Senza elettricità – questa, lo so, è una provocazione – viene meno anche la democrazia. Pensateci: niente media di massa, niente discussione pubblica mediata dai networks, niente giornali (almeno non con la frequenza di pubblicazione attuale), soprattutto niente televisione. Verrebbe meno la formazione del consenso di massa. Elettricità vuol dire ricchezza e la democrazia costa. Niente elettricità, niente ricchezza, ergo niente democrazia.
Prendete ad esempio il caso del Giappone: con lo tsumani, il terremoto e il sequel del disastro nucleare, si annuncia l’avvio di una fase di declino per la società più tecnologica del mondo. E il Giappone vive una stagnazione lunga un decennio.
In un decennio, il tasso di crescita del Pil del Giappone è sceso sotto lo zero in ben tre occasioni (2002-2003-2009) e per il quinquennio 2005-2009 ha conosciuto solo tassi decrescenti. Certo quello italiano non è andato meglio e la crisi del 2008 ha fatto storia, oramai. Diciamo che questo è il background del paese: lo sviluppo si è arrestato. Che cosa potrà accadere con il 30% in meno di energia elettrica? Davvero il Giappone sprofonderà in un neo-medioevo post-tecnologico?
La produzione elettrica giapponese, per la chiusura delle centrali nucleari, ha subito un brusco taglio del 30%. Nove raffinerie di petrolio sono rimaste danneggiate, e al momento il 30% dei distributori di carburante di Tokio non ha nulla da vendere. La capacità di raffinazione sta tornando alla normalità, ma il problema è che la domanda di carburanti è quasi triplicata a causa dell’emergenza che ha colpito mezzo Paese. Le autorità locali chiedono carburante con persino più disperazione di quanto chiedano cibo o acqua o medicine […] Le fabbriche chiudono a rotazione per mancanza di energia, e perché i dipendenti non hanno modo di recarsi al lavoro; le luci in casa si spengono alle 9 di sera, e lo skyline della metropoli è costellato da macchie di buio; gli eventi sportivi sono rimandati a data da destinarsi, i rifiuti si affastellano agli angoli delle strade perché i camion non hanno gasolio per effettuare la raccolta; i giornali dedicano intere pagine agli orari dei blackouts zona per zona. “E’ abbastanza buio da essere anche un pochino spaventoso, e per la mia generazione è impensabile avere scarsità di elettricità“, dice un ragazzo. Secondo un ingegnere della compagnia elettrica intervistato in forma anonima dal Los Angeles Times, tale situazione potrebbe durare anche un anno (D. Billi, Il Fatto Quotidiano, 29/03/2011).
Molto dipenderà dagli esiti della catastrofe nucleare. Se la contaminazione sarà tanto grave da dover obbligare alla evacuazione di altri kmq di territorio densamente urbanizzato, sarà forse un declino più lungo. Non verrano dismessi soltanti i centri abitati, ma anche quelli industriali. Intorno a Fukushima sarà un deserto post-moderno. Verrà pagato un dazio in termini di vite umane, di leucemie e cancro nucleari, un dazio in termini di riduzione delle aspettative di vita in quella e altre zone limitrofe. Un dazio salato di industrie che non riescono più a provvedere alle loro commesse:
Mentre i team di salvataggio nipponici cercavano superstiti e raccoglievano corpi tra le rovine di paesi distrutti dalle onde assassine, Shreveport ha aggiunto il suo nome alla lunga lista delle vittime della devastazione nipponica […] il motivo per cui la Gm sta tenendo a casa i 2000 e passa operai di Shreveport [Lousiana, USA] è la mancanza di un pezzo che misura il flusso d’aria nei motori. La Hitachi è il leader mondiale di questi sensori e la fabbrica a Nord di Tokyo che li produce è stata danneggiata dal terremoto (Il secondo terremoto del Giappone – LASTAMPA.it).
“La mancanza di un pezzo” di fabbricazione giapponese è la causa di un fermo produttivo di una fabbrica americana. Anzi, di un colosso come General Motors. Manca un pezzo, manca il Giappone. La divisione del lavoro decisa anni or sono con l’Accordo di Marrakech e la costruzione del WTO intorno alla metà degli anni novanta, già malconcia per la crisi finanziaria del 2008, viene messa a dura prova dal medioevo tecnologico nipponico.
Non che i giapponesi non siano in grado di risolvere il nodo scorsoio della scarsità di energia elettrica. Essi però lo potranno fare soltanto ripensando la propria politica energetica. E’ necessario il cambio di paradigma energetico a lungo evocato dal teorici del picco petrolifero. Forse in una generazione potranno riconvertire tutta la produzione di energia nucleare in energia pulita e sicura. In termini evoluzionistici, possiamo parlare di ‘trappola del massimo locale’: quando cioè ogni ulteriore passo in avanti dell’evoluzione non è migliorativo della situazione attuale e soltanto un declino, un forte declino, può preparare il terreno per la formazione di una condizione migliorativa.
Nella figura, il passaggio da A a C non può che avvenire se non precipitando in B. Questo vedo allora nel Giappone odierno, nella società ultra-tecnologica che scopre improvvisamente di non avere più nulla, che non sa che farsene di tecnologia senza energia. Per raggiungere una fase migliorativa dello sviluppo, il paese dovrà passare per il medioevo post-tecnologico. Ma non pensate che sarà una tragedia: sarà pure l’occasione per precedere tutti gli altri. Per inventare la società del futuro, basata non già sugli idrocarburi, bensì sull’energia pulita. Non più sui rifiuti e sul consumo senza freno, ma sul consumo responsabile e il ciclo uso-riuso-riciclo. Forse, ciò che verrà meno sarà l’ordinamento democratico: sarà un medioevo anche nel senso della libertà dell’individuo e della legittimità del potere. Certo, l’economia emergenziale richiede poteri di emergenza. E la democrazia sospesa tornerà, ma non più nella forma della democrazia rappresentativa massificata. La nuova società sarà costruita da reti: energetiche e informative. Il modello politico si espliciterà anch’esso in forma di rete, probabilmente una forma federale, ma micro, dove agli stati si sostituiscono i comuni, o centri ancora più piccoli, come i quartieri. E il potere sarà diffuso, polverizzato; l’individuo pienamente coinvolto nella res publica.
Non so dire se sarà un mondo migliore. Resta il fatto che per arrivare là, il Sol Levante dovrà consumare un po’ di petrolio, abbastanza per farci ricordare il prezzo odierno del barile, 108 dollari, come di uno scherzo ben riuscito.
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