Osama, l’uomo che morì due volte. Esiste un Osama terreno, di carne e ossa, un ometto che ha flirtato con il mondo occidentale per un po’, godendone dei privilegi, conquistandone la fiducia per il suo impegno antisovietico in quella terra di pietra e ossa che è l’Afghanistan. Quindi esiste l’altro Osama, quello che non si vede. Il corpo non c’è più, c’è solo la sua rappresentazione. La voce registrata, un video montato male, messaggi inviati nel tubo catodico globale che ci investe tutti incessantemente.
Perché il percorso che Bin Laden sta tracciando in questo suo giocare a rimpiattino con i mass media di un mondo dominato dalle forme della comunicazione universale è il rimando continuo tra immaginazione e realtà, tra la costruzione d’una identità simbolica, metafisica – che va al di là della evidenza dei fatti di cronaca – e l’ambigua ma affascinante riapparizione periodica della sua immagine o della sua voce. Vero e non vero, illusione e realtà, si mescolano e si confondono come il regno della televisione ha ormai dettato al nostro tempo (M. Candito, La Stampa, 14.11.2002, p. 5).
Bin Laden in carne e ossa era un uomo male in arnese, un ex combattente pieno di malattie, dall’età indefinita, incapace di metter paura a chicchessia. Morto forse da anni.
Osama, invece, è l’ombra che si insidia nelle crepe del nostro mondo. Grazie alla sua immaterialità, può invadere l’immaginario collettivo e contaminarlo con la paura permettendo così un più stretto controllo dei comportamenti. Dicono di lui che abbia ammazzato più musulmani che tutte le guerre del terrore messe insieme. Si è stagliato nel panorama politico mondiale come il nemico, il male assoluto, elemento indispensabile alla contrapposizione dualistica dell’era Bush, figlia diretta di quel bipolarismo della guerra fredda che venne a mancare all’improvviso, dal 1989 in poi, lasciando gli USA soli a governare il mondo e aprendo di fatto le porte alla crisi da iper-potenza. Come dire che il bipolarismo USA-URSS non poteva essere risolto se non ammettendo la nascita di un mondo multipolare in cui gli USA declinano a potenza locale.
Questa è la chiave di volta: l’America di Obama è questa superpotenza ridotta a bancarottiere. Una superpotenza in decommissioning. Il multipolarismo obamiano segna la fine degli USA come riferimento globale: specchio di questa crisi è il dollaro, sull’orlo della svalutazione, che i più pessimisti danno per imminente. Il mondo non è più un posto per gli USA, si direbbe. Non per come li abbiamo conosciuti.
Ecco quindi il senso della morte di “Osama”, l’immaginario Osama, l’uomo del terrore: come in una sorta di carnevale, si brucia il feticcio del male. Viene rotta per sempre la stampella che reggeva il duopolio ai tempi della fine dei Soviet. Non esiste più l’uomo nero ed è venuto il tempo per il cambiamento.