Il 2012 in dodici tremendi post

2012-roadblock

Le dimissioni di Mario Monti e il decreto di scioglimento delle Camere – che presumibilmente verrà emesso dal Presidente della Repubblica domenica prossima – sono gli atti che chiudono questo tremendissimo 2012, il primo anno post berlusconismo (e antiberlusconismo). Ma la Nuova Era per la politica italiana si è aperta non certo nel migliore dei modi. Già ad inizio Gennaio era parso a molti che il ricorso alle urne era l’ultima delle carte che “la Casta” si sarebbe giocata in questo frangente. Il referendum sul Porcellum si rivelò una chimera poiché fu prevedibilmente bocciato dalla Consulta:

Referendum Legge Elettorale, i dubbi sull’ammissibilità

gennaio 5, 2012 di 

Le urne non erano l’unico fantasma che agitava i sonni dei deputati e dei senatori italiani. In Europa infuriava la crisi del debito e mentre lo spread Btp-Bund tendeva a scendere restando però  una pistola puntata alla tempia, la Trojka Commissione-BCE-FMI sottoponeva la Grecia ad un esperimento di economia politica che la poneva sul crinale di una rivolta sociale:

Grecia, sangue in piazza Syntagma

febbraio 12, 2012 di 

Il Mediterraneo è rimasto per tutto il 2012 un mare “caldo”. Dalla Grecia distrutta, ai problemi della Spagna, il movimentismo si manifestava in forme civili (in Spagna soprattutto, organizzandosi mediante i social network e chiamando a raccolta con gli hashtag #25s e simili). Il sud del Mare Nostrum invece continuava a vivere guerre e rivoluzioni sulla scia della Primavera Araba del 2011. La Siria è ancor ora in fiamme; l’Egitto si rivolta con il neo presidente eletto Morsi. Il Sahel è diventata una polveriera jihadista: la guerra dei Tuareg contro il governo del Mali veniva presto condizionata da gruppi armati afferenti ad Al Qaeda, gli stessi gruppi che tenevano imprigionata Rossella Urru, cooperante italiana. Quando a Marzo alcune testate giornalistiche africane titolavano della sua liberazione, la stampa italiana sul web andava in corto circuito fra fact checking falliti e entusiasmi irresponsabili. La liberazione andò in fumo e Rossella visse altri tre mesi di prigionia, mentre il Mali esplode.

Rossella Urru, ucciso un intermediario. E nel nord del Mali infuria la guerra dei Tuareg

marzo 12, 2012 di 

In italia non avvengono rivolte, ma la classe politica per come l’abbiamo conosciuta negli ultimi venti anni ha dato avvio ad un processo di autodistruzione che pochi si sarebbero aspettati. L’apice di questa decomposizione si registrò ad Aprile, quando gli scandali fanno crollare l’antico architrave dell’alleanza politica di centrodestra: la Lega Nord. Che viene coinvolta nei suoi personaggi chiave: Renzo Bossi detto il Trota, suo padre Umberto Bossi, e soprattutto l’odiatissimo Cerchio Magico presieduto dalla melliflua Rosy Mauro:

Rosy Mauro e il Sindacato Padano che non era un sindacato

aprile 10, 2012 di 

Il cambiamento degli scenari politici sembrava esser minato da una parte dal prestigio dei Tecnici, da Mario Monti in testa, forte del suo prestigio internazionale. Dall’altra parte i partiti temevano l’arrembante pattuglia degli sconosciuti del Movimento 5 Stelle. I signori Qualunque, alle elezioni amministrative di Maggio, vincono alcuni piccoli comuni e ne diventano sindaci, ma soprattutto stravincono a Parma, città emblema degli scandali e del default politico e non del PdL:

La Comune di Parma

maggio 21, 2012 di 

Il governo Monti ha avuto certamente una influenza sulle dinamiche europee. A metà Giugno pareva che i tecnocrati di Bruxelles e i falchi berlinesi fossero in grado di estendere l’egemonia del metodo Buba (Bundesbank) e del rigorismo finanziario attraverso l’approvazione del Trattato MES, alias il Meccanismo europeo di stabilità, un complesso di norme che avrebbero imprigionato il nostro paese dentro rigidissime regole di bilancio. L’azione mediatrice di Monti e di Mario Draghi ha permesso di smontare alcuni aspetti controversi del trattato, e il meccanismo automatico si è trasformato poco a poco in una scelta opzionale da parte degli Stati Membri:

Il Trattato MES è antidemocratico ma non è un complotto degli Illuminati

giugno 17, 2012 di 

L’Europa non è solo tecnocrazia bancaria. Non è solo Germania e Merkel e Mario Draghi e Barroso. Fortunatamente il Parlamento Europeo, che pur eleggiamo direttamente, ha per la prima volta nella storia fatto pesare il proprio parere contro la Commissione in materia di politica commerciale, cassando il blindatissimo e antilibertario Accordo anti contraffazione. E sempre per la prima volta, un movimento d’opinione che ha attraversato l’Europa (e che ha visto l’Italia ai margini) quasi esclusivamente per i canali dei social network, ha potuto incidere su una decisione comunitaria.

Il Parlamento Europeo cancella #ACTA

luglio 4, 2012 di 

Ad Agosto la cronaca italiana deve fare i conti con una sentenza su un delitto rimasto insoluto, quello del giornalista de L’Ora, Mauro De Mauro. Un delitto che tiene insieme i misteri d’Italia, dalla morte di Mattei a quella di Pasolini, passando per libri misteriosi cancellati e politici democristiani e comunisti della Sicilia degli anni Cinquanta e Sessanta. Un filo rosso che giunge sino ai giorni nostri, laddove ci si finge sgomenti alla scoperta dei traffici dell’ENI quando invece l’ENI è da quarant’anni un serbatoio di denari e di corruttela.

De Mauro, l’ENI e la morte di Mattei nel profondo gorgo della Sicilia

agosto 11, 2012 di 

Se la decomposizione del centrodestra è avvenuta in maniera caotica e per mano di inchieste giudiziarie, in special modo sull’uso dei rimborsi dei gruppi consiliari nelle regioni Lazio, Lombardia, Emilia-Romagna, il centrosinistra ha avviato a inizio Settembre la stagione delle primarie (che si deve concludere ancor ora, con le primarie parlamentari, il 29 o il 30 Dicembre). Quella che Bersani prefigurava come una investitura senza problemi si trasforma in una guerra balcanica appena dopo l’annuncio di Matteo Renzi di correre per la candidatura a premier. Alla fine, il segretario capitalizzerà questa scelta con un bagaglio di voti insperato, che nei sondaggi ha fatto balzare il PD al 33%-36%. La sfida (e gli errori) dell’avversario è stata per lui un trampolino di lancio che l’ha riconciliato con mezzo partito.

La balcanizzazione delle primarie

settembre 17, 2012 di 

Ma gli elementi di democrazia diretta che il PD giocoforza ha dovuto introdurre nel suo meccanismo di selezione di leadership (fondamentale è stata la deroga allo Statuto del PD nella parte in cui ascrive al segretario la candidatura a premier) non sono un discriminante decisivo. Il movimento 5 Stelle, nato sulla promessa di una partecipazione dal basso per mezzo di strumenti di democrazia diretta via web, sfiora il 20% nei sondaggi e diventa in Sicilia il primo partito. Ma la montagna di voti mette le vertigini anche a Grillo, il quale inizia a metter fuori dalla porta tutti coloro che osano criticare il metodo. Fra confuse idee di parlamentarie a numero chiuso e ipotesi di mandato imperativo (non costituzionali!), il Movimento si avvita su sé stesso e di fatto dà l’avvio ad una fase di controllo verticistico in aperto contrasto con gli ideali delle origini.

M5S / Dimissioni in bianco e divieto di Mandato Imperativo

ottobre 28, 2012 di 

Mentre la maggiore tassazione mette il freno all’economia, mentre la crisi morde altri posti di lavoro, mentre l’Ilva di Taranto è soggiogata dal trade-off fra legalità e rispetto della salute umana e dell’ambiente e lavoro per gli operai, il governo stringe accordi con le parti sociali per quanto concerne la contrattazione secondaria di livello aziendale. La sola CGIL non firma. L’accordo rimane per ora un pezzo di carta, una traccia che il prossimo governo si ritroverà nei cassetti come sorta di “agenda”, un’agenda questa non voluta dall’Europa ma scritta di proprio pugno dalla tecnocrazia montiana, oramai sempre meno tecnica e sempre più politica.

Produttività, i punti cruciali dell’accordo Governo-Parti sociali

novembre 21, 2012 di 

La sedicesima legislatura sta per finire. Il peggior parlamento della storia repubblicana non riesce a votare una legge che permetta di non replicare la sua stessa mediocrità. Nel 2013 si voterà ancora con il Porcellum. Che novità. Il 2012 si era aperto con questa consapevolezza, che non è mai sembrata in dubbio. E l’Improponibile, l’uomo che rovinato il paese e che costituisce “una minaccia per l’Europa” (Martin Schulz), vale a dire Berlusconi, dapprima afferma di volersi ricandidare, mandando a soqquadro le primarie del centrodestra,  sbertucciando il suo segretario, Angelino Alfano, mandato allo sbaraglio in parlamento ad annunciare la sfiducia a Monti, sfiducia che non c’è mai stata; poi investe lo stesso Mario Monti della responsabilità di “federare” il centrodestra, senza peraltro ottenere alcuna risposta. Infine, cerca di rallentare la fine della legislatura, onde evitare la tagliola della par condicio televisiva che gli impedirebbe di passare ore fra Canale 5, Raiuno, Rete 4, Radiouno eccetera, a blaterare di soluzioni alla crisi economica che non stanno né in cielo né in terra. Lui, il Cavaliere, si presenterà alle urne ma ciò che lo aspetta, a meno di improvvise amnesie collettive, sarà una sconfitta memorabile.

 

Il suicidio del Samurai (ma #giorgiopensacitu)

 

dicembre 6, 2012 di 

 

 

 

 

 

 

Rosy Mauro e il Sindacato Padano che non era un sindacato

Proseguo a rovistare nell’Archivio de La Stampa nella convinzione che quanto stia accadendo oggi non sia casuale, non sia frutto di una malattia che ha colpito uno spregiudicato segretario di partito, bensì sia il prodotto di un’anomalia accettata come tale e lasciata crescere a dismisura sapendo che aveva le radici marce, completamente marce. Per anni molti di voi si sono fatti incantare dal bel teatrino del Bossi e dell’indipendentismo padano. Dietro il palco si faceva mercimonio delle vostre convinzioni al solo scopo di arricchimento personale. Null’altro.
La figura di Rosy Mauro è emblematica. Così come lo è quella del Sindacato Padano. La storia di Rosy Mauro nella Lega Nord è la storia del Sindacato Padano. La sua avventura comincia nel 1990. Rosy Mauro fonda insieme a Antonio Magri il Sindacato Autonomo Lombardo (SAL). Poi il SAL si trasforma in Confederazione, come tutta la Lega Nord, e diventa Sin.pa. E’ chiaro fin dall’inizio che il Sin.pa. è diretta emanazione della Lega Nord. E’ organo della Lega Nord. I suoi iscritti sono un mistero, ampiamente documentato su molti giornali (qui ne parla La Stampa).
Nel 1993 il SAL era chiaramente presieduto da Rosy Mauro. La Telecom si chiamava ancora Sip. La Sip di Milano escluse il SAL dalla possibilità di ricevere la trattenuta diretta in busta paga ai dipendenti che risultassero iscritti al sindacato leghista. Il pretore diede ragione alla Sip: il SAL «E’ un movimento politico, non può incassare le trattenute».
Secondo il pretore, il Sal, nel suo statuto, faceva "riferimento esplicito al «perseguimento degli interessi nazionali del popolo lombardo» e afferma di voler «realizzare l’autentica solidarietà e la giustizia sociale fra il popolo lombardo»" (La Stampa, Archivio Storico, 18/06/1993, p. 9).

Conclude così Cecconi, in risposta al ricorso del Sal contro la Sip. «Il vostro sindacato afferma – sembra perseguire legittime finalità politiche non qualificabili però come semplici attività a carattere sindacale. Per questo motivo non si può garantire al Sai nemmeno la tutela privilegiata prevista dalla Costituzione». Addirittura, conclude il decreto: «Le finalità evidenziate fanno mettere in dubbio anche il requisito della nazionalità del Sai». Insomma, non solo il Sai non è un sindacato, ma una forza politica camuffata. Ma il sindacato leghista, addirittura, si mette fuori dalla comunità italiana innalzando la bandiera dei lumbard (La Stampa, cit.).

Che razza di sindacato è il SAL, poi Sin.pa.? Non ha mai partecipato ad alcuna contrattazione né ha avuto grande visibilità, a parte una volta, a Cuneo nello stabilimento della Michelin di frazione Ronchi, quando nel 2000 conquistò il 40% dei voti alle elezioni della RSU. Non è mai intervenuto nel dibattito sui contratti collettivi. Nulla. E pretendeva la trattenuta diretta in busta paga.

Promotori con interessi troppo diversi, nessuna organizzazione di scioperi di stampo sindacale, nessun intervento nei contratti collettivi… Insomma, quello è il Carroccio sotto altre spoglie e nulla più. […] il Sai non fa attività sindacale ma politica allo stato puro (La Stampa, Archivio Storico, 18/06/1993, p. 9).

Per anni tutto ciò è stato tollerato. Un sindacato che non era un sindacato ha intascato le Vostre trattenute in busta paga. Era – ed è – un organo di partito costituito per distrarre i soldi del finanziamento pubblico, poi rimborso elettorale. Uno strumento come altri, fatto apposta per drenare denaro pubblico. E, quel che è più grave, sapevamo tutto. Tutto. Sin dall’inizio. Ma l’inerzia, la stupidità, la nostra stupidità, hanno permesso che questo raggiro durasse venti anni. Venti lunghissimi anni.

Quando Rosy Mauro trafficava in rifiuti: era il 1996, si poteva fermare ben prima

Rosy Mauro incastrata da un fax, La Stampa 1996

I critici di Roberto Maroni sostengono che ha dato sinora prova di scarsa, se non scarsissima, leadership. Eccolo infatti che attacca Rosy Mauro, che chiede “pulizia, pulizia, pulizia” alla maniera di una Toga Rossa, che fa la voce grossa e tende a spiegare il marciume leghista come limitato al temibile Cerchio Magico, quella specie di combriccola che raggira dei poveri malati anziani. In realtà nella Lega Nord tutti sapevano. Sapevano, e il massimo che sono riusciti ad organizzare come forma di protesta sono i timidi fischi di Pontida dello scorso autunno. Maroni si rifiutò poi di stringere la mano alla “Nera”, su quel palco, in Piazza Duomo. Il massimo della sua opposizione interna: togliere il saluto.

Sappiate però che i nostri Druidi del Rimborso Elettorale hanno un passato, un passato molto poco limpido. Un passato da arrampicatori sociali, da spregiudicati amministratori locali. Prendete Rosy Mauro, per esempio. Il Vicepresidente del Senato, prima di arrivare sin lì, ne ha fatta di gavetta. E non è vero che la Rosy vien fuori dalla mischia quando l’Umberto ha l’ictus. Rosy non è la badante di Bossi. E’ molto di più. E come una sorta di antitesi. L’antitesi del “buon amministratore padano”. Mi fa ridere sentir oggi dire che Rosy deve dimettersi. Dovevate pensarci anni prima, quando l’avete notata, cari leghisti, e le avete permesso di fare questa folgorante carriera. Rosy Mauro poteva essere fermata quindici anni fa. Se la Lega Nord avesse avuto maggiore trasparenza interna, maggiore democrazia, Rosy Mauro non sarebbe arrivata dove è arrivata. Ma ciò non è avvenuto.

Rosy Mauro, nel 1996, era già la pasionaria leghista. Non si sa bene perché. Può darsi perché era una delle fondatrici, una delle primissime militanti. Peccato che nel 1996 la Signora veniva pizzicata a raccomandare un suo socio in affari, tale Dalmerino Ovieni, anzi, Rosy Mauro pretese che l’Amsa, l’Azienda municipale servizi ambientali di Milano appaltasse la gestione dei rifiuti proprio ad una società di Ovieni, l’Astri. Sindaco di Milano era il leghista Formentini mentre Ovieni era anche sindaco Dc (Dc!) di un paese dell’hinterland milanese:

Peccato che Ovieni, allora sindaco de nell’hinterland, sia stato arrestato nel 1994 per tangenti. Peccato per Rosy e le sue pressioni in favore della «Astri». I fax risultano inviati dall’utenza della società «Ba.Co» e della «Cooperativa II Quartiere», quelle di Rosy, del sindacato leghista Sai e Dalmerino. In questo bel verminaio tanto basta, e da giovedì scorso Consiglio comunale e cronache non fanno altro che il loro dovere: discutere e raccontare. Forse, non ci fosse di mezzo Rosy, tutta questa vicenda sarebbe durata meno, e con minor spazio. Ma c’è di mezzo Rosy, mica una leghista qualsiasi. Rosy che passa le vacanze con Umberto Bossi, Rosy che si fa smanacciare in piscina e finisce in bella foto sulle copertine dei rotocalchi. Rosy che se Bossi è nel raggio di cento metri gli è subito a fianco. Rosy, già sindacalista della Uil, vulcanica corvina. Per farsi conoscere, nel ’90 debuttò con questa dichiarazione: «Non è vero che la Lega è razzista o discrimina le donne, io sono pugliese e dirigo il Sai». Si fece conoscere anche al congresso di Bologna, gennaio ’93, con le urla contro il sindaco Walter Vitali. Quella volta, a Bologna, era convinta d’aver inventato cosa gradita al Capo. Ma rischiò l’espulsione. E anche questa volta è malmessa. Sabato, a Mantova, Bossi era furibondo: «La Lega non deve farsi autogol. Per l’amor di Dio, tutti fuori dalle cooperative e dagli affari!». (Giovanni Cerruti, La Stampa, Archivio Storico, 13/02/1996).

Rosy Mauro era anche segretaria cittadina della Lega e si dimise per l’occasione. Bossi vedeva “in questa brutta storia l’occasione per «un attacco mafioso e fascista a Milano»”. Ripeteva che il piano rifiuti toccava interessi forti. E fece il nome della Compagnia delle Opere, citò gli interessi berlusconiani nelle discariche. “Da quando c’è la Lega le Mafie sono isolate”, tuonava il Senatùr, ancora in forze. E tutti noi gli credevamo, mentre avevamo dinanzi solo una banda di malfattori. L’hanno fatta franca sinora, sappiatelo.

Lega Nord? No, associazione a delinquere

Così era tutto un drenare soldi dal partito per spostarli verso operazioni puramente private, finanziare la scuola della moglie, pagare le automobili per i rally al figlio più piccolo, e poi viaggi, vacmze, cene, tutto a Nostre spese. Denaro anche per il sindacato padano. Così Belsito in un brano delkle intercettazioni parla con il proprio interlocutore e dice che lui ha i “conti della famiglia”, non del partito.

E Tosi ha il coraggio di dire che a Bossi il denaro non è mai interessato. No, a lui no. Ma a tutti gli altri sì. E chi non era del Cerchio, i vari Maroni, Castelli, lo stesso Tosi, sapevano. Erano anche un po’ invidiosi di tutta questa mercanzia.

«La macchina», comprata per uno dei figli di Umberto Bossi. E poi «case», almeno una decina di viaggi-vacanza. Sempre per i figli del Senatùr oppure, la conferma arriva a tarda sera in ambienti investigativi, per un super-big del partito e un tempo dello Stato intero, Rosy Mauro, ex vicepresidente del Senato. E soprattutto, una delle principali chicche: denari con ogni probabilità pubblici impiegati per la ristrutturazione della «villa di Gemonio», appartenente proprio a Umberto Bossi. Ancora: almeno in un’occasione, soldi destinati alle «spese» della moglie del Senatùr. E un’altra somma, importante, a parere di chi indaga «distratta» dai conti della Lega per foraggiare la campagna elettorale di Renzo Bossi detto “Il Trota”, alle Regionali del 2010 […] tali atti di disposizione, in ipotesi non riconducibili agli interessi del partito e contrari ai suoi vincoli di statuto, hanno carattere appropriativo(Intercettazioni – Le intercettazioni – Belsito: «Anche io ho i costi della famiglia»| italia| Il SecoloXIX).

Si tratta di appropriazione indebita. E il partito, cos’è diventato? Il sindacato padano? Sono forse essi associazioni a delinquere?

Caos Lega Nord, Belsito si dimette – Il Secolo XIX scoprì le manovre sospette già a Febbraio

Gli articoli del Secolo XIX che inchiodano il tesoriere leghista Belsito

E’ stata una escalation. Dalle prime voci di perquisizioni circolate stamane alle dimissioni di Francesco Belsito, tesoriere leghista, accusato di aver distratto qualche milione di euro dai rimborsi elettorali leghisti, diciamo gonfiandoli un poco, forse distrattamente, e dirottandoli dal partito alla “famiglia” di Bossi. Si tratta di milioni di euro. Milioni. Soldi pubblici, sia chiaro.

Già stamane il sospetto era pesantissimo: solo qualche mese fa, proprio Belsito si rese protagonista di operazioni fimanziarie spregiudicate. La Lega, si scrisse, investiva denari, molti, troppi, in fondi esteri da tripla B (quindi rischiosi). Si coniò il termine Lega Tanzania, dal nome di un fondo di investimento del paese africano.

Qualcuno ha detto: Belsito indagato dal pm napoletano Woodcock, il pm delle cause perse. Berlusconi ha espresso solidarietà a Bossi. Zaia esprime tutto il suo sdegno: “mi sembra raccapricciante quello che sta accadendo”. Certamente è causa del fatto che ora la Lega Nord si trova all’opposizione. Lo dice @byoblu su Twitter. Lo pensano gli elettori leghisti che telefonano a Radio Padania. Quelli non censurati. Ma è lo stesso Roberto Maroni a dire che è necessario “fare pulizia e che Belsito si faccia da parte”. Nel pomeriggio la notizia delle perquisizioni e del capo d’accusa (appropriazione indebita e truffa ai danni dello Stato, si indaga inoltre per riciclaggio) aprono tutti i giornali sul web. Un altro tesoriere pescato ad operare sui bilanci di partito, soldi pubblici spostati come sacchetti di sabbia, a beneficio del padrone, pare.

Una breve rassegna stamap dal sito Gli Intoccabili:

Perquisizioni anche per la segretaria di Bossi
Zaia: “Mi sembra raccappricciante ciò che sta avvenendo: questa è un’agonia”
Solidarietà Berlusconi a Bossi: Impossibili sospetti su lui
Lega Nord, indagato il tesoriere Belsito «Fondi per pagare i conti di Bossi» Le ipotesi di reato: appropriazione indebita e truffa ai danni dello Stato. Si indaga inoltre per riciclaggio
Lega Nord: Belisario (Idv), nel Carroccio non solo poche mele
Radio Padania annuncia la fine della perquisizione a via Bellerio
Lega: Maroni, “fare pulizia e Belsito faccia passo indietro”
Lega Nord, carabinieri e finanza in sede Milano mandati dal pm di Napoli John Woodcook

Il libro verde della Lega Nord: versione aggiornata con altre nefandezze

Tratto da Prossima Italia.

Prefazione

I primi a contribuire al successo e alla mitologia della Lega sono sempre stati i suoi commentatori, anche a sinistra. La Lega è radicata, la Lega offre messaggi semplici e concreti,
la Lega dice cose che colpiscono e coinvolgono. Insomma, funzionano. Anche perché la Lega vince, quindi deve avere ragione. Per forza.
Come ha scritto Piero Ignazi per l’Espresso, nel settembre del 2010: «C’è una sorta di “spirale del silenzio” nei confronti della Lega Nord. Non che della Lega non si parli, tutt’altro. Ma se ne
parla solo bene. Nessuno si azzarda a criticarla a muso duro. […] È la paura di apparire minoritari e fuori gioco a far scattare un atteggiamento di compiacenza-adeguamento nei
confronti di ciò che si ritiene il parere dei più. In questo modo le opinioni dissenzienti ammutoliscono per non essere ostracizzate dal benpensare della maggioranza. Oggi la Lega
gode di una situazione di questo tipo. Dopo i suoi ultimi successi elettorali si è scatenata una corsa ad esaltarne le doti, anche a sinistra: dal modello di partito forte e radicato alla nuova e
capace classe dirigente, dalle grandi intuizioni politiche al legame con il territorio, e via di questo passo. Alla Lega si consente tutto perché a criticarla non solo si viene coperti di insulti
(e di minacce) ma si viene anche irrisi come quelli che “non hanno capito come va il mondo”.
Più o meno è lo stesso atteggiamento di sufficienza e di scherno che i post-sessantottini riservavano a chi non credeva nella rivoluzione imminente e nel salvifico libretto rosso di
Mao».
Una situazione che dura da quasi vent’anni, dal giorno in cui la Lega, portando al governo Berlusconi grazie ai suoi voti al Nord, fece il proprio ingresso trionfale nelle principali
istituzioni del Paese. Era il 1994, siamo nel 2010 o, forse, come si vedrà, non ci siamo mai mossi da quella primavera, se non per un dato che si finge di non rilevare. Dopo vent’anni
siamo ancora indecisi tra un federalismo che non c’è e una secessione che invece si afferma, senza che molti se ne accorgano. E forse questo è l’unico, vero risultato della Lega.
Inconfessabile, ma sempre più reale, in un Paese diviso e irriducibile.

(continua a leggere…)

Ora il bavaglio è per Maroni. Per lui un nuovo partito?

Eccola, la pantomima sentimentale del divorzio Bossi-Maroni. “Non possono cacciare Bobo”, dice Tosi dalla fatal Verona, ma appunto proprio perché Bossi non lo può mandar via, gli mette la mordaccia (antica maschera di tortura che bloccava la bocca, impendendo di parlare). Saranno cancellati tutti gli incontri di Maroni nelle sedi della Lega. Cosentino è divenuto il punto di non ritorno fra maroniani e il Cerchio Magico. La Lega Tanzania è uguale uguale alla vecchia Lega Nord: il dissenso è impossibile, se dissenti sei fuori. Quale democrazia di partito? Nessuna. Non soprendetevi, non è cambiato nulla. L’unica differenza rispetto al passato è che è terminata la stagione dell’unanimismo. Qualcuno sta pensando con la propria testa. E questo è male, nel partito del Capo.

In fondo la Lega Nord è sempre stato questo: non un partito territoriale, come vi hanno fatto credere, ma un partito personalistico fondato sul carisma del leader. Ora il leader è una specie di Forrest Gump padano (cfr. imitazione di Crozza) e il partito va in pezzi. Normale. La Lega è un partito come gli altri, figlio della stagione del ’89, della fine delle ideologie e dell’avvento del partito-persona (come lo sono stati e lo sono tuttora Forza Italia/PdL, Idv, Udc (ex DC, è vero, ma è innegabile che quello sia il partito di proprietà di Casini e della famiglia che lui rappresenta). Non a caso il PD è rimasto nell’anomia, unico partito a non essere identificabile con una persona.

Intanto Maroni è sempre più ai margini e presumibilmente seguirà la medesima sorte di Fini. Ovvero, fonderà un partito-persona pure lui, naturalmente focalizzato sulla sua leadership. A questo si è ridotta la politica italiana: alla competizione fra personalismi. Non ci sono più le politiche per la società, sintetizzate dalle ideologie, bensì solo dei gruppi, dei cartelli, dei trust politici. O delle cosche, se preferite.

A sentire le voci dei leghisti in carriera, «nella Lega non c’è nessuna spaccatura». Lo dice Roberto Cota, governatore del Piemonte. Lo dicono tutti i parlamentari che chiamano la Radio e danno la colpa al Nemico, ai Poteri Forti, alle Massonerie. Lo dice perfino Marco Reguzzoni, il più noto dei Capetti, il capogruppo che, o almeno così sembra, parla con Maroni solo via messaggi indiretti su Facebook. Bobo è deluso e amareggiato? «Chi è causa del suo mal pianga se stesso». E in ogni caso la Lega è unita, Bossi è il Capo, si fa solo quel che dice il Capo (La Stampa.it).

Come in una configurazione classica medievale, anche il Medioevo partitico vede attorno al Feudatario una pletora di Vassalli e Valvassori, più o meno fedeli, in cerca di prestigio e visibilità al solo scopo di incrementare il proprio potere personale. Questo sono i vari Cota e Reguzzoni e Calderoli eccetera. Maroni ha ricordato in questi giorni la Lega delle origini. Si fa sempre ritorno alle Origini. Della serie, era meglio quando si stava peggio: “la Lega degli onesti, la Lega senza intrallazzi nè conti all’estero, la Lega che mi ha conquistato per i suoi ideali trasparenza, per i suoi valori etici e per i suoi meravigliosi militanti”. Tutto questo fa parte della leggenda. Non della Storia. Gli agiografi potranno sbizzarrirsi sulla vita e le opere di Bossi, ma quel che resta è la parabola di un partito che contestava i corrotti della Prima Repubblica al solo fine di sostituirsi ad essi. Nella corruzione (e nella vergogna).

Nicola Cosentino salvo ancora grazie alla Lega

Tratto da il Fatto Quotidiano

Con 298 sì e 309 no, la Camera dei deputati ha negato l’autorizzazione all’arresto di Nicola Cosentino, ex sottosegretario all’economia dell’ultimo governo Berlusconi e attuale coordinatore regionale del Pdl in Campania. Il deputato di Casal di Principe è accusato dai pm napoletani di concorso esterno in associazione mafiosa, per i legami intrattenuti con i clan dei Casalesi.

Il voto è avvenuto a scrutinio segreto, ma determinanti per salvare Cosentino sono stati i voti della Lega, che sulla questione si è spaccata al suo interno. Dopo la divisione tra Maroni (che voleva votare sì all’arresto) e Bossi (“Non c’è nulla nelle carte, ciacuno voti secvondo coscienza” ha detto il Senatur), stamane la spaccatura è stata la riunione del Carroccio alla Camera, dove ci sono stati attimi di vera tensione. Ad un certo punto – viene raccontato – Roberto Paolini ha citato Enzo Carra e il caso delle ‘manette spettacolo’. Un riferimento storico (il portavoce di Arnaldo Forlani fu arrestato per falsa testimonianza e quelle immagini delle manette fecero il giro del mondo) per avvalorare la tesi della necessità di respingere gli ‘arresti facili’ che ha provocato la reazione di un gruppo di leghisti. A venire quasi alle mani Giampaolo Dozzo e Roberto Paolini. I due esponenti del Carroccio sono stati divisi dopo qualche momento di tensione. “Ma è vero che ti ha chiamato Berlusconi?” è stata la ‘risposta’ di alcuni deputati. E’ così che si è sfiorata la rissa tra i due, con alcuni esponenti del partito di via Bellerio, come Davide Caparini, intervenuti per dividere i ‘duellanti’. La discussione è stata molto animata. Umberto Bossi – riferiscono fonti parlamentari del Carroccio – ha preso inizialmente la parola spiegando che dalle carte non si evince nulla nei confronti del coordinatore campano del Pdl. Il ‘Senatur’ ha premesso che la gente del nord è per l’arresto, ma che occorre lasciare libertà di coscienza, proprio perché a suo dire non c’è alcuna prova di colpevolezza. Poi a prendere la parola è stato Roberto Maroni che, spiegano fonti del Carroccio, si è limitato a raccontare gli esiti della segreteria della Lega di lunedì, sottolineando di non essere stato l’unico a voler votare sì all’arresto del deputato Pdl. Bossi ha tirato le somme, evidenziando che non c’è alcun ‘fumus persecutionis’ ma ribadendo che ogni parlamentare potrà decidere autonomamente in Aula. “Si gioca sul filo dei voti, abbiamo recuperato più di trenta parlamentari”, dicono dal Pdl.

Lega Nord: verso l’epurazione del sindaco Tosi

Sì, le forze centrifughe interessano tutti i partiti, è vero. Il PD con Veltroni e i popolari, il PdL con i malpancisti o i frondisti guidati dal redivivo Scajola. Ma quanto si è consumato ieri a Varese, durante il consiglio provinciale della Lega Nord, segna un cambiamento storico: il punto di non ritorno per il Carroccio. Il Consiglio è stato oggetto di dure critiche, fischi diretti persino a Bossi. Si doveva eleggere il nuovo segretario provinciale ma la votazione non ha nemmeno avuto luogo. Maurilio Canton era l’unico candidato presente. Il candidato di Bossi. Stamane, di fronte alla sede della Lega a Varese, è stato appeso questo striscione:

ovvero, Canton segretario di chi? Di nessuno. Canton è sindaco di Cadrezzat e di sé ha detto: “Il mio nome era stato indicato da Bossi in persona” […] “è andato tutto come doveva andare, cioè bene: sono stato eletto per acclamazione come in passato è già avvenuto in altri congressi della Lega” […] “sì, c’è stato qualche problema con alcuni delegati, e venivamo da alcuni dissidi interni ma poi il presidente ha usato i suoi poteri: siccome ero l’unico candidato ha deciso l’elezione per acclamazione. Spetta a lui decidere come votare, mica ai delegati, il regolamento parla chiaro” (TMNews).

A margine del consiglio provinciale di Varese, la polemica con il sindaco di Verona Tosi continua. Dopo le censure ricevute dalla segreteria nazionale a fine settembre, oggi Francesco Speroni, il leghista dei trecento all’ora sull’Autobahn, ha affermato che Tosi è “fuori della linea del partito”, che sta “assumendo posizioni centraliste” e pertanto la sua posizione sarà oggetto di valutazione da parte di chi di dovere In altre parole, Tosi rischia l’epurazione così come tutti gli altri eretici che stanno su posizioni di contrappunto al ruolo della Lega nella dinamica berlusconiana.

Il patto finanziario stilato fra Berlusconi e Lega Nord

Ecco il testo originale dell’articolo di Repubblica, a firma di Mario Calabresi, in cui venne per la prima volta denunciata la dipendenza finanziaria della Lega Nord da Berlusconi.

Nella edizione di quel giorno, il 28 Luglio 2000, il quotidiano pubblicò anche copia del mandato dell’amministratore di Forza Italia con il quale si emetteva fidejussione bancaria a favore del Carroccio presso la Banca di Roma.

Un documento che non è riportato negli archivi e che sarebbe interessante poter riavere fra le mani.

ARCHIVIO ON LINE di Repubblica.it

di MARIO CALABRESI

ROMA – Il clima è di nuovo quello del ’94, gli insulti sono dimenticati, le querele ritirate, e ogni lunedì sera Silvio Berlusconi e Umberto Bossi si siedono a tavola insieme nella villa di Arcore. Si sono detti "mafioso" e "ladro di voti", poi in gennaio, come hanno raccontato più volte, si sono "guardati lungamente negli occhi" e hanno capito che questa volta non potevano sbagliare. E hanno siglato un patto di cui molto si è parlato, ma di cui sembra emergere una tessera per volta.

Sono cose note, così come l’intenzione di presentare un simbolo unico della Casa delle libertà alle prossime politiche, ma c’è un aspetto, fino ad oggi rimasto riservato e sconosciuto, in grado di illuminare la qualità dei rapporti tra Forza Italia e la Lega: una fideiussione bancaria con cui il partito di Berlusconi si è fatto garante di un credito di due miliardi aperto dalla Banca di Roma in favore dei leghisti.

E’ la dimostrazione che l’intesa ha fatto un salto di qualità: la fiducia è totale ed l’ala protettrice del Cavaliere è arrivata fino a coprire le esigenze di cassa del partito di Bossi.

Nel documento, che Repubblica ha pubblicato sulla sua edizione di oggi, scritto su carta intestata di Forza Italia e datato 28 giugno 2000, l’amministratore nazionale degli azzurri, Giovanni Dell’Elce, scrive alla Banca di Roma per garantire un fido alla Lega. "Vi diamo incarico – si legge – di aprire in favore del Movimento politico Lega Nord, che assistiamo finanziariamente, un credito complessivo di due miliardi di lire, valido sino a nostra revoca, utilizzabile per gli scopi istituzionali e le esigenze generali del movimento". "Vi diamo atto – prosegue la lettera – che, dati i rapporti attualmente intercorrenti tra noi e il suddetto Movimento, il presente mandato di credito è utile per il conseguimento dei nostri fini istituzionali".
Seguono una serie di clausole dalle quali emerge una tutela totale da parte di Forza Italia verso i crediti che l’istituto romano potrà vantare nei confronti della Lega. Il partito di Berlusconi si fa garante di ogni eventuale manchevolezza, "in ogni momento". "Siete autorizzati ad addebitare sul nostro conto corrente gli importi, nei limiti del mandato di credito concesso, che vi fossero dovuti dalla predetta società (la Lega – ndr) e ciò senza vostro obbligo di previamente interpellarci", scrive l’amministratore di Forza Italia, per poi aggiungere: "Ci impegniamo a pagarvi, a semplice richiesta scritta, in qualunque momento fattaci, quanto ci sarà da voi indicato come dovutovi dalla suddetta società".

E così la Lega si è trovata a poter disporre di due miliardi di lire per le spese da sostenere per mandare avanti l’attività del partito a Roma. Un dato che lo stesso Giovanni Dell’Elce ci ha confermato, ma tenendo ad una serie di precisazioni: "Sia chiaro: non gli abbiamo dato nessun contributo, ma solo garantito un fido, ed è una cosa che abbiamo fatto nella massima trasparenza". Ma perché il partito di Bossi aveva bisogno di questo fido? "I rimborsi elettorali – risponde ancora Dell’ Elce – vengono dati alla fine di luglio e, in attesa che arrivassero, il mio partito ha garantito questo credito. La Lega – spiega – non aveva nessun rapporto con la Banca di Roma, noi invece abbiamo un buon rapporto, ci conoscono, e così abbiamo garantito per loro, in attesa che ricevessero il rimborso elettorale delle regionali". Rimborso che, come pubblicato martedì sulla Gazzetta ufficiale, è per il Carroccio di quasi nove miliardi. "Quando prenderanno questi soldi – aggiunge il tesoriere – pagheranno il fido e la cosa sarà sistemata".

Rimane da chiarire cosa significhi che Forza Italia "assiste finanziariamente" la Lega. "E’ una tecnica bancaria – minimizza Dell’Elce – che ci serviva per dare una garanzia". E conclude che questo accordo è figlio soltanto dei suoi buoni rapporti e "della stima personale" con il tesoriere della Lega Maurizio Balocchi. Insieme sono stati i relatori della legge sul finanziamento pubblico ai partiti, quella che fece infuriare Fini e Alleanza nazionale.

Un’altra spiegazione la diede l’ex sindaco di Milano ed ex leghista Marco Formentini, commentando il ritorno ad Arcore di Bossi: "La Lega ha l’acqua alla gola dal punto di vista finanziario…".

(28 luglio 2000)

Lega Nord e i ladroni delle Quote Latte

Quasi in sordina, il Tribunale di Milano, giovedì scroso, ha condannato sedici persone per la frode delle Quote Latte. Fra di essi il cosiddetto “Robin Hood” delle quote latte, tale Alessio Crippa, presidente della cooperativa «La Lombarda» di Melzo. Una società molto dinamica che fu persino in procinto di acquisire la centrale del latte di San Marino. Insieme al Crippa, è stato condannato il consigliere della Provincia di Piacenza in quota Carroccio, Giampaolo Maloberti.

Il sistema era improntato a una sistematica elusione dei prelievi da parte di Agea (Agenzia per le erogazioni in agricoltura, sostitutiva della storica AIMA), che si “appoggiava anche su una serie di ricorsi il cui scopo era quello di ottenere da un giudice la sospensione urgente dei versamenti dovuti all’Agea” (Il Fatto Q).

Le Quote Latte vengono introdotte dalla Comunità Europea al fine di evitare che l’ eccesso di offerta faccia crollare i prezzi sul mercato. Gli splafonatori sono coloro i quali sforano il tetto massimo di produzione. Le sanzioni sono salatissime, direttamente proporzionali al latte che è stato prodotto in più.

Gli splafonatori italiani sono poche centinaia. All’incirca 675, che messi in relazione con la totalità dei produttori di latte italiani (circa 31.000) equivalgono al 2%. Se poi fra di essi eliminiamo quelli che hanno pagato e che si sono messi in regola, la percentuale dovrebbe scendere al 2 per mille. Vale a dire i truffatori del sistema delle cooperative. Percentuale che identifica addirittura un bacino elettorale, per i leghisti.

Davvero bisogna credere ai leghisti quando essi, in merito alle quote latte, dicono di difendere gli interessi del proprio elettorato di riferimento? Secondo Paolo Zoggia, responsabile enti locali del Pd, “pagano delle persone che hanno sbagliato, ma i primi responsabili delle pene comminate sono i vertici della Lega che, in questi anni, hanno di fatto dato copertura politica a chi pensava che fosse possibile sottrarsi al rispetto delle regole” (AgenParl – Agenzia Parlamentare per l’informazione politica ed economica). Possiamo davvero credere che la responsabilità leghista in fatto di Quote Latte sia solo politica?

La cooperativa di Alessio Crippa, nella qualità di pubblico ufficiale per conto di Agea, avrebbe dovuto riscuotere sanzioni per 91 milioni di euro. Così, mentre altri agricoltori pagavano, alcuni di questi hanno splafonato impunemente e continuato a produrre e vendere latte ai prezzi calmierati dell’Unione, incamerando gli utili per mezzo della frode. La Lega Nord ha difeso tutto questo in nome di che cosa? Non certamente della legalità.

Ci sono decine di Tribunali nel Nord che hanno inquisito i titolari di queste cooperative. A Torino è già stato condannato in primo grado Giovanni Robusti, leader storico dei Cobas del latte, già senatore leghista. Robusti entrò nel consiglio di amministrazione della Credieuronord, la Banca padana, poi finita in bancarotta. In Credieuronord transitavano le somme di denaro in pagamento delle quote latte in eccesso, nascoste ad Agea:

le cooperative compravano per intero la produzione delle stalle clienti, compresa la quantità in eccesso rispetto ai tetti fissati dalla legge, per poi girarla ai trasformatori, cioè le imprese casearie. A questo punto, per aggirare i controlli, il latte extra quota veniva comunque pagato dalle cooperative prime acquirenti ai produttori sotto forma di corrispettivo per altri servizi, ovviamente fittizi (latte nero).

Ma nel 2003 il decreto Alemanno rovina i piani e le cooperative devono essere sostituite con mezzi più sofisticati: le finanziarie e il meccanismo della ‘cessione crediti’: “la società controllata dall’ex senatore leghista si era specializzata in quella che, nella relazione di bilancio, veniva definita «anticipazione di crediti sul latte” (ibidem). Attraverso Credieuronord “sarebbero stati riciclati fiumi di soldi da decine di cooperative agricole che avrebbero truffato le leggi comunitarie: soldi in nero accumulati con intermediazioni, ritenute fittizie, tra gli allevatori-produttori e i distributori finali del latte” (Corriere della Sera – Banca della Lega, 70 milioni e il sospetto di riciclaggio). Credieuronord si era fortemente sbilanciata verso Robusti con prestiti milionari: “fu un’ispezione di Bankitalia a indicare Robusti come uno dei «soggetti in sofferenza» premiati dai «crediti facili» di Credieuronord” (Lega e quote latte: l’ombra della Credieuronord dietro i favori di Bossi?).

E guardate, l’intreccio non è mica finito qui. Credieuronord viene rilevata dalla Bpl di Fiorani prima che quest’ultimo venga disarcionato dallo scandalo della scalata Antonveneta. Fiorani, al fine di salvare la poltrona di Fazio in Bankitalia, foraggiò sia Aldo Brancher che Calderoli (anche se la posizione di quest’ultimo fu archiviata per insufficienza di prove). Il salvataggio di Credieuronord sarebbe stata una delle contropartite alla Lega.

Dulcis in fundo, il commissariamento di Agea, guidata dal leghista legalitario Dario Fruscio, defenestrato dal ministro Romano. Fruscio sarebbe stato colpevole di troppo zelo nei confronti degli splafonatori:

Il credito di Romano è molto forte perché, allo scopo di compiacere Bossi, ha commesso due ingiustizie. La prima è stata quella di commissariare un’ agenzia che stava tagliando i costi (dal 240 a 147 milioni) e dava una mano all’ Agenzia delle Entrate (la mappatura satellitare del territorio che individua tutti gli edifici, accatastati e non). Un commissariamento così arbitrario che la stessa direzione generale del ministero non ha potuto offrire la documentazione che l’Avvocatura dello Stato sperava di ottenere per contrastare la causa intentata da Fruscio. La seconda ingiustizia è la fine della collaborazione tra Agea e Agenzia delle Entrate che dovrebbe riscuotere le multe, quasi 2 miliardi di euro, dai 657 allevatori che resistono alla legge e da quanti dei 1504 allevatori hanno fermato la procedura di regolarizzazione (Il ministro inquisito e il voto della Lega).

Romano ha designato commissario di Agea il generale di corpo d’armata Mario Iannelli. Il commissariamento non nasconderà di certo il nuovo scandalo che sta per emergere:

alcuni funzionari di Agea (agenzia per le erogazioni in agricoltura), responsabili del Sian (Sistema informativo agricolo Nazionale), avrebbero modificato l’algoritmo utilizzato per il calcolo del numero dei capi da latte e dei numeri di giorni di lattazione, in modo tale da far risultare un numero di capi compatibile con il livello produttivo dichiarato dalla stessa agenzia europea […] un sistema che attraverso l’Agea, peraltro forte di un potenziale economico e di una ramificazione societaria non trascurabili, nel tempo avrebbe proceduto ad alterare i dati produttivi nazionali del latte arrecando un danno per  singoli allevatori, ai quali sono state comminate pesantissime sanzioni (alcune costrette alla chiusura) sebbene le loro produzioni non avessero mai complessivamente superato la quota nazionale (PrimaDaNoi.it).

Chi gestisce l’anagrafe bovina? Il Sin “composto per il 51% da parte pubblica (Agea) e per il 49%  da un raggruppamento temporaneo di imprese scelte con un bando di gara” (ibidem). Le imprese sono Almaviva (capomandataria con il 20,2% di quote), Auselda, Sofiter, Tele3pazio, Cooprogetti, Agricolnsulting, Ibm Italia e Agrifuturo.

Il Cda del Sin è composto dal presidente Francesco Baldarelli e dai consiglieri Ranieri Mamalchi, Ernesto Carbone, Alberto Tripi e Marcello Maranesi nonché il direttore generale Paolo Gulinelli, ex responsabile dell’Ufficio monocratico di Agea, ora commissario straordinario per le quote latte […] Il caso poi vuole che Baldarelli, Gulinelli, Mamalchi, Maranesi, Carbone e Tripi compongano anche il Cda di Co.An.An, il consorzio anagrafe animale, un ente strumentale del Ministero della salute che ha acquistato nel 2010 partecipazioni da Agea e dall’Istituto Zooprofilattico di Teramo (attuale gestore dell’anagrafe bovina) (ibidem).

Bossi, in Aprile, pretendeva il commissariamento di Agea, ma Romano non era del medesimo parere. Alla fine la testa di Fruscio è caduta – metaforicamente – nel cesto. Cosa ha fatto cambiare idea a Romano? La salvezza di Romano è valsa la testa di Fruscio, che pure era un buon amico di Bossi?

Storia della Lega Nord: quando Berlusconi comprò lo spadone

Undici marzo 2004. Il giorno degli attentati di Al Qaeda a Madrid. Umberto Bossi ebbe l’ictus che lo ridusse nello stato in cui lo vediamo oggi. Giunse all’ospedale di Cittiglio, in provincia di Varese. Era cianotico. Chi lo vide in quel frangente, giurò che fosse morto. I telefonini delle prime linee leghisti si passarono un messaggio del genere: “Umberto sta morendo, ci vediamo su a Varese”. Seguirono invece venti giorni di coma farmacologico e alcune menzogne dei leghisti alla base, come quando alla festa di Berghem dissero che Bossi stava ascoltando alla radio quand’invece era immobile in un letto.

Il 2004 fu un anno ad alto rischio, per la Lega. Rischio fallimento. Ad Agosto sulla Padania comparve una lettera (a firma Michele Calvi, Milano) in cui era scritto che per «la continuità e la crescita», e in nome dell’«impegno e della speranza», veniva segnalata ai lettori la necessità di fare donazioni e predisporre lasciti testamentari per la Lega Nord. Qualcosa, un male oscuro, stava trascinando il Carroccio in cattive acque. Acque limacciose, dalle quali non è più riemerso. Negli stessi giorni, Libero annunciò la liquidazione della cooperativa Made in Padania, una catena di negozi e discount che offrivano prodotti marchiati con il sole delle Alpi. L’affare non funzionò, la gente non sentiva il bisogno del made in Padania e le perdite superano i due milioni di euro (F. Ceccarelli, Archivio Storico La Stampa, 02.08.04). Due milioni. Da sommarsi agli altri fallimenti: quello della cooperativa “era il terzo o il quarto disastro economico, finanziario, affaristico e in fondo anche culturale ed esistenziale della Lega dopo l’incauta, ma pervicace apertura di sale da gioco, finanziarie, villaggi-vacanza, giornali, radio e tv” (Ceccarelli, cit.). L’inaugurazione del primo supermercato coop leghista, che avvenne a Paderno Dugnano nel 1998, ad opera di Calderoli, somiglia alla ben più ridicola inaugurazione dei ministeri leghisti a Monza, o alla Scuola leghista di Adro.

Ma l’affare più infruttuoso, l’affare che causò un buco enorme di alcuni milioni di euro si chiama Credieuronord. La Banca disegnata intorno alla Padania. Che fu edificata con i soldi dei soci raccattati fra i sostenitori leghisti, a Pontida o alle feste di partito.

Il 28 ottobre 1998  si costituisce a Samarate in provincia di Varese, il comitato Promotore  per la costituzione della Banca Credieuronord […] Le quote sono raccolte battendo a tappeto le sezioni della Lega Nord di  Piemonte, Lombardia e Veneto. Sono coinvolti i segretari di sezione e di  circoscrizione che – raccogliendo l’appello del Segretario Federale  Umberto Bossi – organizzano apposite riunioni tra militanti e  simpatizzanti del partito […] Il 21 febbraio 2000, con atto notarile, si costituisce la Banca Popolare  CredieuroNord, società cooperativa per azioni a responsabilità  limitata. Con l’adesione di circa 2600 soci è sottoscritto un  capitale nominale di 17 miliardi e 76 milioni di lire (Un po’ di verità sulla Banca Popolare Credieuronord).

Si narra che Bossi non credeva molto nell’operazione, che investì in essa solo 20 milioni di lire. Ma la perdita, alla fine della vicenda superò gli otto milioni di euro, ovvero la totalità del capitale societario. Soldi padani. Persi in spericolate operazioni immobiliari in Croazia  ma anche e soprattutto in “intermediazioni fittizie con le coooperative di allevatori create per nascondere la truffa delle quote latte non pagate“, scrive su Repubblica del 27 luglio 2010 Paolo Griseri.

Dal momento in cui gli allevatori fatturavano il latte che eccedeva le quote loro assegnate, venivano effettuate tre registrazioni. La prima estingueva il debito nei confronti del fornitore del latte facendo sorgere contemporaneamente un debito nei confronti degli organismi competenti per il superprelievo. La seconda registrazione registrava lo spostamento del denaro dal conto della banca utilizzata dalle cooperative per incassare i pagamenti a un conto acceso presso la Credieuronord. La terza registrazione, che seguiva di pochi giorni le altre due, veniva effettuata in corrispondenza dell’uscita del denaro dal conto della banca Credieuronord“. Il denaro tornava così agli allevatori, chiosa Griseri, che non pagavano la multa (Finanza&Potere – La banca leghista Credieuronord copriva le truffe sulle quote latte, ecco perché Bossi difende gli allevatori che non pagano le multe).

Molta parte di questa vicenda è stata svelata da Rosanna Sapori, ex giornalista di Radio Padania e oggi semplice tabaccaia. Testimone della Lega delle origini, del Bossi che fu, quello della sigaretta sempre accesa e dell’immancabile completo grigio, fu epurata proprio nel 2004, quando il Senatur era messo fuori gioco dall’ictus, proprio perché si permise di commentare alla radio le strane operazioni di Credieuronord. La Banca della Lega fu poi oggetto di un tentativo di salvataggio da parte di Fiorani, allora AD di Banca Popolare di Lodi, poi Banca Popolare Italiana, coinvolto nel crac Parmalat e condannato per aggiotaggio nell’affaire Antonveneta.

Sapori sostiene che l’operazione di salvataggio di Fiorani fu concessa dalla Banca d’Italia e dall’allora governatore Antonio Fazio, su intercessione dello stesso Berlusconi:

 Nel 2005, la Banca Popolare di Lodi di Gianpiero Fiorani interviene per rilevare Credieuronord. E Silvio Berlusconi cosa c’entra in tutta questa storia? «Fu lui a permettere l’intervento di Fiorani – spiega la Sapori -. In ogni caso i conti dissestati della Lega non derivavano mica solo dalla banca. C’erano già i problemi finanziari dell’Editoriale Nord, l’azienda cui facevano capo la radio, la tv e il giornale di partito. Il primo creditore di Bossi, poi, era proprio il presidente Berlusconi. Le innumerevoli querele per diffamazione che gli aveva fatto dopo il ribaltone del ’94, le aveva vinte quasi tutte. La Lega era piena di debiti. Si era imbarcata in un’interminabile serie di fantasiosi e poco redditizi progetti come il circo padano, l’orchestra padana. Non riuscivano a pagare i fornitori delle manifestazioni. Ricordo che allora erano sotto sequestro le rotative del giornale e i mobili di via Bellerio» (Berlusconi possiede il simbolo della Lega – Attualità, cronaca e politica).

Il racconto della Sapori prosegue poi con la rivelazione che Bossi abbia dovuto vendere a Berlusconi il simbolo della Lega (Giussano o la Stella Padana? i riferimenti cambiano a seconda degli articoli e degli anni in cui sono stati scritti); inoltre già da tempo esisterebbe un contratto fra i due – del cui valore legale ci sono ampie e divergenti discussioni in rete – con il quale B. si impegnerebbe a ripianare i debiti leghisti in cambio di fedeltà assoluta. Secondo Sapori “il Cavaliere tolse le querele, si preoccupò di salvare la banca. Ma non saldò tutto con un unico versamento. Non gli conveniva. Decise di pagare a rate”.

Glielo suggerì Aldo Brancher – ricorda la Sapori. La titolarità del logo di Alberto da Giussano era di Umberto Bossi, della moglie Manuela Marrone e del senatore Giuseppe Leoni. Furono loro a firmare la cessione del simbolo. È tutto ratificato da un notaio (Berlusconi possiede il simbolo della Lega – Attualità, cronaca e politica).

E’ una storia vecchia, già emersa lo scorso anno, quando le dichiarazioni della Sapori furono pubblicate in alcuni libri (uno su tutti, Umberto Magno, la vera storia dell’Imperatore della Padania, di Leonardo Facco, Alberti Editore). Credieuronord fu messa in liquidazione nel 2006; 1060 soci su 1800 furono rimborsati, ciò che rimase della Banca fu acquisito solo nel 2008 dal Banco Popolare (l’acquirente altro non è che il risultato della fusione fra Popolare di Novara e Verona e Popolare di Lodi) che beneficiò di un Tremonti bond da 1.45 milioni di euro. Per certi versi potete capire lo stretto legame che ha sinora legato Tremonti e i leghisti, legame oggi in crisi per ragioni ancora tutte da chiarire. e se sono vere le affermazioni della Sapori, potete anche capire perché la Lega difende Roma Ladrona (voto su Milanese, in primis, ma chi lo ricorda il voto sull’arresto di Previti?) e persino i collusi con la mafia (Romano). La risposta è perché non può fare altrimenti. Perché il partito è a libro paga di B. Molti dei giovani rampanti leghisti lo sanno e cercano una posizione di visibilità per poter rimanere in sella quando il vecchio si spegnerà. Nulla può Maroni, che è al corrente di tutto e non può che rimanere accodato alle disposizioni del cerchio magico – il capogruppo alla Camera Marco Reguzzoni, il capogruppo al Senato Federico Brigolo, e la vicepresidente al Senato Rosi Mauro fedelissima della moglie Manuela Marrone.

 

Manovra, contestazione in aula alla Lega. E Paragone si defila

La giornata leghista, passata indenne per il momento dinanzi allo scoglio del diniego all’arresto di Milanese, è stata agitata da due episodi: una inedita contestazione in aula a Bossi e da due articoli di giornale aventi per protagonista Gianluigi Paragone, ex direttore de La Padania, giornalista e conduttore tv in quota ‘Carroccio’, candidato alla successione di Santoro nel giovedì sera di Raidue.

La contestazione a Bossi sarebbe stata ordita da ex onorevoli leghisti, scontenti per la guida pro PdL di Bossi e contrari ai tagli ai piccoli comuni e alle province contenuti nella manovra e nei progetti di leggi costituzionali. Gli ex deputati hanno esposto uno striscione con la scritta ‘basta’ e avrebbero intimato a Bossi di lasciare la guida del partito.

Invece Paragone ha espresso un dissenso inedito ed eretico, per un partito carismatico come quello della Lega. In un articolo su Libero, Paragone chiede al partito: “perché tappare la bocca a Tosi e Fontana”? Su Milanese la Lega farà fatica a spiegare ai suoi elettori le ragioni del voto contrario all’arresto. Difficile spiegare il fumus persecutionis‘.

Libero, 14/09/11, p. 1

Paragone ravvisa in questo aut-aut a Tosi – se manifesta contro il governo, è fuori dal partito – come un tradimento: “siamo sempre stati dalla parte dei sindaci”, scrive Paragone, poichè i sindaci sono i politici più vicini ai bisogni della gente. E’ legittimo contestare i tagli agli enti locali poiché essi significano meno servizi, quindi per i sindaci leghisti meno consenso. E dove lo va a trovare, la Lega, il consenso, se non sul famoso ‘territorio’ tanto ambito dal PD?

Libero, cit.

In una intervista a Il Secolo d’Italia, giornale ex An ora dei colonnelli del PdL, Paragone rivela di aver puntato tutto politciamente parlando “su Berlusconi e Bossi e di esserne rimasto deluso“. Finora, racconta, “ci ho sempre messo la faccia e li ho difesi pubblicamente”, “non voterei né PdL né Lega“, “per ora mi astengo”.  Di fatto un riposizionamento che in Rai è sempre cosa buona quando regna l’incertezza politica come in questo periodo. Si aggiunga un fatto, suggerito in un corsivo maligno alla fine dell’articolo: la Rai non ha promosso la trasmissione di Paragone in prima serata. Non l’hanno ritenuto idoneo. Che il ravvedimento cominci proprio da qui?

Su Milanese la Lega si spacca

Domani il voto in Giunta per le Autorizzazioni sulla richiesta di arresto per l’ex collaboratore di Tremonti e parlamentare Marco Milanese, uno dei presunti sgherri di Bisignani e della sua centrale occulta di spionaggio e dossieraggio. In Giunta la Lega può contare sull’operato di Paolini e Follegot. I due hanno già avvalorato le tesi – bislacche – del fumus persecutionis, non già da parte dei giudici bensì da quelli dell’accusatore di Milanese, tale Paolo Viscione, imprenditore.

Follegot ha dichiarato di esser “venuto qui a Montecitorio anche durante le vacanze per studiare le carte. L’indagine è complessa, è stata anticipata dalla stampa ampiamente ma molte cose che vengono affermate non sono state riscontrate”. Paolini e Follegot voteranno allineati a quanto deciso dai vertici del PdL – Alfano, Verdini, Gasparri. Giovedì, il giorno dopo la scontatissima approvazione della Manovra-bis, la questione verrà portata al voto dell’aula. E qui si impone la domanda: davvero Bossi e i soci del cerchio magico detengono il controllo del partito? Paolini medesimo avverte: “prima del voto in Aula ci sarà certamente una riunione in cui spiegherò ai colleghi le nostre convinzioni poi ogni deputato si fa la sua idea ed esprimerà un voto secondo coscienza“. In questo caso si potrebbe riproporre la spaccatura dei maroniani, già avvenuta sul caso di Alfonso Papa. Se ciò avvenisse, sarebbe il tramonto della leadership di Bossi sulla Lega. La Lega potrebbe esser il prossimo partito politico a dividersi sul confine dell’antiberlusconismo.

Padania, cosa ha detto Berlusconi

Dal comunicato ufficiale del Governo Italiano:

22 Agosto 2011

“Mi spiace, questa volta, di non essere d’accordo con il mio amico Umberto Bossi. Sono profondamente convinto che l’Italia c’è e ci sarà sempre.

Celebriamo i 150 anni di unità di un Paese che ha sempre saputo reagire con grande orgoglio alle difficoltà che la storia gli ha posto innanzi. Un Paese che è unito, con un Nord e con un Sud che sono partecipi di una comune storia e di un comune destino”.

Parola di Silvio Berlusconi