Lega Nord? No, associazione a delinquere

Così era tutto un drenare soldi dal partito per spostarli verso operazioni puramente private, finanziare la scuola della moglie, pagare le automobili per i rally al figlio più piccolo, e poi viaggi, vacmze, cene, tutto a Nostre spese. Denaro anche per il sindacato padano. Così Belsito in un brano delkle intercettazioni parla con il proprio interlocutore e dice che lui ha i “conti della famiglia”, non del partito.

E Tosi ha il coraggio di dire che a Bossi il denaro non è mai interessato. No, a lui no. Ma a tutti gli altri sì. E chi non era del Cerchio, i vari Maroni, Castelli, lo stesso Tosi, sapevano. Erano anche un po’ invidiosi di tutta questa mercanzia.

«La macchina», comprata per uno dei figli di Umberto Bossi. E poi «case», almeno una decina di viaggi-vacanza. Sempre per i figli del Senatùr oppure, la conferma arriva a tarda sera in ambienti investigativi, per un super-big del partito e un tempo dello Stato intero, Rosy Mauro, ex vicepresidente del Senato. E soprattutto, una delle principali chicche: denari con ogni probabilità pubblici impiegati per la ristrutturazione della «villa di Gemonio», appartenente proprio a Umberto Bossi. Ancora: almeno in un’occasione, soldi destinati alle «spese» della moglie del Senatùr. E un’altra somma, importante, a parere di chi indaga «distratta» dai conti della Lega per foraggiare la campagna elettorale di Renzo Bossi detto “Il Trota”, alle Regionali del 2010 […] tali atti di disposizione, in ipotesi non riconducibili agli interessi del partito e contrari ai suoi vincoli di statuto, hanno carattere appropriativo(Intercettazioni – Le intercettazioni – Belsito: «Anche io ho i costi della famiglia»| italia| Il SecoloXIX).

Si tratta di appropriazione indebita. E il partito, cos’è diventato? Il sindacato padano? Sono forse essi associazioni a delinquere?

Amministrative 2012: Alessandria, un comune diviso fra bilanci in rosso e ‘ndrine

Le amministrative 2012 saranno forse ricordate per il caos partitico: sia a sinistra che a destra la dipartita di Berlusconi ha innescato fenomeni centripeti tali per cui ci sono comuni che vedranno al primo turno una lista di candidati sindaco lunghissima. Un fatto che non si ricordava da tempo. Il vaso di Pandora della politica si è rotto e da esso fluiscono come veleni personaggi fra i più disparati e impresentabili. Prendete per esempio il comune di Alessandria, 95000 abitanti. Il sindaco Piercarlo Fabbio è del PdL e vinse le elezioni nel lontano 2007 contro l’odiato sindaco di sinistra, Mara Scagni. Fabbio era alla testa di una coalizione partitica che fotocopiava l’assetto del centrodestra nazionale: duopolio PdL-Lega con alleanza a destra (‘La destra’ – ex scissionisti di An). Oggi Fabbio si ripresenta alle urne senza più un simbolo di partito, sostituito da un cuoricino (sì, sui manifesti elettorali, condito di gergo giovanilistico del genere “I love AL”), ma soprattutto perde l’appoggio leghista e in ultima istanza anche la faccia.

1. Il bilancio comunale in rosso, l’inchiesta per truffa e il pressing della Corte dei Conti.

Parliamoci chiaro, il comune di Alessandria è stato ad un passo dal commissariamento. Fabbio si è salvato solo grazie all’inerzia leghista. Il partito di Bossi non ha ‘staccato la spina’ ma avrebbe potuto farlo e consegnare il sindaco al giudizio della Corte dei Conti. I bilanci comunale del 2010 e del 2011 presentano delle criticità. A novembre 2011 la situazione era talmente grave che era in dubbio anche il rispetto del patto di stabilità. I punti decisamente irregolari richiamati dall’organo di controllo, aspetti che ‘denotano una situazione di criticità’, erano almeno diciassette. Tra le misure richieste, la riapprovazione del rendiconto relativo all’esercizio 2010 e la modifica del bilancio di previsione 2011. Nel mirino della Corte sono finite anche le aziende partecipate per la presenza di ‘dubbi sulla effettiva contabilizzazione integrale dei debiti’, come emerge dalle scritture contabili, superiori a 42 milioni al 31 dicembre 2010. A dicembre 2011 la situazione si aggrava poiché la Corte giunge ad ipotizzare il ‘dolo’ e la ‘colpa grave’ nei confronti di sindaco, assessore al Bilancio, ragioniere capo, altri assessori e consiglieri comunali.

Luciano Vandone, l’artefice dell’intera operazione, una sorta di ‘deus ex machina’. Per la Procura Vandone avrebbe agito con dolo. Da lui sarebbero partite disposizioni agli uffici con l’intento di alterare, attraverso ripetute gravi violazioni, norme e principi contabili del Tuel e le risultanze contabili di amministrazione del Rendiconto per l’esercizio 2010. Il fine era quello di assicurare apparentemente il rispetto degli obiettivi fissati dal patto di Stabilità Interno. Un atteggiamento analogo sarebbe stato messo in atto anche in occasione della compilazione dei rendiconti consuntivi per gli esercizi 2008 e 2009 (Radio Gold).

2. Il ‘caso Ravazzano’.

Ciò che più sconcerta è la vicenda del ragioniere capo del comune, nominato dall’assessore Vandone, Carlo Alberto Ravazzano. Ravazzano, secondo la Corte dei Conti, sarebbe stato nominato ad arte da Vandone: “con il suo contributo [Ravazzano] a titolo doloso avrebbe prestato il proprio avallo all’intera operazione di alterazione dei risultati di gestione 2010. Una sorta di braccio operativo dell’assessore Vandone. Il suo intervento avrebbe garantito il rispetto degli obiettivi del Patto di Stabilità Interno per il 2010, sulla base di dati di bilancio falsi” (Radio Gold, cit.). Attenzione perché il sindaco Fabbio in tutto questo cattivo affare non è immune da accuse. Anzi, la Corte dei Conti non si è limitata a definire gli aspetti irregolari del bilancio ma ha individuato nella catena di comando l’intenzione deliberata di creare dei falsi. E il sindaco sarebbe stato la regia di tutta l’operazione. Responsabilità minori sono state ravvisate nei confronti dei membri della giunta, nonché dei consiglieri comunali, i quali avrebbero avallato i bilanci previsionali e i rendiconti finali senza il necessario controllo.

Non serve spiegare che successivamente la Corte dei Conti abbia bocciato anche gli interventi correttivi sui bilanci come sono stati decisi dalla giunta nei mesi di Gennaio e Febbraio 2012. I ‘residui passivi’ relativi al 2010 ammontano a quasi 7 milioni di euro, che fanno sprofondare il bilancio comunale nel 2010 a – 3.019.115,26. La risposta ultima del sindaco e della giunta è stata quella di affidare la soluzione del caso a degli esperti, la cui consulenza costerà almeno 12000 euro.

Intanto la Procura di Alessandria ha aperto un fascicolo nei confronti dei tre per i reati di di truffa aggravata, ipotesi di falso e abuso d’ufficio. Poco prima di Natale 2011, Ravazzano veniva anche sottoposto a carcerazione preventiva per la possibilità di reiterazione del reato e inquinamento delle prove. La città scopriva in quei giorni di essere governata da una banda di truffatori. Il teatro degli orrori non finisce qui: Ravazzano, una volta revocata la carcerazione preventiva, è stato prontamente reintegrato nell’organico comunale in un’altra funzione con un decreto a firma del sindaco. Un atto politico di ostilità nei confronti degli organi giudiziari ai confini con la sovversione. Ravazzano assumerà l’incarico di Direttore organizzativo di Base dell’Area Servizi alla Città, alla Persona e Sicurezza. Il sindaco Fabbio ha così deciso poiché l’ente in questione avrebbe inderogabili “esigenze gestionali e funzionali dell’Ente relative agli adempimenti per le prossime consultazioni elettorali” (Radio Gold).

3. L’esplosione dei partiti

La conseguenza di questo sfacelo, dei trucchi e del falso in bilancio è stata l’esplosione dei partiti e delle coalizioni. Complice anche l’avvento del governo tecnico a livello nazionale, Alessandria ha esperito, sia a destra che a sinistra, un fenomeno di disgregazione delle classiche coalizioni del periodo del bipolarismo. Da un lato vi è la Lega Nord che andrà al voto con un proprio candidato, fatto che evidentemente si spiega con la speranza di sottrarsi alla debacle collettiva di un centrodestra che ha salvato Fabbio da una giusta defenestrazione. Dall’altro, il centrosinistra si presenta altrettanto diviso: non si aggrega al centro – storicamente il comune di Alessandria ha una vocazione social-democratica, così anche nel PD a prevalere è la componente ex DS – e sembra ritenere impossibile da replicare a livello locale la ‘foto di Vasto’. Il PD ha indetto le primarie di coalizione, ma i candidati erano solo suoi: Rita Rossa, attuale assessore provinciale alla Cultura, e Mauro Buzzi, anch’esso PD però dell’area Prossima Italia (Civati). Rita Rossa, manco a dirlo, ha vinto con l’83% dei voti. E poi non dite che il PD non vince le primarie! Tuue le formazioni partitiche che non hanno accettato di allearsi con il PD hanno avuto buon gioco a bollare la consultazione come una farsa. L’Italia dei Valori ha deciso di andare al voto da sola. L’ex sindaco del PDS, Mara Scagni, si è appena dimessa dal PD e molto probabilmente si presenterà alle urne alla testa di una lista civica. Dulcis in fundo, anche il Movimento 5 Stelle è riuscito a trovare un candidato da proporre come sindaco. In totale, fra PD, IDV, Udc, Api, M5S e quanto’altro, i candidati sindaco – al primo turno – saranno dodici.

4. L’infiltrazione ‘ndranghetista

Come nel resto del Nordovest, anche ad Alessandria l’ndrangheta ha messo radici e coltivato interessi, stabilito relazioni, influenzato decisioni pubbliche. Il velo omertoso che la politica si è guardata bene dal sollevare, è stato squarciato dai magistrati della Procura di Genova con l’operazione Maglio 3. Una recente trasmissione televisiva (Presa Diretta, di Riccardo Iacona) ha raccontato bene la storia dell’ndrangheta ad Alessandria. Poiché se a Genova l’organizzazione teneva la propria base operativa, ad Alessandria era riuscita a scalare la piramide sociale e ad inserire uno dei suoi dritto in consiglio comunale. Si tratta di Giuseppe Caridi, consigliere comunale del Pdl di Alessandria. Il caso ‘Caridi’ scoppia a Novembre 2011 quando l’uomo viene arrestato con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa in seguito all’inchiesta della Procura Antimafia di Torino. Insieme a lui vengono arrestati altri sei alessandrini ritenuti affiliati alla ‘Ndrangheta. Si tratta di Bruno Pronestì di Bosco Marengo, ritenuto il boss, e il genero, Francesco Guerrisi, Domenico Persico di Sale, Romeo Rea di Spinetta e Sergio Romeo di Pozzolo. Caridi era diventato presidente della Commissione Territorio del Comune di Alessandria e da quella posizione poteva influenzare le decisioni relative al piano regolatore e alle concessioni edilizie.

Non c’è bisogno di spiegare che l’arresto del consigliere comunale Caridi, concatenato alla vicenda della truffa sul bilancio comunale e all’arresto del ragioniere capo Ravazzano, fossero ragioni sufficienti per chiedere ad un sindaco di dimettersi o perlomeno di non ricandidarsi. Non è questo il caso di Piercarlo Fabbio. Lui, indomito, si riconsegna alla cittadinanza con l’immagine di un sindaco che tappa i buchi delle strade con l’asfalto e chiude i buchi di bilancio con il falso. Un caso che addirittura sconfina nel pietoso.

Lusi il mariuolo e il PD, partito nato da una truffa

Esagerando, potremmo dire che della questione Lusi ciò che più sconcerta non è il ladrocinio (definizione di Lerner) messo in opera dall’ex tesoriere della Margherita. Per assurdo, ma neanche tanto, si può ben dire che siamo abituati ai politici corrotti, alle tangenti, ai furtarelli, ai raggiri, agli storni di denaro pubblico. E’ una storia fin troppo collaudata. Ora ci sarà un’inchiesta e Lusi, come Citaristi anni fa prima di lui, si prenderà tutta la colpa e ‘salverà’ il sedere a quelli che l’hanno chiamato per mettersi all’opera in questa impresa criminosa dei bilanci di partito col trucco e le società a scatole cinesi e le casa comprate a insaputa di tutti.

No, ciò che più sconcerta e addolora è la storia di un Partito, il PD, che si scopre oggi esser cominciata da una truffa. Una truffa ‘ideologica, sia chiaro. Sì, poiché il PD nasceva con la promessa di semplificare il quadro politico a centro-sinistra, di unire per sempre le forze politiche storiche che hanno dato origine all’Ulivo nel 1996, quelle forze eredi della tradizione comunista e di quella del cattolicesimo sociale, riunite nell’alveo del riformismo progressista. Una bella formula, non c’è che dire. Si veniva dalla esperienza tragicomica del secondo governo Prodi, e quella galassia postpartitica e postcomunista era divenuta insopportabile. L’ingegneria partitica ha prodotto così il PD, per fusione degli ex Ds e degli ex Dl. Secondo Sartori, una operazione con il trucco, poiché “storicamente una fusione di partiti non è mai avvenuta: è sempre un partito che soccombe all’altro”.

Sartori si sbagliava. Tutti noi ci sbagliavamo. Non c’era fusione. No. Nella realtà, al Partito Democratico, è stata applicata la pratica delle scatole cinesi. Ci hanno raccontato che Ds e Margherita scomparivano per diventare un partito solo. Questo partito si scopre oggi che ha al suo interno altri due partiti, gli stessi originali partiti dei Ds e della Margherita, che non sono sciolti – badate bene – ma si trovano soltanto in stato di ‘dormienza’:

In quei giorni di primavera del 2007, tra liti e qualche pianto, i Ds e la Margherita si sciolsero, confluendo con grande enfasi nel futuro Partito democratico. Nei trionfalistici documenti ufficiali dei due congressi però era omesso un piccolo dettaglio: i partiti optavano per la separazione dei beni e cioè non portavano nella nuova casa neppure uno spillo. I propri “redditi” li tenevano tutti per loro. I Ds trattenevano non solo l’ingente patrimonio immobiliare e artistico ereditato (assieme a molti debiti) dal Pci, ma soprattutto i cospicui rimborsi elettorali previsti per i successivi 4 anni; la giovane Margherita era senza debiti, disponeva di una ingente liquidità e anche lei non versava al Pd i finanziamenti pubblici fino al 2011. Una separazione dei beni che si accompagnava ad un’altra originalità: i due partiti confluivano nel Pd, ma lo facevano con una formulazione ambigua, in base alla quale la propria attività politica non era conclusa. Era «sospesa» (La Stampa.it).

Il patrimonio dei due partiti, che per i Ds è stato accumulato in anni di militanza, è stato di colpo “privatizzato”: il partito è diventato un’organizzazione spenta, oserei dire occulta, celata dietro il paravento moderno del Pd, che però continua a incassare i rimborsi elettorali e investe, compra immobili, li divide – come ha fatto il tesoriere dei Ds, Ugo Sposetti, fra 57 diverse fondazioni a guida strettamente personalistica. In altre parole, questa degenerazione è la conseguenza della privatizzazione della sfera pubblica che questo paese ha esperito negli anni successivi al 1992 e che coincidono con il ‘ventennio breve’ di Berlusconi. Le dinamiche sono state le stesse: a destra hanno creato il partito azienda, produttore di leggi ad personam, a sinistra il partito ‘corporation’, conclave di associati che lucrano sui mercati immobiliari – prevalentemente – per arricchimento proprio e degli amici attraverso la manipolazione del sistema dei rimborsi elettorali.

Questo è stato. Ora si dirà una cosa sola. Nessuno conosceva le attività di Lusi. Nessuno sapeva dei tredici milioni di euro sottratti al bilancio del partito ‘dormiente’. Lusi? Un mariuolo.

Volo di Stato a domicilio per Calderoli

Il Moralista Calderoli (#cotechinoelenticchie) è accusato di truffa e peculato dalla Procura di Roma per uso personale di voli di Stato. Che memoria corta, quella di Calderoli: ha chiesto spiegazioni a Monti con una interrogazione parlamentare per il presunto festino di Capodanno del Presidente del Consiglio. Non solo è stato sbertucciato da Monti con il famoso comunicato del Cotechino e delle Lenticchie, ma deliberatamente dimenticava di quando lui medesimo utilizzava l’aereo di Stato per spostarsi da e per Cuneo, per tornare dalla sua compagna.

Ad accusare (senza citarlo) il ministro della Semplificazione Roberto Calderoli e’ il consigliere regionale Fabrio Biole’, eletto con il Movimento 5 Stelle. «Questa e’ la storia DI un VOLO – scrive in una lettera inviata a giornali e tv -.  E’ il 19 gennaio 2011. Al mattino decolla, presumibilmente dall’aeroporto Ciampino, un massiccio Airbus A319-115 CJ dell’Aeronautica militare, contrassegnato ”Repubblica Italiana”. A bordo: un ministro della Repubblica. Destinazione: l’aeroporto di Cuneo Levaldigi. Scopo della missione: non pervenuto» . E aggiunge: «Il ministro, che ha forti legami con la Granda ha utilizzato, vista la palese assenza di agenda istituzionale sul territorio interessato, un Airbus di Stato da 140 posti per scopi strettamente personali. Lo ritengo vergognoso». Biole’ allega anche fotografia dell’Airbus a Levaldigi, per verificarne modello e capienza. Il ministro non replica direttamente. Lo fanno gli uomini dell’entourage. «Intanto si tratta di un Airbus da 40 posti. Non e’ partito da Roma con a bordo il ministro che si trovava a Bergamo per altri impegni ma, invece di andarlo a prendere a Milano Linate, lo ha preso a bordo a Levaldigi. Quindi nessuno spreco di denaro dei cittadini». Per capire. Al ministro leghista Roberto Calderoli, compagno della presidente della Provincia Gianna Gancia, da anni e’ imposta una scorta di «alto livello». Tutto inizio’ con le magliette sull’Islam e alcune DIchiarazioni che lo hanno messo al centro di una serie di minacce di morte. Di qui, per lui, l’obbligo di muoversi sempre sotto scorta «di livello 2»: piu’ agenti, tragitti concordati. Il 19 gennaio si trovava a Bergamo «e di qui, in auto, ha raggiunto la compagna Gianna Gancia a Cuneo», raccontano al ministero. Sempre il 19 doveva essere a Roma per la Commissione sul Federalismo fiscale. «Ha comunicato alla scorta che invece di imbarcarsi a Milano-Linate sarebbe partito dall’aeroporto Cuneo-Levaldigi. Quindi l’Airbus, che non sceglie lui, e che doveva potarlo a Roma e’ decollato da Roma Ciampino come sempre: anziche’ accoglierlo all’aeroporto di Milano-Linato e’ atterrato a Levaldigi e lo ha portato a destinazione dove lo attendevano compiti istituzionali. Una questione di routine, un polverone demagogico». (Archivio Storico La Stampa.it).

Capite? Il Moralista Calderoli si faceva venire a prendere sotto casa da un Airbus di Stato. Neanche lo sforzo di spostarsi a Milano-Linate. No. Piuttosto facciamo atterrare un Airbus – un Airbus per una persona sola! – nel trafficatissimo aeroporto di Cuneo. Lega Tanzania? No, è sempre la stessa Lega Nord. Quella di sempre. Quella che vi ha buggerato con la storiella del federalismo.

E buon Metodo Boffo per tutti! Dalla prima pagina de Il Giornale ai berlusconiani

Metodo Boffo per tutti. La prima pagina de Il Giornale di stamattina è qualcosa di incredibile. Solo un catenaccio, molto piccolo sulla Libia. Il resto è bastone. A volontà. In primis per umberto Eco, reo di aver affermato che anche Hitler è stato eletto dal popolo, perciò una democrazia non è tale solo in virtù del voto popolare. Apriti o cielo: Eco “userebbe” la marocchina come un’arma. Che fantasia.

Il veleno peggiore è riservato per Saviano, altro protagonista del Palasharp:

“Luigi Saviano è imputato, insieme ad altri medici e professionisti, con l’accusa di truffa, ricettazione, corruzione e concussione ai danni dell’Asl” di Napoli […]  “L’imbarazzo del paladino della legalità”.“Nelle contestazioni mosse a Luigi Saviano, nero su bianco si parla del ‘suo ruolo in seno all’organizzazione, in particolare quello di assicurare ai gestori di tali centri un ingiusto profitto derivante da una serie cospicua di ricette riportanti prescrizioni fittizie di analisi cliniche’. (…) I fatti risalgono al periodo 2000-2004, ma il 19 maggio prossimo il tribunale di Santa Maria Capua Vetere dovrà decidere se accorpare al procedimento riguardante il papà dello scrittore un secondo filone, nel quale vengono contestati gli stessi reati che sarebbero stati commessi fino al 2006 e che vede alla sbarra gli stessi imputati”[…] “La parola passa ora al tribunale, anche se il processo sembra destinato a finire in prescrizione. Giuridica, non medica”.

La vicenda è vecchia, ma così è il Metodo Boffo: si rimesta nel cestino dell’immondizia alla ricerca di qualche notizia datata cheserve allo scopo di sporcare la figura di chi critica il Padrone. Il solito copione che questa volta è incentrato su un’inchiesta del 2004, mentre nel titolo non c’è alcuna evidenza di questo. Il fatto è noto e ne potete trovare traccia negli archivi del Corriere del Mezzogiorno. Nemmeno un cenno, poi, al fatto che “i rapporti fra lo scrittore e sue padre si sono interrotti ben prima che l’uomo fosse inquisito (e imputato)” (Corriere.it, cit.).

Rapporti che hanno portato lo scrittore a vivere da solo a Napoli, nei Quartieri Spagnoli a ridosso di via Chiaia, laurearsi tra mille difficoltà, anche economiche, diventare uno dei migliori allievi del professor Alfonso Barbagallo, a cominciare a scrivere per il «Bollettino sulla camorra» e le illegalità del Corriere del Mezzogiorno a partire dal gennaio 2005. Roberto aveva rotto con il padre, non lo tratta bene nel suo libro «Gomorra» (basta leggerlo per capire il distacco tra i due) e con lui non ha avuto rapporti da quando c’è stata la frattura. Chi, approfittando del fatto che il 19 maggio ci sarà l’udienza per decidere se «fondere» il procedimento che riguarda fatti del 2000-2004 a quelli che sono stati commessi in seguito, oggi riporta la notizia non scopre niente di nuovo (ibidem).

Poi in questa torbida prima pagina c’è pure spazio per la Boccassini, rea di aver voluto arrestare Garibaldi, ma non l’eroe dei due mondi, sia chiaro, bensì la nipote. Un titolo furbino che fa riferimento ad una vicenda precedente addirittura a Mani Pulite, processo Duomo Connection:

La pronipote dell’Eroe dei due mondi: “Quand’ero nel Psi venne la Digos a casa mia dicendomi che ero implicata in un giro di tangenti e traffico d’armi. Rimasi sotto il torchio della pm fino all’alba: voleva che facessi il nome dell’ex sindaco Pillitteri. Le accuse? Svanite…” (Il Giornale.it).

Di che cosa è accusata ora la Boccassini? Di aver fatto il suo mestiere? Se ci fate caso ce n’è anche per i magistrati del caso Scazzi e per quelli del tabaccaio giustiziere. Insomma, un capolavoro di ignoranza.


Regionali 2010: se in Piemonte vince Cota, un altro indagato in Parlamento.

Il Piemonte è una delle Regioni in bilico. La Presidente uscente Mercedes Bresso ha dovuto scendere a patti con l’UDC, non senza concesssioni sulla sanità piemontese, fra le più morigerate ed efficienti nel paese. Nonostante ciò, nonostante l’accordo con il partito di Casini, la riconferma della Presidente è fortemente insidiata dalla minaccia Lega Nord, la cui forza elettorale si annuncia straripante (in Veneto è candidata a esser primo partito, in Lombardia avrà ancor più voti del PD).
Così, se in Piemonte dovesse vincere Roberto Cota (appunto, Lega Nord), si libererà uno scranno a Montecitorio. E per effetto del famigerato Porcellum, della legge elettorale a firma di Calderoli, il seggio non verrà rimesso in palio, bensì sarà allocato alla medesima lista vincitrice alle elezioni del 2008, ovvero la Lega Nord, al nominativo immediatamente successivo a quello di Cota. Il nome è quello di Maurizio Grassano (vedi Resoconto Giunta per le Elezioni). Un signore che non ha certo una grande carriera politica alle spalle, essendosi mosso sempre in ambito locale, ma che potrà generosamente contribuire a rinfoltire la schiera degli indagati – anzi, degli imputati – in Parlamento.
Questo perché Maurizio Grassano è stato consigliere nel Comune di Alessandria, poi anche Presidente del medesimo Consiglio Comunale, sino alle dimissioni, maturate, dopo un soffertissimo tira e molla con il PdL guidato dal sindaco Piercarlo Fabbio, soltanto lo scorso novembre. Grassano è sottoposto a processo, accusato di reati molto gravi quali truffa aggravata, truffa tentata e falso ai danni del medesimo Comune nel quale rivestiva la predetta carica di Presidente di Consiglio:

Andranno a processo il presidente del Consiglio Comunale Maurizio Grassano e il suo ex datore di lavoro Sergio Cavanna che devono rispondere di falso al fine di truffa ai danni del Comune. Per la Procura le prove sono evidenti. Fino al ’97 Grassano guadagnava non più di 41milioni di lire all’anno, ma dal ’98 quando ha chiesto e ottenuto il primo rimborso dal Comune le sue entrate sono progressivamente aumentate fino a guadagnare 20mila euro al mese. Secondo il Pm figurava che Grassano guadagnava il triplo del suo datore. Prima udienza l’8 febbraio (RADIO GOLD – Cronaca – Grassano a processo l’8 febbraio).

I guai veri, per Grassano, comiciarono una mattina di Settembre dello scorso anno, quando la Guardia di Finanza si presentò al suo ufficio per interrogarlo e per disporre la misura cautelare degli arresti domiciliari poiché sussitevano i pericoli di fuga e inquinamento delle prove. Nonostante il provvedimento di arresto, Grassano non si dimise dalla carica di Presidente. Decise di lasciare immediatamente il partito della Lega Nord. Poi cominciò un furibondo braccio di ferro fra di lui, l’opposizione e lo stesso Sindaco. Motivazione? “Maurizio Grassano […] ha detto di aver pensato molto alla sua vicenda e al fatto di essere in “buona compagnia” con sindaci, consiglieri e parlamentari di ogni schieramento politico inquisiti”; “mi dimetto se lo faranno tutti loro”; addirittura si presentò in conferenza stampa con “un plico di carte, il regolamento e lo Statuto del Comune di Alessandria […] per far valere i propri diritti di uomo” (RADIO GOLD – Politica – Grassano contro tutti). Il Sindaco e la giunta studiarono addirittura una modifica dello Statuto Comunale che “contemplasse un mandato ridotto a metà per il presidente del consiglio comunale, con la possibilità di essere eventualmente rieletto”, ma Grassano rifiutò la modifica ad personam con sdegno, “se questa norma è stata fatta per me” ha affermato Grassano “tolgo il disturbo per rispetto nei confronti del consiglio […] mi dimetto se la giunta e i consiglieri comunali ritirano questa delibera che minaccia la democraticità del consiglio stesso e l’imparzialità che dovrebbe avere il presidente” (RADIO GOLD – Politica- Grassano si dimette).
E così si dimise, lasciando di stucco tutta l’assemblea. Quest’uomo avrebbe rubato al Comune denari per 760.000 euro in forma di rimborsi, soldi che poi transitavano nella società di cui era amministratore delegato e quindi nelle sue tasche. Soldi sottratti a una città le cui istituzioni ora fanno fatica a mantenere l’insieme delle società municipalizzate che gestiscono i servizi, dalla raccolta dei rifiuti alle case di riposo per anziani, per le quali si pensa alla privatizzazione. E lui parla di imparzialità e democraticità. Un ottimo curriculum, a ben pensarci, per far parte del prestigioso club di Montecitorio.