Fini in Via D’Amelio: Mangano non è un eroe e dietro il ’92 non ci fu solo mafia

Fini in Via D’Amelio ha rischiato la contestazione. Poi ha preso la parola, rispondendo ai ragazzi delle Agende Rosse – così riportano le agenzie di stampa dell’ultima ora – e ha detto due verità:

  • E’ la prima volta quest’anno che è a tutti chiaro che non ci fu solo mafia dietro le stragi del ’92; soprattutto, ha affermato che non è stato fatto tutto il possibile per stabilire la verità
  • Vittorio Mangano era un cittadino italiano condannato in via definitiva per reati di mafia, e per tale motivo non può essere considerato un eroe.

Quindici anni gli sono serviti. E ora quanta distanza dal cofondatore del PdL:

Il giudice Borsellino e’ stato un esempio di dedizione allo Stato e di lotta all’illegalita’ e la sua storia e’ patrimonio prezioso di civilta’ e di democrazia. La prego di rivolgere ai familiari, i sensi di viva partecipazione mia e del Governo al solenne ricordo dei Caduti (Berlusconi, oggi 19 Luglio 2010).

Non so se comprendete l’abisso che separa i due.

Stasera il Tg1 ha rendicontato sui successi contro la criminalità organizzata del governo, con tanto di intervista al ministro Maroni. Non una parola sulle inchieste di Firenze, Caltanissetta e Palermo. Ma le dichiarazioni di Fini rischiano di rovinare l’edificante quadretto descritto dal telegiornale di Minzolini.

4 Dicembre: Spatuzza Day.

Uno spettro si aggira per Palazzo Chigi: l’ombra di una accusa infamante, che ridurrebbe quel che resta di Mr b a una controfigura dello statista che desiderava d’essere.
Gaspare Saptuzza sarà ascoltato al processo d’Appello a Dell’Ultri in corso a Palermo. Spatuzza riconfermerà presumibilmente le accuse a Autoreuno e a Autoredue, i mandanti occulti delle stragi del 1992-93. Le dichiarazioni di Spatuzza già contribuirono a scrivere pagine e pagine della richiesta di archiviazione dell’inchiesta sulla strage di Via dei Georgofili a Firenze. L’inchiesta fu archiviata per l’impossibilità di procedere oltre nelle indagini e chiarire effettivamente il ruolo e la responsabilità penale di Autoreuno e Autoredue. Il 4 Dicembre forse verrà rivelato al pubblico la verà identità dei due cospiratori. Verrà portata alla luce la vera genesi della Seconda Repubblica, fondata non già sul lavoro, ma sul patto fra Stato e Mafia. Qualcosa che sa di criminoso.
Intanto i giornali, soprattutto quelli di proprietà del Padrone, mettono le mani avanti e, ancor prima di sentire le dichiarazioni del pentito, parlano di complotto e di toghe rosse. Si fa a gara per soccorere il Capo. Il ddl del processo breve avrà una corsia preferenziale in Commissione Giustizia al Senato e, in men che non si dica, sarà legge. Eppure non sarà sufficiente. L’accusa di collusione con la mafia è un’accusa grave. Dell’Utri si è già beccato nove anni in primo grado. E il processo d’Appello si è rimpolpato con i documenti di Ciancimino e le dichiarazioni di Spatuzza. Oggi pure Il Riformista, il giornale in quota PD ma edito dagli Angelucci, prossimi al finto-premier ma anche a D’alema, si è cimentato in una ipotetica ricostruzione dei fatti successivi alla strage di Via D’amelio, e alle indagini di Ilda Bocassini quando era pm a Caltanissetta. Secondo l’autrice dell’articolo, sarà Ilda Bocassini a salvare Mr b. L’illuminante intuizione deriva dal fatto che – sempre secondo l’autrice – la Bocassini avrebbe messo in discussione l’attendibilità dei pentiti Spatuzza e Scarantino. Tutto ciò non corrisponde al vero, ed è la stessa autrice dell’articolo a dircelo: è Spatuzza a smentire Scarantino sulla ricostruzione della strage che uccise Borsellino. E la Bocassini non credeva proprio a Scarantino, l’impostore, il falso pentito mentitore che depistò le indagini o fu proprio imbeccato dagli stessi magistrati della procura di Caltanissetta, colleghi della Bocassini, che secondo quest’ultima "avevano fretta di trovare un colpevole".
E’ forse un caso di soccorso rosso? Proprio oggi Bersani ha dichiarato che il ddl sul processo breve deve essere ritirato. Ed ha riproposto il vecchio straccio di riforma della giustizia proposto qualche anno fa da Luciano Violante, che aveva fra i suoi punti cardine la separazione delle carriere fra magistratura giudicante e magistratura inquirente, e l’attribuzione dell’iniziativa d’indagine in via esclusiva alla polizia giudiziaria togliendola al pm, il quale potrebbe poi aprire fascicoli solo sui casi riportati dalla polizia, organo del Ministero dell’Interno, quindi sotto controllo governativo. Fortunatamente la proposta del segretario PD è caduta nel vuoto.

  • Spatuzza e Scarantino, quando era la Boccassini ad avere dubbi sui pentiti – di Marianna Bartoccelli

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    • Chi potrebbe salvare – o almeno fare chiarezza – il presidente Berlusconi e il fondatore del suo partito, che allora si chiamava Forza Italia, Marcello Dell’Utri dalle accuse del pentito o quasi Gaspare Spatuzza è, incredibilmente, Ilda Boccassini

    • La Boccassini arriva a Caltanissetta subito dopo la strage Borsellino, visto che aveva chiesto di essere applicata proprio lì per indagare sulla strage di Giovanni Falcone

    • E, quando venne ammazzato il pm Paolo Borsellino, la struttura investigativa capeggiata da Arnaldo La Barbera si chiamava gruppo Falcone-Borsellino

    • È stata proprio la Boccassini a dire che Scarantino non era per niente credibile. Al punto che scrisse una lunga lettera con la quale diceva di voler tornare alla procura di Torino perchè a lei la conduzione delle stragi non piaceva affatto.

    • Nell’ottobre 1994 la Boccassini, insieme all’altro pm di Caltanissetta, Roberto Saieva, lasciarono scritto ai colleghi che il pentito Scarantino era sostanzialmente inattendibile, e che bisognava svolgere ulteriori e urgenti accertamenti per metterlo alle strette e smascherare le sue eventuali manovre intorno alla strage di via D’Amelio

    • lo stesso Scarantino oggi contraddetto da Spatuzza

    • È la vicenda del furto della Fiat 126, successivamente imbottita di esplosivo, di cui oggi si autoaccusa proprio Spatuzza. Boccassini e Saieva consigliavano nuove verifiche su quel pentito traballante, e scrivevano: «Rinviare il compimento dei necessari atti d’investigazione potrebbe avere come effetto di lasciare allo Scarantino una via aperta verso nuove piroettanti rivisitazioni dei fatti»

    • Siamo ormai nella fase Spatuzza che mette anzi rimette in circuito i fratelli Graviano, giovani ma potenti di Brancaccio, che sono riusciti, mentre erano al 41bis, a mettere incinte le loro due donne; pare, cosi si scrisse, con l’inseminazione artificiale. Sono importanti i due Graviano perché sono accusati delle stragi del ’93, di cui si cercano i mandanti occulti.E soprattutto pare che dagli anni ’90 avessero rapporti con imprenditori del Nord. E ovviamente tocca a Caltanissetta metterci mano

    • l’ultima strage, quella a Milano del luglio ’93, avvenne quando era quasi certo che il Cavaliere scendeva in piazza con Forza Italia e Dell’Utri si sarebbe occupato di trovare l’ossatura dei candidati per il partito che apriva le sue nuove liste

    • Fu prima dell’annunzio delle liste che Graviano disse a Brusca che il nuovo potere era in mano loro e che quel potere avrebbe fatto quello che volevano

    • Graviano dava per certa la vittoria di Forza Italia, che Brusca voleva soprattutto che il nuovo partito diminuisse il 41bis, e che da pentito (anche dopo la riforma sui pentiti, conclusa dal ministro Fassino, il suo avvocato fu Luigi Li Gotti, un tempo sottosegretario alla Giustizia del governo Prodi; oggi senatore dell’Idv di Antonio Di Pietro) lancia accuse a Violante e alla sinistra ed è assistito da un legale vicino a Ligotti.

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    • Il ddl sul processo breve è ai blocchi di partenza al Senato, la maggioranza vuole approvarlo prima di Natale, l’opposizione protesta, Alfano litiga coi magistrati sul numero dei processi che salterebbero

    • è ben altra la preoccupazione che occupa le menti dei componenti la maggioranza, ai livelli bassi come a quelli alti. «Il processo breve che interessa tanto voi giornalisti rischia di essere superato dai fatti: a noi sta molto più a cuore la tegola che potrebbe arrivare sul premier», sintetizzano ai piani alti del Pdl

    • La “tegola” sarebbe la possibile concretizzazione delle vociferate novità in arrivo dalle procure di Firenze e Caltanissetta, quelle che indagano sulle stragi di mafia del ’93-’94

    • il “fattore Spatuzza”, con riferimento al pentito che punta il dito sul premier e che sarà sentito il 4 dicembre

    • Irridente il “Giornale”: «Scoppierà un nuovo presunto scandalo. Ve lo anticipiamo. Berlusconi è mafioso e responsabile delle stragi degli inizi degli anni Novanta»

    • Dietrologista “Libero”, che pur «senza prove» «scommette» sulla «già avvenuta» iscrizione tra gli indagati del premier e di Dell’Utri e si chiede: «Quando e perché verrà fatta trapelare l’indiscrezione?»

    • Definitivo per calembour il Foglio: «Come difendersi da uno Spatuzza che darà di mafioso a Berlusconi?»

    • «È chiaro», spiega una gola profonda, «che tutto lo sforzo di bloccare il processo Mills allo scopo di garantire a Berlusconi la presentabilità internazionale non servirebbe più a nulla». Perché «se è “impresentabile” un premier condannato in primo grado per corruzione, cosa potrebbe essere di un leader indagato per legami più o meno stretti con la mafia?»

    • questa evenienza sarebbe inaggirabile per via legislativa. Di qui l’idea di «parlare agli italiani». Allo scopo di fare per via politica ciò che non gli riesce per legge: ritrovare l’unanimità per andare avanti

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Borsellino non fu avvisato dell’imminente pericolo. Storia di una trattativa che nessuno ricorda.

Il giallo sulla strage di Via D’amelio, se possibile, si è complicato ancora di più. Altri personaggi sulla scena – Claudio Martelli, Liliana Ferraro, dopo la puntata di Annozero, e oggi Antonino Ingroia e il "tenente" dei Carabinieri Canale.
In sostanza, i Carabinieri sapevano dell’imminente attentato. La Mafia doveva colpire anche Di Pietro, che però fu mandato in America Latina, al fine di proteggerlo. Si dice che Borsellino avesse rifiutato la protezione – oggi, su La Stampa. Ieri, Peter Gomez ha però scritto che proprio se lo dimenticarono di avvisare Borsellino, che ci fu un inconveniente. Borsellino però sapeva dell’esistenza del dossier del Ros, "Mafia e appalti" – lo conferma oggi Ingroia, su La Stampa; sapeva dell’inchiesta di Palermo su Dell’Utri – lo disse nella famosa "ultima intervista" a una tv francese. Sapeva forse anche della trattativa fra i Carabinieri del Ros e Don Vito Ciancimino. Lo dirà in settimana la ex collaboratrice di Falcone, Liliana Ferraro alla procura di Caltanissetta. Martelli, pure, lo dirà alla procura. Nell’intervista a Annozero si è miracolosamente ricordato dell’incontro con la Ferraro e delle confidenze fatte. Fu lui a parlare alla Ferraro della trattativa e del suo rifiuto, e forse poi la Ferraro lo disse a Borsellino. Che a sua volta fu ricevuto al Ministero dell’Interno, forse dal ministro stesso e da tale Bruno Contrada. Ma chi dovrebbe sapere, non sa, non ricorda.
Anche Di Pietro interrogò Ciancimino, e persino lui non lo ricorda. Non ricorda nulla e pure non ne parla sul suo blog. Forse da quell’interrogatorio non fu cavato un ragno da un buco. Ciancimino si rifiutò di fornire informazioni poiché non si sentiva "politicamente protetto". È questo il nocciolo del problema. Chissà se questa copertura gliel’hanno data. Chissà in cambio di cosa.

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    • C’è un piccolo giallo nella storia dei mille misteri della stagione stragista di Cosa nostra del ‘92 e del ‘93. Di per sé è un episodio insignificante, ma che è importante perché è la dimostrazione che dopo 17 anni dalle stragi di Capaci e di via D’Amelio i ricordi poi non sono così nitidi

    • Paolo Borsellino sapeva che era in corso una trattativa tra Cosa nostra e ufficiali del Ros dei carabinieri

    • Il piccolo giallo a cui facciamo riferimento è un interrogatorio di Vito Ciancimino da parte dell’allora pm Antonio Di Pietro.

    • Massimo Ciancimino, ha rivelato che il padre voleva essere interrogato dal pm di Mani pulite e che gli fu negato. Lo stesso Di Pietro, presente in trasmissione, è trasecolato. Stupito per questa richiesta mai comunicatagli

    • invece Di Pietro interrogò Ciancimino nel carcere romano di Rebibbia, nei primi mesi del ‘93. Lui stesso adesso precisa: «Non ricordo assolutamente la circostanza. Può essere accaduto. A quel tempo interrogavo decine di persone, ero impegnato nell’inchiesta Enimont»

    • Di Pietro non ricorda, dunque

    • il pm di Milano rimase deluso da quel colloquio: «Ciancimino non aggiunse nulla che il pm di Mani pulite non sapesse»

    • Massimo Ciancimino conferma quell’incontro avvenuto nel carcere di Rebibbia: «Erano presenti anche i magistrati di Palermo

    • l’interrogatorio di Ciancimino da parte di Di Pietro è un’ulteriore conferma che a cavallo delle stragi di Palermo e del Continente (Firenze, Roma e Milano) il rapporto del Ros di Mori e De Donno su «Mafia e Appalti» rappresentava uno spunto di indagine per arrivare a una qualche verità anche sulla scelta (apparentemente) suicida di Cosa nostra di abbracciare la strategia eversiva

    • Borsellino rimase colpito dagli appunti trovati sull’agenda elettronica di Giovanni Falcone. Ne parlò il 12 novembre del 1997 nel processo di Caltanissetta Antonio Ingroia (che oggi è uno dei pm che indagano sulla trattativa): «Borsellino si concentrò su quegli appunti. Tra questi, uno di quelli cui egli mi fece riferimento fu la vicenda relativa all’ormai famigerato rapporto del Ros su "Mafia e Appalti", rispetto al quale ebbe dei colloqui sia con ufficiali dei carabinieri sia con colleghi del mio ufficio, per cercare un po’ di ricostruire la sua storia»

    • Ingroia: «Ne parlò con il tenente Canale. Credo che vi sia stato anche un qualche colloquio con il capitano De Donno»

    • Ingroia, nel suo interrogatorio a Caltanissetta non fece riferimento a confidenze di Paolo Borsellino sul fatto che sapesse della trattativa intavolata da Mori e De Donno con Ciancimino

    • Nei prossimi giorni, Martelli e Ferraro saranno sentiti dai pm di Palermo e di Caltanissetta. L’ex capitano De Donno nega di aver incontrato Liliana Ferraro

    • «Il Secolo XIX» di ieri ha scritto che Paolo Borsellino fu informato dell’allarme lanciato dal Ros su un possibile doppio attentato: a Milano contro Antonio Di Pietro, a Palermo contro di lui. Ma se Di Pietro espatriò in America Latina, Borsellino non ne volle sapere.

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    • Ci sono dentro tutti. Gli uomini di Governo e di opposizione: quelli che tra il 1992 e il 1993, mentre per strada scoppiavano le bombe di mafia, erano al corrente della trattativa intavolata tra Cosa Nostra, i servizi servizi segreti e i carabinieri

    • il premier Silvio Berlusconi e il suo braccio destro Marcello Dell’Utri che, tra il ’93 e il ’94, proprio nei giorni in cui stava nascendo Forza Italia, furono informati, secondo il pentito Giovanni Brusca, di tutti i retroscena delle stragi

    • A Berlusconi

    • la mafia fece arrivare

    • messaggio preciso

    • i tuoi avversari politici non possono far finta di cadere dalle nuvole, non ti possono tenere sotto schiaffo, perché ci sono di mezzo anche loro; dacci invece una mano per risolvere i nostri problemi altrimenti noi continuiamo con le bombe e finiremo per renderti la vita impossibile

    • Claudio Martelli, ha svelato di essersi opposto al dialogo tra Stato e Antistato e di aver fatto arrivare la notizia della trattativa in corso a Paolo Borsellino (che si mise di traverso e forse anche per questo fu ucciso)

    • Un ricatto in cui affonda le sue radici la Seconda Repubblica

    • Borsellino, intorno al 23 giugno del 1992, viene avvertito da una collega del ministero dei colloqui che il colonnello Mario Mori e i capitano Giuseppe De Donno hanno avviato con l’ex sindaco mafioso di Palermo, Vito Ciancimino.

    • In quel momento parlare con i vertici dell’organizzazione vuol dire convincere Totò Riina che le stragi pagano perché lo Stato è disposto a scendere a patti

    • Dice di no da subito e per questo il 25 giugno, durante un dibattito pubblico, spiega di aver ormai i giorni contati. Poi incontra Mori e De Donno. E, il primo luglio, vede il nuovo ministro degli Interni, Nicola Mancino (che continua a negare di avergli parlato) e il numero due del Sisde, Bruno Contrada

    • Fatto sta che Riina cambia strategia

    • Evita di uccidere, come programmato, il leader della sinistra Dc siciliana, Lillo Mannino, (considerato un traditore) e fa invece saltare in aria il 19 luglio Borsellino

    • E da un’incredibile dimenticanza: Borsellino non viene informato dell’esistenza di una relazione dell’Arma che dà per imminente un’azione di Cosa Nostra contro di lui e contro l’allora pm, Antonio Di Pietro

    • Brusca e Massimo Ciancimino, il figlio di Vito, assicurano che Cosa Nostra era al corrente di come il presunto referente governativo della trattativa fosse Mancino

    • pure l’ex comunista Luciano Violante, all’epoca presidente della commissione antimafia, sapeva che i carabineri parlavano con l’ex sindaco mafioso

    • a questo punto che, secondo Brusca, entrano in scena Berlusconi e Dell’Utri

    • intorno al 20 settembre del ‘93, Brusca legge un’articolo su L’Espresso in cui si parla del Cavaliere e di Vittorio Mangano

    • Riina, che non gli aveva mai parlato di questo legame con la Fininvest, è ormai in carcere

    • Brusca pensa di utilizzare Mangano per fare arrivare al Cavaliere il suo messaggio. Ne parla con Luchino Bagarella

    • Verso metà ottobre Mangano parte in missione. A novembre, come risulta da un’agenda sequestrata a Dell’Utri, l’ideatore di Forza Italia lo incontra

    • i colloqui, mediati secondo il pentito da degli imprenditori delle pulizie di Milano, proseguono almeno fino alle elezioni del marzo ‘94

    • Brusca ricorda: “Mangano mi disse che Berlusconi era rimasto contento”

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1992-1993-1994. Una verità che terrorizza. Il bavaglio si stringe su Annozero e Report.

Per darvi l’idea dell’entità delle parole dette fra i denti oggi da Mr b sulle procure che stanno complottando, si potrebbe pensare all’onda di uno tsunami. La vedi e non capisci cos’è. Ma quando arriva, cancella tutto. Azzera tutto. Le parole di Mr b solo le parole di uno che sa che sta per abbattersi l’onda dello tsunami. Sa che arriva. E’ solo una questione di tempo.
A Milano indagano sia sul caso Mediatrade e le compravendite dei diritti tv fra le sue società occulte, sia sull’attentato di Via Palestro del 1993. L’anno della destabilizzazione. E’ possibile che la Boccassini riapra il fascicolo e riprenda il filone d’inchiesta che vedeva coinvolto Dell’Utri. Ciò è reso possibile dagli sviluppi intercorsi sull’altra sponda, a Palermo e a Caltanissetta, dove il quadro s’è fatto più chiaro fra le dichiarazioni di Gaspare Spatuzza e Massimo Ciancimino e il famoso papello e lo stralcio di lettera minatoria scritta da Provenzano a Mr b e inviatagli non a mezzo posta ma a mezzo di amici (Vito Ciancimino-Dell’Utri).
Il fatto che oggi Mr b abbia attaccato le procure, quando invece dalle stesse non sembrano giungere ulteriori novità, è segno che Berlusconi è terrorizzato dalla verità che ne potrebbe emergere. Ciò non sarebbe se queste stesse verità non lo vedessero coinvolto nei fatti del 1992.
Intanto dalla RAI provengono segnali ulteriori di censura. E’ una censura non manifesta, bensì burocratica, tesa a ostacolare la realizzazione di certe trasmissioni televisive a carattere giornalistico. I casi: Annozero con Travaglio e altri redattori senza contratto; Report senza assistenza legale. Questi fatti mostrano come “Loro” abbiano messo in pratica una strategia ad ampio raggio: uso dei media di proprietà per bastonare e diffamare, per fare propaganda diretta senza alcuna vergogna (vedi il caso della telefonata a Mattino Cinque, e l’intervista riparatoria a Noemi su SkyTG24); cooptazione dei vertici RAI, nessun editto ma impoverimento dei mezzi della tv di Stato, da una parte facendo saltare il tavolo di trattative con SKY, dall’altra non mettendo sotto contratto e riducendo le tutele legali (manleva).

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    • le Procure di Milano e di Palermo “cospirano contro di noi”
    • Lui sa, per esempio, che la Procura di Milano sta chiudendo non una cospirazione, ma un’indagine giudiziaria che lo vede indagato dall’aprile del 2007 per appropriazione indebita (con conseguente evasione fiscale) insieme al presidente Mediaset Fedele Confalonieri e ad altre sette persone.
    • è uno stralcio del processo che vede imputati Berlusconi e altri dinanzi al Tribunale di Milano per le “creste” sugli acquisti di diritti televisivi e cinematografici in America da parte di una miriade di società offshore del gruppo Fininvest-Mediaset. In quel processo (congelato dal lodo Alfano in attesa che dal 6 ottobre la Consulta si pronunci sulla costituzionalità o meno del Salva-Silvio) il premier è imputato per appropriazioni indebite da 276 milioni di dollari
    • L’inchiesta-stralcio che sta per chiudersi, invece, riguarda l’accusa – come ha scritto Luigi Ferrarella sul Corriere il 25 giugno scorso – di avere “mascherato la formazione di ingenti fondi neri” dirottati dalle casse Fininvest-Mediaset su “conti esteri gestiti dai suoi fiduciari
    • Un replay della vicenda già approdata in Tribunale, solo che quella si riverbera sui bilanci del gruppo fino al 2001, mentre questa si spinge anche negli anni successivi per via dell’ammortamento pluriennale dei diritti tv
    • L’inchiesta-stralcio prende nome da Mediatrade, cioè dalla società berlusconiana che dal 1999 è subentrata alla maltese Ims per l’acquisto dei diritti tv, e riguarda una serie di conti esteri dai nomi variopinti (“Trattino”, “Teleologico”, “Litoraneo”, “Sorsio”, “Pache” e “Clock”)
    • Il Cavaliere sa bene che, scaduti in estate i termini per indagare, la Procura sta per depositare alle difese “l’avviso di conclusione delle indagini e deposito degli atti”: una mossa che, in mancanza di una richiesta di archiviazione, prelude alla richieste di rinvio a giudizio che lo trasformeranno da indagato a imputato.
    • Poi c’è Palermo. Qui il presidente del Consiglio ha voluto essere più preciso: “E’ una follia che ci siano frammenti di Procura che da Palermo a Milano guardano ancora a fatti del ’92, del ’93, del ’94”
    • In realtà non c’è niente di folle a indagare sulle stragi politico-mafiose che hanno insanguinato l’Italia fra il 1992 e il 1993. L’unica follia è che, a 17 anni dalle bombe di Palermo, Milano, Roma e Firenze, non se ne siano ancora smascherati e ingabbiati i mandanti occulti, nonché gli autori e gli ispiratori delle trattative fra pezzi dello Stato e Cosa Nostra
    • le indagini paiono a buon punto, grazie alle rivelazioni di persone molto informate sui fatti, come il mafioso pentito Gaspare Spatuzza (dinanzi alle procure di Caltanissetta, Firenze, Milano e Palermo) e il figlio dell’ex sindaco mafioso di Palermo, Massimo Ciancimino
    • su Libero, Gianluigi Nuzzi parlava di importanti acquisizioni da parte di Ilda Boccassini, che indaga sulla strage di via Palestro del 27 luglio 1993, e della possibile riapertura del filone investigativo che aveva portato all’iscrizione di Marcello Dell’Utri (ma anche di Silvio Berlusconi) per concorso in strage
    • riparte per il rush finale davanti alla Corte d’appello di Palermo il processo di secondo grado a carico di Dell’Utri
    • la Corte dovrà decidere se ammettere nel fascicolo processuale la lettera che – secondo Ciancimino jr. – Provenzano inviò a Berlusconi tramite Vito Ciancimino e Dell’Utri nei primi mesi del 1994, in cui prometteva appoggi politici in cambio della disponibilità di una rete televisiva
    • Una possibile prova regina del ruolo di cerniera fra Cosa Nostra e Berlusconi svolto per decenni da Dell’Utr
    • Nulla di segreto: tutto noto e stranoto, almeno nelle segrete stanze (giornali e telegiornali non si occupano di certe quisquilie). Noto, soprattutto, al Cavaliere. Il quale ha deciso di giocare d’anticipo. Così quando gli atti di Mediatrade saranno depositati a Milano e quelli di Palermo saranno acquisiti al processo Dell’Utri, lui potrà dire: ve l’avevo detto che stavano cospirando. Quella di oggi è un’esternazione preventiva. A orologeria
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    • Aria sempre più tesa su due dei programmi di punta di Rai 2 e Rai 3. Da una parte Michele Santoro denuncia i ritardi che stanno mettendo a rischio Annozero, dall’altra il direttore di Rai 3 Paolo Ruffini, si schiera per sollecitare l’assistenza legale ai giornalisti di Report.
    • “E’ un programma che si base su una squadra di freelance. A questi giornalisti la Rai ha garantito copertura legale negli anni passati. Ora l’azienda vuole rivedere la clausola, nonostante il parere contrario della rete. Report è un patrimonio e quindi è utile alla Rai”, dice Ruffini.
    • A due settimane dalla partenza di AnnoZero, nessuno dei contratti dei collaboratori del programma è stato ancora firmato. Compreso quello di Marco Travaglio, uno dei nomi di punta del programma di Rai 2
    • Per questo Michele Santoro, che conduce la trasmissione, ha scritto una lettera al direttore generale della Rai, Mauro Masi e al direttore di Raidue, Massimo Liofredi. Santoro ricorda come gli spot non siano ancora partiti e sottolinea che “non intende rinunciare a quanto le sentenze stabiliscono”. Un chiaro riferimento alla sentenza con cui Santoro è stato reintegrato alla Rai.
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    • la lettera che Michele Santoro oggi ha inviato al direttore generale della Rai Mauro Masi, al direttore di Raidue Massimo Liofredi e ai copnsiglieri di amministrazione
    • a due settimane dalla partenza di Annozero nessuno dei contratti dei miei collaboratori è stato ancora firmato. Allo stesso modo, con grave pregiudizio del lavoro preparatorio del programma,  non sono stati resi operativi gli accordi con operatori e tecnici che sono essenziali per le riprese esterne e le inchieste
    • non sono stati diffusi gli spot che annunciano la data di inizio di Annozero
    • una simile situazione non si era mai verificata da quando lavoro in televisione, né  era mai accaduto che obiezioni e perplessità in materia editoriale si presentassero sotto forma di impedimenti burocratici
    • Mi risulta che anche altri programmi di punta del servizio pubblico, in particolare di Raitre, abbiano gli stessi problemi e si trovino a dover superare ostacoli pretestuosi per la messa in onda. Si tratta di pezzi pregiati che offrono al pubblico importanti motivazioni per continuare a pagare il canone e contemporaneamente risultano tra i più appetibili per la pubblicità in un momento assai difficile del mercato.
    • siamo una delle pochissime trasmissioni della Rai ( credo si contino su una sola mano) che con le entrate degli spot  supera abbondantemente i costi del programma.
    • un’eventuale soppressione del programma aprirebbe un buco difficilmente colmabile nella programmazione, arrecando un danno ai bilanci della Rai valutabile in decine di milioni di euro.
    • giornali e agenzie vicini al Presidente del Consiglio continuano a diffondere notizie su vostre intenzioni che a me non risultano ma che voi non provvedete a smentire, sono costretto a ricordare, a voi prima di tutto ma anche al Presidente della Rai e ai Consiglieri di amministrazione, che io sono in onda non per le decisioni di un partito ma per una sentenza della magistratura interamente confermata in appello
    • Perciò pende un procedimento presso la Corte dei Conti che vorrebbe attribuire a responsabilità individuali i costi che la Rai ha dovuto accollarsi per le condanne subite.
    • io non intendo rinunciare a quanto le sentenze stabiliscono; e, nell’interesse dell’Azienda, mi aspetto che si recuperi il tempo perduto siglando tutti i contratti (e tra essi quello di Marco Travaglio), da noi predisposti più di due mesi fa, prima che Annozero fosse presentato a Milano agli investitori pubblicitari come un punto di forza del palinsesto autunnale

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Join the dots. Unisci i puntini. Pesce pilota e la banca intorno.

Il pesce pilota è una specie di pesce che sguazza nei mari del nord e che di solito guida tutto il resto del branco verso i lidi migliori. si dà il caso che uno dei lidi di maggior interesse e attrattiva del Nord fosse tale banca Rasini, la banca costruita intorno a te.
Che stridore con le dichiarazioni di stamane e dell’annunciato piano anti criminalità che secondo il governo in quattro anni – ma cosa dico quattro – spazzerà via la criminalità e, udite udite, anche quella organizzata. Le forze del male, le ha chiamate Mr b. Le stesse forze che – così si suppone in una sentenza (emessa il 18 marzo 2002 dalla Corte d’assise d’appello di Caltanissetta nel processo Borsellino-bis, confermata dalla Cassazione il 3 luglio 2003) – un giorno ebbero la premura di far saltare per aria il giudice che rilasciò l’intervista che segue, la quale sembra quasi fatta apposta per fargli dire cose che era molto meglio non dire. Quel giudice, quello che venne ricevuto al Viminale ma al Viminale non l’ha visto nessuno, o forse no, l’hanno visto ma solo di sfuggita, nei corridoi.
E oggi, guai a chi si riempie la bocca di verità ,guai a scrivere che le forze del male sono colluse con quelle che dovrebbero essere le forze dell’ordine (quindi del bene) ma che accettano un ordine sbagliato. Guai a rompere l’accordo oscurantista.

Un piano straordinario a lungo termine contro la criminalità. È questo il progetto del governo lanciato dal premier Silvio Berlusconi al termine del comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza pubblica con i ministri Roberto Maroni e Angelino Alfano. L’esecutivo, ha spiegato il presidente del Consiglio durante la conferenza stampa di Ferragosto, sarà «in carica per quattro anni e metterà in atto un piano a lungo termine e si spera definitivo contro le forze del male, non solo contro la criminalità diffusa ma anche contro la criminalità organizzata». Il progetto anti-criminalità, hanno poi precisato il titolare del Viminale e il Guardasigilli, partirà da settembre e sarà operativo per i prossimi 4 anni.

  • Fabrizio Calvi intervista Paolo Borsellino (tratto da "L’odore dei soldi. Origini e misteri delle fortune di Silvio Berlusconi", Elio Veltri e Marco travaglio, Editori Riuniti, 2001)

Sì, Vittorio Mangano l’ho conosciuto anche in periodo antecedente al maxiprocesso e precisamente negli anni fra il 1975 e il 1980, e ricordo di aver istruito un procedimento che riguardava delle estorsioni fatte a carico di talune cliniche private palermitane. Vittorio Mangano fu indicato sia da Buscetta che da Contorno come "uomo d’onore" appartenente a Cosa nostra.
Uomo d’onore di che famiglia?
Uomo d’onore della famiglia di Pippo Calò, cioè di quel personaggio capo della famiglia di Porta Nuova, famiglia della quale originariamente faceva parte lo stesso Buscetta. Si accertò – ma questo già risultava dal procedimento precedente che avevo istruito io, e risultava altresì da un procedimento cosiddetto "procedimento Spatola", che Falcone aveva istruito negli anni immediatamente precedenti al maxiprocesso – che Vittorio Mangano risiedeva abitualmente a Milano, città da dove come risultò da numerose intercettazioni telefoniche, costituiva un terminale del traffico di droga, di traffici di droga che conducevano le famiglie palermitane.
E questo Mangano Vittorio faceva traffico di droga a Milano?
Il Mangano, di droga… Vittorio Mangano – se ci vogliamo limitare a quelle che furono le emergenze probatorie più importanti – risulta l’interlocutore di una telefonata intercorsa fra Milano e Palermo, nel corso della quale lui, conversando con altro personaggio delle famiglie mafiose palermitane,
preannuncia o tratta l’arrivo di una partita di eroina chiamata alternativamente, secondo il linguaggio convenzionale che si usa nelle intercettazioni telefoniche, come "magliette" o "cavalli".
Comunque lei, in quanto esperto, può dire che quando Mangano parla di cavalli al telefono, vuol dire droga.
Sì. Tra l’altro questa tesi dei cavalli che vogliono dire droga, è una tesi che fu asseverata dalla nostra ordinanza istruttoria e che poi fu accolta al dibattimento, tant’è che Mangano fu condannato al dibattimento del maxiprocesso per traffico di droga.
E Dell’Utri non c’entra in questa storia?
Dell’Utri non è stato imputato nel maxiprocesso, per quanto io ne ricordi. So che esistono indagini che lo riguardano e che riguardano insieme Mangano.
A Palermo?
Sì, credo che ci sia un’indagine che attualmente è a Palermo con il vecchio rito processuale nelle mani del giudice istruttore, ma non ne conosco i particolari.
Marcello Dell’Utri o Alberto Dell’Utri?
Non ne conosco i particolari, potrei consultare avendo preso qualche appunto… Cioè si parla di Dell’Utri Marcello e Alberto, di entrambi.
I fratelli?
Sì.
.. Quelli della Publitalia?
Sì. Perché c’è, se ricordo bene, nell’inchiesta della San Valentino, un’intercettazione fra lui e Marcello Dell’Utri in cui si parla di "cavalli". Beh, nella conversazione inserita nel maxiprocesso, se non piglio errore, si parla di cavalli che dovevano essere mandati in un albergo, quindi non credo che potesse trattarsi effettivamente di cavalli. Se qualcuno mi deve recapitare due cavalli, me li recapita all’ippodromo o comunque al maneggio, non certamente dentro l’albergo.
C’è un socio di Marcello Dell’Utri, tale Filippo Rapisarda che dice che questo Dell’Utri gli è stato presentato da uno della famiglia di Stefano Bontate.
Eh, Palermo è la città della Sicilia dove le famiglie mafiose erano più numerose. Si è parlato addirittura in certi periodi almeno di duemila uomini d’onore con famiglie numerosissime: la famiglia di Stefano Bontate sembra che in un certo periodo ne contasse almeno 200. Si trattava comunque di famiglie appartenenti a una unica organizzazione, cioè Cosa nostra, e quindi i cui membri in gran parte si conoscevano tutti, e quindi è presumibile che questo Rapisarda riferisca una circostanza vera.
Lei di Rapisarda ne ha sentito parlare?
So dell’esistenza di Rapisarda, ma non me ne sono mai occupato personalmente.
Perché a quanto pare, Rapisarda, Dell’Utri, erano in affari con Ciancimino, tramite un tale Alamia [Francesco Paolo Alamia, ex assessore regionale siciliano ai tempi di Ciancimino, sindaco di Palermo e socio di Filippo Rapisarda, ex datore di lavoro ed ex amico dei fratelli Dell’Utri.
Che Alamia fosse in affari con Ciancimino è una circostanza da me conosciuta e credo risulti anche da qualche processo che si è già celebrato. Per quanto riguarda Dell’Utri e Rapisarda, non so fornirle particolari indicazioni, trattandosi – ripeto sempre – di indagini di cui non mi sono occupato personalmente.
Non le sembra strano che certi personaggi, grossi industriali come Berlusconi, Dell’Utri, siano collegati a uomini d’onore tipo Vittorio Mangano?
All’inizio degli anni ’70, Cosa nostra cominciò a diventare un’impresa anch’essa: un’impresa nel senso che, attraverso l’inserimento sempre più notevole, che a un certo punto diventò addirittura monopolistico, nel traffico di sostanze stupefacenti, Cosa nostra cominciò a gestire una massa enorme di capitali, una massa enorme di capitali, dei quali naturalmente cercò lo sbocco, perché questi capitali in parte venivano esportati o depositati all’estero, e allora così si spiega la vicinanza fra elementi di Cosa nostra e certi finanzieri che si occupavano di questi movimenti di capitali.
Lei mi dice che è normale che Cosa nostra si interessa a Berlusconi?
E’ normale il fatto che chi è titolare di grosse quantità di denaro cerchi gli strumenti per potere questo denaro impiegare, sia dal punto di vista del riciclaggio, sia dal punto di vista di far fruttare questo denaro.
Mangano era un pesce pilota?
Sì, guardi, le posso dire che era uno di quei personaggi che, ecco, erano i ponti, le teste di ponte dell’organizzazione mafiosa nel Nord Italia.
Si è detto che ha lavorato per Berlusconi.
Non le saprei dire in proposito, o… anche se le debbo far presente che, come magistrato, ho una certa ritrosia a dire le cose di cui non sono certo, poiché so che ci sono addirittura ancora delle indagini in corso in proposito, per le quali non conosco addirittura quali atti sono ormai conosciuti e ostensibili, e quali debbono rimanere segreti. Questa vicenda che riguarderebbe i suoi rapporti con Berlusconi è una vicenda che, la ricordi o non la ricordi, comunque è una vicenda che non mi appartiene. Non sono io il magistrato che se ne occupa, quindi non mi sento autorizzato a dirle nulla.
C’è un’inchiesta ancora aperta?
So che c’è un’inchiesta ancora aperta.
Su Mangano e Berlusconi, a Palermo?
Sì.

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    • il comando generale dell’Arma ha deciso di replicare a Bocca con un comunicato del generale Leonardo Gallitelli che “respinge con fermezza e con indignazione” le “ingiustificate e infamanti accuse che si risolvono nella delegittimazione dell’operato di fedeli servitori dello Stato”. Il generale fa il furbo, scrivendo che Bocca “sorprendentemente accosta Dalla Chiesa a figure come Totò Riina e Massimo Ciancimino, entrambi arrestati dai Carabinieri”
    • peccato che quegli stessi carabinieri del Ros (Mori e De Donno) stessero trattando col mafioso Riina tramite il mafioso Ciancimino, come hanno essi stessi ammesso dinanzi alla magistratura
    • sarebbe interessante sapere se i vertici dell’Arma erano informati di quella trattativa; e chi l’aveva autorizzata
    • L’intervista rilasciata il 21 maggio 1992 da Borsellino ai giornalisti francesi Fabrizio Calvi e Jean Pierre Moscardo, in cui si parla del riciclaggio del denaro mafioso al Nord e di un’indagine ancora aperta sui rapporti fra Berlusconi, Dell’Utri e lo “stalliere di Arcore” Vittorio Mangano, “testa di ponte dell’organizzazione mafiosa nel Nord Italia per il traffico di eroina”
    • come Brusca e non come Cancemi, che il Riina possa aver tenuto presente nel decidere la strage gli interessi di persone che intendeva ‘garantire per ora e per il futuro, senza per questo eseguire un loro ordine o prendere formali accordi o intese o dover mantenere promesse’…
    • Le indicazioni che offre il Brusca sono illuminanti. Per Brusca, Borsellino muore il 19 luglio 1992 per la trattativa che era stata avviata fra i boss corleonesi e pezzi delle istituzioni. Il magistrato era venuto a conoscenza della trattativa e si era rifiutato di assecondarla e di starsene zitto.
    • E’ la trattativa di Mori e De Donno con i vertici di Cosa Nostra tramite Ciancimino: “Non disponiamo di riscontri al se, come e quando Borsellino abbia saputo della trattativa che era stata avviata. Che la trattativa vi sia stata è stato confermato dal generale Mori e dal capitano De Donno.
    • anziché fermare le stragi, la trattativa del Ros le incentivò e le moltiplicò. Infatti, dopo Capaci, vi fu subito via d’Amelio e, visto che i due alti ufficiali dell’Arma continuavano a trattare, venne pianificata la strategia terroristica del 1993 (che sfociò nelle bombe di Roma, Milano e Firenze fra il maggio e il luglio del 1993).
    • Ce n’è abbastanza per dare ragione a Giorgio Bocca e torto ai suoi infami detrattori. E per dimostrare ancora una volta, semmai ve ne fosse bisogno, che non è più questione di destra o di sinistra. Oggi la scelta è fra il partito della menzogna, dell’impunità e dell’oblio, e quello della verità, della giustizia e della memoria.
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    • è insorta anche l’opposizione. "Si può – ha osservato Marco Minniti responsabile Sicurezza del Pd – discutere di tutto. Si continui come si sta facendo ad indagare su periodi tra i più dolorosi ed oscuri della storia repubblicana, ma la consapevolezza che l’Arma dei Carabinieri costituisca e abbia costituito nel passato un pilastro fondamentale nell’azione di contrasto contro le mafie non può essere messa in discussione"
    • il problema numero uno della nazione non è il conflitto fra il legale e l’illegale, fra guardie e ladri, fra capi bastone e le loro vittime inermi, ma il loro indissolubile patto di coesistenza. L’essere la mafia la mazza ferrata, la violenza che regola economia e rapporti sociali in province dove la legge è priva di forza o di consenso.
    • Eppure la maggioranza degli italiani non se ne vuol convincere, si rifiuta di crederlo e quando il capo della mafia Totò Riina fa sapere che l’assassinio del giudice Paolo Borsellino è stato voluto o vi hanno partecipato i tutori dell’ordine, ufficiali dei carabinieri o servizi speciali, il buon italiano si dice: è l’ultima scellerataggine di Riina, mette male nel nostro virtuoso sistema sociale.
    • Massimo Ciancimino, il figlio del sindaco mafioso di Palermo, ha detto o lasciato capire che i carabinieri ‘nei secoli fedeli’ si attennero nelle operazioni di mafia ad attenzioni speciali, clamorosa quanto rimasta senza spiegazioni credibili la mancata perquisizione nella villetta in cui Riina aveva abitato e guidato per anni la ‘onorata società’.

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Join the dots. Unisci i puntini. Retrospettiva della destabilizzazione. Quando parlava Brusca.

Borsellino morì per un complotto – Repubblica.it » Ricerca

Il procuratore aggiunto di Palermo, Paolo Borsellino fu ucciso perché voleva fermare la trattativa tra pezzi dello Stato e i Corleonesi avviata dopo la strage di Capaci. Cosa nostra fu informata da una «talpa» e «accelerò» la morte del magistrato […] la mafia fu «costretta» ad un altro attentato libanese […] le rivelazioni del «pentito» Giovanni Brusca:

«Il giudice Paolo Borsellino era contrario alla trattativa che Riina aveva intrapreso con lo Stato e rappresentava quindi un ostacolo, per questo è stato assassinato». Il «pentito» però non ha fatto nomi, evitando di specificare chi fosse l’ interlocutore di Totò Riina nella trattativa. «Non lo so con certezza», ha ammesso.

Brusca ha raccontato ai magistrati che l’ uccisione di Paolo Borsellino, che era in progetto da anni «subì un’ improvvisa accelerazione» subito dopo la strage di Capaci. «Dopo Falcone, Riina – ha raccontato Brusca – aveva programmato di uccidere l’ ex ministro dc, Calogero Mannino, dandomi l’ incarico di eseguirlo. Improvvisamente cambiò decisione, e mi disse che c’ era un lavoro più urgente da fare, l’ assassinio del giudice Paolo Borsellino»

L’ «accelerazione» dell’ attentato a Paolo Borsellino è stata confermata anche da un altro capomafia pentito, Salvatore Cancemi

Brusca ha rivelato di avere appreso della «trattativa» direttamente da Totò Riina che aveva preparato un «papello» (richieste allo Stato ndr) per interrompere la strategia stragista in cambio di vantaggi per i mafiosi.

una riunione ristretta della «Commissione» alla quale parteciparono anche, Salvatore Cancemi e Salvatore Biondino, braccio destro di Riina

Biondino fece vedere a Totò Riina i verbali di un interrogatorio del pentito Gaspare Mutolo che era stato ascoltato dal giudice Paolo Borsellino due giorni prima della strage dicendo: “Quando Mutolo dice le cose vere nessuno gli crede”

Gaspare Mutolo raccontava che 48 ore prima della strage di via D’ Amelio, si era incontrato con il magistrato a Roma perché aveva deciso di pentirsi.

Io dissi al giudice Borsellino – raccontò Gaspare Mutolo dopo la strage di via D’ Amelio – che non volevo verbalizzare niente su quello che sapevo su alcuni giudici e su alcuni funzionari dello Stato collusi

mentre m’ interrogava Borsellino interruppe la conversazione e mi disse: “Sai Gaspare, debbo smettere perché mi ha telefonato il ministro, manco una mezz’ oretta e ritorno”. E quando il giudice ritornò era tutto arrabbiato, agitato, preoccupato, fumava così distrattamente che aveva due sigarette accese in mano. Gli chiesi cosa avesse ed il giudice Borsellino mi rispose dicendo che invece d’ incontrare il ministro si era incontrato con il dottor Parisi (il defunto capo della Polizia) e con il dottor Contrada (l’ ex funzionario del Sisde accusato di mafia ed assolto nel processo di secondo grado ndr) e mi disse di mettere subito a verbale quello che gli avevo detto

L’ incontro fu smentito dal senatore Nicola Mancino che s’ era insediato al ministero dell’ Interno proprio quel giorno

Brusca mette in relazione quell’ incontro al ministero con la «trattativa»

Ma nell’ agenda di Paolo Borsellino, sparita subito dopo la strage di via D’ Amelio e ritrovata qualche tempo dopo, il magistrato aveva scritto che il primo luglio del 1992, alle ore 19.30, aveva avuto un incontro con il ministro dell’ interno, una visita della durata di 30 minuti.

Brusca non ha dubbi: la trattativa ci fu, Borsellino tentò di ostacolarla e una «talpa» lo fece sapere a Cosa nostra che accelerò la sua morte.

  • MINISTRI IN GIOSTRA SCOTTI AGLI ESTERI E MARTELLI RESTA SOLO – Repubblica.it » Ricerca
  • Era il 29 Giugno 1992: l’avvicendamento fra Scotti e Mancino al Viminale. Dopo Capaci e prima di Via D’Amelio.

    Lavoravano in due e lavoravano bene o almeno in perfetto accordo. Ora sono stati divisi: uno è rimasto ministro della Giustizia, l’ altro lascia gli Interni e guiderà gli Esteri. […] grande è lo stupore per il dirottamento di Enzo Scotti dal Viminale alla Farnesina. Il loro asse sembrava uno dei punti fermi del nascente governo […] Che cosa sia successo, non lo so – dice Martelli -. E perchè Scotti sia stato dirottato dall’ Interno agli Esteri è interrogativo che andrebbe posto alla Dc. Enzo Scotti non nega sia stato proprio un certo suo atteggiamento a determinare l’ addio al Viminale e l’ interruzione del consolidato rapporto con Claudio Martelli […] E così, sabato sera sono andato a dormire sapendo di non essere più ministro. Poi in nottata è successo qualcosa che mi ha cambiato la vita…”  […] Attendibilissime ricostruzioni forniscono questa versione dell’ accaduto. Forlani e De Mita che insistono con Scotti perchè resti nel governo, e gli propongono – allora – il passaggio alla Farnesina […] E Mancino? “E’ un compito non facile, quello che mi aspetta – ammetteva domenica pomeriggio subito dopo il giuramento -. Dovrò incontrare Scotti e poi subito incominciare”



micromega – micromega-online » Memento Mori

In sette giorni Mancino, Violante, Ayala e Martelli han raccontato qualcosa, lasciando intendere che in certi palazzi si sa molto più di quanto non sappiano i magistrati e i cittadini.

Ciancimino jr. racconta che nell’autunno ’92 il padre Vito, per trattare col colonnello Mori, pretendeva una «copertura politica» dal ministro dell’Interno Mancino e dal presidente dell’Antimafia Violante.

A 17 anni di distanza, Violante ricorda improvvisamente che Mori voleva fargli incontrare Ciancimino, ma lui rifiutò.

Mancino nega da anni di aver incontrato Borsellino il 1° luglio ’92, esibendo come prova la propria agenda e smentendo così quella del giudice assassinato. Ma ora viene sbugiardato da Ayala: «Mancino mi ha detto che ebbe un incontro con Borsellino il giorno in cui si insediò al Viminale (1° luglio ’92, come segnò il giudice, ndr): glielo portò in ufficio il capo della polizia Parisi.

Intanto Mancino svela a Repubblica che nel ’92 disse no a trattative con la mafia, ma senza rivelare chi gliele propose. Poi, sul Corriere, fa retromarcia: «Nessuna richiesta di copertura governativa».

E l’incontro con Borsellino? Prima lo nega recisamente: «Non c’è stato. Ricordo la chiamata di Parisi dal telefono interno: “Qualcosa in contrario se Borsellino viene a salutarla?”. Risposi che poteva farmi solo piacere, ma poi non è venuto». Poi si fa possibilista: «Non posso escludere di avergli stretto la mano nei corridoi e nell’ufficio… non ho un preciso ricordo».

Resta poi da capire perché, fra Capaci e via d’Amelio, mentre partiva la trattativa Ros-Ciancimino, ci fu il cambio della guardia al governo. «Io e Scotti – ricorda l’allora Guardasigilli Claudio Martelli – eravamo impegnati in uno scontro frontale con la mafia. Ma altre parti di Stato pensavano che le cose si potevano aggiustare se la mafia rinunciava al terrorismo e lo Stato evitava di darle il colpo decisivo. In quel clima qualcuno sposta Scotti dall’Interno alla Farnesina e pensa pure di levare dalla Giustizia Martelli, che però dice no».

Mafia, nuovi indagati per le stragi – LASTAMPA.it

I magistrati di Caltanissetta di ritorno venerdì scorso da un faccia a faccia di tre ore con Salvatore Riina, dicono che il padrino «è sempre lo stesso»

avrebbe detto di non sapere nulla del presunto patto tra Stato e mafia, ma ci sono nuovi indagati per la stagione stragista di Cosa nostra

uno per l’attentato all’Addaura del giugno del 1989 contro Giovanni Falcone

un altro per la strage di Capaci – un nome nuovo, organico ai clan, ma mai coinvolto nell’indagine sull’eccidio, già detenuto e che avrebbe avuto un ruolo di organizzatore

una decina gli indagati per quella di via D’Amelio. Personaggi, in quest’ultimo caso, che avrebbero avuto ruoli diversi: mandanti, favoreggiatori, organizzatori ed esecutori. Nessuno parla, ma non è escluso che nell’elenco vi siano anche alcuni agenti dei servizi segreti.

avrebbe detto più cose Angelo Fondana «U miricano», il pentito che ha fatto trovare un «bunker della morte» della mafia e disvelato nuovi scenari della strage, come l’altro collaboratore, Gaspare Spatuzza che ha sconvolto verità processuali e alimentato nuove piste

Fontana avrebbe confermato la presenza di 007 al Castello Utveggio