Medicina e potere. Il nesso è forte. Il potere politico fa propria la medicina per impiegarla come strumento di controllo e soggezione. Il concetto è centrale – ricordo a memoria – in un saggio di Michel Foucalt sul cosiddetto “biopotere”, una forma totalitaria che sussume la vita, la scorpora, la controlla per orientarla secondo una logica. In questo sistema, l’individuo smette di possedere diritti. E’ un oggetto che non può sfuggire alle statistiche. Deve essere normalizzato. Il biopotere tende a normalizzare l’umanità nel suo divenire, nascita-vita-morte, per renderlo prevedibile, quindi innocuo. La mortalità – come la natalità – è un numero da governare. A ciò che resta dell’individuo, la morte offre l’unica vita di uscita, l’unica libertà possibile.
Leggendo del nuovo libro di Ignazio Marino sulla questione del rapporto medicina-paziente/individuo-politica (nel senso della gestione burocratica dell’apparato che sottende al diritto alla salute), mi ritornano in mente le mie letture sul biopotere e sulla medicina come “macchina che produce malattie”, nella definizione scandalistica data da Ivan Illich. La “nemesi medica”, quel processo per cui la medicina da scienza della guarigione diventa politica di controllo e strumento di soggezione, induce ad alcune riflessioni. Il biopotere non può permettere devianze. Come tale, irrigimenta lo sviluppo dell’individuo in forme consolidate. L’individuo è l’anomalia. Quando nasce, entra sullo scenario del mondo con il suo carico destabilizzante poiché capace di parola e azione (può esser spunto in questo senso una lettura di Hannah Arendt). Il biopotere non è privo di concorrenza: il cattolicesimo ha la medesima pretesa di controllare il momento della nascita, di controllare il momento della morte, di accompagnare l’individuo nel suo percorso di vita condizionandone i comportamenti, rendendoli allo stesso modo del biopotere, prevedibili. All’individuo, capace di parola e azione, viene prescritto cosa dire e come agire. Biopotere e cattolicesimo agiscono sul medesimo piano. E quindi entrano in conflitto. Il biopotere pretende di sapere cosa è giusto per l’individuo, al momento della nascita e al momento della morte. Il cattolicesimo pretende di sapere cosa è giusto per l’individuo al momento della nascita e al momento della morte. Il conflitto è insanabile e si consuma sul corpo della persona, che viene costretto a restare in vita, a nascere o a non nascere, a vivere secondo forme determinate.
In questo senso mi pare che il pensiero di Marino introduca la centralità dell’io, del soggetto, che pensa e agisce. Marino si muove in una prospettiva arendtiana. Allora il testamento biologico è lo strumento di difesa di sé. Solo l’individuo, l’io, può decidere per il proprio corpo. Nel momento della salute, la persona decide in coscienza quale è il destino per sé stessa. Lo fa per difesa. Per difendere la propria sfera privata. Lasciare la decisione alla persona significa abbandoanre il terreno del conflitto fra i biopoteri e raggiungere la terra della neutralità, che è terra di pace.
La difesa della sfera privata e dell’intangibilità del corpo sono la vera urgenza in fatto di privacy. Il Testamento Biologico si presenta qui come una nuova forma di resistenza, una resistenza che non è più collettiva, ma che si è fatta individuale poiché oggi la guerra è mossa sul piano dei diritti della persona.
Di seguito, la recensione di Stefano Rodotà su La Repubblica; una riflessione intorno alle idee di Ivan Illch; un’altra recensione sul libro di Marino.
La Repubblica – Data 04-09-2009 – Pagina 44 – “Nelle tue mani”, il nuovo libro di Ignazio Marino
- DA WELBY A ELUANA IL MEDICO E IL POTERE
STEFANO RODOTÀ
Un libro sul potere, che può divenire prepotenza, ma può anche far nascere una più intensa responsabilità, soprattutto quando viene esercitato nei confronti di chi si trova in una situazione di particolare debolezza, qual è quella di chi affida al medico sé e la propria salute. E questo il filo lungo il quale si dipana la riflessione di Ignazio Marino (Nelle tue mani. Medicina, fede, etica e diritti,Einaudi, pagg. 227, euro 18), che parte proprio dal ” potere di vita e di morte ” che il medico si vede attribuito dall’aver scelto una professione che accompagna l’esistenza nell’intero suo ciclo, spesso obbligandolo a “scelte tragiche”, a prendere decisioni che possono andare oltre lo stesso paziente, toccano la sua famiglia, possono incidere sulla società, interrogando la stessa politica. Marino unisce esperienza diretta e analisi di questioni generali, componendo un quadro che fa cogliere un insieme di collegamenti e mostrando così quali debbano essere gli interventi necessari per fronteggiare i dilemmi che la medicina pone a ciascuno di noi. Non è soltanto un espediente narrativo il richiamo ai casi concreti, alle persone con le quali Marino ha stabilito rapporti nella sua attività professionale tra l’Italia e gli Stati Uniti. Solo così è possibile cogliere una realtà sfaccettata, dove ogni vicenda è diversa da tutte le altre e, quindi, sfida le pretese di regole rigidamente uniformi, che impediscano al medico di manifestare proprio la virtù di chi sa cogliere la specificità del singolo caso, e di intervenire nel modo più adeguato. Questo, però, non significa riconsegnare lapersona a un potere medico del tutto discrezionale, autoritario. Basta considerare l’attenzione di Marino per la “alleanza terapeutica” tra medico e paziente, ben diversa dal modo in cui altri la prospettano con il fine di imporre una nuova subordinazione della persona al potere del terapeuta. Nel libro, infatti, vi sono due fermi principi di riferimento: la salute come diritto fondamentale dell’individuo; il consenso della persona come condizione ineliminabile per qualsiasi intervento medico.
Questi riferimenti consentono a Marino una ricostruzione attenta dei casi che hanno più influenzato la discussione italiana, quelli di Piergiorgio Welby e di Elauna Englaro. Ma soprattutto gli permettono di indicare il perimetro all’interno del quale non solo si deve svolgere l’attività del medico, ma dove trova regola e limite pure l’intervento della politica, del legislatore. L’andamento del libro è proprio questo: un continuo misurare le affermazioni di carattere generale sulla realtà, quella, ineludibile, della vita delle persone. Ne risulta una argomentazione netta, che non evita le questioni critiche, anzi le mette in evidenza, e che proprio per questo è libera da condizionamenti ideologici.
Si chiarisce così anche uno degli equivoci più pesanti della discussione italiana, che identifica l’attenzione pubblica per i problemi della vita e della salute con l’imposizione di un’etica di Stato. Altro, infatti, è il ruolo del pubblico: apprestare le strutture che consentono ai due principi ricordati prima, salute come diritto e volontà libera della persona, di trovare piena e concreta attuazione. E, via via che si avvicina a questo nodo, il libro assume i toni di una impietosa requisitoria, che mette a nudo i vizi di gestione di una riforma sanitaria che si è allontanata dalla sua ispirazione, garantire a tutti un diritto fondamentale. Marino non fa sconti a nessuno. Né al Parlamento, “provinciale”, incapace di un vero contatto con la realtà; né alla classe medica, “orientata più dall’avidità che da un sincero senso di “missione”; né a un business della sanità dove troppo spesso il profitto cancella ogni altro criterio.
Se l’indignazione muove la sua denuncia, a essa segue una puntuale indicazione dei rimedi. Non si potrebbe trovare un lavoro più “propositivo”, dove è delineata una vera “riforma della riforma”. Bisogna tenerne conto, perché la cattiva politica è sempre figlia della cattiva cultura.
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Rileggendo Nemesi medica di Ivan Illich – di Luigi Gallo
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la medicina diventa una macchina per creare consumatori incapaci di avere consapevolezza e saper autogestire la propria salute.
- i sintomi di supermedicalizzazione sociale, quando la cura della salute si tramuta in un articolo standardizzato, come se fosse un prodotto industriale, stabilendo inoltre che cosa è “deviante” rispetto al concetto di salute;
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l’imperialismo diagnostico (il quale scompone la vita, nei suoi vari periodi, si in una serie di segmenti di rischio, che devono sempre essere sottoposti a supervisione medica), serve a privare gli individui della capacità di intervenire nel mondo e modificare ciò che gli provoca disagio
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La civiltà medica ha ridotto il dolore a problema tecnico e lo ha privato del significato personale, trattandolo allo stesso modo per tutti.
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Invece il dolore è il sintomo di un confronto con la realtà e non può essere “oggettivamente misurabile”
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L’uomo occidentale, secondo Illich, ha perso anche il diritto di presiedere all’atto di morire e viene espropriato della libertà di scelta su di sé e sulla propria salute.
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Illich auspica invece che “nessuna assistenza dovrà essere imposta a un individuo contro la sua volontà: nessuna persona, senza il suo consenso, potrà essere presa, rinchiusa, ricoverata, curata o comunque molestata in nome della salute”. La riflessione di Illich resta ancora attuale.
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I problemi e i limiti della medicina occidentale che egli aveva individuato si esplicano oggi nella grande manipolazione operata dalle multinazionali farmaceutiche che crea non solo nuovi ammalati, ma con la complicità del potere politico mira ad escludere del tutto la possibilità di una reale prevenzione e la libertà di scelta terapeutica.
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ADUC – Eutanasia – Notizia – ITALIA – ‘Nelle tue mani – medicina, etica e diritti’ di Ignazio Marino
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mi resi conto di un problema che diventava sempre piu’ pressante e risiedeva nello scollamento marcato tra la base storica, i simpatizzanti democratici e i vertici di un partito che, nell’esigenza di conciliare gli opposti, rischiava di snaturarsi e soprattutto di apparire ambiguo, perdendo di credibilita
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e’ l’analisi di Ignazio Marino, chirurgo e senatore del Partito Democratico, ora in corsa per la leadership del Pd, contenuta nel libro ‘Nelle tue mani – medicina, etica, e diritti’ (Einaudi)
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Il volume affronta la questione del testamento biologico, delle decisioni sui trapianti, dei progressi tecnologici e della durata della vita, ricordando i casi di Eluana Englaro e di Piergiorgio Welby.
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I cittadini chiedono una cosa sola: poter lasciare delle indicazioni sulle cure che vorranno e su quelle che non vorranno, se un giorno perderanno la coscienza e con essa la possibilita’ di esprimere il consenso alle terapie. Chiedono, in parole semplici, la liberta’ di decidere’.
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ma che paese e’ – si chiede – un paese che limita la liberta’ dei cittadini rispetto all’invasione del proprio corpo da parte della tecnologia medica? Che paese e’ un paese dove i medici sono costretti a nutrire e idratare artificialmente i pazienti perche’ lo prevede la legge? un paese che ha perso il suo umanesimo e forse anche il buon senso’
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Secondo Marino, c’e’ un’altra considerazione da fare: ‘In nessun altro Paese al mondo si e’ riusciti a scrivere in una legge che idratazione e nutrizione artificiali non sono trattamenti sanitari, perche’ nessuno ha avuto l’arroganza di affermazioni cosi’ contrarie alla conoscenza scientifica’.
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Nella maggior parte dei casi – sottolinea- le leggi sono state scritte chiedendo aiuto alle persone che conoscono la scienza e possono essere di conforto per evitare di produrre l’obbrobrio legislativo a cui siamo arrivati.
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una legge contro: contro la liberta’ di scelta, contro i medici, contro i malati e i familiari, contro chi si confronta con la malattia che avanza inesorabilmente e si interroga sulla fine della vita
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La questione e’ piu’ complessa e riguarda l’approccio della societa’ italiana ai temi eticamente sensibili, o meglio ai diritti civili: avra’ un atteggiamento laico, sapra’ ascoltare le ragioni della scienza e sapra’ tradurle in soluzioni nell’interesse di tutti, soprattutto dei piu’ deboli, oppure si pieghera’ sottomettendosi all’ideologia degli schieramenti e alla logica dell’uno contro l’altro?
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