, il leader è timido poiché timida è la verità. Aiutarla a tornare protagonista della nostra vita politica non è solo un’opportunità, è un dovere civile. Per poi alzarsi da quelle poltrone e dire al konduttore, quasi con un piede fuori: no, non è con me che stai parlando.

Internet batte televisione 4 (sì) a 0. Ma ora liberiamoci da Facebook

Miguel Mora su El Pais commenta il voto di domenica prendendo spunto da quel video parodia di ‘L’aereo più pazzo del mondo’. In volo sull’oceano, i berluscones di ritorno dal soggiorno di Antigua vengono avvisati dell’esito dei referendum. Hanno abolito il legittimo impedimento, dice l’hostess ai passeggeri. E scatta l’isteria. La “Primavera dei Cittadini”, scrive Mora, “è sorta e si espande ogni giorno attraverso internet”. Esattamente come sulla riva sud del Mediterraneo, ma in una forma più pacifica e ricorrendo più all’ironia e alla satira che alla rabbia, il territorio infinito senza censura della Rete sembra aver giocato un ruolo chiave nel nuovo vento politico che sferza l’Italia.

Ma sembra chiaro che il problema è che la destra italiana non è a conoscenza del crescente potere di Internet. Che le nuove tecnologie non sono il punto di forza del suo leader è emerso pochi giorni prima del voto, quando ha detto che qualcuno gli aveva passato una “cassetta” per vedere un programma che aveva perso. “Possibile che un primo ministro e magnate dei media del XXI secolo ignorari che il DVD è stato inventato nel 1995, proprio l’anno in cui l’ultimo referendum in Italia ha vinto il quorum? Sembra improbabile, ma il fatto è che il referendum è stata una sconfitta finale non solo per il governo, ma anche per l’ambiente in cui Berlusconi è stato un mago (Miguel Mora, El Pais).

Così sembra. Il voto ha testimoniato il cambio di paradigma mediatico: non più l’oligarchia televisiva, che esclude e impone i piani argomentativi alla discussione pubblica, di cui è rimasto celebre il caso della violenza contro una donna a Roma poche settimane prima del voto del 2006, fatto che infiammò il dibattito televisivo contro l’immigrazione clandestina e fece emergere un clima di paura convogliato dai media di casa Berlusconi verso Lega e PdL; tanto per rinfrescarvi la memoria, quelle elezioni politiche furono poi vinte ugualmente dal centrosinistra ma Berlusconi riuscì nell’impresa di recuperare a Prodi almeno 8 punti percentuali. Quel caso ha rappresentato l’apice della forza persuasiva della televisione. I fatti criminosi compiuti nel paese erano in calo, ma la percezione delle persone era di un aumento. Si viveva un’emergenza che non c’era, indotta dalla suggestione televisiva che ogni giorno riproduceva quel fatto all’infinito, trasmettendo le immagini di retate, di sgomberi di campi Rom, parlando di tolleranza zero e di ergastoli e di pena di morte.

No, quel tempo è finito. Così sembra. Al posto della tv, una discussione eterodiretta che si autoalimenta grazie al contributo di tutti, senza necessità di conduttori o di presentatori, di opinionisti o di registi. Si afferma l’argomento prevalente in un susseguirsi di piani argomentativi in libera competizione fra loro. Questo è consentito da un mezzo straordinario che è la rete, essa stessa piano altro in cui l’individuo si dispiega in una multipolarità di voci che altrimenti gli sarebbero negate. Se l’azione dell’individuo non è più direttamente coercita se non in casi eccezionali stabiliti dalla legge, la parola era (ed è) fortemente compromessa, sottaciuta, senza alcuna rappresentanza nel teatro degli specchi che va in onda ogni giorno nello schermo televisivo. Internet sembra restituire all’individuo la parola, e al contempo gli riassegna lo status di cittadino, ovvero di individuo partecipe alla vita della polis.

Ho usato il termine sembra perché neppure Internet è priva del rischio oligarchico. Anzi: la sua tecnologia è talmente complessa da creare sistemi che sfuggono alle parole che possediamo. Per esempio: lo spazio di Internet è pubblico o privato? Se la discussione è politica, allora Internet diventa condizione propedeutica alla discussione pubblica. Diventa naturale considerarlo un diritto poiché nel web l’individuo si esprime e esprimersi è una delle libertà civili fondanti della modernità. Peccato che tutto ciò avvenga a casa di Zuckerberg. Rendetevene conto: abbiamo lottato per sconfiggere il demone televisivo, per poter contare, per poter fare prevalere l’interesse pubblico contro quello privato. Lo abbiamo fatto attraverso un social network che è estremamente inclusivo ma che è privato. Facebook non è un bene comune, non è nostro: ho una pagina a casa di Zuckeberg. Zuckerberg detiene il mio profilo di utente di Facebook. Di fatto mi controlla. E controlla tutti noi. Controlla l’informazione che passa attraverso il suo social network. Volendo, la potrebbe condizionare. Potrebbe far prevalere un argomento piuttosto che un altro. Esattamente come il media televisivo, ma in maniera ancor più subdola. E globale. Un mostro ben peggiore della nostra piccola videocrazia.

Facebook, il McDonald’s del social networking (segnalazione de Il Nichilista).

Il digital divide di Palazzo Chigi. Oscurate le tv in Lazio.

Ma quale successo. Al tg1 si intervistano persino le persone per la strada: ho risintonizzato il decoder, dicono i più. Bé, chissà come se la sono cavata a Palazzo Chigi. Sì, il paradosso è che anche la residenza del finto-premier è rimasta con lo schermo oscurato. Lo switch-off del Lazio è stato una mannaia. Di colpo fatti fuori la Rai, Mediaset e La7 insieme. Che colpo. Neanche le leggi antitrust hanno potuto tanto.

    • Televisione, è scattato oggi il passaggio definitivo al Digitale Terrestre di Roma, la prima grande capitale europea a diventare interamente digitale

    • Fra il 16 e il 30 novembre si spegneranno infatti definitivamente i segnali televisivi analogici per 4.500.000 cittadini del Lazio (2.700.000 nella sola provincia di Roma).

    • per molte ore, e moltissime famiglie è incubo. Ovvero, tv al buio, senza segnale. Compreso palazzo Chigi. Insomma non è solo l’anziano ad avere problemi con il cosiddetto "switch off" nella capitale. Raiuno, Raidue, Raitre, Retequattro, Canale 5, Italiauno e La7 non sono visibili da questa mattina in tutte le tv della Presidenza del Consiglio. I tecnici sono al lavoro, ma il problema per ora non ha trovato una soluzione.

    • Il ministero è soddisfatto e parla di successo dell’operazione, ma le associazioni dei consumatori sono inviperite. Sono arrivate migliaia di telefonate al numero verde, ma il numero di persone che ha avuto (e continua ad avere problemi è altissimo

    • è stata un’odissea. Fra 300mila e 500mila, secondo le stime del Corecom Lazio, le famiglie che avranno problemi di ricezione. Antennisti diventati più rari di un unicorno, vecchi televisori che si vanno accatastando nei parchi e nei cassonetti, mentre la maggior parte delle famiglie dovrà rinunciare al televisorino in cucina, che funzionava con l’antennino autonomo. In molte zone di Roma, inoltre, il segnale va e viene ed occorre resettarlo

    • Commenti sarcastici anche dal mondo politico. «Il passaggio al digitale terrestre è un evento importantissimo che avrà ricadute positive sul sistema delle emittenza e sui servizi di cui potranno beneficiare gli spettatori. Peccato, però, che per moltissime famiglie la questione si stia trasformando in un incubo». Lo dichiara Giorgio Merlo, Pd, vice presidente della Vigilanza

    • «In alcune regioni come il Piemonte dove dopo due mesi ci sono situazioni che vanno dal tragico e del grottesco. Nel  Lazio, a
      Roma in particolare, il giorno dello switch-off invece è stato in moltissimi casi quello del turn-off, quello dello spegnimento totale con grandissimi disagi. Migliaia e migliaia di famiglie – prosegue – si sono ritrovate con lo schermo nero, senza segnale

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Ancora la par condicio a tamponare le disparità televisive. Non solo per la destra.

Si parla ancora una volta di spazi televisivi. Gli ultimi dati AGCOM-ISIMM mostrano la netta assoluta prevalenza di Mr b nei minuti di trasmissione delle testate giornalistiche RAI-Mediaset. La televisione è asservita, scrivono, al governo. La stessa televisione che su SKY viene mostrata a singhiozzo, oscurata qua e là, tutto a suo danno, sia chiaro, come mostrano i dati Auditel (si parla di un calo degli ascolti RAI comparando il periodo pre-oscuramenti con quello post, sebbene sia più corretto fare analisi per periodi omogenei – si sa, agosto è periodo per molti di partenze e la televisione viene momentaneamente rimossa dalle abitudini quotidiane).
Il problema della par condicio, che in Italia esiste non soltanto a causa della concentrazione della proprietà dei mezzi di comunicazione, ma anche per l’esistenza di una sorta di sfera di influenza/ricatto, di reti di rapporti clientelari, di volontariato interessato in cui lo pseudo giornalismo televisivo è completamente avvinto, interessa pure l’altra sponda, quella del PD, là dove sono in competizione i tre aspiranti segretari. Ebbene, bisognerebbe che si provasse a misurare lo spazio televisivo assegnato alle tesi di Bersani e Franceschini in rapporto a quello attribuito a Marino: credo che si debba parlare dello zero virgola. E nemmeno la carta stampata è immune. A leggere alcuni articoli di Repubblica, verrebbe da pensare a una modesta, inutile, corsa a due.

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    • vengono pubblicati da Agcom, e riportati sul Sole 24 Ore di ieri, i dati sull’uso del tempo dei telegiornali, elaborati da Isimm. A farla breve, al governo Prodi i tg assegnavano il 6,6 per cento del tempo dedicato alla politica. Il governo Berlusconi ottiene invece il 27,8 per cento, quattro volte e mezzo di più. La differenza è un po’ maggiore su Mediaset, un po’ minore su Rai.
    • L’esplosione del tempo dedicato al governo Berlusconi dura ininterrotta da mesi e non accenna a ridimensionarsi.
      Molti diranno che non ci volevano l’Agcom e l’Isimm per rivelare un fenomeno che è agevolmente percepibile da chiunque guardi la televisione.
    • Agcom e Isimm si sono assunte la responsabilità di un commento a dir poco originale: la bulimia televisiva non sarebbe di Berlusconi&C. nei confronti della televisione, ma sarebbe invece della televisione nei confronti di qualsiasi cosa faccia, dica o pensi la squadra al governo, e il caposquadra in particolare.
    • perché «il Pdl mostra una maggiore capacità di fare notizia, di produrre eventi in grado di attrarre l’attenzione dei mass media»
    • Peccato che di ciò non venga fornita l’unica controprova possibile, attraverso la rilevazione dei comportamenti tenuti da TgLa7 e Sky24 oltre che, e non è poca cosa, dalla stampa quotidiana
    • un segno dell’avvitamento clientelare delle aziende del cosiddetto duopolio televisivo. Forse è proprio vero che le ultime nomine in Rai hanno tardato fin troppo a venire, tenendo i direttori vecchi in una condizione di permanente ricatto. Vedremo, nell’indagine che verrà certamente pubblicata a Ferragosto del prossimo anno, se la schiena dei nuovi direttori non è affetta dalla gobba servile dei predecessori.
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    • Assomiglia a una falsa partenza, in termini di ascolti, la decisione Rai di oscurare alcuni programmi sui decoder Sky. I numeri dell’Auditel parlano infatti di cali di ascolti che, nel caso della Terza rete, possono arrivare all’1,4%.
    • L’oscuramento dei programmi è effetto della nuova guerra che oppone la tv di Stato a Sky. La prima battaglia si è consumata sui 6 canali di Raisat che la tv pubblica confezionava per Sky: la loro fornitura è stata interrotta il 30 luglio. La seconda battaglia si consuma ora sull’oscuramento. Sono negati a Sky tutti gli eventi per i quali la Rai non abbia anche i diritti di trasmissione per l’estero.
    • L’oscuramento sembra produrre anche un prezzo in termini di ascolti. Prendiamo il periodo dal 2 al 18 luglio, quando la Rai non criptava i suoi programmi sul satellite, e la fascia bambini di RaiDue (tra le 7,30 e le 10,45). Paragoniamo gli ascolti di questo periodo con quelli del periodo tra il 2 e il 18 agosto, quando invece va in scena l’oscuramento. La Seconda rete perde lo 0,8% in termini di share. La perdita di RaiDue sfiora l’1% nella fascia dei telefilm (tra le 14 e le 18); mentre la perdita di RaiTre (in prima serata, tra le 21 e le 23) arriva all’1,4%.
    • Altro periodo: dal 12 al 28 luglio (nessun oscuramento). Lo paragoniamo sempre al periodo 2-18 agosto (oscuramento). Le perdite di RaiDue sono confermate – soprattutto nel pomeriggio dei telefilm – mentre RaiTre tiene, sia pure a fatica. Questi numeri forniscono munizioni alle armi di chi (soprattutto nel Pd) sconsigliava alla Rai di divorziare da Sky.
    • Chi invece difende l’opportunità del divorzio potrà aggrapparsi ad un altro dato dell’Auditel, stavolta favorevole alla tv di Stato. Parla di una tenuta, anzi di un progresso di RaiUno (che aumenta ad agosto fino al 2,9% in prima serata). E’ come se molti italiani – trovando lo schermo blu su RaiDue oppure su RaiTre – abbiano riparato intanto su RaiUno.
    • anche Sky passa ai raggi X i dati Auditel. La pay-tv vuole capire, in prima battuta, come si comportino i suoi abbonati quando si imbattono in un programma Rai nascosto. Prendiamo il caso della Nazionale. La tesi di Sky è che 18 suoi abbonati ogni 100 abbiano trovato RaiUno criptata per Svizzera-Italia (il 12 agosto) ed abbiamo visto altre cose (film, telefilm, partite di club, cucina) senza farsi problemi. Se invece non l’avessero trovata criptata, certo l’avrebbero seguita (perché così si erano comportati in occasione di precedenti amichevoli visibili sul satellite).
    • è la prova che la Rai disperde ascoltatori e commette dunque un errore epocale mentre divorzia dal decoder della pay-tv. Se la tesi sia giusta, lo diranno i prossimi mesi di studio e di polemica politica.
  • PD: MARINO, SCRIVERO’ A ZAVOLI PER PAR CONDICIO CANDIDATI
  • (ANSA) – ROMA, 21 AGO – ‘Sto preparando una lettera per il presidente Zavoli e per i principali direttori delle testate radiotelevisive affinche’ in questa gara per la leadership del principale partito di opposizione, venga garantita la trasparenza e l’imparzialita”. E’ la richiesta che Ignazio Marino, candidato alla segreteria del Pd, spiega, in un’intervista al GR Parlamento Rai, che rivolgera’ alla Vigilanza Rai e a viale Mazzini in vista della sfida congressuale nel Pd.
    ‘Sono certo -aggiunge Marino – che lo spirito di tutti i direttori sara’ quello della massima correttezza, ma e’ importante ricordare che la democrazia, non e’ solo liberta’ di poter votare liberamente, ma e’ anche potersi formare liberamente un’opinione. In questo caso sui programmi di tutti e tre i candidati’.(ANSA)

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RAI vs SKY, ma non è una cattiva notizia.

In un articolo su L’Antefatto, si fornisce un resoconto critico sulle dichiarazioni di Mauro Masi sulla scelta RAI di abbandonare la piattaforma SKY. In sostanza, non si discute della necessità di creare una piattaforma alternativa e gratuita, quella di Tivù Sat – un’anomalia italiana quella di avere una piattaforma satellitare sola, e a pagamento, come è SKY (qui di seguito si riporta l’esempio francese, dove le offerte satellitari sono ben tre e operano su tre satelliti diversi). Le argomentazioni di Masi vertono sul fatto che RAI rifiuti l’offerta di 50 mln all’anno con la giustificazione che i contenuti RAI su SKY avrebbero giovato agli ascolti di quest’ultima. Ma circa il 13% degli ascolti RAI provengono dalla piattaforma SKY (fonte: http://www.europaquotidiano.it/gw/producer/dettaglio.aspx?id_doc=112010 ) e questi ascolti avrebbero generato circa 7 mln di euro di introiti pubblicitari per RAI stessa. Invece l’audience SKY sembra non dipendere dalla RAI:

Il dato qui sopra riportato è difficilmente comparabile: il giorno medio SKY del periodo 31/05/09-27/06/09 (dati auditel, vedi http://www.auditel.it/flash_dati_mese.htm ) è pari a 2591245 spettatori unici. Una effettiva valutazione sulla dipendenza in termini di ascolto di SKY da RAI lo si potrà fare con le prossime pubblicazioni. Resta il fatto che Masi non è riuscito a dare spiegazioni convincenti della rottura con SKY.

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    • La situazione europea
    • In Europa esistono piattaforme satellitari gratutite, così come Tivù Sat. Nel Regno Unito esiste Freesat, nato da una joint venture fra BBC e ITV
    • E’ l’later ego satellitare di Freeview l’operatore di televisione digitale terrestre gratuita, lanciato nel 2002.
    • In tutti e due i casi non sono necessari abbonamenti di sorta, basta equipaggiarsi con un ricevitore satellitare digitale.
    • Anche la Francia non è da meno, TNT Sat è il primo servizio satellitare in chiaro che trasmetta dai satelliti Astra a 19,2° Est un bouquet di canali criptati per necessità relative ai diritti di trasmissione ma ad accesso completamente gratutito, a parte il costo del ricevitore e della smart card (valevole per quattro anni).
    • Ma in Francia esiste anche Fransat, un servizio di accesso satellitare a tutti i canali free della Television Numérique Terrestre (TNT). Il servizio viene trasmesso tramite il satellite Atlantic Bird 3 e permette agli utenti transalpini di fruire del segnale digitale e della sua offerta anche nelle zone non coperta dal dtt via etere.
    • Sulla scia di Gran Bretagna e Francia, presto anche la Spagna potrebbe rivolgersi al satellite per raggiungere la totalità della popolazione. Il progetto dovrebbe prendere luce a partire dal 2010, contestualmente allo spegnimento delle trasmissioni analogiche.
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    • ‘Quella italiana, per quanto riguarda decoder e piattaforme satellitari, e’ una situazione privilegiata rispetto a quella francese, anche se puo’ sembrare paradossale dopo le polemiche di questi giorni’.
    • ‘Le due piattaforme italiane operano sulla stessa posizione orbitale – prosegue Berretta – quella Hot Bird a 13 gradi Est; le tre piattaforme francesi, CanalSat, Bis e OrangeTv sfruttano invece tre posizioni orbitali diverse. Per cui un ipotetico utente francese che volesse vedere i programmi di tutte le piattaforme non solo dovrebbe acquistare tre decoder, ma addirittura tre parabole’.
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    • Quando un telegiornale del servizio pubblico, il Tg3, compie il suo dovere, quello di informare (premiato dai telespettatori con più 5% di share di media) pronto l’intervento del premier nel lanciare l’editto (antico vizio, quello bulgaro fece fuori dalla tv Biagi, Santoro e Luttazzi)
    • Per fortuna nella tv pubblica sono arrivate le ultime nomine a tranquillizzarlo. Susanna Petruni da inviata al seguito del premier a vice direttore del Tg1.
    • La conduttrice con la farfallina, durante un vertice dell’Unione europea, dimenticò di inserire nel servizio l’immagine di Berlusconi mentre faceva le corna durante la foto di gruppo.
    • Altro ricordo, ne potremmo citare tanti: il premier intervenne all’Onu in una sala praticamente vuota, la giornalista, sicuramente per spirito nazionalista, montò un Berlusconi con la sala gremita
    • Gianluigi Paragone (nomina riparatrice data alla Lega dopo quella mancata di RaiDue), ex direttore della Padania, da tre giorni direttore di Libero in sostituzione di Vittorio Feltri, arriva in Rai come vice alla rete ammiraglia con la delega ai progetti speciali.
    • il nuovo direttore del Giornale Radio Rai Antonio Preziosi. Poteva il neo direttore partire senza la presenza del presidente del Consiglio nel suo gr di esordio? No, infatti nel Gr1 delle 8 di lunedì 10 agosto intervista sui primi quattordici mesi del governo, anche se la conferenza stampa il premier l’aveva fatta venerdì 7
    • Com’è valido ancora oggi quello che diceva Enzo Biagi: “La Rai è lo specchio del paese, qualche volta un po’ deformato”.
    • Culturalmente è l’azienda più importante, la gente si informa prevalentemente attraverso i tg
    • il 6 agosto è arrivata la relazione del direttore generale Mauro Masi, Dentro alla Rai, ben prima della sua nomina (2 aprile 2009), si sapeva che la vicenda sarebbe andata a finire così.
    • Scrive Masi: Il vertice aziendale sta operando per il rafforzamento degli asset industriali ed editoriali del gruppo. Sta lavorando per una maggior centralità della Rai nel nuovo scenario multipiattaforma e multicanale.
    • Se avessimo accettato quelle condizioni (50 milioni di euro l’anno per i canali di Raisat più RaiUno, RaiDue e RaiTre gratuiti) avremmo svenduto, anzi regalato, a Sky tutta l’offerta della Rai in aggiunta ai canali di Raisat.
    • Sarebbe stato, quello sì, un atto contrario agli interessi ed alla tutela del servizio pubblico. Sempre secondo il direttore generale questo avrebbe contribuito all’aumento dell’ascolto di Sky (dall’attuale 9% al 14% nel 2012) con relativa perdita pubblicitaria da parte dell’azienda.
    • a) in tutti i paesi europei la tv pubblica è presente sulla piattaforma satellitare gratuitamente;
      • Ma negli altri paesi europei esiste una pluralità di piattaforme satellitari, non così in Italia, almeno sino all’avvento di Tivù Sat. Esisteva, alle origini del digitale satellitare, una sorta di “competizione”, con Stream e Telepiù, e il legislatore era intervenuto per obbligare all’impiego del medesimo sistema di codifica (all’epoca l’operatore francese impiegava Seca, Irdeto era il linguaggio della piattaforma di Telecom e News Corp.). Oggi si ripresenta lo stesso problema. – post by cubicamente
    • b) i dati di ascolto dei canali generalisti vengo scorporati e non aggiunti a Sky;
    • c) chi ha l’abbonamento a Sky, lo hanno scritto e riscritto gli esperti, naviga tra centinaia di canali; sceglie il singolo programma o film prescindendo dal canale che lo trasmette. Questo fenomeno produce esattamente il contrario di quello che sostiene Masi, cioè ha effetti collaterali sui canali generalisti che stanno subendo una lenta e costante erosione dell’ascolto. Il teleutente si sta abituando a personalizzare il proprio palinsesto.
    • La Rai, con l’avvento del digitale, ha fatto una scelta precisa: essere un editore televisivo non un gestore di piattaforme a pagamento, percependo già un canone obbligato, abbandonando così la strada intrapresa alla fine degli anni Novanta quando nacque Raisat spa all’interno di una accordo di partecipazione dell’azienda nella piattaforma satellitare Telepiù (all’epoca in competizione con Stream), lasciando ad altri il mercato: Sky sul satellite; Mediaset e La7 (ora Dhalia) sul digitale terrestre; Alice Telecom e Fastweb sul cavo IP – Internet.
    • Continua Masi: La centralità del digitale terrestre come piattaforma di riferimento è il punto di partenza della nuova strategia sulla quale andranno concentrati gli sforzi editoriali e gestionali
    • se lo scopo della Rai è fare l’editore per raggiungere il maggior numero di spettatori, possibile perché la tv pubblica dovrebbe scegliere una sola piattaforma?
    • Masi ha dimenticato che Sky dal 2012 potrà operare anche nel digitale terrestre?
    • Oppure teme che Mardoch possa acquisire La7
    • la Rai è un editore televisivo (fornitore di contenuti) ma avendo ancora oggi la proprietà di RaiWay è anche un operatore di rete.
    • In tutti i paesi europei è normale che questi due ruoli siano esercitati da soggetti diversi dagli editori televisivi
    • in Francia esiste un unico operatore di rete indipendente che trasporta i segnali televisivi terrestri di tutte le televisioni
    • in Gran Bretagna i network operator sono tre, così come in Spagna dove Telecinco è trasportato da Abertis
    • In Italia invece, la più piccola televisione locale condivide con Rai e Mediaset il medesimo modello industriale, che è basato sulla proprietà e la gestione degli impianti oltre alla normale attività editoriale e commerciale
    • E’ inevitabile che la transizione al digitale terrestre consentirà, sia sul piano tecnologico che su quello legale, una “bonifica” di questa situazione.
    • la scelta di uscire da Sky, in un contesto nazionale ed internazionale finanziario e industriale estremamente critico, rischia di indebolire il servizio pubblico, tirato con forza nella guerra tra Mediaset e la tv di Murdoch
    • Conflitto che non appartiene alla Rai, proprio perché servizio pubblico.

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