Il Codice di Cosa Nostra: dalla strage di Via Palestro alla revoca del 41-bis

Il Codice di Cosa Nostra è un’inchiesta del giornalista Maurizio Torrealta di RaiNews: parla delle stragi sul continente ordite dalla Mafia nel 1993, e delle coincidenze di date, fatte rilevare anche dal Presidente della commissione Bicamerale Antimafia, Beppe Pisanu, nella sua relazione dello scorso Giugno (qui il testo integrale). Dopo gli attentati di Milano, Roma e Firenze, l’inquietante black-out di Palazzo Chigi del 28 Luglio 1993, il fallito agguato ai carabinieri del Ottobre-Novembre 1993 durante un derby Roma-Lazio, inizia il cedimento dello Stato. Il primo fu Giovanni Conso, allora Ministro della Giustizia, che decise a fine 1993 la revoca del 41-bis, il regime di carcere duro, per decine di mafiosi di piccolo-medio calibro. Uomini della mafia, manovali di Cosa Nostra, capi cosca di grado inferiore. Era un effetto della trattativa? Perché fu revocato solo per piccoli mafiosi e non per i boss? Si dice che la mafia è un’impresa e spiegatemi che cosa fa un’impresa senza i suoi operai. Era il 4 Novembre 1993, e Conso ha detto che tale decisione fu presa “per evitare altre stragi”.

La strategia terroristico-mafiosa inizia con l’omicidio Lima. E’ un atto di guerra, si dirà. Una guerra che si rese conclamata, evidente, chiara a tutti, con Capaci. Poi la fase della cosiddetta “accelerazione” che condusse dritti a Via D’Amelio. Conso successe a Martelli come Ministro della Giustizia quando questi era ormai sotto il tiro dei magistrati milanesi dell’inchiesta Mani Pulite. Giovanni Conso aveva avuto sino ad allora una carriera istituzionale di altissimo profilo (fu anche presidente della Corte Costituzionale). Passerà alla storia come l’uomo del colpo di spugna su Tangentopoli. Esordì così:

 

fonte Archivio Storico La Stampa

Era il 25 Febbraio 1993: il suo messaggio, “certe misure accrescono la tensione”, si intendeva rivolto all’uso della carcerazione preventiva e all’esibizione delle manette fatte nel corso dell’inchiesta Mani Pulite. Era solo questo il suo significato? Conso è stato ascoltato in Commissione Antimafia lo scorso 11 Novembre. Nessun media nazionale ne ha dato riscontro, a parte La Repubblica. Il giorno prima è stata la volta di Nicola Mancino, nel 1993 Ministro dell’Interno. Il suo nome è contenuto in un documento messo a disposizione da Massimo Ciancimino e attribuito a Provenzano. Mancino ha negato di esser stato messo a conoscenza della trattativa condotta dal Gen. Mario Mori con Provenzano. Mario Mori lo ha freddato con un “ne prendo atto”.

Audizione di Nicola Mancino in Commissione Antimafia, 8 Novembre 2010

Audizione di Giovanni Conso in Commissione Antimafia, 11 novembre 2010

Eppure il voler spiegare la strategia terroristico-mafiosa messa in atto fra il 1992-1993 solo con la volontà di costringere la politica a ritornare sui suoi passi e a togliere l’ergastolo e il carcere duro non è sufficiente. Non si spiega la presenza di uomini dello Stato sulla scena di Via D’Amelio, per esempio. Non spiega tutto il fiorire dell’indipendentismo siciliano di inizio anni ’90. Anche De Gennaro, nel 1993, allora capo della DIA, ammise in una intervista a La Stampa – nella quale pur ci tenne a precisare che non vi erano uomini dello Stato in Via D’Amelio – che Cosa Nostra aveva già avuto intenti separatisti:

Ma un’organizzazione che, come lei dice, ha capacità di elaborazione strategica e anche, per così dire, di iniziativa politica, non potrebbe scegliere una politica diversa dal terrorismo? In fondo, la mafia siciliana ha una tradizione di convivenza con le aspirazioni separatiste. E ora che dal Nord arriva il vento leghista, la mafia potrebbe cercare di trame vantaggi?

«Non so dire se in termini politici Cosa Nostra possa arrivare ad avere questo tipo di strategie. Io credo, però, che Cosa Nostra abbia la possibilità di mterloquire, di interferire, contrattare e contattare componenti crimmali o politiche che possano tramare piani destabilizzanti per la nostra democrazia. E’ avvenuto in passato: basta andare con la memoria a fatti processualmente acquisiti come il tentativo di golpe Borghese. A Cosa Nostra fu chiesto l’intervento dei suoi uomini a fianco dei golpisti, in cambio dell’impunità giudiziaria».Quindi se in Italia nascesse una forza golpista, o comunque una forza che cercasse di minare l’unità nazionale, avrebbe nella mafia un naturale alleato?

«Non ho elementi per affermare che Cosa Nostra potrebbe essere un referente naturale, dico che Cosa Nostra ha già avuto l’occasione di esserlo».

E se invece si facesse più forte la spinta per la secessione – del resto teorizzata apertamente sia da parte leghista sia da nuovi movimenti che si preparano al Sud – alla prossima campagna elettorale?

«Ecco, mi viene in mente, ancora, il tentativo separatista di Michele Sindona. Gli esempi non mancano. Ripeto, non ho elementi ben precisi, ma posso solo ribadire che la mafia, e ripeto che mi riferisco a Cosa Nostra siciliana, non è solo un’organizzazione criminale. Cosa Nostra è una forza capace di intervenire per modificare anche le realtà sociali e politiche» (fonte La Stampa, Archivio Storico, 08/01/1993).

Pertanto si può dire che la questione della revoca del 41-bis spiega solo in parte le stragi. O per meglio dire, è solo uno dei successi ottenuti dalla mafia nella guerra contro la politica. Poiché il 41-bis si può dire sia rimasto lettera morta. Oggetto di continue discussioni, di revisioni. Come quella del 2001 (durante il governo Berlusconi II):

Carcere duro addio. Quattro colloqui al mese, il fornello a gas per scaldarsi i cibi. Piccole cose nel mondo dei normali, ma non tra i dannati del 41 bis. Conquiste in sordina che sembrano dei bonus concessi da pezzi delle istituzioni che confermano un atteggiamento più morbido e vanificano il regime duro previsto dall’ ordinamento penitenziario per chi si è macchiato di crimini orrendi: torture, sequestri di persona, stragi, omicidi di bambini (Addio al 41 bis così è partita la trattativa con la mafia, la Repubblica, 27 dicembre 2001, pagina 1, sezione: PALERMO).

Nell’inchiesta di Torrealta avrete ascoltato la lunga intervista a Nicolò Amato. Fu lui ad insistere con Giovanni Conso affinché il ministro revocasse il 41-bis ai mafiosi, poiché si trattava di “decreti emergenziali” chiaramente lesivi della dignità della persona. Amato era direttore generale del DPA, il dipartimento di amministrazione penitenziaria. Dopo Amato, si verificarono altre revoche del carcere duro. Nel 2003 le revoche furono 73, 14 nel 2004. Presidente del DPA era Giovanni Tinebra, ex procuratore generale di Caltanissetta. Tinebra è il magistrato che condusse in tutta fretta le indagini su Via D’Amelio. E’ colui che prende le rivelazioni di Scarantino per buone; è colui che attribuisce a Profeta, mafioso coinvolto nell’uccisione di Libero Grassi, un ruolo nell’attentato a Borsellino:

fonte Archivio Storico La Stampa - 2004

fonte Archivio Storico La Stampa, 10 Ottobre 1993

Ma Tinebra è anche colui il quale delegittima il pm Luca Tescaroli nell’indagine sui mandanti occulti a Via D’Amelio, indagine che venne archiviata da Tinebra con una formula che negava alcun coinvolgimento di Berlusconi e Dell’Utri nella vicenda, allora chiamati in causa da alcuni pentiti (oggi anche da Spatuzza).

Alle 10,30 di ieri mattina (…) il giudice per le indagini preliminari di Caltanissetta, Giovambattista Tona, ha depositato in cancelleria il decreto di archiviazione che segna la definitiva uscita del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e di Marcello Dell’ Utri dall’inchiesta sui “mandanti occulti” delle stragi di Capaci e di via D’ Amelio. (…) Il giudice analizza le accuse dei numerosi collaboratori di giustizia che avevano chiamato in causa i due leader di Forza Italia sostenendo che «erano nelle mani del capo di Cosa nostra, Totò Riina» e che le stragi dell’ estate del ’92, in cui furono uccisi il giudice Falcone, la moglie, il giudice Paolo Borsellino e gli agenti delle loro scorte, furono “accelerate” per dare un colpo ai vecchi referenti politici della mafia e dare una mano al nascente partito di Forza Italia. Altri collaboratori parlarono di incontri tra i boss ed i due esponenti politici che avrebbero assicurato provvedimenti legislativi favorevoli a Cosa nostra. Ma il gip, pur non bollando i pentiti come inattendibili, ha ritenuto che gli elementi raccolti in due anni di indagini sono «insufficienti» a sostenere l’ accusa in un eventuale giudizio. Insomma niente prove. Il giudice Tona ha quindi condiviso la richiesta di archiviazione della Procura presentata il 19 febbraio dello scorso anno e firmata dall’allora procuratore Gianni Tinebra (…) e dall’aggiunto, Francesco Paolo Giordano (Stragi mafiose,il gip archivia, la Repubblica, 4 maggio 2002, pagina 20).

E’ amareggiato e incredulo Luca Tescaroli, il pm della strage di Capaci e di via D’ Amelio che fino a pochi mesi fa aveva coordinato l’ inchiesta sui mandanti occulti delle stragi dov’ erano indagati Silvio Berlusconi e Marcello Dell’ Utri. Un inchiesta che ha provocato divergenze di vedute tra il giovane magistrato ed i suoi superiori, il capo della Procura, Giovanni Tinebra e l’aggiunto, Paolo Giordano. Tescaroli aveva preparato una richiesta di archiviazione che è stata cestinata dai suoi superiori perché il magistrato avrebbe sostenuto che l’ ipotesi del coinvolgimento di Berlusconi e Dell’ Utri nel progetto stragista di Cosa nostra, pur plausibile, non aveva trovato nei due anni di indagini previsti dalla legge una decisiva conferma. Una tesi che è stata completamente ribaltata dalla richiesta di archiviazione presentata nel marzo scorso da Tinebra, Giordano e dal sostituto Leopardi (Io magistrato delegittimato nell’inchiesta sulle stragi, la Repubblica, 27 marzo 2001, pagina 25).

Tinebra è diventato direttore del DAP su nomina del governo Berlusconi II (anni 2001-2004).

1992-1993-1994. Una verità che terrorizza. Il bavaglio si stringe su Annozero e Report.

Per darvi l’idea dell’entità delle parole dette fra i denti oggi da Mr b sulle procure che stanno complottando, si potrebbe pensare all’onda di uno tsunami. La vedi e non capisci cos’è. Ma quando arriva, cancella tutto. Azzera tutto. Le parole di Mr b solo le parole di uno che sa che sta per abbattersi l’onda dello tsunami. Sa che arriva. E’ solo una questione di tempo.
A Milano indagano sia sul caso Mediatrade e le compravendite dei diritti tv fra le sue società occulte, sia sull’attentato di Via Palestro del 1993. L’anno della destabilizzazione. E’ possibile che la Boccassini riapra il fascicolo e riprenda il filone d’inchiesta che vedeva coinvolto Dell’Utri. Ciò è reso possibile dagli sviluppi intercorsi sull’altra sponda, a Palermo e a Caltanissetta, dove il quadro s’è fatto più chiaro fra le dichiarazioni di Gaspare Spatuzza e Massimo Ciancimino e il famoso papello e lo stralcio di lettera minatoria scritta da Provenzano a Mr b e inviatagli non a mezzo posta ma a mezzo di amici (Vito Ciancimino-Dell’Utri).
Il fatto che oggi Mr b abbia attaccato le procure, quando invece dalle stesse non sembrano giungere ulteriori novità, è segno che Berlusconi è terrorizzato dalla verità che ne potrebbe emergere. Ciò non sarebbe se queste stesse verità non lo vedessero coinvolto nei fatti del 1992.
Intanto dalla RAI provengono segnali ulteriori di censura. E’ una censura non manifesta, bensì burocratica, tesa a ostacolare la realizzazione di certe trasmissioni televisive a carattere giornalistico. I casi: Annozero con Travaglio e altri redattori senza contratto; Report senza assistenza legale. Questi fatti mostrano come “Loro” abbiano messo in pratica una strategia ad ampio raggio: uso dei media di proprietà per bastonare e diffamare, per fare propaganda diretta senza alcuna vergogna (vedi il caso della telefonata a Mattino Cinque, e l’intervista riparatoria a Noemi su SkyTG24); cooptazione dei vertici RAI, nessun editto ma impoverimento dei mezzi della tv di Stato, da una parte facendo saltare il tavolo di trattative con SKY, dall’altra non mettendo sotto contratto e riducendo le tutele legali (manleva).

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    • le Procure di Milano e di Palermo “cospirano contro di noi”
    • Lui sa, per esempio, che la Procura di Milano sta chiudendo non una cospirazione, ma un’indagine giudiziaria che lo vede indagato dall’aprile del 2007 per appropriazione indebita (con conseguente evasione fiscale) insieme al presidente Mediaset Fedele Confalonieri e ad altre sette persone.
    • è uno stralcio del processo che vede imputati Berlusconi e altri dinanzi al Tribunale di Milano per le “creste” sugli acquisti di diritti televisivi e cinematografici in America da parte di una miriade di società offshore del gruppo Fininvest-Mediaset. In quel processo (congelato dal lodo Alfano in attesa che dal 6 ottobre la Consulta si pronunci sulla costituzionalità o meno del Salva-Silvio) il premier è imputato per appropriazioni indebite da 276 milioni di dollari
    • L’inchiesta-stralcio che sta per chiudersi, invece, riguarda l’accusa – come ha scritto Luigi Ferrarella sul Corriere il 25 giugno scorso – di avere “mascherato la formazione di ingenti fondi neri” dirottati dalle casse Fininvest-Mediaset su “conti esteri gestiti dai suoi fiduciari
    • Un replay della vicenda già approdata in Tribunale, solo che quella si riverbera sui bilanci del gruppo fino al 2001, mentre questa si spinge anche negli anni successivi per via dell’ammortamento pluriennale dei diritti tv
    • L’inchiesta-stralcio prende nome da Mediatrade, cioè dalla società berlusconiana che dal 1999 è subentrata alla maltese Ims per l’acquisto dei diritti tv, e riguarda una serie di conti esteri dai nomi variopinti (“Trattino”, “Teleologico”, “Litoraneo”, “Sorsio”, “Pache” e “Clock”)
    • Il Cavaliere sa bene che, scaduti in estate i termini per indagare, la Procura sta per depositare alle difese “l’avviso di conclusione delle indagini e deposito degli atti”: una mossa che, in mancanza di una richiesta di archiviazione, prelude alla richieste di rinvio a giudizio che lo trasformeranno da indagato a imputato.
    • Poi c’è Palermo. Qui il presidente del Consiglio ha voluto essere più preciso: “E’ una follia che ci siano frammenti di Procura che da Palermo a Milano guardano ancora a fatti del ’92, del ’93, del ’94”
    • In realtà non c’è niente di folle a indagare sulle stragi politico-mafiose che hanno insanguinato l’Italia fra il 1992 e il 1993. L’unica follia è che, a 17 anni dalle bombe di Palermo, Milano, Roma e Firenze, non se ne siano ancora smascherati e ingabbiati i mandanti occulti, nonché gli autori e gli ispiratori delle trattative fra pezzi dello Stato e Cosa Nostra
    • le indagini paiono a buon punto, grazie alle rivelazioni di persone molto informate sui fatti, come il mafioso pentito Gaspare Spatuzza (dinanzi alle procure di Caltanissetta, Firenze, Milano e Palermo) e il figlio dell’ex sindaco mafioso di Palermo, Massimo Ciancimino
    • su Libero, Gianluigi Nuzzi parlava di importanti acquisizioni da parte di Ilda Boccassini, che indaga sulla strage di via Palestro del 27 luglio 1993, e della possibile riapertura del filone investigativo che aveva portato all’iscrizione di Marcello Dell’Utri (ma anche di Silvio Berlusconi) per concorso in strage
    • riparte per il rush finale davanti alla Corte d’appello di Palermo il processo di secondo grado a carico di Dell’Utri
    • la Corte dovrà decidere se ammettere nel fascicolo processuale la lettera che – secondo Ciancimino jr. – Provenzano inviò a Berlusconi tramite Vito Ciancimino e Dell’Utri nei primi mesi del 1994, in cui prometteva appoggi politici in cambio della disponibilità di una rete televisiva
    • Una possibile prova regina del ruolo di cerniera fra Cosa Nostra e Berlusconi svolto per decenni da Dell’Utr
    • Nulla di segreto: tutto noto e stranoto, almeno nelle segrete stanze (giornali e telegiornali non si occupano di certe quisquilie). Noto, soprattutto, al Cavaliere. Il quale ha deciso di giocare d’anticipo. Così quando gli atti di Mediatrade saranno depositati a Milano e quelli di Palermo saranno acquisiti al processo Dell’Utri, lui potrà dire: ve l’avevo detto che stavano cospirando. Quella di oggi è un’esternazione preventiva. A orologeria
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    • Aria sempre più tesa su due dei programmi di punta di Rai 2 e Rai 3. Da una parte Michele Santoro denuncia i ritardi che stanno mettendo a rischio Annozero, dall’altra il direttore di Rai 3 Paolo Ruffini, si schiera per sollecitare l’assistenza legale ai giornalisti di Report.
    • “E’ un programma che si base su una squadra di freelance. A questi giornalisti la Rai ha garantito copertura legale negli anni passati. Ora l’azienda vuole rivedere la clausola, nonostante il parere contrario della rete. Report è un patrimonio e quindi è utile alla Rai”, dice Ruffini.
    • A due settimane dalla partenza di AnnoZero, nessuno dei contratti dei collaboratori del programma è stato ancora firmato. Compreso quello di Marco Travaglio, uno dei nomi di punta del programma di Rai 2
    • Per questo Michele Santoro, che conduce la trasmissione, ha scritto una lettera al direttore generale della Rai, Mauro Masi e al direttore di Raidue, Massimo Liofredi. Santoro ricorda come gli spot non siano ancora partiti e sottolinea che “non intende rinunciare a quanto le sentenze stabiliscono”. Un chiaro riferimento alla sentenza con cui Santoro è stato reintegrato alla Rai.
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    • la lettera che Michele Santoro oggi ha inviato al direttore generale della Rai Mauro Masi, al direttore di Raidue Massimo Liofredi e ai copnsiglieri di amministrazione
    • a due settimane dalla partenza di Annozero nessuno dei contratti dei miei collaboratori è stato ancora firmato. Allo stesso modo, con grave pregiudizio del lavoro preparatorio del programma,  non sono stati resi operativi gli accordi con operatori e tecnici che sono essenziali per le riprese esterne e le inchieste
    • non sono stati diffusi gli spot che annunciano la data di inizio di Annozero
    • una simile situazione non si era mai verificata da quando lavoro in televisione, né  era mai accaduto che obiezioni e perplessità in materia editoriale si presentassero sotto forma di impedimenti burocratici
    • Mi risulta che anche altri programmi di punta del servizio pubblico, in particolare di Raitre, abbiano gli stessi problemi e si trovino a dover superare ostacoli pretestuosi per la messa in onda. Si tratta di pezzi pregiati che offrono al pubblico importanti motivazioni per continuare a pagare il canone e contemporaneamente risultano tra i più appetibili per la pubblicità in un momento assai difficile del mercato.
    • siamo una delle pochissime trasmissioni della Rai ( credo si contino su una sola mano) che con le entrate degli spot  supera abbondantemente i costi del programma.
    • un’eventuale soppressione del programma aprirebbe un buco difficilmente colmabile nella programmazione, arrecando un danno ai bilanci della Rai valutabile in decine di milioni di euro.
    • giornali e agenzie vicini al Presidente del Consiglio continuano a diffondere notizie su vostre intenzioni che a me non risultano ma che voi non provvedete a smentire, sono costretto a ricordare, a voi prima di tutto ma anche al Presidente della Rai e ai Consiglieri di amministrazione, che io sono in onda non per le decisioni di un partito ma per una sentenza della magistratura interamente confermata in appello
    • Perciò pende un procedimento presso la Corte dei Conti che vorrebbe attribuire a responsabilità individuali i costi che la Rai ha dovuto accollarsi per le condanne subite.
    • io non intendo rinunciare a quanto le sentenze stabiliscono; e, nell’interesse dell’Azienda, mi aspetto che si recuperi il tempo perduto siglando tutti i contratti (e tra essi quello di Marco Travaglio), da noi predisposti più di due mesi fa, prima che Annozero fosse presentato a Milano agli investitori pubblicitari come un punto di forza del palinsesto autunnale

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