
Le tante fandonie scritte su Beppe Grillo e sul Movimento 5 Stelle hanno tutte la medesima caratura: no all’antipolitica, no alla distruzione, sì alla proposta bla bla bla. Insomma, la miopia che contraddistingue il sistema politico italiano – e parimenti quello giornalistico – impedisce all’osservatore di percepire quanto di reazionario e orientato alla regressione ci sia nel discorso politico di Grillo.
Mi spiego: al di là del problema metodologico, mai del tutto risolto, al di là del personalismo del leader, della forma di partito liquido e di partito carismatico che il M5S adotta a seconda dei momenti, quel che qui mi preme sottolineare – e che è stato brillantemente esposto da Ernesto Maria Ruffini su Prossima Italia – è la natura intrinsecamente semplicistica e quindi fuorviante della spiegazione di Grillo circa la crisi economica e lo stallo delle Istituzioni Europee.
In estrema sintesi, secondo Grillo l’Italia non dovrebbe pagare il debito, dovrebbe uscire dall’Euro con il minimo del danno, rompere con i partner europei sul Fiscal Compact e sui più recenti accordi in materia economica. Di fatto, Grillo predica l’isolazionismo, l’autarchia e prefigura il nostro paese come una Nazione che opera in un consesso internazionale fortemente orientato all’anarchia. Senza forse neanche saperlo, l’idea di Nazione che Grillo propugna è vecchia di duecento anni. Lo Stato Commerciale Chiuso era stato infatti ideato del pensatore e filosofo tedesco Johann Gottlieb Fichte, morto a Berlino nel lontano 1814. Egli teorizzò che lo stato dovesse assumere una “funzione integrativa” che gli conferisse l’aspetto di uno stato socialistico. E’ questo uno stato monopolistico, che guida la società e la distoglie dai beni che lo Stato non può produrre. Garantisce il lavoro per tutti e il benessere per tutti. E’ uno Stato Etico, che conosce qual è il bene degli individui, che si premura di proteggere e preservare l’individuo dal resto degli altri individui. Uno Stato che pianifica, che descrive e delinea tutto ciò che è vita. Uno Stato chiuso, che pretende per sé ciò che gli serve per raggiungere lo scopo della riproduzione delle condizioni sociali. Uno Stato “che sia padrone delle terre che gli appartengono per natura. Se così non fosse esso è giustificato nel fare la guerra a chi usurpa le sue risorse naturali” (tratto da Wikipedia).
Grillo non sa che l’Islanda non ha compiuto una scelta di democrazia ribellandosi al sistema plutarchico degli organismi internazionali (Banca Mondiale, FMI) ma ha egoisticamente dichiarato la propria sovranità come soverchiante rispetto a quella di tutti gli altri paesi. Due guerre mondiali e tutto l’orrore che hanno portato con sé non sono state sufficienti a far tramontare il modello hobbesiano di Stato Leviatano, né quello hegeliano orientato alla pura volontà di Potenza. Le relazioni internazionali, nel modello di Grillo, sono destinate a tornare allo Stato di Natura, in cui ogni Stato agisce per sé medesimo, annichilendo le anomalie, distruggendo per ricostruire secondo una idea di purezza e unicità che pare patologica.
In due articoli sul Corriere della Sera, il 7 e 12 marzo, lo storico Ernesto Galli della Loggia ha difeso lo Stato-nazione oggi derubato di sovranità: lo descrive come “unico contenitore della democrazia”, poiché senza di lui non c’è autogoverno dei popoli. È una verità molto discutibile, quantomeno. Lo Stato nazione è contenitore di ben altro, nella storia. Ha prodotto le moderne democrazie ma anche mali indicibili: nazionalismi, fobie verso le impurità etnico-religiose, guerre. Ha sprigionato odi razziali, che negli imperi europei (l’austro-ungarico, l’ottomano) non avevano spazio essendo questi ultimi fondati sulla mescolanza di etnie e lingue. La Shoah è figlia del trionfo dello Stato-nazione sugli imperi (Barbara Spinelli, La Repubblica).
Gli Stati Europei sono fortemente correlati fra loro. L’interdipendenza c’è sempre stata e nell’era dello sviluppo industriale, sia in quello primario che in quello attuale, fortemente tecnologizzato e delocalizzato nei suoi centri produttivi, si è determinata come fattore politico. Non è possibile una politica delle relazioni internazionali a prescindere dalle relazioni economiche. L’Unione Europea nasce per intuito di un federalista francese, Jean Monnet, il quale, ben consapevole della incapacità dei paesi europei del secondo dopoguerra di superare ognuno per sé la fase della ricostruzione, ideò una unione per fasi funzionali. Si trattava di mettere in comune ciò che era già comune: l’energia, le regole del commercio. Ma anziché lasciare alle guerre il ruolo di strumento regolatore, Monnet suggerì di comunitarizzare queste politiche. Così le politiche del commercio, del carbone e dell’energia atomica furono messe in comune e lasciate in gestione a istituzioni terze: le comunità Europee nascono perciò con un intento pacifista. L’Europa di oggi si è avvitata in una crisi di legittimità che è dovuta principalmente a errori grossolani, a politiche sbagliate:, che però non possono metterne in discussione l’esistenza
L’Europa di Merkel e Sarkozy non ha sanato ma aggravato nell’Unione la sofferenza economica e democratica, accentuando populismi e chiusure nazionaliste. Perfino il trattato di Schengen è messo in causa, spiega Monica Frassoni, deputata europea dei Verdi, sul sito Linkiesta. it: è recente un appello inviato dai ministri dell’Interno di Francia e Germania al Presidente del Consiglio dei Ministri europeo, perché vengano reintrodotti i controlli alle frontiere nazionali contro i migranti illegali. Sarkozy spera di strappare voti a Marine Le Pen. Domenica abbiamo visto che l’originale, almeno per ora, è preferito alla copia.
Può darsi che manchino oggi leader come Roosevelt. Ma la constatazione s’è fatta stantia. Importante è smettere di dire che l’Europa funziona così com’è: che basta – l’ha detto Monti in gennaio alla Welt – la sussidiarietà (se i nodi non sono sciolti nazionalmente si passa al livello sovranazionale o regionale). La sussidiarietà è un metodo, che si usa ad hoc. Non è l’istituzione che dura nel tempo e “pensa tutto il giorno all’Europa”, invocata da Delors. Altrimenti l’Europa sarà la bella statua di Baudelaire: sogno di pietra troneggiante nell’azzurro, nemica di ogni movimento che scomponga le linee. “E mai piange, mai ride” (Barbara Spinelli, La Repubblica).
Uscire dall’Euro non è solo un autogol finanziario: è antistorico, è condannarsi a ripetere una storia di sangue e morte. Il processo di integrazione europea è qualcosa di inarrestabile ed ora chiede uno sforzo di immaginazione e di coraggio per abbandonare forme confederali inefficienti per una vera e propria federazione dei popoli europei.
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